siamo salvati

intervista a Alessandra Carati, scrittrice

“Dopo Londra non è stato più lui, come se il destino lo avesse aspettato per voltare pagina in modo irreversibile. Ero convinta che gli servisse un recinto capace di segnare in modo chiaro il confine tra ordine e disordine.”

Abbiamo scelto queste parole, tratte dal romanzo “E poi saremo salvi”, per introdurne l’autrice, Alessandra Carati. Donna, scrittrice, finalista del Premio Strega Giovani 2021, si racconta in un’intervista che, traendo spunto da riflessioni sul suo più celebre romanzo, un libro che parla di bambini, adolescenti, adulti, un percorso generazionale attraverso le varie fasi della vita, approda a tematiche profonde sulla società e complessità umana. Alessandra Carati, donna, scrittrice, finalista premio strega giovani 2021.

1) Nel suo libro incontriamo la protagonista, poco più che bambina, e la seguiamo nel suo percorso di formazione: è davvero così difficile crescere?
La vita nella sua totalità è complessa. Per i protagonisti del libro forse ancora di più, poiché incontrano degli ostacoli ulteriori. La guerra li costringe a scappare, è un moltiplicatore di fatica e di dolore. Quando conosciamo Aida, la protagonista, ha solo sei anni. Oltre ad attraversare le normali difficoltà del diventare adulti ha quindi un fardello da sciogliere molto pesante. Il trauma della guerra impatta sulla sua famiglia direttamente e il padre li porta a vivere in Italia per salvarli. Vengono strappati all’improvviso dalla loro realtà rurale e quotidiana, dove la comunità ha una sua forza e una sua vitalità, per andare a vivere a Milano. La guerra ha conseguenze non solo su Aida ma su tutta la sua famiglia, su tutte le generazioni che la compongono, dai genitori fino ai nonni, lasciando in ciascuno ferite diverse.

2) Quale è il rapporto dei personaggi del romanzo con la religione?
Il modo in cui vivono la religione non ha niente di trascendente, non hanno dimensione religiosa
realmente viva. La religione diventa una qualità per identificarsi in una situazione in cui si sentono esclusi, quasi a voler marcare una differenza e rivendicare l’appartenenza a qualcosa. Stanno attaccati ad essa come ad una formalità. Neppure il fratello riesce a trovare questa dimensione, anche quando cerca di ricomporre qualcosa nella sua dimensione di delirio, quando tenta di riunificare la sua dimensione psichica attraverso la lettura dei testi sacri delle tre grandi religioni monoteiste. L’unico momento in cui pare esserci un una ricerca di una dimensione trascendente è quando il padre porta Aida sulla tomba della nonna: in quell’istante entrano in contatto con l’invisibile, anche se non direi in senso propriamente religioso.

3) È veramente necessario un evento così traumatico come una guerra per indurci a riflettere maggiormente su noi stessi?
La guerra sicuramente funge da moltiplicatore di emozioni, portandone ad una fortissima ed eccezionale intensificazione. Eppure, questo ci dovrebbe far riflettere. Quante volte anche noi siamo alla ricerca di intensificatori di emozioni, come se il quotidiano non fosse bastante. Forse perché oggi è sempre più rarefatto lo spazio per la propria intimità. L’attenzione assidua al nostro corpo, al nostro involucro, ci ha forse fatto dimenticare la necessità di un ascolto di noi stessi in modo più organico. Il nostro copro non è solo lo strumento che ci permette di fare delle cose, ma preferiamo forse ridurlo a questo per una innata paura della solitudine, di cui non riusciamo a comprendere appieno l’importanza per comprendere realmente noi stesso e le relazioni con l’altro.

4) Allontanandoci dalla specificità del romanzo, cosa è per lei la scrittura e quando è nata la sua passione per essa?
La scrittura per me è stata una sorta di vocazione che, tuttavia, non ho coltivato da subito. Prima di ritornavi, infatti, mi sono “dispersa” in altri ambiti professionali, creando un bagaglio di esperienze che confluiscono nel processo creativo. Per me scrivere è sempre stato un atto di condivisione di esperienza umana, da vivere in primo luogo come una pratica, qualcosa di tangibile, che sta nelle mie mani ancor prima che nel mio intelletto. Qualcosa che avviene con il corpo tramite un contatto con la materia. È un’azione fisica in cui racchiudiamo emozioni, commozioni, sensazioni.
Nello scrivere vi è sicuramente una parte professionale, ma anche una parte più intima che non necessariamente confluisce in un libro, un’attività intima dello scrivere, di cui tutti noi abbiamo fatto esperienza. Scrivere ci nutre, riusciamo ad oggettivare ciò che sentiamo e ciò che proviamo, permettendo di guardare le cose in modo diverso.
Citavo prima la componente fisica della scrittura: oggi, in realtà, poche persone scrivono a mano, abbiamo diversi supporti. È rimasta la scrittura a mano libera solo quando scriviamo qualcosa che è ancora caldo, dobbiamo annotare una sensazione momentanea, un pensiero improvviso. Il supporto cambia molto la temperatura di ciò che si scrive.

5) Come sceglie il materiale e gli argomenti su cui scrivere?
Non scelgo il materiale su cui scrivo, è il materiale che mi sceglie. Ho sempre bisogno di scrivere qualcosa. Mi interessa l’umano, le esperienze biografiche anche lontane dalle mie.
Il romanzo “E poi saremo salvi” ad esempio, nasce da incontro con una mia studentessa, come precipitato di tante storie diverse, scoperte dopo la conoscenza, il dialogo e l’ascolto con una comunità di ex profughi. Ascoltare è una conditio sine qua non per la scrittura, componente essenziale del processo creativo.
Il momento in cui scrivo fisicamente sono pochi mesi, ma sono preceduti da tanti anni di studio di materiale umano, incontri. Per questo libro, ad esempio, ho dedicato molto spazio allo studio teorico, geografico, geopolitico e antropologico, alla lettura di opere di scrittori bosniaci. Tutto questo per me è già scrittura, che diventa così la sintesi di diversi input in contatto diretto con la materia viva, il risuonare dei racconti. Come un grande calderone da ci traggo materia narrativa. Più è stratificato più il processo di sintesi è lungo.
Infine vi è il momento in cui sento di essere pronta a scrivere. I mesi immediatamente precedenti sono periodi di grande sofferenza, è come se stessi covando qualcosa che tuttavia non arriva. In un mondo così orientato alla performatività e alla produttività, questi mesi in cui apparentemente sembra di non fare niente sono in realtà cruciali per la composizione dell’opera.

