Chacun cherche son chat

Mettiamo che volete andare in vacanza per un paio di settimane ma non sapete dove lasciare il vostro gatto. O meglio, a chi.
Mettiamo che vivete in una grande città, in questo caso Parigi, e vi rassicura l’idea di poter affidare il vostro compagno d’appartamento nelle mani di qualcuno che sa cosa fa: una vecchina dell’undicesimo arrondissement che tutti conoscono come “quella che cura i gatti”. Sembra perfetto, no?
Il problema è che quando tornerete dalla vostra gita al mare e andrete a riprendertelo, il gatto non ci sarà più. Sarà scappato.

L’intro di Chacun cherche son chat (Ognuno cerca il suo gatto, 1996, Cédric Klapisch) non promette nulla di buono. Solo tanti miagolii, disperazione e noia per un gatto che alla fine, si sà già, salterà fuori.
Ma Klapisch, al tuo terzo lungometraggio, questa volta si mette all’opera su soggetto e sceneggiatura (come del resto aveva sempre fatto) in modo molto intelligente, e sforna novanta minuti di pellicola che farebbero voglia di visitare Parigi a chiunque. Parigi e l’undicesimo arrondissement.
C’è una voglia di tornare a Rohmer che Klapisch sottintende qui, con un cinema fatto di meraviglia e tranquillità e leggerezza, dove i personaggi sono l’elemento principale, il fulcro di tutte le storie che si dipanano come matasse.

Chacun cherche son chat non vuole denunciare nulla, non vuole abolire nessun privilegio né sfoggiare un cast stellare: si presenta come un film semplice e intelligente, con l’unico scopo di raccontare le vite e le storie di abitanti del quartiere con un tono divertente e quasi adolescenziale – senza alcuna accezione negativa del termine.
Perché le trame dei coinquilini di arrondissement si intrecciano con quella di Chloé, la protagonista, senza però mai sconvolgerla completamente, senza toccarla fino in fondo.

In un mondo dove ognuno cerca il suo gatto, ognuno cerca il suo “sé”, ognuno cerca il suo perché, il singolo viene messo in contraddizione con il gruppo alla ricerca di una felicità (che poi si trova?) un po’ meno stereotipata e citofonata di quelle contemporanee d’oltreoceano.
Da guardare sul divano con il proprio gatto, ovviamente, e una buona birra artigianale.
Godetevelo!

Fabio Greg Cambielli