Una zuppa di plastica

BRUXELLES, 16. Nel Mediterraneo occidentale c’è una vera e propria “zuppa di plastica”, con concentrazioni tra le più alte nel mondo. È quanto si legge in una stima della presenza di microplastica galleggiante in mare aperto pubblicata dall’istituto di scienze marine del consiglio nazionale delle ricerche di Lerici (IsmarCnr), in collaborazione con l’Algalita Foundation (California). «Per la prima volta — si legge nel documento — sono stati individuati i polimeri che costituiscono la microplastica galleggiante in mare e la loro distribuzione».
Ogni anno, nel mondo, vengono prodotti circa 300 milioni di tonnellate di plastica e si stima che fino a 12 milioni di tonnellate finiscano in mare. La microplastica è costituita da quei frammenti di plastica più piccoli di due millimetri che, per quanto non visibili a occhio nudo, sono stati trovati a galleggiare pressoché ovunque nel Mediterraneo, una “presenza” tra le più alte al mondo. Ad esempio, nel vortice subtropicale del Pacifico settentrionale alcuni anni fa sono stati stimati circa 335.000 frammenti di plastica per chilometro quadrato, mentre nel Mediterraneo si parla di una media di circa 1,25 milioni.
Allarme anche nell’Artico, dove quest’anno temperature senza precedenti hanno contribuito a un ritardo record nella formazione autunnale di ghiaccio marino, causando un ampio scioglimento nella Groenlandia. È quanto emerge dal rapporto dell’Arctic Program della Noaa, l’agenzia statunitense per la meteorologia. Stando allo studio, che mette insieme il lavoro di 61 scienziati in 11 paesi, la temperatura dell’aria sopra la terraferma è stata la più alta mai registrata, con una media annuale di 3,5 gradi centigradi in più rispetto agli inizi del XX secolo. Il termometro ha segnato 2 gradi in più rispetto alla media del periodo 1981-2010, con punte di 8 gradi in più a gennaio.

(L’Osservatore Romano – 16 dicembre 2016 / ANSA 15 dicembre)