6) Quali sono alcune sue strategie di comunicazione e scrittura efficaci?
Non credo che ci siano delle strategie di comunicazione. Ci possono essere degli strumenti. La parola strategia suscita in me un sentimento di manipolazione, ma io credo in una forma di scrittura che sia onesta. Il sentimento è qualcosa di estremamente complesso, che ha bisogno di cultura e riflessione, non deve essere forzatamente suscitata.

intervista a cura di Giulia C. – Firenze

puoi vedere e ascoltare l’intervista sul nostro canale youtube: https://youtu.be/5WHAKTcmJqk

33 anni dopo Maradona

Alle 22:37 del 4 maggio 2023 il Napoli è diventato campione d’Italia per la terza volta della sua storia. La squadra di Spalletti va sotto nei primi minuti della partita, ma poi pareggia grazie a un gol di Osimhen vincendo così il campionato con ben 5 giornate d’anticipo.

L’urlo liberatorio, atteso da diversi giorni, si è levato dallo stadio Maradona, dove 50.000 tifosi supportavano la loro squadra del cuore attraverso maxischermi, e ha finalmente scacciato la paura di giocatori e tifosi. Da lì è cominciata la festa in gran parte delle città italiane e anche nel mondo.

È stata la festa del popolo, delle persone da sempre emarginate e schernite, di coloro che sono sempre stati presi di mira perché emigrati, ma che almeno per una notte hanno potuto gridare al cielo la loro fede e la propria origine. Da Fuorigrotta a Posillipo passando dal Vomero, tutta la città era avvolta in un unico colore: l’azzurro. Tutte le vie e ogni vicolo del centro storico erano affollati di gente nuda che piangeva, non ci credeva e sventolava i bandieroni tricolori consapevoli del fatto che nessuna squadra poteva più superarli. Tutto il paese era dipinto di azzurro e bianco con motivetti tricolori. Dalle finestre dei palazzi scendevano gigantografie dei campioni d’Italia mentre tra i vicoli erano appesi a mo’ di lenzuola le magliette della formazione titolare scudettata. Tutta la città era scesa in strada per cantare, gridare e ballare a cielo aperto.

Immagini che ricordavano molto la festa azzurra della magica estate del 2021, quando la Nazionale si laureò campione d’Europa e che ci fanno quasi distogliere lo sguardo alla crisi pandemica. Ricordiamo che proprio in questi giorni, l’Italia è uscita finalmente dallo stato di emergenza sanitaria e sembrerebbe vedersi la luce in fondo al lungo tunnel buio. Un po’ come i napoletani con il tanto agognato scudetto.

Tornando alla festa partenopea, quest’ultima si è estesa fino alle 4 del mattino ovvero fino a quando la squadra è atterrata all’aeroporto della città. Ad accoglierli, anche lì un’ondata di scooter biancoazzurri che strombazzavano a più non posso per esprimere il loro amore verso tutti i componenti della squadra. Piazze e strade erano strette in un unico e interminabile abbraccio cercato, voluto e raggiunto. Nessuno voleva che finisse mai; è stata una cosa del tutto spontanea e organizzato dai napoletani soltanto qualche settimana prima anche grazie alle istituzioni che hanno predisposto un servizio d’ordine pubblico preciso con ampie zone pedonali e polizia a presidiare il tutto.

La vera festa, con la sfilata dei giocatori a pullman scoperto, avverrà soltanto all’ultima giornata di campionato del 4 giugno. In occasione della 38esima giornata, ci sarà infatti la premiazione e di conseguenza l’alzata del trofeo da parte del capitano della squadra vincitrice. Motivo per cui dopo la premiazione ci sarà la classica manifestazione ufficiale organizzata dalla squadra e dal comune. Si sa, i napoletani sono persone simpatiche e calorose, con inventiva di idee stravaganti e fuori dal comune (il carro della nave in giro per la città è uno dei moltissimi esempi a supporto della tesi). Dopo essere passato dal golfo di Napoli, difficilmente si riesce a trovare posti che suscitano le stesse emozioni e la famosa frase “vedi Napoli e poi muori!” racchiude tutte queste cose. La festa del Napoli rappresenta un po’ tutto questo spirito che la persona napoletana ha intrinsecamente dentro di sé. La storia del Napoli stesso, inteso come società sportiva, combacia esattamente con la figura del napoletano. Per anni derisi, ricordati soltanto per il periodo d’oro di Maradona, il fallimento e gli eterni secondi posti; poi, quando nessuno se l’aspettava, ecco la vera forza del gruppo uscire allo scoperto. La forza di chi, nonostante importanti cessioni durante il mercato estivo, ha creduto dove nessuno ci credeva ed è riuscito in un’impresa che durava da decenni.

Il Napoli che spendendo poco e nulla stravince il campionato battendo le ricche squadre del Nord è riuscito in un’impresa che ricorda molto quella di Davide che, con una semplice fionda, batte il temibile gigante Golia dei Filistei. Questo è il bello del calcio. Anzi, questo è il bello della vita che riserva situazioni inattese in momenti ancora più inaspettati.

Marco C. – Milano

Campamento de verano – PP. Barnabitas Mérida – Yucatán. ¡Adelante 2023!

Con este lema comienza oficialmente nuestra aventura junto a los padres Barnabitas de Mérida – Yucatán, México.
Con gusto publicamos las expectativas de cuatro de nuestros voluntarios entre los 9 que vivirán esta oportunidad:

Cuando cumples18 años, el verano representa la libertad, las salidas con los amigos, las primeras vacaciones juntos y yo también me imaginaba que pasaría mi verano así. Luego se me presentó un viaje a México, como voluntario, en una misión de los padres Barnabitas: ¡no tardé en cambiar de opinión! Al principio estaba muy indeciso porque significaba, y sigue significando, hacer solo el primer viaje al extranjero, pero las preocupaciones no se limitan a eso; los diferentes usos y costumbres pueden representar un obstáculo difícil de superar, y ni hablar del idioma -del que conozco pocas palabras-. Sin embargo, creo que todo esto es un “riesgo” que vale la pena correr, porque experiencias de este tipo, a mi edad, ocurren sólo una vez en la vida y espero que sean formativas tanto a nivel personal como en términos de interacción con los demás. También estoy convencido de que ver y poder tocar con mis propias manos las carencias y las dificultades de otras sociedades puede darme una apertura mental que hoy, en un mundo que tiende cada vez más al egoísmo y al bienestar personal, es una característica fundamental poseer Así que a la pregunta del Padre Giannicola “¿por qué elegiste embarcarte en esta aventura?” respondo: para poder mejorar, como persona y como joven, y, a mi manera pequeña, esperando poder dar una mano prestándome a todos los servicios necesarios.
Michele LaD. – Bolonia

