FARE SILENZIO

Da quant’è che stiamo a casa? 41, 42, 50 giorni? Ho perso il conto, ma che importa?

È tutto sempre uguale, sempre così monotono. Libri, film, lezioni on-line, studio, serie tv e a nanna, quando e se il sonno arriva. Sembra che non ci sia niente di speciale, niente che colori la nostra giornata, niente che non c’era prima, anzi ci sentiamo deprivati dai nostri bisogni, dalle nostre “necessità” e non ci accorgiamo che questa assurda situazione ci regala un qualcosa che in condizioni normali è estremamente difficile da ottenere.

Se la sera vi affacciate alla finestra o uscite sul vostro balcone, che cosa sentite? Niente, assolutamente nulla. Un silenzio quasi totale avvolge le nostre città, le nostre case. Se si è abbastanza fortunati da non affacciarsi su una strada trafficata il silenzio può durare gran parte della giornata.

Il grande problema è che nella nostra vita in cui dobbiamo sempre fare, correre, “mai fermarsi, davanti a nulla” e non siamo abituati a stare in silenzio, quasi non conviene ed è noioso stare zitti e fermi senza fare nulla. Quando c’è silenzio abbiamo sempre bisogno di riempirlo, con tv, musica, chiamando zia Giuseppa che non sentivamo dal lontano 2014.
Il silenzio ci spaventa, perché? Perché ci sono così tante difficoltà oggi nel dialogo, nel confronto con l’altro? Come posso ascoltare l’altro se non riesco a stare in silenzio? Come posso cogliere il significato delle sue parole se non riesco a sentirle?
Così come si ha difficoltà ad ascoltare l’altro si ha difficoltà a ascoltare la voce del nostro io, che appena ha l’opportunità esce prepotentemente ma che noi copriamo velocemente con la voce del primo conduttore televisivo che Italia1 ci offre. Stare in silenzio è forse così spaventoso per la paura che abbiamo di restare soli con noi stessi e a quel punto come possiamo fuggire dal confronto che così tanto temiamo con noi stessi?

Nel silenzio prendono vita i nostri pensieri, i dubbi, i sogni, i progetti che possono fare male, dare fastidio, magari perché ce ne vergogniamo o magari perché non corrispondono alle aspettative che gli altri hanno su di noi. La nostra vocina interiore, il nostro grillo parlante ruba la scena nel silenzio e da vita a pensieri nuovi, a nuove sensazioni ed emozioni che non avevamo mai provato e a nuovi lati del nostro io che ancora non avevamo scoperto. Il silenzio aiuta a scavare nel nostro intimo, a prendere consapevolezza delle nostre mancanze e dei nostri errori e cercare di rimediare ad essi. Ci serve per conoscere ed accettare le parti di noi stessi che ancora non sapevamo di avere, ci mostrerà anche ciò che non siamo, ciò che non vogliamo essere e ciò che vorremo essere.

Certo lo stare in silenzio è difficile ma estremamente arricchente.

Dobbiamo trovare il desiderio di stare in silenzio, dedicando questi momenti a noi stessi, a un dialogo interiore che ci permette di intraprendere un percorso di crescita, con lo scopo di diventare persone Vere, impegnate nel fare il bene, nel servizio, al cambiamento e all’aiuto verso il prossimo.

