Per chi suona la campana!

«Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te» (E. Hemingway)

Non so quale idea abbiamo dell’umanità e del nostro essere parte dell’umanità non solo quando compie qualche impresa memorabile, ma specialmente nella quotidianità del morire e del morire più dimenticato.

Il vangelo di oggi (Mt 14,13-21) ci indica che ognuno di noi può avere una responsabilità grande e vivificante nell’affrontare il pericolo del morire di ogni uomo, prima che questo accada per una conseguenza naturale.

Parlo di morire perché il vangelo di oggi comincia con una morte e si conclude con il superamento del morire di una folla affamata.
Infatti, il vangelo comincia con il ricordo della morte di Giovanni e l’azione di Gesù che si ritira in luogo deserto per fermarsi a riflettere, per cercare di prendere la distanza da questo fatto drammatico che ha toccato il suo punto di riferimento, in un certo senso il suo alter ego: Giovanni Battista.

Il bisogno di preghiera di Gesù, che non è un episodio isolato ma una costante nei momenti cruciali della sua esistenza, è quel bisogno di prendere le distanze per capire come continuare a misurare la vita di tutti giorni. Non è un lavarsi le mani, ma un recuperare la propria responsabilità, capire se e come continuare l’opera di Giovanni.
Capire se e come continuare a prendersi cura di quelle folle senza pastore che dopo la morte di Giovanni andranno a cercare Gesù ovunque egli si trovi.
Il silenzio pieno di preghiera di Gesù è un silenzio per riconoscersi e per riconoscere, per capire qual è la propria vocazione e quali sono le persone di cui prendersi cura.
Di Gesù infatti non si dice che vuole guarire queste folle, ma che vuole prendersene “cura”, ha un atteggiamento … globale della loro persona.
La sua preghiera diventa un momento di riconoscimento della propria vocazione e della propria missione, sulla scia della testimonianza di Giovanni.
Non pensiamo però che questa preghiera sia un’istantanea, piuttosto è il frutto di un cammino che Matteo evidenzia più volte, un cammino che culminerà nel Getsemani.

Non sarà una preghiera che culmina nel benessere personale, in un ignoto nirvana individuale, ma in una rinnovata missione che culminerà nella condivisione del pane e dei pesci.
La vera preghiera cristiana sarà sempre una preghiera aperta, aperta alla … vita: veramente l’incontro con Dio si fa incontro con il prossimo, veramente il prossimo, il povero diventa segno (sacramento dirà Paolo VI) di Dio sulla terra, più del pane e del vino.

Ma dobbiamo ora sottolineare l’inadempienza dei discepoli, non per accanirci contro di loro, bensì per imparare dalla loro chiusura, dalla loro fatica ad aprirsi all’… incoscienza di Dio. I discepoli abituati come ogni uomo a fare i conti anche della carità qui vengono spiazzati dalla fiducia di Gesù nel Padre, da una fede senza misura. Il poco dell’uomo diventa il tanto di Dio.
Noi che siamo abituati a misurare la carità, dobbiamo invece oggi imparare a fare i conti con la carità di Dio; noi che abbiamo paura a dare qualche cosa di più di noi, qui siamo invitati a donarci e a donare quello che siamo e quello che abbiamo.
Non si può correre verso Dio se non si corre come matti anche verso il prossimo direbbe il nostro SAMZ.

La campana della vita, se non vuoi che resti una campana della morte, ricordati che suona sempre anche per te.
Questo significa sapere condividere 2 pani e 5 pesci.

Vide e sentì compassione

Tra i tanti modi di presentare la vita del nostro Padre Fondatore Sant’Antonio M. Zaccaria ho scelto quello sollecitato dallo slogan della “campagna di fraternità 2020” della Chiesa brasiliana per risaltare l’importanza del nostro Santo e la sua attualità.

