Amores perros

Bellissima, affascinante, inquinatissima. Com’è Mexico City? Chi ama le immagini di Gus van Sant, può essere puritanamente attratto anche dal suo antidoto, la barocca, violenta, tecnologica tempesta delle pulsioni post-umane che si scatenano in ogni centimetro quadrato di questo film a grandissimo schermo. Si intitola Amores perros ed è stato scoperto dalla Settimana della critica di Cannes 2000 e lanciato, attraverso una lunga sequenza di festival nell’olimpo mondiale, fino a un non improbabile Oscar. Questo impietoso e duro spaccato metropolitano non ha lasciato indifferente il pubblico, sia quello soft (che gode anche dei suoi piaceri proibiti) che hard. Trentasei stesure di sceneggiatura, tre anni di lavoro per Guillermo Arriaga, il film è di quelli che fanno passare attraverso la telecamera mossa e nervosa (già, è digitale il lavoro di Rodrigo Priesto) l’odore e il sapore di questo ennesimo attraversamento del dolore che contraddistingue tanto il cinema contemporaneo. Film d’esordio, con una dilatazione rimediabile dei tempi e delle ambizioni, Amores perros (da leggersi anche Amor es perros) possiede una inusuale forza bruta e la sua originalità non è né fasulla né studiata. Iñarritu sostiene artificialmente in vita un trittico incrociato di solitudine e angoscia megalopolita, sottoproletaria, borghese, yuppie, poliziesca e soprattutto canina che qui trovano, come in Lola corre (Tom Tykwer, 1998), un punto di collusione in un tremendo incidente automobilistico che coinvolge i protagonisti delle storie. Ed è partendo dal crash che la pellicola si divide in tre episodi: nel primo, un ragazzo dell’estrema periferia trova il modo per far soldi e scappare con la sua ragazza (la moglie del fratello eternamente picchiata e malmenata) facendo combattere il suo cane; nel secondo, il direttore di mezza età di un giornale alla moda si innamora della più bella modella del momento, lascia moglie e figlia e si trasferisce con lei e il cagnetto in un appartamento di lusso ma…; nel terzo, un barbone che fa il killer saltuariamente, ricattato da un poliziotto, deve assassinare il socio e fratellastro di un industriale rampante, ma in realtà vorrebbe riabbracciare la figlia che lo considera morto da anni (ha un cuore, anche se ex extraparlamentare). Ebbene quell’incidente cambierà le loro vite, sgretolerà egoismi, lacererà corpi, scatenerà cortocircuiti imprevedibili. La vita non è soltanto un ring dove cani arrabbiati e assassini si affrontano all’ultimo sangue. Almeno qualche volta, in una Mexico City con ventun milioni di abitanti ricchissimi, medi e sub impoveriti, che sembra tanto rimpiangere la «pulizia» etnica e la sobrietà estetica degli zapatisti.