En agosto del 2023, a pesar de mi corta edad, estaré a punto de vivir una experiencia destinada a marcarme para el resto de mi vida. La oportunidad de embarcarme en un viaje así siempre ha sido un sueño para mí. De hecho, desde niño, he tenido el compromiso de intentar ayudar a los demás, pero ninguna actividad de voluntariado en la que he participado se puede comparar con esta futura experiencia. Ir a un lugar tan lejano y culturalmente diferente será profundamente educativo, me ayudará a crecer y madurar. Será un viaje inolvidable, en el que mejoraré mi sentido de la empatía y en el que viviré de primera mano las dificultades a las que algunas personas están acostumbradas a vivir. Espero sinceramente poder contribuir a las comunidades que encontraremos, siendo conscientes de las dificultades que podemos encontrar. Finalmente seré capaz de ayudar realmente a alguien, yendo directamente a los lugares que necesitan. Probablemente, emprender un viaje así a los 18 años requiere un poco de valentía e inconsciencia, pero la posibilidad de ser realmente útil en mi vida es un impulso más fuerte que los miedos. En pocas palabras, en unos meses viviré lo que, desde chico, siempre he soñado, y la esperanza es estar a la altura de todo lo que se requerirá de mí.
Arturo M. – Bolonia

Siempre me han fascinado las experiencias de voluntariado, de aquellos que volaban al extranjero para dedicar su tiempo a ayudar a otras personas, a transmitir su cultura y tradición, o simplemente a entretener a los niños pero también a los adultos que cada día están en contacto con una realidad bastante diferente. y complicada comparado con la, pero igualmente fascinante. Este año también tendré la oportunidad de poder vivir una experiencia de este tipo, más precisamente una experiencia de voluntariado en México, en la ciudad de Mérida, con los Padres Barnabitas. Aunque es un camino largo, lleno de compromiso y sacrificio, no dudé ni un momento en confirmar mi presencia para sumarme al proyecto. En el momento en que me llegó la propuesta, sentí dentro de mí el sentido del deber que siempre he tenido con el voluntariado, comprendí que era hora de profundizar y ampliar mi camino, que partía del servicio prestado en el comedor de los pobres de la ciudad de Como, a un viaje al extranjero que me hubiera dejado una huella imborrable. Creo que el objetivo del viaje, junto con otros jóvenes, será diseñar y organizar actividades que puedan estimular a los niños especialmente a nivel social y en el campo del aprendizaje, a través de juegos, canciones y talleres al aire libre. De este viaje espero volver como una persona nueva pero sobre todo enriquecida: estoy segura que el espíritu genuino, especialmente de los niños, me llenará de alegría, haciéndome comprender que la alegría y la alegría de la niñez se encuentran también en las circunstancias más difíciles. Estos son mis propósitos de partir y emprender un viaje en el que pondré todo mi esfuerzo y fuerza, para dar mi aporte y marcar la diferencia en mi vida y la de algunas personas.
Lucrecia S. – Como

¡¡15 días en Mérida (México) participando en actividades de entretenimiento para niños del lugar, junto con un grupo de adolescentes italianos y otros jóvenes de las comunidades locales de los Padres Barnabitas!! Cuando pienso en este extraordinario viaje, me llena una gran emoción, porque sé que esta experiencia cambiará mi vida y dejará una huella imborrable en mi corazón. No puedo evitar pensar en todas esas sonrisas que veré y la energía contagiosa de las personas que conoceré a lo largo de mi viaje. Siento que me enriquecerán, mucho más de lo que yo podré hacer por ellos. Imagino las caras curiosas de los niños mientras comparto con ellos momentos de juego, creatividad y divertido. Me pregunto cuáles son sus historias, sueños y esperanzas. Tengo muchas ganas de sumergirme en su cultura, aprender de sus tradiciones y descubrir nuevas formas de ver el mundo a través de sus ojos. Al mismo tiempo, admito que hay cierta ansiedad que me acompaña, pero creo que es normal sentirme así cuando me aventuro en un territorio desconocido. Saber que tengo la oportunidad de hacer una diferencia en la vida de estos niños me llena de gratitud. Quizás no todo sea fácil, pero tengo fe en mis habilidades y en el apoyo de los demás muchachos que me acompañarán en esta aventura. Mientras me preparo para ir, me concentro en lo que puedo ofrecer y cómo puedo ayudar a crear un impacto positivo. Estoy llena de ilusión y ganas de hacer especiales estos momentos, de compartir amor, alegría y sonrisas con todas las personas que encontraré en estas dos semanas. Así que, con la bolsa llena de ilusión y el corazón abierto, partí rumbo a Mérida, dispuesto a comenzar esta extraordinaria aventura. Espero dejar una impresión duradera y crear recuerdos que llevaré conmigo toda la vida.
Ricardo S. – Lodi

L’ora di religione

Negli ultimi anni ci sono stati molti pareri contrastanti sul mantenere l’ora di religione nelle scuole e sul togliere elementi cattolici dalle classi come le croci.
C’è chi crede che sia meglio eliminarli per annullare le diversità culturali e religiose tra i ragazzi e chi crede che eliminandola si perderà anche la storia e la credenza.
Quello che non tutti sanno è che religione non è un’ora scolastica come le altre ma è un momento per poter comunicare ed esprimere i propri pareri non necessariamente in ambito religioso. In poche parole la religione nelle scuole è uno spazio dove gli studenti possono approfondire il rapporto fra uomo e spiritualità, uomo e Dio, e possono comprendere altre religioni del mondo, soprattutto quelle che sembrano così lontane.
Però nonostante io credo che l’ora di religione sia un momento “libero” in cui conversare apertamente ed esprimere pareri personali, penso anche che sia una scelta personale e che non tutti debbano essere obbligati a partecipare.
Infatti così scrive un mio amico, Andrea, per il quale, nel rispetto delle credenze di ognuno, sia giusto lasciare l’ora di religione come momento di riflessione e per aprirsi a Dio. Spesso però gli insegnanti spiegano solo la storia di una religione (non per forza cristiana) tralasciando l’aspetto spirituale che è più importante.
Mentre Giulia afferma che la religione dovrebbe essere insegnata nell’ora di storia, perché riguarda prettamente la storia del nostro paese e continente, ma in realtà questa cosa si fa già abbastanza, pensando ad esempio al potere politico dei papi che c’è stato nei secoli.
Aggiunge poi che per quanto riguarda l’ora di religione cattolica non dovrebbe rimanere, l’insegnamento è di “religione cattolica” non di “storia delle religioni”, se fosse così avrebbe senso di esistere, perché includerebbe tutte le religioni più professate; ma dato che la religione cattolica non è l’unica ad esistere non ha senso che ci sia solo quella.
Come scrivevo più sopra, la bontà o meno dell’insegnamento della religione cattolica sta tutto nelle scelte personali che nessuno può contestare.