Samuele G. – Genova

buon 5 compleanno #giovanibarnabiti

Buon 5° compleanno www.GiovaniBarnabiti.itè l’occasione per fare il punto della situazione e anche un poco di … silenzio.
Si, di silenzio, perché affinché la parola, le immagini, (il web) acquistino la propria densità, distinguendosi dal mero rumore, è necessario nutrirli del dovuto silenzio.
Quando i nostri “giornalisti” scrivono per voi, e non sono pochi e non sono avventizi, hanno bisogno del dovuto silenzio, altrimenti tutto diventa caos.
Scriveva Romano Guardini (teologo e pensatore del secolo scorso): «La parola è una delle forme fondamentali della vita umana; l’altra forma è il silenzio, ed è un mistero altrettanto grande. (…) Le due cose ne fanno una sola. Parlare significativamente può soltanto colui che può anche tacere, altrimenti sono chiacchiere; tacere significativamente può soltanto colui che può anche parlare, altrimenti è un muto. In tutti e due questi misteri vive l’uomo; la loro unità esprime la sua essenza».
Se abbiamo voluto fortemente questo blog 5 anni fa e continuiamo a sollecitare e “sfruttare” i nostri “giornalisti” è perché siamo ancora convinti che abbiamo bisogno di proseguire a ragionare e riflettere per costruire i sogni che ogni persona, anche la più impensabile, porta in sé.
Sogni semplici e piccoli, sogni complessi e giganti non importa: sogni.
Il sogno di crescere ogni giorno persone che coltivano e alimentano il proprio senso critico per vivere da persone che non amano stare sul balcone a guardare. Certo non è semplice, certo non è scontato né automatico scrivere, pubblicare, farsi leggere, ma si può e si deve fare.
Buon compleanno allora significa ringraziare i Fabio, i Roberto, i Giacomo, i Luigi, le Raffaella, i Alessandro, i Samuele, le Carmen, i Paolo, le Ana-Clara, i Mattia… ma soprattutto tutti voi che ci leggete.
E il regalo? Il regalo quest’anno è la lettera che il nostro padre generale ha scritto ai giovani delle nostre opere e l’intervista collegata. Ma altri ne arriveranno.

Tanti auguri giovanibarnabiti.it!

L’arte della fragilità per Alessandro d’Avenia

Cari amici di GiovaniBarnabiti.it, eccomi con Alessandro D’Avenia, scrittore e uomo di teatro a parlare del suo spettacolo: L’arte d’essere fragili, tratto dall’omonimo libro.

Ciao Alessandro, tu sei uno scrittore e oggi si legge sempre di meno anche perché la pazienza è diminuita negli adulti e nei ragazzi, con quale coraggio e spirito scrive?

Io sono innanzitutto un insegnante, lo scrittore è forse una conseguenza o un completamento di questo mestiere perché mentre nel caso dei ragazzi ascolti persone, nel caso della scrittura ascolti personaggi. Sono due categorie molto delicate che chiedono di esistere un po’ di più.

Qual è il coraggio o la pazienza che ci vuole? Quella di avere un cuore a forma di grembo, in cui dare tempo, il proprio tempo, il proprio spazio, a questi personaggi e a queste persone. Chiaramente con una grossa diversità che nel caso dei personaggi la libertà è limitata, nelle persone ci vuole un rispetto sacrale di questa libertà, in cui mettersi al servizio ma quando appunto abbassi le difese e accogli come in un grembo queste vite, poi accade che queste vite possano, se voglioso, esistere un po’ di più.

Quale scintilla fa scattare la voglia di scrivere?

Mi piace la metafora del fuoco, proprio quando nella vita quotidiana si apre un varco, una ferita, qualcosa che obbliga, costringe a guardare dentro il mistero. Come se per un attimo il senso dell’esistenza che noi andiamo cercando in ogni nostra giornata si manifestasse in una maniera un po’ più piena. Allora si tratta di essere con le orecchie del cuore bene aperte e infilarsi in quella fessura, in quella crepa che si crea e guardarci dentro per sapere come va finire, non so come andranno a finire le storie che racconto, sono curioso di sapere come vanno a finire perché poi è quello che ho da scoprire attraverso quella stessa storia. Credo che ognuno di noi abbia in dono da Dio un alfabeto che è quello dei talenti che serve a dialogare con Lui. Quindi quando insegno o scrivo sostanzialmente entro dialogo con questo mistero.

Aprire il varco e far scattare crea una scintilla in te, ma farla scattare nei lettori non è forse il problema di oggi?

Se sei un cercatore onesto e autentico di verità non accade nulla nel lettore che non sia accaduto a te. Per cui se è il tuo mestiere è solo maniera, i lettori passeranno un buon momento nella lettura ma quella lettura non cambierà o non riconfigura il loro mondo interiore; se invece quello scrivere ha riconfigurato il mio mondo interiore altrettanto accade anche nel lettore. Diceva un poeta che a me piace molto, Giorgio Caproni, che lo scrittore non è diverso dagli altri, è colui che come tutti gli altri vuole scendere nell’abisso, è colui che si mette questa tuta da palombaro e affronta la paura dell’abisso e del buio e quando arriva in fondo trova tutti gli altri. E ha in più la capacità di raccontare l’immersione che ha fatto.

