L’Europa chiama Firenze e il suo rinascimento

Intervista al sindaco di Firenze Dario Nardella, 1 giugno 2021.

«Florence is the city of Renaissance. The place where it all started: a new beginning of arts and science,
after the great plague of the late Middle Ages. And from Florence, the spirit of the Renaissance spread to
the rest of Europe, too.
La storia d’Europa è una storia di Rinascimenti. Europe is a story of new beginnings. After every crisis came
a European Renaissance. And this is what Europe needs in our day and age. This is our responsibility: to end
the pandemic and to shape a new beginning for Europe. Europe is able to overcome crises and to deliver
for the future of its citizens.»
Queste parole della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Layen, dette per la giornata
dell’Europa 2021, parole che hanno messo in gioco l’Italia e Firenze non potevano lasciare noi giovani
fiorentini indifferenti. Da queste parole di un discorso interessante e ricco di spunti per pensare il futuro è
nata la domanda: cosa è per noi un Rinascimento? Che senso ha essere chiamati in causa “in prima
persona” riguardo il futuro dell’Europa dopo questa crisi pandemica (non ancora finita)? Ma a conclusione
del proprio discorso la sig.a Von Der Layen dirà anche:
«A few kilometres from Florence, there is a small village called Barbiana. On a hill in Barbiana, there is a
small countryside school. Back in the 1960s, a young teacher, Don Lorenzo Milani, wrote two simple words,
in English, on a wall in that school: ‘I care’. He told his students that those were the two most important
words they needed to learn: ‘I care’. ‘I care’ means I take responsibility. And this year, millions of Europeans
said ‘I care’ with their actions.»
Se il Rinascimento richiama la dimensione “laica”, umanistica della nostra storia e società, il richiamo a don
Milani, rimanda alla nostra dimensione religiosa e cristiana.
Per iniziare la nostra riflessione abbiamo pensato di interpellare due persone significative di Firenze, il
sindaco, sig., Dario Nardella e l’arcivescovo, il card. Giuseppe Betori.
Ricevuti nello splendido e storico studio del sindaco presso palazzo Vecchio chiediamo subito al sindaco:

  1. Cosa pensa, in quanto primo cittadino, dell’elogio della nostra città pronunciato dalla presidente
    della commissione Europea e come può Firenze realmente impegnarsi?
    La citazione mi ha colpito molto, ed ho anche avuto modo di parlare e ringraziare personalmente Ursula
    von der Leyen circa una settimana dopo al Social Summit di Porto. Ho capito che conosceva davvero Firenze
    e Don Milani con i suoi scritti, e mi sono reso conto ancora una volta di quanto Firenze sia una radice
    profonda dell’identità europea. Credo che sia importante per la nostra città mantenere uno sguardo ampio
    sull’Europa e sul Mondo. Firenze incarna i valori più alti del pensiero umano (è stata la prima città dove è
    stata abolita la pena di morte) ed è stato il luogo dove è avvenuto un cambiamento radicale del modo di
    creare e pensare dell’uomo. Tutt’oggi Firenze ha la missione di continuare a mantenere questo spirito che
    le ha permesso di avere un ruolo centrale nei momenti di svolta dell’umanità.
  2. E qual è il livello di consapevolezza che i fiorentini hanno riguardo a questa “missione”?
    Credo che non sempre noi fiorentini abbiamo una piena consapevolezza di questo compito. Spesso ci
    fregiamo della nostra storia in modo superficiale, come un cliché. I fiorentini sono orgogliosi di sentirsi tali
    ma spesso questo orgoglio non è supportato da una profonda consapevolezza.
  3. Potrebbe esistere un modo per incrementare questa consapevolezza concretamente?

