¡Con todo l’amor del mundo!

È notte, a Mérida (Yucatán).
Alcuni, forse tutti i giovani sono in piscina di don Martin e dona Leila. Un piccolo lusso nella semplicità della periferia.
È l’ultima notte. Domani si riparte, nessuno vorrebbe ripartire. È normale.
Tutti partirono carichi, anche un poco forse molto preoccupati.
Il primo giorno, il caldo aggressivo e l’umidità opprimente, l’acqua che non arriva perché ignari del rubinetto chiuso e la prospettiva di una doccia ogni tre giorni non era peregrina. Ma non si voleva (e non si poteva) tornare indietro!
La Storia va avanti se la facciamo andare avanti. E ognuno di noi la Storia vuole continuarla.
Si è consapevoli di poter fare un pezzo di Storia, perché si è guardata in faccia la realtà, la realtà di se stessi, la realtà degli altri.
La realtà di se stessi, messi alla prova non solo dal caldo e dall’umidità improponibili ma da un mondo nuovo non fatto di 5 stelle o like di Trip Advisor bensì di uomini, donne, bambini, case, strade, fede con altri criteri di esistenza rispetto ai nostri.
Il dormire in otto in due stanze, senza cuscini, con le valigie unico armadio e appoggio. Anche il lavarsi ci mette in gioco, un solo bagno per tutti. L’altro è per la famiglia, papà mamma e 5 figli: tutti splendidi. Si sono ritirati nella loro unica stanza rimasta, sulle loro amache per fare spazio a tutti noi. E poi i criteri di pulizia ben diversi dalle nostre ossessioni igienistiche.
Eppure la vita procede, la voglia di scoprire e lasciarsi scoprire prende la meglio sulle nostre preoccupazioni.
Quale famiglia italiana avrebbe ospitato in casa sua 8 sconosciuti?
Quali persone, le altre famiglie, avrebbero mai fatto a gara per cucinare ogni sera piatti diversi per far conoscere la propria storia? Compresi i litri di Coca Cola?
I bambini, quelli in affido alla Mision de Amistad, quelli della Capilla del Carmén specialmente, che sono i veri protagonisti della storia: cosa avranno pensato dal basso della loro statura media di fronte a noi abbastanza alti per intimorirli?
Bambini tranquilli nell’attesa che ogni gioco venisse spiegato in italiano prima e in spagnolo poi, ma poi scatenati non tanto per vincere, ma per giocare! Un gioco per tutti, grandi e piccoli uniti. E le mamme in retroguardia a godere di questa anomala attività. I papà purtroppo i grandi assenti, chissà perché.
E i giovani? Che si sono prodigati nell’accogliere la nostra proposta, il nostro modo di lavorare e giocare? Anche prendendoci per la gola?
12 giorni fuori dalla nostra storia quotidiana per vivere altre storie, entrare in altre case; scoprire per quel che si può il carcere locale da una parte e bambini e bambine dimenticati dagli adulti, affidati all’associazione Amistad/Friendship.
12 giorni in cui la nostra storia non è più l’unica Storia, perché nel mondo ci sono altre Storie con la “S” maiuscola che ci insegnano le vere nozioni necessarie per vivere in un mondo occidentale che rischia di perdere la Storia, non solo perché ormai senza più figli.

Todo lo que hiciste para nosotros no es comun y por eso siempre sostendrè vuestre familias en el nostro corazon, esperando que para vosotros puede ser lo mismo.

¡Con todo l’amor del mundo!

In carcere ho conosciuto Gesù

“Poichè ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” Mt 25, 31-46

Il carcere può essere, per molti, un luogo oscuro, triste, dimenticato e crudele. Si pensa che lì si trova il peggio della società, coloro che, in molti casi, non meriterebbero neanche di essere chiamati “persone”.

Oggi voglio condividere un po’ della mia esperienza come membro del gruppo Kolbe, che è parte della pastorale penitenziaria della città di Mérida, nello stato dello Yucatán, Messico.

