SUICIDI IN CARCERE

Il tema dei suicidi è molto delicato, sia che si tratti di persone detenute che di persone in libertà. Riguarda la salute mentale e la salute dell’anima.
In questa sede affrontiamo un incremento dei suicidi in carcere e una brevissima riflessione sull’esecuzione delle pene.
Il dato dei suicidi di persone detenute in carcere è il più alto mai registrato nella storia, tanto da attirare attenzione mediatica a livello nazionale su un tema che è sempre stato presente ma poco trattato.
Sicuramente il carcere è un luogo che, per sua natura, chiude, isola e deprime, ma recentemente la situazione, visto anche il collasso del sistema penitenziario italiano, sembra essersi aggravata ulteriormente.
Perché una persona preferisce porre fine alla propria vita piuttosto che scontare una condanna?
Partendo dall’analisi di ciò che è la pena, si potrà evincere la pluralità di funzioni che questa mira, in primis la sicurezza della società, andando a bloccare chi ha commesso reati, in secundis la rieducazione dei condannati e il loro reinserimento sociale.
Queste funzioni sono opposte tra loro e pare che lo Stato non abbia mai davvero trovato un equilibrio.
Come posso proteggere i cittadini dai criminali e allo stesso tempo rendere questi ultimi persone migliori e dedite al rispetto della legge?!
Questa domanda retorica è fondamentale per vedere dall’alto ciò che è l’ordinamento penitenziario, di quanto difficoltoso sia farlo funzionare e di quanta confusione si sia creata in questo settore.
Bisogna accorgersi, infatti, che questa duplice funzione sia un’utopia e non basta scrivere dei bei principi in Costituzione e aspettarsi che la realtà segua la poesia.
È la poesia che descrive la realtà, non viceversa.
L’applicazione pratica del nostro ordinamento penitenziario si traduce in una generale disfunzione dell’apparato sanzionatorio, non solo da un punto di vista strutturale, ma soprattutto da un punto di vista giuridico.
Ad esempio è noto come l’opinione pubblica si lamenti di pene troppo tenui per i criminali, avendo peraltro ben ragione di farlo, poiché il processo ha una struttura volta a favorire l’imputato e ha dei meccanismi che vengono abusati e che portano a una impunità dei reati.
Dall’altro lato non ci si rende conto di quanto invasiva e disturbante possa essere la giustizia penale, di come certe garanzie siano necessarie per proteggere le persone, anche colpevoli, dall’inquisizione statale e, infine, di cosa significhi realmente essere detenuti.
Il carcere ti rende inutile, ti rinchiude in una vita che ti vuole punire ma non ti da speranza.
Basterebbe iniziare a immedesimarsi nei detenuti per rendersi conto, per poter migliorare il sistema e salvare vite.
Il suicidio di un detenuto in carcere non solo è una sconfitta per l’ordinamento, ma è anche una complicità colposa da parte dello Stato.
Eccezioni alla generale regola sono tanti esempi positivi di persone che sono riuscite a migliorare e a rinascere in carcere grazie alla fede che è intervenuta e ha cambiato le loro vite nel momento più buio.

Paolo P. – Pavia

UN RE CON I PIEDI SCALZI

Gesù non era sicuramente un uomo da pantofole!

Non puoi andare a Gerusalemme in pantofole, non puoi percorrere la via della Croce in pantofole. Forse puoi andare a piedi scalzi, ma in pantofole no!

A piedi scalzi certamente camminava Gesù, era un re con i piedi scalzi, forse per questo le folle mettono dei mantelli sulla sua strada, perché la gente semplice spesso sa cosa deve veramente fare.

A piedi scalzi, per questo Maria, la sua amica Maria cosparse di olio di Nardo i piedi di Gesù, piedi stanchi ma non abbastanza; un gesto che poi Gesù proporrà ai discepoli lavando loro i piedi nell’Ultima Cena.

Prima di andare a Gerusalemme Gesù si era fermato dai suoi amici Maria, Marta e Lazzaro per rinfrancarsi, per condividere i progetti e il cammino. Il valore dell’amicizia.