Credo che ci siano due modi: il primo, come già tentò di fare Giorgio la Pira, è aprire Firenze al dialogo
globale sui grandi temi come la pace, l’integrazione, la lotta al cambiamento climatico; il secondo è puntare
sui giovani affrontando argomenti un po’ desueti e trattando grandi questioni, per ritrovare quali sono
quelle cose per cui vale veramente la pena di spendere la vita. Questo significa anche andare
controcorrente e sposare battaglie impopolari. Dovremmo imparare a vedere i giovani non come categoria
ma come persone, come coloro che hanno in mano il futuro. Siamo abituati a impartire loro ordini, a dire
cosa devono fare, come devono vivere, e spesso non abbiamo l’umiltà di ascoltarli e chiedere il loro punto
di vista, magari più innovativo e controcorrente.

  1. Dovremmo recuperare una sorta di “sentire europeo” che non significa appiattire tutte le culture,
    ma aiutare a capire che la propria identità è una ricchezza per tutti in vista di una maggiore
    inclusione?
    Dobbiamo lavorare senza dubbio per un’Europa più forte. Finora abbiamo costruito l’Europa delle
    istituzioni, l’Europa finanziaria. Manca ancora la parte sostanziale; l’Europa dei diritti sociali, e la strada da
    fare è ancora tanta. Credo che il prossimo incontro dei sindaci delle grandi città europee a Firenze potrà
    proprio essere una occasione per approfondire e migliorare questo aspetto politico, nel senso più alto
    termine.
    Grazie a lei di questo scambio di idee che per noi giovani è di sprone per guardare con occhio migliore al
    futuro.

IL DOLORE

Da sempre il dolore e la sofferenza fanno parte della vita umana come da sempre si cerca di attenuarli ed
eliminarli o, addirittura, di nasconderli e ghettizzarli; sono vissuti prevalentemente in solitudine, nascosti o
ignorati, mentre prevale l’idea di un benessere e di un progresso diffuso, ottimistico, in continua espansione,
inarrestabile.
Anche le grandi tragedie collettive derivanti da fame, sete, malattie, guerre, schiavitù, che colpiscono tante
popolazioni e generano veri e proprie stragi e esodi di massa, sono appena accennate e chi cerca rifugio
fuggendo è sfruttato e assimilato a un nemico delle nostre società.
Ma è arrivata la pandemia spiazzando tutte le società opulente, organizzate, tecnologicamente evolute: il
cigno nero si è manifestato portando malattia, morte, disarticolazione sociale, blocco dei movimenti,
chiusure di tutte le attività. Gli ospedali sono diventati sempre più affollati, le terapie intensive incapaci di
sostenere le richieste, le prime cure sono state approssimative e forse ancora oggi, nonostante i vaccini, non
se ne trovano di definitive.
Quasi ovunque il dolore e la sofferenza si sono manifestati pubblicamente con la loro tragica evidenza, basti
solo ricordare i morti trasportati con camion militari, la solitudine forzata di tanti anziani e fragili,
eliminazione di gesti ormai naturali quali darsi la mano o abbracciarsi, interi settori dell’economia e del
lavoro pesantemente danneggiati.
Tutto questo ha generato lutti, dolori e sofferenze di vario tipo.
