Voci e occhi dal Chile

In quel novembre del 1989 a Berlino, assistemmo a una svolta storica quando un muro, che divideva ideologie, menti e cuori umani è crollato davanti agli occhi di tutto il mondo. In tanti aspettavamo che fosse davvero un cambiamento in tutti i sensi… sono trascorsi 30 anni e ci sembra che nulla si sia trasformato, anzi che le divisioni siano aumentate. Tanto che sono apparsi movimenti sociali per rivendicare più giustizia e libertà in parecchie parti del mondo.
Mi trovo a Santiago del Cile, che fino a poco tempo fa si pensava fosse un’isola di pace e stabilità in un’America latina accesa di proteste e lotte sociali: era solo un’apparenza
Un gruppo di studenti, hanno deciso di saltare i tornelli della metropolitana come segno di protesta contro il rincaro del biglietto. A loro si sono uniti tante altre persone e infine il fuoco dello scontento si è dilagato a tutte le città. Per la prima volta (tranne un breve periodo dopo il terremoto de 2010) il governo ha indetto il coprifuoco e abbiamo vissuto un periodo di grande violenza: per quanti abbiamo vissuto la dittatura di Pinochet é stato un deja vú terribile, coi militari per strada, con il divieto di uscire dopo le ore 20. IL coprifuoco ha provocato l’ira della maggior parte della popolazione e la violenza non si è fermata, anzi, sono già trascorsi trenta giorni di manifestazioni.
La convocazione che ha portato milioni per la strada, specialmente nella centrale piazza Italia (oggi piazza della Dignità!) fu lo slogan “¡Hasta que la dignidad no se haga costumbre!” (Finché la dignità diventi una consuetudine!) e i muri, proprio quando i media non dicono la verità, i muri parlano, sono scoppiati in frasi e disegni richiamando a un’altra società più giusta. Così fu in quel Maggio di Parigi.
Il Capitalismo più feroce è stato uno degli aspetti più sinistri legati alla dittatura cilena, che si è perfezionando in questi trent’anni, provocando la miseria di milioni e la ricchezza assoluta di pochi.
A questo punto i giovani cileni hanno cominciato nel 2006 una rivoluzione urbana (la rivoluzione dei pinguini) con l’esigenza di un’educazione libera e gratuita, contro le leggi scolastiche che l’avevano convertita in un affare economico. Prontamente gli si sono uniti altri organi sociali e colletivi politici e sono riusciti a trasformare il tutto in un’educazione per tutti. Trascorsi 13 anni di nuovo i giovani hanno superato la paura di rianimare le strade con bandiere e slogans contro un capitalismo assassino.
Purtroppo la violenza, soprattutto provocata per la repressione dei militari e della polizia militarizzata (i carabineros) è apparsa: saccheggi, incendi e altro, non hanno  fermato la rabbia della maggior parte dei cileni; molti, quasi tutti giovani, sono stati aceccati dagli spari della polizia, provocando una crisi sanitaria e umanitaria senza precedenti nella storia; fino a oggi piú di duecento occhi si son perduti o sono diventati cechi.
Ma i giovani continuano a marciare, a fare arte nelle piazze, a colorare un’epoca scura. Millennials e centennials poveri e ricchi, istruiti o non, senza differenze politiche, anche gli ultrà delle squadre di calcio scrivono sui muri i motivi della lotta: educazione, pensioni, rispetto per le minoranze etniche e sessuali, e tutto il mondo s’incontra per la strada, senza preoccuparsi del terribile grado di repressione delle forze d’ordine: bastano un paio di occhiali protettivi!
Pentole, tamburi e applicazioni web servono per moltiplicare lo scontento. Ogni sera le città sono una polifonia di suoni e canzoni di protesta contro un governo neoliberale, contro un presidente miliardario, che non vuole sentire niente e nessuno, rinchiuso nel suo labirinto.
Ma sempre i giovani… a noi vecchi ci hanno dato il buon esempio e continuano a darcelo… Uniti, sorridenti in mezzo ai gas e gli idranti, giovani sono pure quelli che saccheggiano e quando domandi perché? Ti dicono perché oggi si sentono parte di un tutto che prima li escludeva e vogliono colpire con la loro rabbia sopratutto quei negozi che rappresentano il potere economico di pochi.
Non sappiamo come andrà a finire tutto, in questi giorni la maggior parte dei cileni chiede un’assemblea costituente  che possa elaborare una nuova costituzione, i detenuti, i feriti, e purtroppo, i morti aumentano ogni giorno… ma pensiamo a Hong Kong che sono già cinque mesi che resiste, a una Bolivia che ha visto il presidente eletto fuggire all’esilio e i poveri a difenderlo, un Brasile accerchiato per il fascismo totalitarista del potere, a una Catalonia che resiste per decenni, Siria, Francia, ecc … ma sono i giovani quelli che maggiormente riempono le strade del mondo, quelli che non avevano incorporato nella loro esperienza la violenza politica, ma che, indubbiamente, sentono più paura per il loro futuro e quello dell’umanità…  a loro dobbiamo il coraggio, l’esempio; noi che li abbiamo legati in un mondo senza speranza.