Visitai il carcere per la prima volta 6 anni fa, e devo ammettere che me lo immaginavo giusto come si vede nelle serie TV o nei film. Avevo molti dubbi e anche un poco di paura. Credo che la mia preoccupazione più grande era sapere che avrei dovuto conversare con le persone recluse lì dentro. Posso dire con sicurezza che quella prima visita mi cambiò la vita: ho capito, infatti, che l’amore di Dio trascende luoghi e circostanze. Incontrai un Dio che vive attraverso tutti i fratelli che si trovano nel carcere.

Ho capito che anche nei luoghi più oscuri, Dio è capace di illuminare e spargere il suo amore in ogni momento. Ho conosciuto persone straordinarie, persone che si rialzano tutti i giorni con l’unico obiettivo di cercare essere migliori di ieri, persone che lavorano e si sforzano di andare avanti in mezzo alla monotonia e alla povertà che caratterizzano la vita nel carcere.

Però, non tutto è di colore rosa. Ho incontrato anche tristezza, rabbia, ingiustizia, disperazione e sete di perdono per gli errori commessi in passato.

La pandemia fu, per noi del gruppo apostolico, una sfida e una opportunità di incontrare nuove forme per restare in contatto con questi nostri fratelli carcerati. Insomma, sono passati quasi 2 anni, nei quali non abbiamo potuto visitarli! Gli abbiamo mandato lettere, generi di prima necessità, dolci, messaggi, cartelloni,  abbiamo recitato rosari virtuali pregando per la loro salute, e moltre altre iniziative. Gesù ci regalò la creatività per rimanere vicino a loro nonostante la forzata distanza.

L’anno scorso, in dicembre, ci informarono che finalmente avremmo potuto visitare il carcere. Non posso descrivere la gioia che provai. Fu una visita incredibile, nella quale ho potuto constatare che tutte le preghiere che avevamo offerto per loro avevano dato frutto. Ci ricevettero con gioia e soprattutto con una grande speranza di andare avanti nonostante la pandemia. Fu come reincontrare un vecchio amico.

A partire da gennaio, a causa dell’arrivo della variante Omicron, le visite al carcere furono sospese di nuovo. Pertanto, siamo stati molto incerti sulla possibilità di poter realizzare la tradizionale missione in carcere nella settimana santa. Ma con la benedizione di Dio, sì, ci siamo riusciti!

Questa Settimana Santa abbiamo avuto l’opportunità di visitare il carcere il Giovedì, il Venerdì e il Sabato Santo. Con l’aiuto di tutti i gruppi apostolici che visitano il carcere siamo riusciti a portare ai fratelli privati di libertà più di 1200 pacchi di generi di prima necessità, realizzare le celebrazioni liturgiche tipiche di ogni giorno, conversare, proporre attività e soprattutto portare loro un messaggio di speranza: ricordando che Gesù è vivo e che non si trattiene nel dare misericordia e amore in abbondanza.

Il mio cuore è ricolmo di amore perchè nuovamente sono riuscita a incontrare Gesù in carcere. Prego che continui a benedire tutti i gruppi che con molta allegria e dedizione visitano le carceri di tutto il mondo.

Oggi voglio invitare anche te a darti una opportunità di visitare il carcere! Sono necessari molti giovani come te e me, che trovino il coraggio di portare allegria e speranza alle persone private di libertà. Non temere! Ti prometto che non è come te lo immagini!

Ringrazio anche padre Stefano per il suo appoggio, dedizione e amore a questa missione che gli toccò realizzare. Preghiamo per le vocazioni sacerdotali!

Per concludere, mi piacerebbe lesciare questo messaggio: il carcere non è un luogo dimenticato da Dio, è un luogo che ha bisogno delle nostre preghiere e soprattutto della nostra fede. Fiducia in tutte le persone che lo abitano e che si sforzano di essere migliori per, un giorno, reintegrarsi nella società.

Grazie mille e un saluto dal Messico!