Martina C. – Bologna

Bangladesh, uno sconosciuto necessario

Attualmente c’è una minaccia che sta passando inosservata (per motivi legati a situazioni economiche, politiche e sanitarie) e che mette sempre più a repentaglio le nostre vite: il cambiamento climatico. È causato dal nostro modello di sviluppo, è una crisi globale da non sottovalutare e costringe ogni anno milioni di uomini, e anche gli animali, ad abbandonare le proprie case e trovarsi una nuova dimora.
Un esempio paradigmatico di questa dinamica è il Bangladesh. Nel 2021 è stato il paese al mondo a registrare il maggior numero di nuovi sfollamenti a seguito di disastri naturali, per lo più inondazioni, dovuti all’innalzamento del livello del mare causato da tempeste tropicali e monsoni estivi. A questi eventi naturali si accompagnano quelli socioeconomici: povertà diffusa, scarsità di servizi essenziali e densità di popolazione molto elevata; tutti eventi che stanno lentamente peggiorando la situazione interna del Paese. E questo nonostante il Bangladesh produca filati e capi di abbigliamento che riempiono tutti i nostri armadi!
Gli effetti del cambiamento climatico sono sia di breve sia di lungo periodo. La temperatura media si alza perché ci sono troppe fabbriche e questo si tramuta in troppo inquinamento di gas e materiali dannosi per la Terra. Il surriscaldamento globale porta a un conseguente e costantemente innalzamento del livello del mare che erode il terreno coltivato, il quale non può più dare la giusta sussistenza in termini di raccolto, provocando una crisi monetaria e migratoria alla famiglia proprietaria di esso. Ma è solo l’inizio del circolo vizioso.
La scarsa quantità di raccolto moltiplica i problemi sociali già presenti in quest’area, portando i padri di famiglia a prendere anche decisioni drastiche ed impensabili per la sopravvivenza della famiglia stessa. I matrimoni di figlie minorenni sono infatti all’ordine del giorno nelle comunità di zone rurali legate alle tradizioni antiche. Per un padre, dare la propria figlia in sposa ad un’altra famiglia significa innanzitutto avere una bocca in meno da sfamare in casa propria e in secondo luogo significa ricevere dei soldi con i quali la famiglia potrà continuare a sopravvivere. È come se la bambina, nei momenti di crisi finanziarie, diventasse un prodotto da vendere e con il quale generare una fonte di reddito. Spesso, inoltre, qualora non ci siano figlie già “pronte” per essere date in mano allo sposo, i genitori cercano di procreare nuove creature da rivendere in futuro. Non è un caso che il tasso di fertilità adolescenziale e di matrimoni precoci è tra i più alti non solo in Asia, ma in tutto il mondo. Si pensa difatti ad un piano d’azione globale per porre fine a questi scempi che portano spesso la donna a essere vittima di violenze da parte del marito o dei genitori del marito stesso perché appunto trattata e riconosciuta come merce di compravendita.
Come abbiamo visto però il problema è spesso a monte e deriva dall’ambiente. Un diverso approccio ambientale significa posti di lavoro più salubri con servizi adeguati, ma significa anche evitare tutti quei problemi che ne derivano dal punto di vista sociale ed economico. Aumentare il salario minimo, come successo in alcune aziende, dare maggiori compensi per gli straordinari e offrire pranzi gratuiti e giornate di riposo ai lavoratori sarebbero dei benefit molto importanti che andrebbero a migliorare le condizioni della maggior parte della popolazione. Inoltre, utilizzare la green economy farebbe bene al PIL del Paese, ma più nel concreto anche a tutte le famiglie. Disporre di pannelli solari gli impianti produttivi ridurrebbero il costo dell’energia e la costruzione di cisterne per l’acqua piovana invece il consumo idrico. Si è iniziato da poco, ma quasi da subito si ha avuto un riscontro più che positivo. Certo è che inizialmente l’investimento è alto e non tutte le fabbriche produttive possono permetterselo né lo reputano ideale.
Marco C. – Milano

¡Adelante 2023! Campamentos de Verano

¡Adelante 2023! Campamento de verano. Con questo motto comincia ufficialmente la nostra avventure con i PP. Barnabitas di Mérida – Yucatán, in Messico. Pubblichiamo volentieri le attese di quattro nostri volontari tra i 9 che vivranno questa opportunità.

Quando hai 18 anni l’estate rappresenta la libertà, le uscite con gli amici, le prime vacanze insieme e anche io immaginavo che avrei passato la mia estate così. Poi mi è stata presentato un viaggio in Messico, da volontario, in una missione di padri Barnabiti: non ci ho messo molto a cambiare idea!
Inizialmente, ero molto indeciso perché significava, e significa tuttora, intraprendere il primo viaggio all’estero da solo, ma le preoccupazioni non si limitano solo a questo; gli usi e costumi diversi potrebbero rappresentare un ostacolo difficile da superare, per non parlare della lingua della quale conosco solo poche parole. Credo però che tutto ciò sia un “rischio” che vale la pena correre, perché esperienze del genere, alla mia età, capitano una volta sola nella vita e spero siano sia formative a livello personale che a livello di interazioni con gli altri. Inoltre sono convinto che vedere e poter toccare con mano la povertà e le difficoltà delle altre popolazioni possa darmi un’apertura mentale che ad oggi, in un mondo che tende sempre di più all’egoismo e al benestare personale, è una caratteristica fondamentale da possedere. Quindi alla domanda di padre Giannicola “perché hai scelto di imbarcarti in questa avventura” rispondo: per poter migliorare, come persona e come giovane uomo, e, nel mio piccolo, sperando di poter dare una mano prestandomi ad ogni servizio necessario.
Michele LaD. – Bologna

Ad agosto 2023, nonostante la mia giovane età, mi accingerò a vivere un’esperienza destinata a segnarmi per tutta la vita. L’opportunità di intraprendere un viaggio del genere è sempre stato un sogno per me. Fin da piccolo, infatti, mi sono impegnato nel cercare di aiutare il prossimo, ma nessuna attività di volontariato a cui ho partecipato può essere paragonata a questa futura esperienza.
Recarsi in un luogo tanto lontano quanto culturalmente diverso sarà profondamente formativo, mi aiuterà a crescere e a maturare. Sarà un viaggio indimenticabile, nel quale migliorerò il mio senso empatico e nel quale vivrò in prima persona le difficoltà con cui alcune persone sono abituate a vivere. Spero vivamente di poter dare il mio contributo alle comunità che incontreremo, pur essendo consapevole delle difficoltà che potremmo incontrare. Finalmente sarò in grado di aiutare veramente qualcuno, recandomi proprio nei luoghi di necessità. Probabilmente, per intraprendere un viaggio del genere a soli 18 anni, è necessario un po’ di coraggio e di inconsapevolezza, ma la possibilità di essere realmente utile nel corso della mia vita è un impulso più forte delle paure.
In poche parole, tra pochi mesi vivrò quello che il piccolo me ha sempre sognato, e la speranza è quella di essere all’altezza per tutto ciò che mi verrà richiesto.
Arturo M. – Bologna

