San Paolo e la centralità della croce

Spesso, leggendo Paolo, ci si stupisce del fatto che nei suoi scritti non vi è praticamente alcun accenno alla vita pubblica di Gesù. Una cosa invece risulta chiaramente centrale: la croce. 1Cor 2,2:”non ho voluto sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e questi crocifisso.”

Ma cos’è la croce di Cristo? Che significato ha colto Paolo in essa?

Certo non facciamo fatica ad associarla al dolore e alla morte che Gesù ha patito per amore. La contemplazione di questo amore è il motore che ha spinto Paolo, e poi SAMZ, a lottare contro la tiepidezza: non si può rispondere con tiepidezza ad un amore tanto grande da arrivare fino alla morte di croce!

Ma la croce significa anche altro. È il fallimento del proprio progetto e della propria missione, e l’accettazione fiduciosa della volontà di Dio anche quando questa si manifesta in modo imperscrutabile.

Questo è ciò che Gesù ha dovuto accettare nell’orto degli ulivi, ed è ciò a cui è stato chiamato Paolo sulla via di Damasco e nell’adempimento della sua vocazione.

La centralità della croce dice che la nostra fede è una fede dinamica, non immutabile. Una fede che si costruisce pian piano passando per l’obbedienza alle esigenze della carità e alla fiducia nel progetto di Dio che richiede l’abbandono delle proprie convinzioni (Rm 12,2) e perfino l’accettazione del fallimento della propria missione, nella speranza che attraverso queste esperienze si potrà giungere a qualcosa di più grande.

È la centralità della croce che apre Paolo a un nuovo punto di vista su Dio e sull’uomo, che lo porterà a concepire quel paradigma religioso che emerge nelle sue lettere e che tanto contribuirà alla formazione della base stessa del cristianesimo.

Stefano Maria

La vicenda umana di Paolo

Non possiamo comprendere San Paolo senza riferirci alla sua vicenda umana.
I tratti principali della sua vita, narrati negli Atti e nelle lettere, sono abbastanza conosciuti: la sua iniziale posizione di persecutore dei cristiani, la vocazione sulla via di Damasco e infine i tre viaggi missionari fino alla prigionia e alla morte in Roma. Tra le righe di questi eventi, tuttavia, si possono scorgere i segni di un’avventura umana e spirituale spesso non altrettanto nota.
Occorre considerare anzitutto che Paolo, fin dal principio, è un grande credente: fariseo, discepolo di Gamaliele il Grande e pieno di zelo per la fede nel Dio d’Israele (At 22,3).
Le sue posizioni intransigenti verso i primi cristiani, che contrastano con quelle del suo maestro (At 5,34-35), rivelano una personalità focosa. Questo lato del suo carattere emergerà in diversi episodi, come ad esempio il litigio con Barnaba e la conseguente separazione tra i due (At 15,36-40).
Sulla via di Damasco Paolo fa un’esperienza forte di Cristo che lo porta a riconsiderare la propria posizione nei confronti dei cristiani e a reinterpretare il suo ruolo a servizio della fede nel Dio dei padri. Egli comprendedi avere una vocazione: annunciare Cristo ai pagani affinché si compiano le antiche profezie e Dio sia annunciato fino ai confini della terra (Ger 1,5; Is 49,1-6). Il progetto di una grandiosa opera missionaria da estendersi fino in Spagna (Rm 15,20-21. 15-24) e in seguito, forse, anche in Nord Africa, non riesce tuttavia a concretizzarsi poiché le esigenze della carità impegneranno Paolo a risolvere i mille problemi delle comunità già evangelizzate; ciò lo distoglierà, suo malgrado, dalla principale vocazione costringendolo però a smussare quei lati troppo rigidi del suo passato da fariseo zelante.
La prigionia e la morte violenta a Roma fanno definitivamente fallire l’ambizioso progetto, facendoci comprendere come la vicenda dell’apostolo non trovi compimento tanto nell’opera di evangelizzazione, quanto in una piena configurazione a Cristo e alla sua croce, attraverso la lotta interiore per la rinuncia dei propri desideri in favore di una resa fiduciosa e incondizionata alla volontà divina che raffina come metallo nel crogiolo. Proprio da quel servizio alle comunità scaturirà, infatti, il frutto più prezioso che Paolo lascia al cristianesimo di tutti i tempi: le sue lettere, attraverso le quali passa addirittura parte della rivelazione biblica.