La Campagna di fraternità

La Campagna di Fraternità è promossa annualmente anche dalla chiesa brasiliana, durante il tempo di quaresima per sensibilizzare ogni fedele a volgere lo sguardo critico a qualche specifico tema, con l’obiettivo generale di risvegliare, cioè, aprire gli occhi su problemi che colpiscono la società brasiliana e il mondo intero. Cerca soluzioni per i problemi proposti attraverso il dibattito, le conversazioni, le lotte e la preghiera.
Il tema della Campagna di Fraternità (CF) 2020 è “FRATERNITÀ E VITA: DONO E IMPEGNO” con lo slogan: “LO VIDE, EBBE COMPASSIONE E SE NE PRESE CURA”. È un tema che ci spinge ad avere cura dell’altro. Tutti siamo convocati a riflettere sul senso più profondo della vita, in ognuna delle sue dimensioni, personale, sociale, comunitaria ed ecologica. Tutte queste dimensioni contengono il concetto di “relazione”, dialogo. La vita della persona umana è composta fondamentalmente di relazioni; siamo sempre legati a qualcosa o a qualcuno. Siamo in relazione con noi stessi lungo la nostra esistenza, con la natura, con il pianeta, animali, ecc. Necessariamente siamo esseri di relazioni.
Il tema della CF 2020 mi ha permesso stabilire vincoli con la stessa vita di Cristo e gli insegnamenti del Vangelo, e con gli antichi temi pensati e trattati nelle precedenti CFs., e anche con la vita di Sant’Antonio Maria Zaccaria, un santo poco conosciuto, ma importante per la Chiesa e principalmente per la nostra famiglia religiosa (Ordine dei Chierici Regolari di San Paolo, Barnabiti).
Ricordiamo, per esempio, nel 1966 lo slogan era “Fraternità, siamo responsabili gli uni degli altri”. L’anno seguente 1967: “Corresponsabilità, siamo tutti uguali, siamo tutti fratelli”. Fino all’anno 1979, i temi proposti si riferivano ai problemi legati con il Popolo, con le realtà sociali, politiche e anche ecologiche. Dopo più di 40 anni è di nuovo al centro della CF un tema che sorge dagli stessi problemi. Perché? Cosa succede nel mondo? nella Chiesa? nel Popolo di Dio? nel clero? I problemi ritornano perché noi come società, popolo di Dio, non stiamo ascoltando la voce di Dio che si manifesta attraverso la Chiesa e i nostri Pastori.
Dio parla e noi non vogliamo ascoltarlo, molte volte sentiamo ma solo superficialmente anche perché ci manca una relazione stretta e sincera con la santa Madre Chiesa e con i nostri Pastori. Dobbiamo saper “ASCOLTARE LA VOCE DI DIO” perché Dio parla e si manifesta.
Tu hai ascoltato già la voce di Dio? Credi nella voce di Cristo? Dio parla nelle persone, nella creazione, nei disastri, nelle tristezze e nelle allegrie. Dio parla anche per mezzo tuo, con i nostri atteggiamenti, sì, Dio parla! Allora, sarà che non ci ascolta? o noi non ascoltiamo la sua voce che grida? Molte volte il grido di Dio si manifesta nel silenzio, nel dolore e nella sofferenza dei nostri fratelli e che noi non vogliamo sentire.
Ci hai pensato? La CF è qualcosa di forte e serio, su cui c’è da fare uno sforzo di riflessione, non solo nel tempo di Quaresima, ma lungo tutto il cammino cristiano, nel nostro pellegrinaggio per questo mondo, nella nostra missione sognata da Dio, che realizziamo con ogni passo che percorriamo. Come ci insegna SAMZ (2010) siamo esseri rivolti a Dio, dobbiamo cercare la perfezione (propria di Dio) passo dopo passo, gradino per gradino: non possiamo saltare dal primo al terzo, perché sentiremo che ci manca il secondo; le nostre gambe sono corte, nella nostra vita ogni cosa ha un tempo, un momento, la nostra vita deve esser vissuta in modo graduale.