Sono sempre stata affascinata dalle esperienze di volontariato, di chi volava oltreoceano per spendere il proprio tempo aiutando altre persone, per trasmettere la propria cultura e tradizione, o semplicemente per far divertire bambini ma anche adulti che quotidianamente si trovano a contatto con una realtà alquanto diversa e complicata rispetto alla nostra, ma altrettanto affascinante.
Quest’anno si è presentata anche a me l’occasione di poter vivere un’esperienza di questo genere, più precisamente un’esperienza di volontariato in Messico, Mérida, con i Padri Barnabiti.
Nonostante si tratti di un lungo viaggio, carico di impegno e sacrificio, non ho esitato un istante a confermare la mia presenza per aderire al progetto.
Nell’istante in cui mi è giunta la proposta, ho sentito dentro di me il senso del dovere che ho sempre avuto nei confronti del volontariato, ho capito che era il momento di approfondire e allargare il mio percorso, partito dal servizio prestato presso la mensa dei poveri della città di Como, a un viaggio oltreoceano che avrebbe lasciato dentro di me un segno indelebile.
Credo che l’obiettivo del viaggio, insieme ad altri giovani, sarà quello di ideare e organizzare attività che possano stimolare i bambini soprattutto a livello sociale e nell’ambito dell’apprendimento, tramite il gioco, canzoni e laboratori all’aria aperta.
Da questo viaggio mi aspetto di tornare una persona nuova ma soprattutto arricchita: sono sicura che lo spirito genuino, in particolare dei bambini, mi riempirà di gioia, facendomi capire che si può trovare la spensieratezza e la felicità dell’infanzia anche nelle circostanze più difficili.
Questi i miei propositi per partire e imbarcarmi in un viaggio in cui metterò tutto il mio impegno e la mia forza, per dare il mio contributo e fare la differenza nella vita mia e di alcune persone.
Lucrezia Sammartano – Como

15 giorni a Merida (Messico) impegnati a svolgere attività di animazione per i bambini del posto insieme a un gruppo di ragazzi italiani e altri giovani delle comunità locali dei Padri Barnabiti?
Quando penso a questo straordinario viaggio, sono pervaso da una grande emozione, perché so che questa esperienza cambierà la mia vita e lascerà un’impronta indelebile nel mio cuore. Non posso fare a meno di pensare a tutti quei sorrisi che vedrò e all’energia contagiosa delle persone che incontrerò lungo il mio percorso. Sento che saranno loro ad arricchire me, molto più di quanto potrò fare io per loro.
Immagino i volti curiosi dei bambini mentre condivido con loro momenti di gioco, creatività e
divertimento. Mi chiedo quali siano le loro storie, i loro sogni e speranze. Sono ansioso di immergermi nella loro cultura, di imparare dalle loro tradizioni e di scoprire nuovi modi di vedere il mondo attraverso i loro occhi.
Allo stesso tempo, ammetto che c’è un po’ ansia che mi accompagna, ma credo sia normale sentirsi così quando ci si avventura in territori sconosciuti.
La consapevolezza di avere l’opportunità di fare la differenza nella vita di questi bambini mi riempie di gratitudine. Forse non sarà tutto facile, ma ho fiducia nelle mie capacità e nel supporto degli altri ragazzi che mi accompagneranno in questa avventura.
Mentre mi preparo a partire, mi concentro su ciò che posso offrire e su come posso contribuire a creare un impatto positivo. Sono pieno di speranza e desiderio di rendere questi momenti speciali, di condividere amore, gioia e sorrisi con tutte le persone che incontrerò in queste due settimane.
Quindi, con un bagaglio pieno di entusiasmo e un cuore aperto, mi avvio verso Mèrida, pronto a iniziare questa straordinaria avventura. Non vedo l’ora di lasciare un’impronta duratura e di creare ricordi che porterò con me per tutta la vita.
Riccardo S. – Lodi

MORIRE O VIVERE DI PASQUA

Ma tra Tutto e Niente non può esistere grigio. Non c’è compromesso.
Io. Ogni cosa. Si è figli del Tutto, o figli del Niente.
Da una parte, Dio. Dall’altra, il Caos. (Daniele Mencarelli, Sempre tornare)
La vita finisce con la nostra morte o continua in qualche modo?
Abbiamo celebrato la Pasqua da qualche giorno, l’evento che ci immette nell’eternità, nell’immortalità.
Si può credere nell’eternità, in una vita rinnovata, rigenerata, risorta: viva nonostante la morte biologica?
Vivere da risorti, vivere dopo la morte, un argomento che può interessare ma non fa parte del pensare quotidiano.
Ne ho parlato con alcuni studenti del 4 anno. La discussione è stata interessante, anche se difficile, ma ogni tanto se qualche cosa è difficile forse significa che vale. Non può essere che tutto sia sempre molto accessibile e senza ricerca. La vita in sé è difficile, non impossibile, ma difficile da comprendere nella sua totalità: non può essere altrettanto anche per la vita risorta?
La confusione tra risurrezione e reincarnazione è molto presente, far comprendere la differenza abissale non è facile. Il principale dato da evidenziare a questo proposito è che la risurrezione, la vita risorta riguarda tutto il nostro corpo; la reincarnazione riguarda una parte di noi, l’anima che andrebbe vagando alla ricerca di un altro corpo dove dimorare. La risurrezione riguarda l’originale unicità della storia di ognuno; la reincarnazione perde la propria originalità e unicità, l’essenza di sé si perde in altro.
Il bisogno di immortalità è proprio della persona, da sempre l’uomo e la donna vogliono lasciare un segno di sé proprio perché sanno di dover morire.
Andri Snær Magnason ne Il tempo e l’acqua racconta che ognuno di noi porta con sé la memoria consapevole di almeno 8 generazioni prima e dopo, un modo per raccontare il bisogno di immortalità!
Nella fede cristiana l’uomo non è immortale, però la morte non è l’ultima parola: l’uomo è fatto per l’eternità, perché Dio è eterno, perché Cristo ha portato su di sé la morte per rendere l’uomo e la donna eterni. Gesù è l’epilogo della preoccupazione di Dio del prendersi cura dell’uomo. Dio si cura dell’uomo. Dio è immortale, al di là della condizione di debolezza e di fragilità dell’uomo; Dio è capace di chinarsi sull’uomo e di prendersene la responsabilità, di dargli gloria e un compito, di entrare in relazione dialogica con lui. È la sicurezza di questo dialogo che dona vita e apre alla vita per sempre.
Questa parola di vita diventa vita e dona vita attraverso il Battesimo. Proprio nel rito di immersione nell’acqua del Battesimo il credente muore e rinasce. Nel battesimo l’uomo della vita solo naturale muore, si lascia la morte alle spalle, e rinasce con la vita di Cristo, la vita eterna, non nel senso che non morirà (anche Cristo è morto), ma che, come è accaduto al Figlio di Dio, la morte non avrà mai l’ultima parola.
La maggior parte dei giovani di oggi non ha paura della vita, però vive una vita di paura, una vita che non vuole pensare alla morte eppure con la morte diretta o indiretta ci gioca. Probabilmente anche perché non ha più presente il sapore della vita risorta. Forse perché i cristiani per primi faticano a riconoscere e raccontare la Pasqua come l’evento fondamentale e portatore di vita. Se è così l’umanità, i più giovani come possono affrontare la morte?
Il battesimo è il modo di Dio di prendersi cura dell’uomo e della donna facendoli partecipare alla vita di Dio: tutti gli eventi di morte sono per lui episodi «di passaggio», cioè di parto, di rinascita.
Il battesimo inaugura questa possibilità di rinascere sempre, ma è compito del credente renderla sempre più cosciente e attiva, realizzandola nella sua storia in modo unico e originale. Per se stesso e per gli uomini e le donne amate dal Signore che vivono tra le nostre strade.

