La scienza della felicità

La radio è sempre viva. Radio3 Rai ancora di più con Fahrenheit, programma condotto da Loredana Lipperini che ultimamente ha parlato nientemeno che di felicità con Susanna Tamaro e Stefano Zamagni (questi emeriti per voi sconosciuti tra poco si riveleranno in tutte le proprie potenzialità).
La scrittrice racconta di come è stato difficile iniziare un’attività con il fine di creare nuovi posti di lavoro, soprattutto perché il problema non risiedeva nell’incompetenza o nell’inadeguatezza delle persone. Tutt’altro. Ciò che rendeva impossibile essere competitivi e addirittura affrontare le piccole incombenze quotidiane era il senso di impotenza difronte al “mostro” della burocrazia. Anche se certamente negli ultimi anni l’Italia ha dato segno di volersi rialzare dalla devastante crisi finanziaria del 2008, solamente le grandi industrie stanno registrando un reale progresso. Di fatto, le piccole aziende famigliari, una realtà molto diffusa in Italia, se non addirittura prevalente nel nostro territorio, vengono sommerse e paralizzate dai vincoli burocratici. Ogni piccola entità, con una limitata disponibilità di risorse, perde tempo cercando di capire, interpretare e uscire dalle valanghe burocratiche di un sistema malato. Sono, dunque, l’immobilismo, l’impotenza e i tecnicismi esagerati che ci conducono verso la via più diretta per l’infelicità.
L’economista Stefano Zamagni, invece, ha espresso la sua personale opinione riguardo al Rapporto Mondiale sulla Felicità, pubblicato per la prima volta nel 2012 e la cui quarta e ultima edizione è stata presentata lo scorso 20 marzo 2016 alla Banca d’Italia. In questo Rapporto l’Italia si troverebbe al cinquantesimo posto nella classifica dei paesi “felici”. Esperti mondiali di economia, psicologia, statistica, sanità, politica e non solo descrivono come i dati relativi al benessere possano aiutare a valutare efficacemente il progresso delle nazioni e classificare 156 paesi in base al loro livello di felicità. Zamagni, come il docente LUMSA Luigino Bruni, sostiene che l’Italia è la patria della felicità, perché mentre nel 1700 in Inghilterra l’economia nasceva come scienza della ricchezza, in Italia prendeva il nome di scienza della pubblica felicità. Nel mondo anglosassone felicità è sinonimo di utilità, come ben insegna il modello tayloristico del 1911. Il mondo latino, al contrario, ritrova la felicità nei rapporti interpersonali: non si può essere felici da soli, perché la felicità è una forma alta di bene comune.
Quando sono stati stabiliti internazionalmente i parametri per lo studio empirico della felicità, noi italiani non siamo riusciti a imporre i nostri indici e sono prevalsi quelli britannici. Termini validi, ma non sufficienti per descrivere esaustivamente i nostri valori. L’economista sostiene che misure prettamente legate al reddito, come quelle attualmente in uso, possono nascondere i fattori di estremo stress e ansia di competizione legati a una società che vive per produrre. Inoltre, la vita all’interno delle scuole e le università non si basa più sulla cooperazione, ma su una competizione sfrenata, un individualismo totale. Certamente la produttività aumenta, ma di pari passo la felicità diminuisce. Stefano Zamagni rimane, però, ottimista e crede che la gente stia cominciando a distinguere l’utilità dalla felicità.
La mancanza di quest’ultima ostacola, inoltre, la creatività e dunque il processo d’innovazione, la componente essenziale del vantaggio competitivo tra le aziende. Proprio per questo, gli americani si sono già dati da fare, ma non solo loro. Il nuovo welfare aziendale è un programma che prevede un orario lavorativo compatibile con la vita familiare; è già presente in un discreto numero di imprese italiane e punta a promuovere una definizione di felicità non più basata sul singolo, ma sulla presa coscienza dell’importanza della comunità.
Mai quanto oggi è indispensabile (ri)trovare la felicità e la fiducia in una comunità, che è tenuta e deve impegnarsi a promuovere il bene comune e a lottare contro l’egoismo, l’odio, la diffidenza e la violenza in ogni sua forma. Sulla scia di Tamaro e Zamagni in questo anno della misericordia forse dobbiamo aggiungere una nuova opera corporale e spirituale coltivare e realizzare la felicità.

Giorgia Lombardini

Veramente risorto?