Breve introduzione alla vita S. Antonio M. Zaccaria

Sant’Antonio M. Zaccaria nacque in Cremona (Italia) a fine dell’anno 1502. Suo Padre, Lazzaro Zaccaria, morì un anno dopo la sua nascita, lasciando un buon patrimonio alla sua giovane sposa e al figlio. La madre, Antonietta Pescaroli, era una santa donna, sempre educò e catechizzò il figlio nelle cose di Dio.
A 18 anni Antonio Maria si dirige a Padova, dove realizza gli studi di medicina. Prima di viaggiare fece testamento, rinunciando a tutti i suoi beni in favore della Madre, riservandosi una modica quantità per pagare gli studi. Antonio Maria, al rientro, trova Cremona contesa da spagnoli e francesi, che la occupavano e saccheggiavano, riducendola in miseria. Per questo motivo, prende l’iniziativa di riunire nella Chiesa di San Vitale, vicino a casa sua, il più variegato tipo di persone (coniugati, professionisti, madri, giovani) per svolgere corsi biblici, soprattutto sulla dottrina di San Paolo, con l’intenzione di migliorare i costumi e diffondere la dottrina cristiana. In questo periodo sceglie come direttore spirituale a Fra Marcello e, posteriormente Fra Battista da Crema, entrambi domenicani.
La relazione con Fra Battista, che chiamava “Padre”, fece maturare la sua vocazione sacerdotale. Per questo si dedica allo studio di teologia e Sacra Scrittura, specializzandosi negli scritti di San Paolo. È ordinato Sacerdote nel 1528, senza legami con una diocesi o congregazione, per avere la libertà di esercitare il suo apostolato dovunque. Contrariamente all’uso del suo tempo, celebra la sua prima messa senza solennità esteriori. La celebra nella Chiesa di San Vitale, con la partecipazione solo di sua Madre e alcuni parenti. Lo stesso anno erige una cappella dedicata a San Paolo, ponendo il suo sacerdozio sotto la protezione dell’Apostolo.
Da sacerdote, esercita il suo apostolato come animatore del “Gruppo spirituale dell’Amicizia”. Ai membri di questo gruppo offre varie conferenze sulla perfezione cristiana, basate sempre nella Sacra Scrittura, soprattutto in San Paolo. Imbevuto totalmente dell’idea della rinnovazione, dominato da un impegno ascetico personale, offre un esempio di vita integra e una azione incisiva nell’ambito della fede e della carità. Completando la fede con le opere, apre le porte della sua casa a tutti i poveri di Cremona, per poterli curare nel corpo e nello spirito. In questo periodo, la Contessa di Guastalla, Ludovica Torelli, su consiglio di Fra Battista da Crema, sceglie Sant’Antonio Maria come suo cappellano e direttore spirituale. Con questo nuovo incarico, dovette dividere il suo tempo tra Cremona e Guastalla. A fine del 1530, Antonio Maria, dopo una breve permanenza a Guastalla, con il suo direttore spirituale, Fra Battista, decide dedicare le sue energie a un campo pastorale più aperto e ampio, dirigendosi a Milano. A Milano, entra in contatto con la “Confraternita dell’Eterna Sapienza” alla quale aderisce con entusiasmo. Questo movimento di spiritualità era stato fondato nei primi anni del secolo XVI da Antonio Bellotti, sacerdote di Ravenna. Nello stesso anno 1530 troviamo tra i suoi membri ai futuri fondatori dei Barnabiti e delle Angeliche: Sant’Antonio M. Zaccaria, Bartolomeo Ferrari, Giacomo Antonio Morigia, Fra Battista da Crema, Ludovica Torelli e Virginia Negri. Possiamo vedere lì l’inizio della Famiglia Paolina: maschile, femminile e laicale.
Antonio Maria trova Bartolomeo Ferrari e Giacomo Antonio Morigia già orientati in programmi di riforma e esperienze nell’assistenza ai sofferenti, in opere di carità e nello studio di San Paolo. Fa con loro un patto di amicizia che a futuro si concretizzerà nella fondazione delle tre famiglie religiose, inizialmente sotto il titolo di “Figli di Paolo Apostolo”. Nella sua mente son presenti gruppi apostolici di volontari ben preparati e disponibili con lo scopo di lavorare per la riforma dei costumi e la rinnovazione della vita, sia personale che sociale. La autentica vivezza dell’amore al prossimo spinge i membri di questi gruppi alla pratica organizzata della pastorale, senza legarsi a una diocesi e senza optare per la vita di clausura.
Alle 5 del pomeriggio del 5 luglio 1539, a 36 anni, i Cremona, si addormenta nelle braccia di sua madre in terra per svegliarsi in quelle della sua Madre celeste. Il 27 maggio 1897 è proclamato santo da Papa Leone XIII (la sua festa è il 5 luglio). Il suo corpo riposa nella Chiesa di San Barnaba a Milano (Italia). Sant’Antonio visse pochi anni, ma ha lasciato un impulso forte e la sua opera rimane viva fino ad oggi attraverso i suoi figli e figlie.

(una bibliografia in portoghese è disponibile in http://csprio.com.br/wp-content/uploads/2019/07/AVida-de-Santo-Antonio-Maria-Zaccaria.pdf.
Una bibliografia sommaria la trovi su www.barnabiti.net).

Un episodio nella vita del Santo.