L’IRANIANA VIDA DIBA: MI IMPEGNO PER SOSTENERE LA LOTTA ALLA LIBERTÀ NEL MIO PAESE

Da diversi mesi le cronache sono affollate di drammatiche notizie dell’Iran e del suo popolo, alle prese con una vastissima ondata di proteste. Una vera e propria rivoluzione che abbiamo provato a raccontare con l’aiuto di un occhio esperto, conoscitore consapevole delle dinamiche di quella parte di mondo. 

Vida Diba è una donna iraniana, residente in Italia da più di 10 anni. Oggi è product manager presso la società Wrad, un brand di design e moda sostenibile. Vida ci racconta che venire in Italia è sempre stato il suo sogno sin da bambina. Un sogno che realizza con impegno, programmandolo passo dopo passo: gli studi in Iran, fino alla laurea, poi il trasferimento in Italia.

 «Cosa ti ha spinto fin da piccola a desiderare un altro posto dove vivere?»

«Diversi motivi. Vivevo una situazione di disagio: non vivevo bene in Iran, non c’era un bel clima, mi sentivo come se fossi una persona di troppo. Mi veniva detto che dovevo andarmene, che se qualcosa non mi andava bene, avrei fatto meglio ad andar via dal mio paese. Mi sentivo diversa rispetto a molti altri: volevo essere libera, volevo uscire, avere un ragazzo, poter lavorare anche con i ragazzi, tutte cose normali che in Iran vengono viste come strane, sbagliate. Per ogni limite che mi veniva imposto, sentivo il desiderio di oltrepassarlo. Ogni volta che mi dicevano ciò che le donne devono e non devono fare, io sentivo la voglia di fare tutto ciò che mi era proibito. Ho sempre cercato di dire quello che pensavo, ma dovevo spesso dire bugie perché non sempre si può dire la verità. Non puoi dire “io sono”, devi dire “io devo essere”».

Nel 2009, nel periodo delle proteste del movimento Verde in Iran, Vida scende in piazza a manifestare. «Volevo far sentire la mia voce, ma sono stata picchiata e fermata diverse volte dalla polizia morale. Una volta – racconta-, mentre ero in taxi con mio fratello, ci hanno fermati e interrogati per il modo in cui eravamo vestiti. In quegli anni ho capito che non potevo più vivere lì, che dovevo andare via. Mi sentivo chiusa in gabbia, non mi sentivo tratta come una persona. Così ho deciso di venire in Italia».

In Italia Vida si è subito sentita a casa: «era il paradiso dove volevo vivere».Da quando è arrivata non ha mai parlato dell’Iran. «Avevo paura per me e per la mia famiglia; mi chiedevo perché proprio io avrei dovuto parlare e raccontare ciò che accadeva».

Con l’arresto e l’uccisione della giovane Masha Amini, il 13 settembre 2022, in Vida è cambiato qualcosa. Lei stessa racconta che quell’episodio è stato come un’esplosione, una prorompente necessità di raccontare la verità. «Di colpo volevo parlare, volevo avere anche io il coraggio di queste donne ed essere al loro fianco nelle loro proteste», dice.

«Cosa hai deciso di fare quindi?»

«Ho iniziato ad andare in giro, in scuole e università. Ho cercato di utilizzare al meglio il mio lavoro per sensibilizzare l’opinione pubblica su queste tematiche. Da quattro anni lavoro con Wrad e in tutto questo tempo ho sempre parlato di sostenibilità ambientale nel mondo della moda. Ora è giunto il momento di iniziare a parlare anche dell’Iran, portando avanti diversi progetti.

Collaborando con il gruppo di Fashion Revolution Iran, ad esempio, abbiamo notato che in Iran centinaia di migliaia di artisti e artigiani hanno smesso di lavorare. In questo modo riescono ad essere accanto ai manifestanti, seppur non in piazza, e non alimentano economicamente il regime iraniano. Grazie all’aiuto di Vogue Italia, abbiamo deciso di agire con una call to action: chiediamo a tutti gli artisti italiani e europei di mandarci un’opera d’arte che racconti la sofferenza e la tragedia di quanto sta accadendo, ma anche la bellezza di queste persone e di questo popolo in lotta, che cerca di cambiare le cose. Il loro è un grido universale di libertà, il loro motto “Donna, vita e libertà” è rivolto a tutte le persone nel mondo.  E sono proprio queste le parole che abbiamo scelto come filo conduttore per le opere che chiediamo di inviarci: tra quelle che riceveremo, ne sceglieremo venti che saranno esposte in mostra a Milano, per raccogliere fondi e aiutare gli artisti in Iran».

«Cosa ne pensi di quanto accaduto fino a questo momento nel tuo paese? Credi che la strada percorrere sia ancora molto lunga?»