Stefano Maria

Con Paolo, alla scoperta del centro del Vangelo

SAMZ ci invita ad andare a Cristo ispirandoci a Paolo.
Ma perché proprio Paolo? Quale forza è la sua, che colpì tanto SAMZ e che attraverso i secoli ancora oggi può risuonare nei percorsi di tanti cristiani?

A prima vista i testi di Paolo appaiono difficili, ed è sempre stato così, non solo per gli uomini del nostro tempo, tanto distanti da lui per cultura e linguaggio, ma addirittura per i suoi stessi contemporanei. San Paolo, nelle lettere, sovente deve tornare a spiegarsi, dato che l’annuncio fatto precedentemente all’interno delle sue comunità a volte genera interpretazioni sbagliate. La Scrittura stessa contiene poi un richiamo esplicito circa la difficoltà nel comprendere gli scritti dell’apostolo: «Così vi ha scritto anche il nostro carissimo fratello Paolo, secondo la sapienza che gli è stata data, come in tutte le lettere, nelle quali egli parla di queste cose. In esse vi sono alcuni punti difficili da comprendere, che gli ignoranti e gli incerti travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina». (2Pt 3,15b-16).

Paolo scrive agli inizi dell’avventura cristiana, le sue lettere sono le prime pagine del Nuovo Testamento, scritte prima dei vangeli e solo 20/25 anni dopo la morte di Gesù. Siamo in un tempo in cui le comunità cristiane stanno nascendo e si va formando l’identità stessa del cristianesimo. Conseguentemente Paolo si concentra, nel suo annuncio, attorno al fulcro della “buona notizia” del Vangelo, messaggio che risulta sempre nuovo e sorprendente perché per essere accolto richiede conversione del cuore e della mente (Rm 12,2: «Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto»). Proprio per questo contenuto di perenne novità, tanto per i cristiani di ieri come di oggi, gli scritti dell’apostolo risultano spesso ostici e tuttavia molto importanti e di grande fascino. È bello perciò, seguendo il consiglio di SAMZ, avvicinarci all’apostoloPaolo lasciandoci provocare dal suo invito alla conversione, per scoprirlo pienamente e cogliere quel nucleo originale del Vangelo che deve stare a fondamento del nostro essere cristiani.

Stefano Maria

La sapienza è Dio che si dona

Fino a ora abbiamo considerato come la sapienza sia capace di coinvolgere profondamente l’uomo, a partire dal suo centro, il cuore, ed estendendosi a tutta la sua esperienza vitale. Ma una qualità di tale importanza per la vita umana, è data a tutti o appartiene solo a chi è capace di svilupparla?
A differenza della sapienza intesa come conoscenza e abilità di sottile ragionamento, accessibile solo a chi è particolarmente dotato e ha la possibilità di sottoporsi a un lungo periodo di formazione, la sapienza biblica è un dono di Dio e quindi accessibile a tutti, come testimoniano tanti passi biblici, tra i quali i libri della Sapienza 6,12, e dei Proverbi 1,20-21 e 8,2-3, dove “donna sapienza” grida a tutti nelle piazze e non parla nel segreto solo per pochi eletti.
Come ogni dono divino, va però accettato nella libertà, cosa possibile solo se si coltiva una relazione con Dio nella preghiera. Così ci insegna un testo molto suggestivo, sempre dal libro della Sapienza (9,17), che contiene una bellissima preghiera in cui Salomone chiede il dono della sapienza, unica mediatrice tra Dio e l’uomo, capace di portare alla conoscenza della volontà di Dio.
La sapienza è dunque la via privilegiata con la quale Dio si apre all’uomo. Essa non è solo dono di Dio ma è Dio stesso che si dona. Non stupisce quindi che il nuovo testamento rilegga la sapienza come il Signore Gesù che viene nel mondo e si dona agli uomini.
Pensando infine al nostro san Paolo e, specificamente, a 1Corinzi 2,6, la Sapienza che porta alla perfezione e che “non è di questo mondo” è “Cristo crocifisso, scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro, Giudei o Greci, che sono chiamati, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio” (1Cor 1,23b-24).

Stefano Maria

La sapienza è un cuore in ascolto

Nel primo libro dei Re (3,9) Salomone, il sapiente per eccellenza secondo la tradizione biblica, chiede a Dio un “cuore docile” per discernere il bene e il male. La traduzione esatta però dice: un “cuore che ascolta”.