Un nuovo paradigma per la prosperità

da Il Sole24Ore del 3 maggio 2015 vi rimando questo articolo di Johan Rockstrom*

Il futuro dell’umanità dipenderà da come riusciremo a mantenere un delicato equilibrio: soddisfare più di dieci miliardi di persone salvaguardando i sistemi da cui dipende la vita sul Pianeta. Mai come adesso la recente ricerca scientifica ci fornisce tutti gli strumenti per raggiungere quell’equilibrio. L’arduo compito spetterà alla nostra generazione.
Per la prima volta nella storia dell’Umanità la fine della povertà è diventato un obiettivo realistico. Siamo in grado di garantire a ogni abitante del Pianeta cibo e acqua, una casa, un’istruzione, l’assistenza sanitaria e l’energia necessarie a condurre una vita dignitosa, che offra delle opportunità. Ma potremo farlo solo se al tempo stesso proteggeremo i sistemi fondamentali del Pianeta: il clima, lo strato di ozono, il suolo, la biodiversità, l’acqua dolce, gli oceani, le foreste e l’aria, sistemi che stanno subendo pressioni senza precedenti. Negli ultimi 10mila anni, il clima della Terra si è mantenuto straordinariamente stabile, le temperature globali non hanno oscillato più di un grado Celsius e i resilienti ecosistemi rispondono ai bisogni dell’uomo. Questo periodo, noto come Olocene, ha portato una stabilità che ha permesso alla civiltà umana di fiorire e prosperare. È l’unico stato del Pianeta in grado di garantire una vita prospera a dieci miliardi di persone.
Ma oggi gli esseri umani sono diventati il principale fattore di cambiamento dell’ecosistema terrestre, segnando l’inizio di una nuova era geologica che alcuni chiamano Antropocene. L’attività umana ha attraversato ora quella che è stata definita come la Grande Accelerazione: una rapida intensificazione del consumo delle risorse e del degrado ecologico. Rischiamo di distruggere i sistemi su cui si regge la Terra e con essi tutta la civiltà moderna. La risposta del Pianeta a quelle pressioni potrebbe essere imprevedibile. Le sorprese sono già cominciate. A furia di risucchiare troppo risorse alla Terra, la Terra ci presenta il conto sotto forma di catastrofi naturali, di un’accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai, di un rapido depauperamento della biodiversità. Dobbiamo correre ai ripari e definire una soglia di sicurezza che ci impedisca di far uscire il Pianeta dal benevolo periodo dell’Olocene. Lo ha fatto il Planetary Boundaries Framework, un quadro programmatico sui limiti del Pianeta, pubblicato nel 2009 da un gruppo di 28 scienziati tra cui il sottoscritto. Il rapporto individua i processi fondamentali della Terra che regolano la sua capacità di sostenere condizioni come quelle dell’Olocene. Per ciascuno di quei processi, propone dei limiti oltre i quali rischiamo di indurre dei cambiamenti repentini che potrebbero spingere il Pianeta verso uno stato più ostile per l’Umanità.
Fra questi nove limiti vi sono il cambiamento climatico, l’assottigliamento dello strato di ozono, l’acidificazione degli oceani, l’alterazione dei cicli globali dell’azoto e del fosforo, il cambiamento nell’uso del suolo o dell’acqua dolce globale, l’integrità della biosfera, l’inquinamento dell’acqua e nuove entità. L’ultimo aggiornamento di gennaio confermava in modo preoccupante i nove limiti e ne affinava la quantificazione dimostrando che ne abbiamo già superati quattro: il cambiamento climatico, l’uso eccessivo di azoto e fosforo, la perdita della biodiversità e i cambiamenti nell’uso del suolo. La nostra sfida è riportare i sistemi della Terra entro la soglia di sicurezza, assicurandoci che ogni abitante del Pianeta abbia le risorse necessarie per condurre una vita felice e soddisfacente. Fra questi vincoli planetari e sociali c’è un margine di manovra equo e sicuro per la popolazione della Terra: i limiti che dobbiamo rispettare se vogliamo un mondo ecologicamente resiliente e libero dalla povertà.
Soddisfare questi obiettivi richiederà una distribuzione più equa e un utilizzo più efficiente delle risorse del Pianeta. Se vogliamo che il nostro Pianeta garantisca la prosperità a tutti i suoi abitanti, dobbiamo perseguire un nuovo paradigma di prosperità.

* Insegna Sostenibilità globale e dirige lo Stockholm Resilience Center all’Università di Stoccolma

Udienza di papa Francesco per EarthDay 2015

Earth Day Italia ha aderito alla campagna “Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro!” versione italiana dell’omonima mobilitazione “One Human Family. Food for All” lanciata a livello internazionale da Papa Francesco e da Caritas Internationalis il 10 dicembre 2013. La Campagna vuole promuovere un cambiamento nel modello di sviluppo economico, partendo dagli stili di vita del singolo, con un impegno anche a livello politico affinché tutte le persone, in Italia, in Europa e nel mondo, abbiano accesso al bene comune costituito da un cibo sano, nutriente e giusto.
La logica è la seguente: non c’è diritto al cibo se non si regola la finanza; non c’è buona finanza se non si introducono buoni principi; non c’è pace durevole se non è fondata sulla giustizia sociale e sul rispetto dei diritti di tutti, tra cui quello essenziale al cibo.
Sono questi i principi che il Santo Padre ha ribadito anche nel mese di Febbraio durante il suo intervento  alla Fao nel corso della Seconda Conferenza Internazionale sulla Nutrizione “Il diritto all’alimentazione sarà garantito solo se ci preoccupiamo del suo soggetto reale, vale a dire la persona che patisce gli effetti della fame e della denutrizione. Il soggetto reale!”. 15 minuti di discorso in spagnolo in cui il Santo Padre ha lanciato un forte appello per la soluzione di questo problema che colpisce ancora tantissime persone.
Earth Day Italia vuole ribadire l’importanza di abbracciare questa campagna e lo fa proprio con il Santo Padre, il 22 aprile 2015 in occasione della Giornata Mondiale della Terra. Quale occasione migliore per lanciare un appello capace di andare diritto al cuore!