Tere Montzerrat Polanco Núñez – Merida

photo by https://unsplash.com/@grant_durr

Conocí a Jesús en la cárcel

“Porque tuve hambre y me diste de comer, tuve sed y me diste de beber, fui forastero y me hospedaste, estuve desnudo y me vestiste, enfermo y me visitaste, en la cárcel y viniste a verme” San Mateo 25, 31-46

La cárcel puede ser para muchas personas un lugar lleno de oscuridad, un lugar triste, olvidado y cruel. Se piensa que lo peor de la sociedad se encuentra ahí y en ocasiones que ni siquiera se le deberían llamar “personas” a todos los que se encuentran ahí.

Hoy quisiera compartirles un poco sobre mi experiencia como parte de la pastoral penitenciaria en el grupo Kolbe al que pertenezco en la ciudad de Mérida, Yucatán en México.

Hace 6 años realicé mi primera visita al penal, debo admitir que me lo imaginaba justo como en las series o películas, tenía muchas dudas e incluso un poco de miedo. Creo que mi mayor preocupación era saber de qué podía platicar con las personas de ahí adentro. Puedo decir con seguridad que mi primera visita me cambió la vida, pues pude comprender que el amor de Dios trasciende lugares y circunstancias. Conocí a un Dios vivo a través de todos los hermanos que viven en el penal.

He aprendido que incluso en los lugares más oscuros, Dios es capaz de iluminar y derramar su amor en todo momento. He conocido personas extraordinarias, personas que se levantan todos los días con la única intención de ser mejores que ayer, personas que trabajan y se esfuerzan por salir adelante en medio de la monotonía y las carencias que caracterizan a la cárcel.

Pero no todo es color rosa. También he conocido la tristeza, el enojo, la injusticia, el desánimo y la sed del perdón por los errores que se cometieron.

Como grupo apostólico, la pandemia fue un gran reto y una oportunidad de encontrar nuevas formas de estar en contacto con los hermanos del penal. Pues fueron casi 2 años en los que no pudimos visitarlos. Les mandábamos cartas, despensas, dulces, folletos y carteles, hacíamos rosarios virtuales para pedir por su salud, entre muchas otras cosas. Jesús nos regaló la creatividad para estar cerca de ellos a pesar de la distancia.

El año pasado, en el mes de diciembre, nos informaron que por fin podríamos visitar el penal. No puedo describir la alegría que sentí, fueron unas visitas increíbles en las que pude comprobar que todas las oraciones que ofrecimos por los hermanos rindieron frutos. Nos recibieron con mucha alegría y sobre todo esperanza de salir adelante incluso en medio de una pandemia. Fue como volverse a encontrar con un viejo amigo.

Debido al avance de la variante Omicrón, las visitas al penal nuevamente se suspendieron desde el mes de enero. Habíamos tenido mucha incertidumbre sobre si esta Semana Santa podríamos realizar nuestras misiones. Con la bendición de Dios ¡si lo logramos!

Esta Semana Santa, tuvimos la oportunidad de visitar el penal el Jueves, Viernes y Sábado Santo. Con la ayuda de todos los grupos apostólicos que visitamos el penal, logramos llevar más de 1200 despensas, realizar las celebraciones y oficios de cada día, platicar y realizar dinámicas y sobre todo, llevarles un mensaje de esperanza a todos los hermanos presos. Recordarles que tenemos un Jesús vivo que no se mide en misericordia y amor.

Mi corazón rebosa de amor por saber que estas misiones, nuevamente logré encontrarme a Jesús en el penal. Le pido que continúe bendiciendo a todos los grupos que con mucha alegría y entrega visitan las cárceles del mundo.

Hoy te quiero invitar a que te des la oportunidad de visitar el penal. Se necesitan muchos jóvenes como tú y yo que se animen a llevar su alegría y esperanza a las personas encarceladas. ¡No tengas miedo!, te prometo que no es como lo imaginas.

Agradezco también al Padre Stefano por su apoyo, compromiso y amor hacia la misión que le ha tocado realizar. ¡Pidamos por más vocaciones sacerdotales!

Para finalizar, me gustaría dejarles este mensaje: la cárcel no es un lugar olvidado por Dios, es un lugar que necesita de nuestras oraciones y sobre todo de nuestra fe. Fe en todas las personas que lo habitan y que se esfuerzan por ser mejores para algún día reintegrarse a la sociedad.