Il cuore, nel linguaggio biblico, non è la sede del sentimento, bensì il luogo dove l’uomo unifica se stesso ed è capace di scelte che lo coinvolgono totalmente. È dunque più simile alla sede della volontà. L’ascolto è l’azione specifica del porsi in relazione. Gioca un ruolo fondamentale anche nella relazione con Dio, tanto che è centrale nella forse più importante preghiera ebraica: lo shemà, che significa proprio “ascolta”. “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è unico” (Dt 6,4).

La saggezza sta quindi nell’ascolto, ma non soltanto con le orecchie, bensì col cuore. Si tratta di saper “incontrare”, cioè di sapersi “mettere in relazione” con tutto ciò che è altro da noi, per farne esperienza autentica e vitale. In definitiva è anche un incontro con Dio che si fa presente a noi attraverso la creazione, il nostro prossimo e gli avvenimenti della nostra vita.

Tutto questo ci rimanda ad atteggiamenti di silenzio, attesa, interiorizzazione, disponibilità, che SAMZ e tutti i maestri della vita spirituale da sempre suggeriscono. Ma, non si tratta di una disposizione contemplativa che allontana e isola dal mondo, anzi, essa permette di immergersi nella realtà delle cose per farne esperienza profonda. La proposta che SAMZ indica nelle sue lettere è infatti quella di una contemplazione in azione, modalità che recentemente è stata ricordata anche da papa Francesco nella Evangelii Gaudium (cfr. cap. 5, n. 262) come centrale nella figura del cristiano evangelizzatore.

Stefano Maria

 

La Sapienza è arte del vivere

Iniziamo il nostro percorso alla scoperta della vera Sapienza con i primi 7 versetti del libro dei Proverbi.
Questo libro, praticamente sconosciuto, in gran parte ignorato e che a una frettolosa occhiata sembra essere solo una raccolta di massime poco interessanti, contiene invece dei tesori preziosi, specialmente nei primi capitoli e in particolare nei primi 7 versetti. Qui vi sono molte espressioni che rivelano la loro pienezza di significato soprattutto nella lingua originaria e lasciano intendere che non si parla di una sapienza intesa solo come conoscenza teorica. La sapienza è formazione ed educazione, capacità di discernimento e di porre in atto progetti. In poche parole è l’arte del vivere la vita buona.
L’incipit del libro dei Proverbi indica espressamente che i consigli della Sapienza sono rivolti ai giovani, perché sono coloro che non hanno ancora un’esperienza profonda della vita, ancora tutta da vivere. Ma non solo: anche gli anziani, già più esperti, sono invitati a cercare la Sapienza, perché acquisire l’arte di vivere in pienezza è qualcosa che si impara vivendo fino in fondo, non può essere appreso a priori tramite un’esperienza limitata.
Alla luce di ciò, possiamo incominciare a vedere i “perfetti” di Paolo, l’apostolo, come coloro che prendono sul serio la vita, accogliendola e vivendola fino in fondo, comprese le croci e la morte, considerate come parte di essa.
Stefano Maria

La Sapienza che porta alla perfezione

La sapienza che porta alla perfezione
Uno dei testi che certamente SAMZ ha meditato sono i capitoli iniziali della 1 lettera ai corinzi. Anche in questo caso gli spunti sono tanti, ma partiamo da un solo versetto: «Tra coloro che sono perfetti parliamo sì di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo […]» (1Cor 2,6).
Paolo lega la sapienza con l’essere perfetti, che, come già visto con il giovane ricco, indica l’essere discepoli maturi, capaci di progettare la propria vita in un rapporto autentico con Cristo. La sapienza è, dunque, ciò che permette al discepolo di entrare in questa buona relazione, vedere il mondo con gli occhi di Dio e compiere le giuste scelte.
Nel capitolo precedente l’apostolo parla di due sapienze: una si rivela in realtà vana, ed è la sapienza intesa esclusivamente come dotto ragionamento (1Cor 1,20); l’altra, sebbene si manifesti agli occhi del mondo come stoltezza della croce, è sapienza di Dio (1Cor 1,18-30).
Conoscendo Paolo e SAMZ, certo non si può pensare che qui si voglia denigrare il sapere a favore dell’ignoranza, ma si sta dicendo che il solo ragionamento non garantisce la conoscenza dei piani di Dio, che sono invece svelati dallo Spirito (1Cor 2,10).
Per capire meglio cosa intende Paolo, occorre fare un viaggio nell’Antico Testamento per risalire alle radici del concetto di “sapienza” biblica, chiaro al tempo di Paolo, ma forse oggi tutto da riscoprire.
… ma questo sarà l’oggetto delle prossime puntate.
SR