Inoltre, la pandemia, come dice la parola, si manifesta in un contesto mondiale dove tutto si lega e
interagisce, ma nel quale i paesi ricchi sono ben divisi da quelli poveri: da una parte vaccino, ospedali,
medicine e operatori sanitari efficienti, dall’altra scarsità di tutto.
In questo contesto si sono poste varie domande: da dove viene questo virus, è giusto isolare le persone, come
organizzare gli ospedali, quali sono le terapie più efficaci, quale politica economica intraprendere per
riorganizzare il tutto? i vaccini scoperti sono efficaci? Hanno degli effetti indesiderati?
A monte di tutto questo c’è una domanda non chiaramente espressa, confusa ma molto pressante: perché
tutto questo? Come interpretarlo e reagire? Come inserirlo nelle possibilità della nostra vita insieme alle
varie altre situazioni reali di sofferenza e dolore nascoste, ghettizzate, ignorate? Cosa possiamo fare per chi è
fragile, solo, in zone colpite da altre pandemie sociali, economiche, da guerre o schiavitù?
La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha parlato della necessità di un
“rinascimento” dopo la Covid-19, dopo questa pandemia ancora in corso. Ha parlato del modo in cui l’Italia
ha affrontato, sta affrontando questo dramma riferendosi al Rinascimento italiano non solo per Firenze e
l’Italia ma per tutta l’Europa. Ha invitato tutti gli europei a “I-care”, a prendersi cura dell’Europa, in questa
situazione nella quale non possiamo ripartire come se nulla fosse accaduto o dal punto in cui siamo stati
fermati. Però non siamo chiamati a un semplice, scontato ripartire, ma a pensare come creare uno o più nuovi
percorsi di rinascita.
Senza volere qui entrare nella analisi storica del Rinascimento, rinascere oggi nel 2021 è capacità di trovare
le parole nuove e adatte per dire il dolore che abbiamo visto, in alcuni casi negato ma percepito, conosciuto,
sofferto, nei suoi diversi modi.
Le parole si possono inventare, ma non senza un contesto, si possono cercare, si devono trovare per
affrontare il proseguire dei giorni.
Il contesto, riferito agli effetti diretti del virus, è quello di un dolore reale che però ha creato una sofferenza
impercettibile, impercettibile perché dovutamente nascosta. Infatti, questa pandemia per essere curata ha
richiesto l’isolamento, il “nascondimento” degli infetti e anche di quanti sono morti.
Ma anche coloro che sono guariti dall’infezione devono ancora fare i conti con strascichi fisici e psichici che
apparentemente non si vedono. Quindi, sotto questo aspetto, il contesto è proprio il dolore della fatica di dire
la propria sofferenza.
Sembra quasi che questa malattia abbia realizzato quanto si è domandato il filosofo Byung- Chul Han:
“Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite”, nel suo saggio La società senza dolore. Sembra
quasi che la paura del dolore che la nostra società occidentale porta con sé, dalla paura del nascere alla paura
del morire (per riferirci solo ai due poli dell’esistere) abbia trovato nella Covid19 il suo naturale e giusto
epilogo.