Gesù va a Gerusalemme con una regalità paradossale, è un re sul dorso di un asino, un re verso il quale religione e politica si oppongono, un re che non mischia Cesare e Dio.

È un re che fa semplicemente la volontà di Dio, che gode della fiducia di Dio perché vive della fiducia. E qui dovremmo domandarci se abbiamo e se offriamo fiducia, in chi riponiamo la nostra fiducia.

Quella di Gesù non è una fiducia passiva, ma attiva, che si sa incontrare i più poveri, dimenticati, oppressi e anche se tacessero i discepoli di fronte a ciò, griderebbero le pietre alle folle che cercano risposte; griderebbero le donne sulla strada della Croce, i due ladroni, le donne con Giuseppe d’Arimatea, quelle donne davanti al sepolcro vuoto.

Anche non vogliamo celebrare questa Santa Settimana da protagonisti: troviamo ogni giorno 10 minuti per rileggere e ascoltare la parola di Dio, per ascoltare la storia intorno a noi, non solo quando dice quello che vogliamo.

Anche noi vogliamo compiere piccoli gesti di pace con i quali lavare i piedi scalzi della nsotra umanità, perché solo così si costruisce la Pace.

«Il peccato del mondo – diceva tempo fa il Card. Martini – non deve essere minimizzato, né ridotto a debolezze personali. Il peccato del mondo è un appello a decidere. Chi si spinge in questa lotta al punto di accettare, come Gesù, svantaggi, ingiurie e sofferenza? Il mondo reclama a gran voce giovani coraggiosi… Io mi aspetto il rinnovamento soprattutto dai giovani… A volte i loro gesti di pace sono solo brace su cui dobbiamo soffiare per accendere il fuoco… Consegniamo ai nostri figli un mondo che non sia rovinato. Facciamo sì che siano radicati nella tradizione, soprattutto nella Bibbia. Leggiamo con loro. Abbiamo profonda fiducia in loro. Non dimentichiamo di dare loro anche dei limiti. Impareranno a sopportare difficoltà e ingiurie se per loro la giustizia conta di più di ogni altra cosa.» (Conversazioni notturne a Gerusalemme). Questo significa camminare con i piedi scalzi di Gesù.

Greta, Carola, Olga e tante altre: le ragazze non temono i potenti

L’ultima è stata Olga Misik. Prima di lei Carola Rackete e prima ancora Greta Thunberg. Sarà un caso che sono tutte ragazze? E che siano diventate icone transnazionali dei maggiori dossier della nostra epoca: il clima, l’accoglienza, i diritti? Un modo speciale di fare la rivoluzione, il loro, che passa attraverso l’imposizione di un’energia nuova, dove prevale una forma tutta femminile di aggressività: la difesa. Si tratti di difendere l’ambiente da politiche senza futuro, i rifugiati da chi non riconosce il loro diritto alla dignità, o la libertà di espressione dalla violenza della dittatura, il messaggio lanciato ai potenti da queste ragazze è lo stesso: siamo qui per difendere ciò che ci è stato affidato. C’è anche una bellezza speciale nel modo che hanno di condurre le battaglie: Greta e il suo cartello sotto la pioggia, Carola con la stralunata fierezza da capitana di un vascello di sventurati, Olga a gambe incrociate che legge la Costituzione a voce alta come fosse un gioco di ruolo.

Si sono scelte inoltre degli avversari di peso: Trump e i potenti della Terra, la leadership sovranista di Matteo Salvini, il presidente russo Vladimir Putin. E li hanno affrontati con i codici della civilizzazione di cui sono figlie – le parole, i gesti belli – mostrando non soltanto di avere un indiscutibile coraggio personale, ma anche di incarnare la forza di una collettività che malgrado tutto ha trasmesso loro la libertà, se non come dato acquisito, almeno come possibilità da conquistare. Non stupisce che siano state coperte di insulti, sbeffeggiate, diversamente umiliate; stupisce piuttosto che resistano, che continuino, che non si mettano paura.