Incontrare gli altri! Nel tuo ultimo lavoro L’arte di essere fragili parli a Giacomo Leopardi adolescente, giovane per parlare ai giovani, partendo dal presupposto che i ragazzi di oggi hanno più bisogno di essere ascoltati, perché portatori di problematiche più gravi, più difficili rispetto al passato. Ma c’erano degli adolescenti nel passato?

Io credo che ogni periodo storico abbia la sua complessità, le sue battaglie, le sue sfide, ma l’uomo nella sua ricerca della verità, del bene, della bellezza rimane sempre lo stesso. Chiunque di noi vada al ristorante pretende un piatto buono, chiunque di noi cerchi un amico pretende un amico sincero, chiunque di noi si innamori si innamora attraverso la bellezza, non credo che questo sia cambiato. Leopardi perché lo racconto e non solo nella sua parte adolescenziale ma come tutto percorso di vita? Perché è uno che nonostante la fragilità della sua vita, guardata dall’esterno è una vita in cui a poco a poco gli è stato tolto quasi tutto, non ha rinunciato alla ricerca di queste tre cose. In particolare la bellezza e la verità che per tutto il tempo lui ha cercato di tenere insieme. Quindi questo è un viaggio che ci riguarda tutti. I giovani sono nell’età dell’apertura massima alla verità e alla bellezza, anche se gli è stato rubato, molto, tutto.

E riusciranno questi giovani ad accorgersi che gli stiamo rubando tutto?

Questo è il gioco della libertà, noi come loro, dobbiamo cercare di fare onestamente questa ricerca, poi sta accadendo per questo racconto teatrale, per questo libro, un po’ sorprendente che vengano mille ragazzi di sera a sentire un professore che parla di Leopardi. La cosa va aldilà delle mie capacità, quindi evidentemente c’è una vita interiore. I ragazzi poi quando sentono che c’è qualcosa che li riguarda, di cui hanno bisogno, accorrono.

Quando termini un libro, o uno spettacolo, cosa succede?

Ringrazio Dio di averlo portato a termine perché tutto quello di bello che c’è nella mia vita non è mio, ma viene dal fatto di essere stato educato in una famiglia che mi ha abituato a questo, a pensare agli altri, a loro devo tutto questo e poi sono stato fortunato perché ho avuto come insegnante di religione nella mia scuola padre Pino Puglisi che quando stavo al quarto anno è stato ucciso dalla mafia, allora lì mi sono detto va be ma tu adesso che fai? Che ci fai di questa vita? Di questo sangue? E li è cambiata la mia prospettiva, dal ristretto giro di cose che pensavo fosse la vita a un aprirsi anche rischiando ai propri sparuti, piccoli talenti.

Ci auguriamo che non sia sempre necessario dover arrivare a un’esperienza forte e drammatica come questa ma che anche attraverso le nostre parole ed i tuoi particolari si possono aiutare altri giovani a scoprire che hanno delle potenzialità, dei talenti, hanno delle opportunità che siano Leopardi o che siano semplici Giovanni, Marco, Gennaro credo che questo sia l’importante.

Se Leopardi non fosse stato convinto, nell’età che hanno questi ragazzi, di avere ricevuto una vocazione come poeta, non avremmo neanche una riga di questo ragazzo confinato alla periferia dello Stato Pontificio all’inizio dell’800. Ciò dimostra che ciascuno di noi anche se sembra che la vita gli tolga molto è qui perché è necessario alla grande polifonia del mondo.

Grazie Alessandro per questi dieci minuti prima del tuo spettacolo.

Grazie perché, dopo lo spettacolo, costatare che per i 100 minuti del tuo monologo non un beh o una mosca siano volati, non uno smartphone abbia suonato è stato la conferma che se sappiamo parlare alle coscienze dei giovani, anche essi sanno vivere il silenzio dell’ascolto e, sicuramente, del lasciarsi mettere in gioco.