«Non possiamo fermarci! Tante cose sono cambiate, molti politici occidentali si stanno confrontando con l’opposizione politica ancora presente in Iran. Le persone devono capire che una rivoluzione di questa portata richiede tempo: vorremmo che le cose accadessero velocemente, ma niente può accadere con tale rapidità».

«Quale è la situazione per le donne in Iran, e perché c’è tutto questo accanimento nei loro confronti?»

«Il tasso di alfabetizzazione delle donne in Iran è molto alto, oltre il 97%; tra queste la maggior parte, circa il 70%, sono laureate in materie STEM: scienza, tecnologia, ingegneria e matematica! Sono donne consapevoli, intelligenti, conoscono il mondo che le circonda. Pertanto si chiedono perché non possano avere la stessa libertà degli altri. Se lo chiedono e non trovano vere risposte, e quindi combattono per ottenere i loro diritti.

Per questo fanno paura a un governo che conosce bene il loro potenziale: se una donna ha potere, l’avranno anche i suoi figli, mentre se una donna è ignorante, lo saranno anche i figli. Ecco perché hanno paura delle madri e non dei padri. Sono queste la molla per moltissimi altri cambiamenti sociali.

Tutte le donne intelligenti vengono imprigionate appena iniziano a parlare e a esprimere ciò che pensano, come accaduto in passato a Shirin Ebadi, vincitrice del premio Nobel per la pace».

Vida riflette ad alta voce su quanto che sta accadendo di recente con gli avvelenamenti seriali nelle scuole femminili: «decine di bambine vengono avvelenate. Questo governo ha paura di bambine di sette anni perché ha paura della bellezza, della felicità, perché è un regime del terrore. Questa rivoluzione – conclude – non riguarda il velo, che resta comunque soltanto un simbolo. Questa – dice – è una rivoluzione che riguarda tutti: gli uomini e le donne, l’ecosistema, gli animali, gli esseri viventi in generale verso i quali non c’è alcuna pietà. È al contempo una rivoluzione economica, le persone non hanno il cibo e vivono in povertà. Non possiamo più permetterlo. Dunque, perché non cambiare proprio ora».

Giulia Centauro

QUARESIMA GREEN

INTERVISTA A JACOPO FINAZZO

Un giornale polemico scriveva: Il giornale del papa (Osservatore Romano del 22 febbraio, inizio di Quaresima) invita a una quaresima Green: non esistono più digiuno, preghiera e carità! La Chiesa ha perso i propri valori!

Con questa citazione introduciamo l’intervista a Jacopo Finazzo, come nostro contributo ai Friday for future 2023.

Cosa significa “green”?
Si potrebbe dire che il termine “green” sia oggi un termine con uno spettro di significato così ampio che risulta difficile da inquadrare con una classica definizione da dizionario. Personalmente ritengo che quando parliamo di “green” ci riferiamo a un certo tipo di comportamento, abitudine o applicazione per una molteplicità di ambiti, tuttavia con lo stesso obiettivo finale ovvero quello di far sì che la nostra presenza e il nostro impatto sul pianeta Terra sia il più “neutrale” possibile. Se prendiamo come esempio la nostra sfera personale, possiamo definire essere “green” con azioni che già conosciamo e forse adottiamo quotidianamente come il risparmio delle risorse, la sensibilità nel trattamento e riutilizzo dei materiali che impieghiamo, ma anche la capacità di intraprendere scelte consapevoli in base all’effetto che queste possono avere sul nostro ecosistema. In effetti, che tali comportamenti vengano adottati o no, con l’idea di “green” oggi sicuramente possiamo in parte definire il carattere della società contemporanea, specialmente se paragonandolo con la storia meno recente.

Dimenticavo: presentati.
Mi chiamo Jacopo Finazzo, sono nato tra le campagne di Siena ma ho vissuto gran parte della mia vita a Firenze. Qui ho completato i miei studi superiori e nel 2019 ho conseguito la laurea triennale in Ingegneria Elettronica e delle Telecomunicazioni, con una tesi incentrata sullo studio di un particolare tipo di cella fotovoltaica detta “Cella di Grätzel”. Spinto da questo lavoro di Tesi, ho accresciuto la mia passione per lo studio delle tecnologie per la produzione di energia rinnovabile, la quale mi ha portato ad intraprendere un Master of Science in Sustainable Energy Technology presso la Delft University of Technology, nei Paesi Bassi. Qui ho avuto l’incredibile fortuna di trovarmi in un ambiente estremamente stimolante, colmo di futuri ingegneri appassionati come me di scienza, tecnologia e soprattutto dell’industria dell’energia del futuro.

Non credi che il Green Think sia una moda per affrontare un problema che non esiste?
Come tutti i comportamenti che vengono adottati in massa quasi come un costume, è facile definire il pensiero ecologico come una moda, specialmente poi quando si formano anche le correnti di pensiero opposte o contrarie. Tuttavia definire il riscaldamento globale come un problema che non esiste sarebbe un errore grave. Siamo tutti testimoni dei cambiamenti che il clima e il pianeta stanno subendo negli ultimi anni, e che purtroppo sono solamente un assaggio di che cosa potrebbe accadere se non riusciamo a migliorarci. Per cui che lo si definisca una moda o altro, basta che il Green Think venga applicato e possibilmente che riesca a diventare parte di noi permanentemente.

Che lavoro fai?
Al momento lavoro come ingegnere fotovoltaico presso Huawei, che molti conosceranno come una multinazionale che commercializza prodotti di consumo come telefoni, computer, etc… In realtà già da diverso tempo, come tante altre aziende, Huawei si è impegnata ad espandere il proprio business domain per includere prodotti per l’energia sostenibile, grazie alla capacità di investire nella ricerca di tecnologie sempre più efficienti. In particolare, nel mio ambito mi trovo a lavorare con clienti sia in ambito residenziale che industriale per supportarli nella realizzazione di impianti fotovoltaici e di batterie in modo da rendere le loro attività quanto più sostenibili possibili, oltre che indipendenti da un punto di vista energetico. La maggior parte dei progetti tuttavia coinvolgono grandi produttori di energia elettrica che tramite la costruzione di parchi solari, stanno virando in maniera decisa verso l’obiettivo del 100% rinnovabile.