Finché la dignità sia una consuetudine.

 p. Miguel Panes Villalobos

Perché ancora non lascio la Chiesa

La domanda che mi hai posto è un po’ difficile e non credo di avere una risposta, perché è la stessa domanda che mi pongo anche io da 2 anni a questa parte: «Perché se critico così tanto la Chiesa non mi stacco?». Forse perché credo che la Chiesa come istituzione e la Chiesa che vivo io nella mia quotidianità siano in qualche modo diverse. Ho avuto la fortuna o possibilità di crescere in un oratorio e conoscere tanti padri con i quali si riesce a parlare, a confrontarsi, ad arricchirsi, in cui ognuno riesce ad esprimere il suo punto di vista senza sentirsi giudicato o attaccato. Forse questo è dovuto anche all’amicizia che si crea tra animatore e sacerdote per cui è più facile dialogare. In oratorio inoltre ho sempre avuto modo di confrontarmi con miei coetanei che bene o male affrontano i miei stessi dubbi, i miei stessi problemi: sentirsi in qualche modo supportato è sempre di aiuto. Ovviamente poi ci sono anche i preti barnabiti con cui non c’è proprio modo di dialogare né di far capire il proprio punto di vista perché sono completamente disinteressati nel cercare di comprendere il mondo dei giovani. È qui che mi altero e mi sento lontana dal mondo della Chiesa, una Chiesa che mi sembra sempre predicare bene ma razzolare male! Una Chiesa che troppo spesso esprime giudizi cattivi, che crea muri al posto di ponti, una chiesa che chiude porte quando sul Vangelo c’è scritto che tutti possono avvicinarsi a Gesù. Ovviamente questo mio discorso non è riferito a Papa Francesco, che ha fatto tanti passi avanti, ma ai tanti discorsi di sacerdoti che a volte mi capita di incontrare in autobus o delle suore oppure gli articoli che si leggono sul giornale o sui social. Ultimamente mi è capitato di leggere un articolo in cui un ragazzo sosteneva di essere guarito dall’omosessualità grazie a Dio, come se quest’ultima fosse una malattia. Sono queste le cose che mi lasciano senza parole. Un altro motivo per cui continuo a stare nella Chiesa forse è perché ho sempre distinto fede e Chiesa. Un conto è la mia fede, leggere la Bibbia, credere nella parola di Dio; un conto è la Chiesa che secondo me quello che fa è interpretare la Bibbia e darne una sua visione che può essere condivisibile o meno. Ma sicuramente il motivo che mi fa rimanere vicina all’oratorio di Roma è che quel posto mi ha dato tanto, tante esperienze che mi porto ancora dentro, tanti insegnamenti e mi ha sempre fatto vedere il mondo anche da altre prospettive meno egocentriche e materiali. LA cosa bella è che sto cercando di trasmettere tutto ai bambini che accompagno ai sacramenti: andare oltre a questo mondo troppo attaccato alle cose materiali e di ritrovare la bellezza nei piccoli gesti che uno può fare ogni giorno. Più o meno è questo quello che penso, che vivo, che amo e qualche volta dispero della Chiesa. Martina Chiesa, Roma