Potremmo accettare questa tesi e sarebbe molto comodo per poter tornare a vivere con normalità, ma non
sarebbe corretto; è veramente necessaria una genesi e un’ermeneutica del dolore per ripartire non da dove
siamo stati fermati, ma da dove stiamo cercando di riprendere a camminare.
Per questo stiamo tentando, nel vero senso della parola, un percorso che a partire dal discorso della sig.a Von
der Leyen, attraverso i contributi del sindaco e del cardinale di Firenze, con il prezioso apporto del dott.
Adriano Peris, responsabile del reparto infettivi dell’Ospedale di Careggi, passando dai miei confratelli
Barnabiti e dai giovani che si incontrano per le strade delle nostre città, possa aiutarci ad affrontare con
dovizia “scientifica” questo cambiamento di epoca che la pandemia ha ancora di più accentuato,
conducendoci ad un vero Rinascimento dell’uomo nella sua integrale personalità.
Pubblicheremo il lunedì e venerdì questo materiale sperando di riuscire a creare un poco di dibattito.
p. Giannicola M. Simone e GiovaniBarnabiti.it

VOLONTARI A RAPPORTO

Dopo svariati incontri telematici, finalmente sabato 6 novembre c’è stato un incontro fisico! continuato fino a domenica 7 dei volontari zaccariani. C’è stato un po’ di imbarazzo e problemi tecnici perché non si era più abituati a presenziare: alcuni sono arrivati in ritardo, ad altri mancavano le pause caffè e poi anche il problema delle sedie, che erano meno dei partecipanti! Tutti normali problemi tecnici di quando si organizza un evento dal vivo e non più online.
Ci siamo ritrovati a Milano, intorno alla tomba di SAMZ per significare anche la novità della neonata unica Provincia Italiana dei padri Barnabiti e chiedere al Fondatore aiuto e illuminazione.
L’argomento principale è stato il Qender Agorà Padri Barnabiti, conosciuto anche come BarnabitiAPS. Il ramo sociale e associativo della congregazione dei Padri Barnabiti è il primo gruppo informale di volontari zaccariani nato nel 2008 per realizzare, insieme ai padri Barnabiti della comunità albanese di Milot, il kampi veror (campo estivo). La funzione svolta da questa APS è quella di lottare contro alcune forme di povertà con attività di tipo socioculturale, relazionale nonché educativa ed economica. In particolare obiettivo di questi campus è quello di portare gioia e allegria ai bambini albanesi attraverso settimane vissute dai volontari con un forte senso di responsabilità e di crescita sia umana che spirituale. In questi 13 anni, il gruppo è cresciuto sempre di più tanto da tessere una rete umana di solidarietà tra amici e volontari di tutta Italia. Con il loro prezioso aiuto, i padri Barnabiti hanno potuto sperimentare nuove idee e creare missioni innovative nei Paesi in Via di Sviluppo.
Per iniziare padre Fabien, padre Giannicola e padre Graziano (collegato telematicamente dall’Albania), ci hanno fatto scrivere il motivo della nostra presenza. Un punto comune a tutti i partecipanti “volontariato zaccariano”, quindi da lì abbiamo iniziato a ragionare e discutere. Il volontario zaccariano si pone come obiettivo quello di creare un ponte tra tutte le comunità barnabitiche sostenendo valori interculturali, di volontariato e di solidarietà. Altro obiettivo del volontariato è sicuramente riuscire a organizzare campi di animazioni, settimane spirituali e viaggi culturali e di conseguenza anche formare volontari al servizio della comunità promuovendo il lavoro di apostolato.
Dalla discussione che è stata buona e accesa è emersa specialmente la richiesta ai padri di avere un incontro con più Barnabiti per comprendere meglio cosa si intenda oggi per identità zaccariana dei giovani e dei volontari zaccariani. Il tempo attuale, la fatica di credere, l’affetto per i barnabiti tra i quali siamo cresciuti non possono procrastinare questa riflessione.
Ma intanto ci siamo fermati perché il tempo del pranzo era arrivato e la comunità dei padri dello Zaccaria ci attendeva.
Il pomeriggio, come da tradizione ci siamo incamminati verso l’immagine della Madonna della Divina Provvidenza esposta nella nostra chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia per pregare il rosario in preparazione della sua festa.
Qui abbiamo incontrato un altro Barnabita: Padre Enrico, persona molto umile e accogliente da poco trasferito da poco da Lodi; con padre Giannicola, ci ha spiegato un po’ la storia della chiesa, delle opere del Procaccini, dell’altare e del pulpito incastonato con numerose pietre multicolore provenienti dalle nostre missioni in Indocina nel XVII secolo. Quindi la preghiera del Rosario in cui abbiamo chiesto a Maria forza, temperanza e creatività per le nostre vite e per il nostro impegno.
Nel secondo pomeriggio abbiamo continuato il lavoro associativo, letto il bilancio dello scorso anno, analizzato un po’ gli obiettivi per il prossimo esercizio: in primis aumentare il fondo 5×1000 e in secundis ritornare a svolgere attività nei Paesi in Via di Sviluppo.
La giornata si è conclusa con la cena insieme alla comunità.
Domenica mattina con un puntuale ritardo abbiamo ripreso i lavori focalizzandoci in particolare sull’organizzazione del progetto “Un tetto per FushMilot”, che dovrà realizzare non solo quanto richiesto dal Capitolo Provinciale dei padri Barnabiti lo scorso luglio, ma anche una prima collaborazione missionaria comune tra le due exprovince barnabitiche.
Infine, ci siamo radunati intorno all’altare, sulla tomba del Fondatore, per la celebrazione eucaristica presieduta da p. Fabien che ci ha esortati donare tutto noi stessi e non solo il superfluo, come la vedova del Vangelo.
Al termine del pranzo si rientra nelle proprie case con l’impegno di realizzare il progetto “Un tetto per FushMilot”.
Buon lavoro.
Marco Ciniero, Milano