L’Udienza Pontificia di mercoledì 22 aprile, Giornata Mondiale della Terra, darà l’opportunità alle scuole che hanno partecipato al premio sull’Alimentazione Sostenibile – contest lanciato da Earth Day Italia e Cittadinanza Attiva – di consegnare al Santo Padre una testimonianza dei lavori realizzati a testimonianza del dovere di tutti di promuovere il rispetto e l’educazione all’alimentazione nei più piccini.

Curare il pianeta non è una moda, è una forma di cultura

In occasione della giornata della terra, leggiamo e riproponiamo da Avvenire del 18 aprile 2014 la riflessione di di  Melchior Sànchez De Toca (Sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura).

 

La Bibbia, il grande codice della cultura occidentale, quel grande alfabeto colorato dove, secondo Chagall, i pittori per secoli hanno intinto i loro pennelli, descrive con tratti essenziali il rapporto tra l’uomo e la Terra: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn 2,15). La terra, un giardino da coltivare, da custodire – peraltro uno dei grandi nuclei tematici su cui è imperniato il padiglione della Santa Sede all’Expo 2015 – esprime il giusto rapporto tra l’uomo e l’universo, forse in un modo più vicino alla nostra sensibilità moderna che non il “riempite la terra e soggiogatela” della Genesi (1,28).

Coltivare la terra rimanda, già nella stessa radice latina, a due dimensioni fondamentali dell’esistenza umana: il culto e la cultura. E non è un caso se in molte altre lingue, a cominciare dall’ebraico biblico, il lavoro (‘abd) è strettamente collegato al servizio divino (‘abodah). La cura della terra è così intimamente legata a quel “prendersi cura” di sé che è all’origine della cultura e al rapporto con Dio, che si esprime nel rito, nei simboli, nei racconti.

La giornata mondiale della Terra, l’Earth Day, celebrato in tutto il mondo, ci ricorda queste verità essenziali.

Prendersi cura del pianeta non è un lusso, non è una concessione alla moda del momento. È prendere coscienza di una responsabilità comune a tutti, di un’urgenza impellente. Per decenni abbiamo sfruttato il pianeta che ci ospita, di cui siamo parte, e lo abbiamo saccheggiato, ben lontano da quel “prendersi cura” che Dio aveva ordinato all’uomo.

Curare il pianeta è un dovere di solidarietà nei confronti delle generazioni successive; ma comincia ad essere anche un atto di semplice sopravvivenza. E anche una forma di cultura, sia in senso etimologico, sia in quello comune.

Guardians of the creation

Cari amici buon giorno,
comincia una nuova sezione The planet where I’m living – Il pianeta dove vivo, di Nicolais Legrais, della nostra comunità giovanile del Belgio nella quale cerchiamo di meglio capire che fare per salvaguardare il nostro pianeta.

“We are guardians of the creation, of God’s plan in line with the nature, guardians of the other, of the environment. Do not allow signs of destruction and death accompany the march of our world!”. Thus spoke our Francis pope his early pontificate. He invites everyone to reflect on his relationship to the world, its relationship to life.
Are we still in good agreement with Life in our actions, our lifestyles? The earth is suffering from many ills: war, pollution, deforestation, starvation. For many of these ills, the man is responsible, each is. Nowadays, we tend to see the environment as a source of profit than a living millenary universe.
Of course, there are many organizations and local and national initiatives that tend to want to give some meaning to human actions, respect for creation, we must support it! But unfortunately the balance still leans too much in the red. Can is it to answer the call of the pope, reverse this negative trend by being humble enough to revise our way of life, in agreement with what nature has to offer and the fulfillment of mutual beliefs.
And don’t forget, the earth is not our ancestors who we ready but our children who lend it to us.
Nicolais Legrais