Alla prossima, pJgiannic.

Veramente risorto?

Cristo è risorto, è veramente risorto!
Questo il grido che risuona in tutto il mondo oggi!
Ma prima di questo grido un grande silenzio, il grande silenzio di un venerdì e specialmente di un sabato in cui un Dio che si è fatto uomo si è lasciato crocifiggere come un malfattore qualsiasi!
Dal silenzio di quella croce, un grande silenzio della Parola, di Dio, del Sepolcro!
Non si può celebrare e capire la risurrezione se non si passa da questo grande silenzio.
Abbiamo fatto silenzio ieri? Quanto siamo entrati nel mistero di Dio?
La Pasqua non è un sms qualsiasi, un post qualsiasi senza prima e senza dopo: la Pasqua richiede un tempo di preparazione, di preghiera, di silenzio se vuole essere compresa.
La Pasqua porta con se il silenzio e lacrime delle donne, lacrime di disperazione per la perdita di una guida e di un amico, ma specialmente lacrime di purificazione per potere vedere ciò che occhi umani non avevamo mai visto.
Le donne, le lacrime, le corse: gli uomini non sanno piangere e arrivano sempre dopo.
Nessuno comprende: forse che la Scrittura, che Dio hanno fallito?
La Parola che ha parlato nella notte della Creazione, che ha parlato ad Abramo, a Mosè, ai profeti… ha fallito?
Certo in tutti i vangeli della risurrezione si racconta che i discepoli non avevamo capito le Scritture, quindi ciò significa che Dio ha fallito.
D’altra parte come comprendere un fatto inaudito? Che un uomo che si diceva Dio si poteva capire, che un uomo potesse morire in croce si poteva capire, ma che un Dio morisse e risorgesse questo come si poteva capire?
Ed ecco alla vigilia di un nuovo giorno, dopo il sabato, un grido, una domanda, una corsa rompono il silenzio dell’incomprensione.
Il silenzio non ha fallito, il silenzio non è l’ultima parola, la vita nuova è la parola che vince, “Cristo è risorto” è la parola che scalda i cuori; un pane spezzato è il segno della speranza e della rinnovata voglia di vivere.
Ma questa parola, questo annuncio, questa corsa possono ancora scaldare i nostri cuori e i cuori di tanti uomini e donne di oggi? Di fronte alla violenza inaudita di questi giorni; di fronte a tanti mali; ma specialmente di fronte all’indifferenza di tanti nostri amici e conoscenti, di tanti giovani: “Cristo è risorto, è veramente risorto!” è ancora un messaggio che può dire vita, speranza, gioia?
Tutto dipende da quanto noi ci lasciamo toccare e rinnovare da questo vangelo, da questa sempre nuova Pasqua. Noi siamo capaci di adeguarci e ammodernarci in tutto ma di fronte al Vangelo preferiamo le sane tradizioni che non sconvolgono le coscienze, che non chiedono cambiamenti e allora nulla cambierà!
Non abbiamo paura di alimentarci alla Parola di quanti ci annunciano “Cristo è risorto, è veramente risorto!”; non abbiamo paura di alimentarci a questo pane di salvezza e vivere in modo coerente e gioioso; non abbiamo paura di correre a disturbare quanti continuano a vivere nel proprio egoismo, anche a rischio della nostra pelle!
Solo così le lacrime del silenzio del sabato santo si trasformeranno in allegria e vita nuova per tutti: vicini e lontani.
“Cristo è risorto, è veramente risorto!”.
Santa Pasqua a tutti voi.