¡Muchas gracias y saludos desde México!

Tere Montzerrat Polanco Nùñez

photo by https://unsplash.com/@grant_durr

#laculturanonvainquarantena

“Se pensate che l’istruzione sia costosa, provate con l’ignoranza”. Derek Bok

“Il virus non va in vacanza”, “Prepariamoci a un Capodanno all’insegna del covid”, “Coprifuoco natalizio”: sono solo alcuni degli slogan in cui anche il lettore più distratto si sarà imbattuto di questi tempi, sfogliando il giornale la mattina o ascoltando le notizie del telegiornale in famiglia. Ciononostante, anche la nostra comunità ha deciso di non andare in vacanza, ma di affrontare le nuove sfide poste dal virus.

A distanza di quasi un anno dallo scoppio dell’epidemia, permane in tutta Europa una diffusa incertezza sui modi e sui tempi con cui la nostra società uscirà dalla pandemia. Eppure, tutti gli studiosi appaiono concordi su un dato: la crisi economica generata dal coronavirus avrà effetti ben più duraturi della stessa epidemia. A subire le ricadute del Covid saranno soprattutto le fasce più deboli della popolazione, già duramente colpite dalla crisi economica del 2008. Il rischio concreto, una volta terminata l’emergenza sanitaria, è che le famiglie più povere si vedano costrette a rinunciare a beni di prima necessità, quali i generi alimentari e gli indumenti, o a servizi essenziali come il diritto all’istruzione. Se la questione sanitaria risulta oggi di primaria importanza, non bisogna dunque sottovalutare le inevitabili conseguenze economiche che seguiranno al lock-down: l’aumento dell’indebitamento privato e il fallimento di numerose attività commerciali porteranno alla perdita di milioni di posti di lavoro e a un generale impoverimento della popolazione italiana.

Di fronte a questo quadro, la nostra comunità è chiamata a dimostrare più che mai la sua vitalità, a dare un porto sicuro a quanti rischiano di essere travolti da questa seconda ondata. Se è vero, come ha sottolineato in un recente intervento Monsignor Peragine, che la società italiana ha dato prova proprio nei difficili mesi del lock-down di uno straordinario (quanto inaspettato) senso di comunità, allora ci sembra più che mai opportuno far sì che questo patrimonio non vada disperso, ma possa tradursi in un progetto concreto, a lungo termine. E quale migliore occasione che investire nell’istruzione, tanto a lungo trascurata, ma di cui tutti noi, genitori e studenti, abbiamo avvertito la mancanza in questi tempi così difficili? Finanziare oggi la scuola significa investire sul futuro dei giovani, minacciato dalle conseguenze del Covid, evitando che le famiglie più bisognose si trovino costrette a risparmiare proprio sul diritto all’istruzione.

Per questa ragione la comunità barnabitica ha deciso di promuovere una nuova iniziativa a sostegno dell’istruzione, quel sale della terra di cui la nostra comunità cristiana non può e non deve privarsi, neppure nei tempi più bui. Quest’anno vogliamo riprendere a sostenere l’educazione scolastica, prima nella vicina Albania, ma anche nel più lontano Messico dove da qualche anno operano i Barnabiti. L’Albania è un paese già duramente colpito dal terremoto del 2019, ma che nonostante questo non mai ha fatto mancare il proprio sostegno all’Italia nei momenti difficili, neppure nel pieno della pandemia, quando ha inviato una équipe di medici che ha a lungo operato nelle terapie intensive del nostro paese. Per questo motivo e per via del legame che da sempre ci unisce alla terra albanese, dove la nostra missione opera instancabilmente da più di trent’anni, vi chiediamo oggi un piccolo sostegno economico a favore degli studenti della comunità barnabitica di Milot, ma anche nelle zone più povere del Sud Albania dove opera il nostro vescovo Giovanni. A ciò vogliamo aprire il nostro sguardo anche a Merida in Messico dove molti bambini non hanno nemmeno la possibilità di comprarsi il materiale per continuare la scuola. Possiamo abbandonare la loro voglia di sapere e di crescere?