Guardandole in azione si guarda già un’epoca nuova, come se il tempo della muscolarità, ma anche del progresso tecnico che ha segnato il Novecento si fosse esaurito, e fosse cominciato un tempo in cui è più importante conservare, riparare, distribuire che non produrre all’infinito, sfruttare al massimo le risorse, concentrare il potere e le ricchezze. Per farlo c’è bisogno di dialettica, della forza che viene dalla persuasione (i greci avevano un culto speciale per Peitho, la dea della persuasione, considerata l’anima della vita pubblica, sempre in opposizione alla violenza), la stessa che abbiamo sentito nei discorsi di Greta Thunberg, Carola Rackete, Olga Misik. La loro storia di ragazze occidentali (sì, anche Olga è un prodotto della grande cultura occidentale) è già di involontario esempio – o forse si tratta di un irresistibile contagio – per altre latitudini del mondo: ci sono le ragazze iraniane che sfidano il regime degli ayatollah togliendosi il velo e postando le immagini sul web, c’è Alaa Salah, la giovane sudanese che guida la rivolta contro il presidente Omar al-Bashir, e c’è stata Malala, un esempio per tutte le ragazzine che sceglievano l’istruzione, “whatever it takes”. Il fatto nuovo, che le accomuna tutte, è una diversa energia nell’interpretazione dei diritti, a dimostrazione che l’emancipazione raggiunta fino a oggi mette in circolo forze che non sembrava si sarebbero facilmente liberate. È una fortuna che il loro mondo sia anche il nostro.

Le ceneri della giustizia

Praticare la giustizia.
Con questa affermazione comincia il vangelo del mercoledì delle ceneri 2018.
La giustizia sono le “opere buone” per ristabilire il bene tra le persone, in se stessi, per essere graditi a Dio.
Il tempo della quaresima è il tempo per ristabilire la giustizia di Dio, la giustizia tra Lui e l’uomo, tra l’uomo e l’uomo, tra l’uomo e gli uomini e le donne.
Questa giustizia passa attraverso l’austero segno delle ceneri imposte sul nostro capo, non solo per dirci che siamo cenere, ma specialmente per dirci che il nostro peccato in forza della giustizia di Dio diverrà come cenere e come cenere andrà disperso.
La giustizia di Dio, perché possa operare, richiede che noi “ascoltiamo il Vangelo e cambiamo vita”: che diventiamo giusti.
Per ascoltare il Vangelo bisogna fare silenzio, pregare!
Fare silenzio richiede il digiuno, digiuno del mangiare prima di tutto, ma anche della nostra mentalità, del nostro esclusivo proprio modo di pensare, di non saper rinunciare a nulla.
Si prega, si fa digiuno per cambiare vita, per meglio operare il bene, cioè l’elemosina, la carità.
Avremo tempo per riflettere su quale preghiera, su quale digiuno, su quale carità… per ora il mercoledì delle ceneri ci chiama a impegnarci in questo cammino di Quaresima: Dio si impegna con noi attraverso il segno delle Ceneri, noi ci impegniamo con Lui?
Impegnarci a essere ambasciatori di Cristo… suoi collaboratori! Questo chiede Dio nella seconda lettura (2Cor 5,20-6,2).
Preghiera, elemosina, digiuno sono gli strumenti per verificare, per crescere in questa identità di ambasciatore per rendere credibile la vocazione cui siamo chiamati: noi siamo chiamati ad affrontare il peccato, a renderlo come cenere, ma anche a collaborare con Dio in questa impresa.
Ambasciatori per chi? In particolare per i più giovani, per le nuove generazioni. I giovani hanno bisogno di testimoni credibili, di persone coerenti. Hanno ancora sete di Dio, ma più ancora di testimoni di Dio che sappiano ri-raccontare loro la proposta di Dio.
Chiediamo che questo austero rito delle Ceneri ci permetta di rinnovare la nostra esperienza di Dio perché possa meglio diventare anche la verità per le nuove generazioni.
Questa è la giustizia che ci è chiesto di praticare.