È veramente possibile annientare le emissioni?
In teoria, è certamente possibile arrivare ad una società che non abbia emissioni. Tuttavia, l’obiettivo più realistico a cui si punta adesso è la cosiddetta “carbon neutrality”, ovvero la capacità far sì che l’impatto di tutte le attività umane sul pianeta sia neutrale dal punto di vista di emissioni di gas serra. Questo è realizzabile in diversi modi, ma non è così semplice come si potrebbe credere. Sulla carta, si tratta di semplice matematica: immettiamo una certa quantità di gas serra, per poi toglierla successivamente. Esistono delle tecnologie dette Carbon Capture Technologies, che sono in grado di catturare la CO2 dall’atmosfera e che in teoria potrebbero addirittura aiutare a portare in negativo la crescita di CO2 nell’aria. Tuttavia queste tecnologie sono ancora in fase di sviluppo. Per il momento, il trend globale è quello di rendere tutti i nostri processi e le attività più efficienti possibili e senza l’utilizzo di combustibili fossili, in modo da richiedere meno energia e ridurre la quantità di emissioni prodotte, in controtendenza con gli ultimi decenni in cui la crescita spropositata della società ha fatto esplodere le emissioni a livello globale. Solo con l’avanzamento della scienza e la tecnologia saremo in grado di assicurarci che queste emissioni giungano a zero.

Se ne sai qualche cosa, cosa pensi del blocco produzione auto non elettriche il 2034?
Da un punto di vista tecno-ecologico è sicuramente un risultato interessante. Personalmente ritengo sarebbe apprezzabile riuscire un giorno a camminare per le strade delle proprie città senza sentire l’odore sgradevole dei gas di scarico dei tir o delle macchine, per non parlare di quanto ci ringrazierebbero i nostri polmoni. È tuttavia necessario intraprendere questa strada verso l’elettrico in maniera molto responsabile. L’auto elettrica deve diventare economicamente sostenibile per il cittadino medio, l’infrastruttura energetica delle nazioni deve drasticamente cambiare per fare spazio a centinaia di migliaia di veicoli che hanno bisogno giornaliero di energia elettrica per la ricarica, e soprattutto ci vogliono tanti investimenti nella ricerca per migliorare le attuali tecnologie impiegate nell’auto elettrica, in particolare delle batterie utilizzate, per renderle facilmente riciclabili, sostenibili da produrre e meno costose.

Per quanto ne sai nel passato ci sono stati passaggi analoghi che possano insegnarci qualche cosa?
Il passato ha tanto da insegnarci su come le società si sono evolute con l’arrivo di nuove tecnologie o abitudini volte a migliorare la qualità della vita delle persone. Tuttavia, credo che quello che sta succedendo adesso sia una cosa nuova per tutti, e dal passato possiamo solo prendere qualche spunto. Per la prima volta l’uomo si trova a doversi adattare e reagire a un problema di carattere globale che coinvolgerà, prima o poi, qualsiasi aspetto della nostra vita. E seduto al tavolo con noi c’è un giocatore dalle reazioni alquanto imprevedibili, ovvero il pianeta. È una sfida estremamente difficile e le probabilità di successo ad essere sinceri non sono neanche troppo dalla nostra parte. Però è la nostra occasione per crescere come civiltà, e superare questa sfida vorrebbe dire dimostrare di essere realmente evoluti come ci vantiamo di essere.

Quali passi hai imparato (se ti interessano) per una vita più attenta / green, quali vorresti / dovresti impararne ancora?
Nonostante il mio interesse per la sostenibilità, devo ammettere che condurre una vita green al 100% è molto complicato. Sono tanti i piccoli dettagli e gli aspetti a cui magari anche involontariamente non facciamo caso che però portano a sbagliare. Personalmente cerco di concentrarmi sull’utilizzo responsabile delle risorse, tra cui acqua, luce, riscaldamento ma anche cibo e materiali da riciclare. Tra le attività più difficili da evitare sicuramente abbiamo i mezzi di trasporto. Non tutto è affrontabile con un mezzo di trasporto pubblico o con un mezzo alternativo che inquini di meno (parlando ad esempio di trasporto aereo). E sicuramente vorrei porre ancora più attenzione nell’evitare di alimentare l’aspetto meno ecologico del nostro istinto un po’ capitalista che ci porta a comprare oggetti nuovi sempre più spesso. Il mio sogno poi è rendere la mia abitazione indipendente dal punto di vista energetico grazie a pannelli solari e batterie per la riserva.

Un consiglio per altri comuni cittadini?
Il mio consiglio principale è quello di informarsi il più possibile sul mondo delle tecnologie per l’energia sostenibile e formarsi una propria idea a riguardo, che sia concordante o meno. È importante per i cittadini sapere come il nostro sistema energetico sta cambiando, quali sono le difficoltà e quali saranno i vantaggi, oltre che ad essere molto interessante. Riguardo la sfera personale, cercare di mantenere abitudini responsabili verso il pianeta poi è ovviamente un’azione che seppur piccola può voler dire molto.

CADERE

Nelle nostre vite può accadere di tutto e tutti ovviamente speriamo in avvenimenti felici e opportunità che ci permettono di avere una vita facile e di cui vantarci con gli amici davanti a una tazza di caffè o a una buona pizza e birra. Ma è tutta speranza e apparenza perché la realtà dei fatti è che ognuno di noi cade per motivi diversi e ci ritroviamo a dover affrontare eventi che segneranno a vita il nostro percorso.
Riuscire ad alzarsi e “sopravvivere” ai traumi che comportano molte volte queste cadute, sia fisiche che psicologiche, è faticoso e non sempre si riesce a dimenticare o a perdonare il motivo di tale sofferenza ma la perseveranza e il lavorare su se stessi sono molte volte l’inizio della guarigione.
Una delle cadute peggiori che una persona deve affrontare è la violenza, che sia su donne uomini o bambini.
Le vittime di violenza perdono la speranza, si chiudono in se stesse domandandosi “perché proprio io?” oppure “dov’è Dio?”. In queste situazioni si tende a percorrere due strade: il rifiuto e il disprezzo nella fede o la scoperta di amore che va al di sopra di quello carnale; quello di Dio.
Il rifiuto verso Dio è dovuto alla sofferenza e alla sensazione di abbandono che si prova nelle situazioni dolorose; mentre la scoperta della fede è un’ancora alla quale le persone si attaccano con tutta la loro forza per riuscire a superare tutto quello che hanno passato. Come hanno fatto dei giovani ragazzi di Kinshasa, che davanti al Papa hanno avuto la forza di raccontare le loro drammatiche esperienze per dare esempio ad altre persone che hanno affrontato o stanno ancora affrontando tali torture.
Credo che in ogni caso il primo passo verso l’inizio di una nuova vita debba partire dall’accettare e perdonare. Non per forza dal perdonare il proprio carnefice, ma dal perdonare e dall’accettare noi stessi per come siamo; le nostre debolezze e le nostre forze che ci aiutano a proseguire il nostro percorso di vita.
Martina C. – Bologna 3 les