Le parole del silenzio di Dio

Venerdì santo 2016

C’è un fattore comune e necessario in questo tempo dalle 3 del pomeriggio alle prime luci del giorno dopo il sabato: il silenzio.
“Gesù chinato il capo emise lo spirito” e si fece silenzio su tutta la terra.
Forse non ragioniamo abbastanza su questo silenzio, sul silenzio che la Croce porta con sé, sul silenzio del Sabato santo.
Non ragioniamo e preghiamo abbastanza su questo silenzio anche perché troppo è il rumore che ci circonda, un rumore continuo che vuole zittire la voce del silenzio di Dio, perché ha paura di questo silenzio.
Il silenzio di Dio è importante perché dice quello che le parole non sanno spiegare, nemmeno – in un certo senso – la parola di Dio, forse perché parola comunque scritta da uomini; infatti, anche la parola di Dio tace e non dice nulla del silenzio della morte del Figlio di Dio.
Le parole non sanno spiegare perché questo Dio di Gesù Cristo invece di urlare la rabbia per la morte del Figlio, tace!
A noi invece piace parlare, parlare, parlare quando non serve tacere quando dovremmo parlare.
Ma il silenzio di Dio non è un silenzio sterile, è un silenzio fertile, perché esce dalla bocca di Dio: “chinato il capo consegnò lo spirito”.
Come quando Dio dal silenzio del cosmo spirò nelle narici di Adamo ed Eva dando vita all’umanità; come quando dal silenzio della Croce spirò per ridare vita all’umanità schiacciata dal peccato.
Il silenzio di Dio non è un silenzio sterile, ma un silenzio che dona lo Spirito.
Uno Spirito di vita che entra nelle profondità degli inferi (il Sabato santo) per recuperare alla vita i corpi mortali;
uno spirito di vita che entra nei nostri corpi mortali feriti dal peccato per recuperarli alla vita;
uno spirito di vita che entra nel segreto del sepolcro per risorgere il Figlio di Dio.

In questi drammatici giorni non solo per l’Europa ma per il mondo intero abbiamo bisogno più che di parole di silenzio, un silenzio di preghiera che possa dare luce a chi è morto e vive nella gloria di Dio; un silenzio che possa dare consolazione e speranza ai familiari; un silenzio che possa dare rinnovata coscienza a chi pensa di operare il male in nome di Dio; un silenzio che possa dare a questa Europa individualista e nazionalistica la voglia di abbattere i muri riprendere a camminare e costruire insieme.

Il silenzio

Perché fare silenzio?
Perché ritirarsi 5 giorni in un monastero, nel silenzio?
Perché mai fare silenzio? Perché senza silenzio si impazzisce; perché senza silenzio non si può riconoscere se stessi e la vita stessa.
Non si tratta di esaltare il silenzio sino a pensare che tutto debba tacere;
si tratta di liberarsi dalla schiavitù del rumore che ormai è ovunque in qualunque modo.
In un ristorante di Napoli ho trovato questo cartello: “qui non c’è wifi perché vogliamo che i nostri clienti parlino tra loro”; il continuo rumore di parole, di suoni, di traffico, di musica senza anima, di questa società che arriva ovunque scuote e disturba le nostre persone.
Forse non siamo davvero convinti che tutto questo rumore di fondo che ci accompagna ovunque sia eccessivo e ci faccia male, eppure gli avvertimenti non mancano!
Esagerazione?
Per nascere l’uomo necessità di 9 mesi di silenzio, non un silenzio asettico delle incubatrici o di un utero estraneo a pagamento, ma di un silenzio capace di avere cura, gratuitamente.
Per ascoltare o farsi ascoltare è necessario il reciproco silenzio.
Per fare scelte importanti bisogna avere il giusto tempo di silenzio per la riflessione.
Ma non c’è tempo per fare silenzio! Appunto non c’è tempo e non c’è nemmeno il silenzio.
Ma il silenzio fa paura!
Certo, fa paura a chi non lo conosce, a chi non si conosce.
Ma il silenzio fa soffrire!
Certo, fa soffrire chi non sa soffrire, chi non permette al silenzio di purificarci.
Ma il silenzio rende sordi quelli che non sanno o non vogliono ascoltare.
Dio ha creato il mondo nel silenzio e solo per creare l’uomo e la donna lo ruppe, non per creare chiasso, bensì per avere alcuni pari a Lui con i quali dialogare!
E nella silenziosa notte Dio inviò suo figlio, la parola fatta carne per riprendere il dialogo con l’uomo interrotto dal peccato.
Il silenzio senza la parola non avrebbe senso, ma la parola senza silenzio non si potrebbe capire.
Recuperiamo spazi di silenzio ovunque, per recuperare il benessere nostro e dell’altro.