Santo Natale 2015

È notte, anche se è giorno il momento in cui celebriamo questa messa, è comunque notte, perché il Natale rimanda alla notte, al buio, alle stelle, al silenzio.
La notte richiama il tempo che scorre, l’ignoto e il bisogno di senso;
le stelle il cosmo, l’universo intero con i suoi misteri, la sua scienza, le sue misure;
gli angeli, i messaggeri straordinari di Dio che appaiono quando c’è qualche cosa di veramente importante ed eccezionale;
poi ci sono i pastori, sporchi, ignoranti, non adatti ad ascoltare la parola di Dio;
e il silenzio, come nella notte dei tempi, quando Dio creò Adamo ed Eva.
Ma non mancano i potenti, la città con le sue frenesie – un poco come le code di macchine e ai supermercati di questi giorni –, per una volta di giorno, alla luce del sole, quasi che la bibbia volesse dire che l’iniquità, le ingiustizie non possono più essere nascoste.
In tutto questo quadro così essenziale, ma così preciso, un uomo e una donna obbediscono alla sete di potere di Augusto che voleva contare il suo popolo, ma non l’imperatore e i suoi ministri, bensì Dio prende per mano Maria e Giuseppe e li conduce nel luogo dove nascerà il loro primogenito che sarà chiamato Gesù, il Salvatore; Emmanuele, Dio-con-noi!
Non l’imperatore, ma Gesù è il Salvatore; non un tempo vuoto, ma un tempo pieno, Dio-con-noi!
(Quando penso a molte di voi, donne e nonne di questa terra, a molte di voi affaticate, schiacciate da situazioni difficili, da lavori pesanti, da potenti che vi rendono schiavi; quando vedo la vostra fede, capisco cosa significhi Gesù è il Salvatore, Emmanuele Dio-con-noi!).
Certo oggi l’uomo è più maturo, più autonomo, più libero, non ha bisogno di Dio e anche molti cristiani vivono con un Dio che non si chiama più Emmanuele, Dio-con-noi; quanti cristiani atei ci sono.
Eppure Dio sceglie oggi di nascere con questo uomo non per togliergli l’autonomia, bensì per dire che da Natale non è più solo; non per togliergli la libertà, ma per insegnargli la libertà; non per renderlo schiavo, bisognoso, ma per fargli capire che Dio ha “bisogno” dell’uomo per annunciare a tutto l’universo la giustizia, la pace, la misericordia e la verità.
E non ha bisogno dei potenti, dell’imperatore, Dio ha bisogno di due sconosciuti, Giuseppe e Maria per farsi uomo, Dio-con-noi; Dio ha bisogno dei pastori, sì di questi uomini ignoranti, sporchi, che non avevano il diritto di ascoltare la parola di Dio; Dio ha bisogno di questi pastori per annunciare la gioia della salvezza: la pace, la giustizia, la misericordia, la verità.
E qui vorrei pregare per tutte quelle persone, quelle donne – anche qui a San Felice – che lottano per la pace, per la giustizia, per la misericordia, per la verità.
Dio non ha avuto paura a farsi uomo per noi, noi non abbiamo paura a celebrare la giustizia, la pace, la misericordia, la verità!
Dio non si è chiuso nel suo cielo, ma è sceso tra noi, tra la nostra povertà, o tra le nostre ricchezze.
Vorrei chiedervi un regalo per questo Natale: aprite un poco le porte delle vostre case all’altro; preoccupatevi un poco di più e meglio di quanto accade intorno a voi; fate anche solo un piccolo gesto per qualcuno che forse non se lo merita, ma chi di noi si merita la misericordia di Dio?; fate sì che le vostre preghiere, le vostre messe non siano solo delle belle parole – come quelle dei potenti – ma diventino lievito di pace e di giustizia.
A Natale Dio si è fatto Dio-con-noi perché anche noi, a nostra volta, diventiamo di più portatori di gioia e di salvezza tra gli uomini tutti che Dio ama. Ma non portatori per finta, perché Dio non si è fatto uomo per finta, si è fatto uomo davvero sino alla morte! Alla morte per noi!
Santo Natale a tutti voi.