Antonio Maria era un giovane di famiglia ricca. In un momento della sua esistenza sente compassione di un uomo che viveva in strada, al freddo e gli offre il suo mantello, che era senz’altro di un panno di qualità considerato il suo censo.
Il vedere e avere compassione ci riporta a quello che la CF da anni ci propone, cioè, pensare e avere uno sguardo critico e solidale sulle problematiche sociali che abbiamo indicato in questo testo. Dopo l’evento, il giovane Antonio Maria rientra a casa per racconta l’accaduto, con il naturale timore a essere rimproverato. Tuttavia la reazione della sua amata Madre fu differente: lodò il gesto di suo figlio, riconoscendolo come frutto della formazione cristiana.
Aver compassione è diverso da sentire pietà. Avere compassione è “essere con… soffrire assieme a …”. Senza dubbio il giovane Antonio Maria soffrì con il “fratello bisognoso”, pregò e intercedette per lui. Non abbiamo molti registri scritti su questo gesto; ma, al contemplare la vita del Santo sappiamo che quel giorno accaddero cose molto profonde.
Così siamo anche noi, o meglio, dovremmo essere e stare accanto alla sofferenza dell’altro, soffrire assieme ai fratelli, ma come già lo aveva scritto in altre occasioni, la sofferenza si da nel silenzio dell’altro. Molte persone gridano in silenzio, chiedono aiuto, anche con lo sguardo, e noi non ascoltiamo, non vediamo; non riconosciamo l’importanza dell’altro nelle nostre vite, nella nostra formazione umana, sociale e cristiana. L’altro è il “sigillo” della nostra esistenza, perché necessariamente siamo esseri dipendenti da altri. La vita è fatta di relazione. Questa stessa relazione si da nell’ambito della natura dove Dio si manifesta. Dio attua e parla. “la Casa Comune è di tutti, non solo mia” o della nostra generazione; “il tempo passa” – come dice la canzone – e camminiamo tutti insieme. Resteranno le tracce del nostro percorso, dei sogni che avremo … quella è la nostra missione coltivare e custodire le cose che Dio ci ha dato in forma gratuita per tutti, senza eccezione.

CONCLUSIONE

Fratelli, con questa riflessione vorrei condividere con voi che siamo una Chiesa in uscita, non dimenticando che ognuno di noi è parte di questa Chiesa. Andiamo all’incontro dell’altro dove Dio si manifesta. Come ci insegna Sant’Antonio M. Zaccaria “Il prossimo è l’unica strada che ci porta a Dio”. Questa è la nostra meta e la nostra missione: essere ogni giorno più persone di bene che possono portare le persone verso la strada di Dio, ricordando che il Regno di Dio non è una chimera, irraggiungibile; il Regno di Dio è già in mezzo a noi e noi siamo parte di questo Regno.
«Vuoi tu amare Dio ed essergli caro e suo buon figliuolo? AMA IL PROSSIMO» insegna SAMZ.
Dio ci benedica tutti e ci guidi in questa santa Quaresima.
Sant’Antonio Maria, prega per noi e aiutaci ad amare la Santissima Eucaristia specialmente in questo tempo in cui non possiamo accostarci a te per la grave infezione che sta devastando dopo la China, l’Italia e il pianeta.

Robert Barbosa Cardoso. Novizio Barnabita. Chile 2020

Oltre le sbarre della carità

Recentemente ho avuto la possibilità di partecipare alla celebrazione di una messa nel penitenziario della città di Prato.
Sono sicura che questa possibilità sia stata un vero e proprio dono, in quanto sono riuscita a comprendere il vero senso della carità e del servizio verso gli altri in uno dei luoghi più difficili e particolari delle nostre città.
Essere stata lì, anche solo per un paio di ore, ha reso queste persone immensamente felici, così tanto da ringraziarci, da pregarci di tornare, perché, evidentemente, siamo riusciti a interrompere la ripetitività della loro quotidianità.
Da questa esperienza è emerso un crescente desiderio di aprirmi verso gli altri, anche solo per regalare un sorriso a chi ne ha bisogno.
Vedere i volti di quelle persone che, nonostante i loro errori e le loro storie, sono pronti ad accoglierti in una piccola cappella con grande gioia è stato un forte messaggio di incoraggiamento a continuare a testimoniare la carità e la cura verso l’altro, chiunque esso sia. Andare incontro al più povero, al più bisognoso, al peccatore e riconoscere in lui Gesù, volto di vero Amore e gioia infinita è stato, per me, un momento di grande impatto e crescita.
Quante volte si parla di carità, ma solo se ne parla e ci si accorge di non riuscire a concretizzarla. In questa mattina ho sentito vivi in me i principi di carità, amore e solidarietà fraterna come raramente mi era capitato di percepirli.
Ora bisogna fare il passo successivo: non fermarsi alla sola percezione di questi principi ma varcare altre porte della carità nel prossimo.

