1861-2015. Un secolo e mezzo di storia (e poco più) non è bastato ad archiviare la fantomatica “questione meridionale” che, dagli albori dell’Unità d’Italia, è sempre stata al centro del dibattito storico e politico, fino ai giorni nostri. Certamente Garibaldi non pensò che tutti i problemi dell’Italia si sarebbero risolti con un gesto eroico, ma nemmeno immaginava che il gap economico tra Nord e Sud della penisola sarebbe, di lì a poco, divenuto una voragine.

Il ritardo del Mezzogiorno, sia chiaro, non è frutto della casualità, ma di precise causalità; gli errori della classe politica dirigente giocarono (e giocano ancora) un ruolo determinante: quei settori dell’economia caratteristici del meridione non furono salvaguardati e i finanziamenti statali mai si mossero in direzione-Sud perché le piccole aziende a conduzione familiare non sono mai state considerate una risorsa per l’economia nazionale, a differenza della grandi industrie del Nord. Pertanto, si è assistito a uno sviluppo disomogeneo dell’Italia, che ha finito col dipingere il Sud come fardello dell’economia, più che come potenziale risorsa.

Secondo l’analisi del giornalista Andrea Atzori, non si è compreso che “per il Sud, la vocazione non era quella della grande produzione industriale, ma quella dell’eccellenza, nella ricerca e applicazione scientifica e tecnologica”; a oggi, in virtù del fatto che “la sfida nei confronti dei grandi giganti dell’economia, se non si vuole rimanere emarginati per sempre, passa dalla valorizzazione delle risorse umane”, il Sud sembra addirittura essere avvantaggiato rispetto al Nord. Le popolazioni meridionali sono ricche di valori che non si possono dimenticare: un’etica del lavoro intesa come “fatica”, sacrificio, una concezione della famiglia quale centro di affetti, di fecondità e di trasmissione di valori nonché di una religiosità popolare considerata importante veicolo di formazione (cfr. Chiesa Italiana e Mezzogiorno).

Dunque, la soluzione alla questione meridionale è davvero così difficile? Difficile è pensare che l’unica risposta al problema sia dover modificare l’assetto strutturale della Repubblica – questa la proposta avanzata da alcune forze politiche: “non saranno le nuove forme di Stato, in senso federalista, inventate dai giuristi, che cambieranno il destino del Paese, anzi, serviranno solo a lasciare i problemi irrisolti, e ad aggravarli, continuando ad aumentare il solco che separa le due parti di esso”, sostiene Atzori. La risposta è semplice e risiede nel Mezzogiorno stesso, fonte di risorse mai valorizzate.

La questione meridionale resta aperta ma non per questo irrisolvibile: occorre elaborare una politica economica nazionale che miri al superamento dell’arretratezza del Sud come punto di partenza per la crescita unitaria del Paese; e tutto ciò sarà possibile solo se pregiudizi e presunzioni di superiorità, che sono la causa principale delle tensioni tra Nord e Sud, saranno superati per far spazio a una mentalità più aperta, tesa a creare sinergia tra le due realtà, così come la Chiesa sostenne nel non lontano 1989: “il Paese non crescerà se non insieme”.

Pasqua Peragine

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