Le donazioni, dai volontari di BarnabitiAPS con la collaborazione delle realtà pastorali dei Barnabiti in Italia durante il periodo d’Avvento, consentiranno il finanziamento di tre diverse borse di studio, permettendo a giovani e bambini di non dover rinunciare al loro percorso scolastico, ma di continuare a coltivare i propri sogni.

Andrea B., Cernusco SN – MI

È facile essere giovani a Merida?

È facile essere giovani?
Bella domanda. Dipende dai punti di vista, dalle statistiche, dall’ottimismo, pessimismo o realismo dell’interlocutore.
Più che da ottimismo sono guidato dalla Speranza, che mi permette di essere realista. Realista nel trovare e confermare il buono senza nascondere il cattivo.
Ieri sera mi sono ritrovato con un nutrito gruppo di giovani messicani, di Merida (Yucatan). Non è stato facile entrare in sintonia: il rumore della strada e dei ventilatori, la lingua, la preoccupazione di raccontare cose inutili, il loro numero!
Con tutto ciò sono emerse delle reazioni e riflessioni interessanti sul loro essere persone, giovani, cristiani.
Non sono pochi i problemi in Messico, magari a Merida di meno, ma non mancano le aggressioni contro i giovani, la droga, lo spaesamento, il lavoro. Quindi come essere giovani e cristiani di fronte a tutto ciò?
Si è cristiani perché ci è stato insegnato così e accolgo questo dono della mia famiglia racconta F. Ma si deve anche diventare cristiani, cioè usare la ragione per capire cosa dice il cuore; rielaborare cosa la famiglia ci ha insegnato è importante e necessario, se non si vuole mantenere una fede infantile.
A. è cristiano perché “Dio è tutto per la mia vita!”. Bella affermazione. Quello che penso, sono, faccio è condiviso con Dio e da lui illuminato. Sorprendente professione di fede. Ho chiesto ad A. di scrivermi il significato di queste parole, per crescere insieme, anche se spesso le parole non possono dire l’Amore.
Ragionare sulla fede è importante e necessario, ho insistito su questo aspetto culturale che è proprio di noi barnabiti e delle persone che crescono con noi. Sapere che J. non disdegna di leggere un libro, un romanzo, non solo apre la mente ma anche aiuta a capire che … si vuole capire il mondo in cui lo Spirito ci conduce a vivere non solo dal proprio punto di vista. Aprire la mente è il modo migliore per testimoniare la Carità!
Ma il mondo non è sempre facile da vivere. A. denuncia la fatica di essere cristiani, di essere una persona che sceglie di lavorare per studiare di più e trovare qualche “buco ufficiale” per Dio. Non è facile essere cristiani in un mondo che gira molto altrove. Non è facile essere rispettati nella propria fede. Ma è bello, perciò facile prendere delle buone strade per crescere la propria vita anche se altri ne prendono altre, o non ne prendono nessuna.
Per K. poi essere cristiano ha un senso e un valore in più che nasce dal ritrovarsi in un gruppo, dall’avere una guida. È importante avere una guida non perché ti traccia tutte le strade, ma prima di tutto perché sai che qualcuno ti ascolta.
Ascoltare, essere ascoltati, forse questa è l’esigenza più importante, più necessaria non solo per i giovani di Merida ma per tanti altri nel mondo.
L’impegno primario di un cristiano non è quello di convertire tutti al Vangelo, ma di far conoscere che c’è un Dio, attraverso i suoi testimoni, che ti ascolta, che ti tende la mano. Essere giovani cristiani significa perciò far comprendere che non si è soli, che c’è una sedia su cui sedersi, un bicchiere d’acqua con cui rinfrescarsi, uno sguardo che accoglie. Il resto è un “problema” di Dio!
Se questi sono i presupposti di un gruppo giovanile di una delle “periferie” del mondo… possiamo stare sicuri che il mondo avrà un futuro, perché nonostante tutto sono i piccoli che ribaltano le sorti della umanità.