Bianca Contardi, Firenze, Gruppo Giovani parrocchia della Provvidenza

“Restare in piedi e non cadere” (1Co 10,12)

Terza domenica di Quaresima, occasione per fare il punto del nostro cammino di avvicinamento alla Pasqua e di conversione, anche perché proprio il vangelo di oggi ci chiama a prendere posizione, a non stare fermi di fronte alla possibilità di essere salvati.
Prima di tutto cosa proclama la parola di Dio?
Proclama la rivelazione di Dio a Mosé, attraverso san Paolo dice a chi sta parlando Dio, infine san Luca – dopo avere parlato di Gesù nelle due domeniche precedenti – racconta come “restare in piedi”, come “non cadere”; cosa significa avere fede.
Il primo dato è che Dio entra nella storia degli uomini, vive con gli uomini, con essi cresce, pazienta, spera, agisce.
L’uomo non è mai solo, anche nel momento del peccato, quando deliberatamente sceglie di allontanarsi da Dio, Dio non lo lascia.
La prima conversione da operare perciò è quella di domandarci quale idea, quale esperienza di Dio ho? Un Dio lontano? Un Dio cattivo? Un Dio che punisce? Un Dio macchinetta delle merendine? Un Dio che non ascolta il grido di chi soffre?
Quante volte anche noi parliamo e pensiamo di Dio come colui che punisce, che castiga: certo Dio corregge, pota, educa, ma non con il ricatto, la vendetta o con la violenza. Dio, che con l’incarnazione del suo Figlio ormai vive in mezzo alla vigna che gli è affidata – noi – non usa la violenza, ma la pazienza e la misericordia.
Con ciò non si afferma che Dio non giudicherà, questo accadrà alla fine dei tempi, nel frattempo egli ci cura, egli ci coltiva: certo noi dobbiamo stare attenti a non farci trovare impreparati.
Crediamo ancora che Dio ci giudicherà? Che idea abbiamo del giudizio di Dio? Quale sarà il metro di misura?
Nell’orazione all’inizio della messa abbiamo letto: Dio misericordioso… hai proposto… il digiuno, la preghiera e la carità…; a noi che riconosciamo le nostre colpe… ci sollevi la tua misericordia.
Dio è misericordioso e ci sollecita alla continua misericordia; perché impariamo a essere misericordiosi, a portare frutti di misericordia e di giustizia, egli ci invita al digiuno, alla preghiera, alla carità (questi sono gli attrezzi con i quali Dio cura il fico sterile).
Noi siamo troppo sazi ormai, dobbiamo imparare ad avere fame se vogliamo coltivare la giustizia e la verità; siamo troppo sazi e non vediamo più dov’è il male, quindi lo facciamo crescere! Questo accade verso i migranti, ma anche verso chi vive accanto a noi!
Poi siamo chiamati a pregare, per imparare a pensare come pensa Dio: una preghiera di dialogo, di domande, di fiducia, come quella di Mosé con Jhwh!
Quindi invitati a vivere la carità, non tanto una monetina, ma un cambiamento di atteggiamento verso il prossimo*, verso l’ambiente.
La preghiera termina com’è iniziata: la misericordia di Dio. Questo è il fondamento della vita del discepolo e della chiesa. Come dice un’altra colletta quaresimale: “Con la tua continua misericordia, Signore, purifica e rafforza la tua chiesa e poiché non ha alcuna consistenza senza di te, guidala sempre con il dono del tuo Spirito” (lunedì della terza settimana).

*
Per quanto riguarda il prossimo vi allego questa citazione dal Corriere della Sera di oggi:
Il fenomeno delle migrazioni sta diventando un processo mondiale che il nostro sistema di vita non è capace di ordinare. Quelle fiumane di gente sventurata che chiede solo di poter vivere potrebbero diventare così grandi da rendere oggettivamente difficili dar loro possibilità di vivere. Forse quelle migrazioni sono l’avanguardia oscura di un grande e non lontano cambiamento simile alla fine del mondo antico, un cambiamento che non riusciamo a immaginare. I nuovi, arroganti e beoti padroni della terra si illudono che il loro dominio, i loro bottoni che spostano a piacere uomini, cose, ricchezza e povertà, sia destinato a durare in eterno. Esso potrebbe crollare come è crollata Babilonia e i migranti di oggi o meglio i loro prossimi discendenti si aggireranno fra le rovine della ricchezza tracotante e volatilizzata come un tempo i barbari fra le colonne e i templi abbandonati.

Claudio Magris 27 febbraio 2016