Cristo è risorto, è veramente risorto!
Questo il grido che risuona in tutto il mondo oggi!
Ma prima di questo grido un grande silenzio, il grande silenzio di un venerdì e specialmente di un sabato in cui un Dio che si è fatto uomo si è lasciato crocifiggere come un malfattore qualsiasi!
Dal silenzio di quella croce, un grande silenzio della Parola, di Dio, del Sepolcro!
Non si può celebrare e capire la risurrezione se non si passa da questo grande silenzio.
Abbiamo fatto silenzio ieri? Quanto siamo entrati nel mistero di Dio?
La Pasqua non è un sms qualsiasi, un post qualsiasi senza prima e senza dopo: la Pasqua richiede un tempo di preparazione, di preghiera, di silenzio se vuole essere compresa.
La Pasqua porta con se il silenzio e lacrime delle donne, lacrime di disperazione per la perdita di una guida e di un amico, ma specialmente lacrime di purificazione per potere vedere ciò che occhi umani non avevamo mai visto.
Le donne, le lacrime, le corse: gli uomini non sanno piangere e arrivano sempre dopo.
Nessuno comprende: forse che la Scrittura, che Dio hanno fallito?
La Parola che ha parlato nella notte della Creazione, che ha parlato ad Abramo, a Mosè, ai profeti… ha fallito?
Certo in tutti i vangeli della risurrezione si racconta che i discepoli non avevamo capito le Scritture, quindi ciò significa che Dio ha fallito.
D’altra parte come comprendere un fatto inaudito? Che un uomo che si diceva Dio si poteva capire, che un uomo potesse morire in croce si poteva capire, ma che un Dio morisse e risorgesse questo come si poteva capire?
Ed ecco alla vigilia di un nuovo giorno, dopo il sabato, un grido, una domanda, una corsa rompono il silenzio dell’incomprensione.
Il silenzio non ha fallito, il silenzio non è l’ultima parola, la vita nuova è la parola che vince, “Cristo è risorto” è la parola che scalda i cuori; un pane spezzato è il segno della speranza e della rinnovata voglia di vivere.
Ma questa parola, questo annuncio, questa corsa possono ancora scaldare i nostri cuori e i cuori di tanti uomini e donne di oggi? Di fronte alla violenza inaudita di questi giorni; di fronte a tanti mali; ma specialmente di fronte all’indifferenza di tanti nostri amici e conoscenti, di tanti giovani: “Cristo è risorto, è veramente risorto!” è ancora un messaggio che può dire vita, speranza, gioia?
Tutto dipende da quanto noi ci lasciamo toccare e rinnovare da questo vangelo, da questa sempre nuova Pasqua. Noi siamo capaci di adeguarci e ammodernarci in tutto ma di fronte al Vangelo preferiamo le sane tradizioni che non sconvolgono le coscienze, che non chiedono cambiamenti e allora nulla cambierà!
Non abbiamo paura di alimentarci alla Parola di quanti ci annunciano “Cristo è risorto, è veramente risorto!”; non abbiamo paura di alimentarci a questo pane di salvezza e vivere in modo coerente e gioioso; non abbiamo paura di correre a disturbare quanti continuano a vivere nel proprio egoismo, anche a rischio della nostra pelle!
Solo così le lacrime del silenzio del sabato santo si trasformeranno in allegria e vita nuova per tutti: vicini e lontani.
“Cristo è risorto, è veramente risorto!”.
Santa Pasqua a tutti voi.

Le parole del silenzio di Dio

Venerdì santo 2016

C’è un fattore comune e necessario in questo tempo dalle 3 del pomeriggio alle prime luci del giorno dopo il sabato: il silenzio.
“Gesù chinato il capo emise lo spirito” e si fece silenzio su tutta la terra.
Forse non ragioniamo abbastanza su questo silenzio, sul silenzio che la Croce porta con sé, sul silenzio del Sabato santo.
Non ragioniamo e preghiamo abbastanza su questo silenzio anche perché troppo è il rumore che ci circonda, un rumore continuo che vuole zittire la voce del silenzio di Dio, perché ha paura di questo silenzio.
Il silenzio di Dio è importante perché dice quello che le parole non sanno spiegare, nemmeno – in un certo senso – la parola di Dio, forse perché parola comunque scritta da uomini; infatti, anche la parola di Dio tace e non dice nulla del silenzio della morte del Figlio di Dio.
Le parole non sanno spiegare perché questo Dio di Gesù Cristo invece di urlare la rabbia per la morte del Figlio, tace!
A noi invece piace parlare, parlare, parlare quando non serve tacere quando dovremmo parlare.
Ma il silenzio di Dio non è un silenzio sterile, è un silenzio fertile, perché esce dalla bocca di Dio: “chinato il capo consegnò lo spirito”.
Come quando Dio dal silenzio del cosmo spirò nelle narici di Adamo ed Eva dando vita all’umanità; come quando dal silenzio della Croce spirò per ridare vita all’umanità schiacciata dal peccato.
Il silenzio di Dio non è un silenzio sterile, ma un silenzio che dona lo Spirito.
Uno Spirito di vita che entra nelle profondità degli inferi (il Sabato santo) per recuperare alla vita i corpi mortali;
uno spirito di vita che entra nei nostri corpi mortali feriti dal peccato per recuperarli alla vita;
uno spirito di vita che entra nel segreto del sepolcro per risorgere il Figlio di Dio.

In questi drammatici giorni non solo per l’Europa ma per il mondo intero abbiamo bisogno più che di parole di silenzio, un silenzio di preghiera che possa dare luce a chi è morto e vive nella gloria di Dio; un silenzio che possa dare consolazione e speranza ai familiari; un silenzio che possa dare rinnovata coscienza a chi pensa di operare il male in nome di Dio; un silenzio che possa dare a questa Europa individualista e nazionalistica la voglia di abbattere i muri riprendere a camminare e costruire insieme.

La settimana della scommessa!

Oggi comincia la settimana santa, per molti una settimana come le altre, per i cristiani la settimana delle settimane! La settimana della scommessa!
Questa è la settimana nella quale si gioca tutta la nostra storia personale e di Chiesa, è la settimana in cui giochiamo le sorti del mondo, non perché spariamo fuochi d’artificio o compiamo atti spettacolari, bensì perché – se vogliamo essere veri – rimettiamo in gioco noi stessi.
Ci rimettiamo in gioco non perché siamo sballati, ma perché sappiamo che il mistero dell’iniquità, il male come leone ruggente sta in agguato e ci depista, perché invidioso di noi, della nostra fede, per quanto semplice e piccola.
Non so se i mali di oggi siano maggiori dei mali di ieri, so che i mali di oggi fanno male e sono insidiosi: non sembrano male!
L’egoismo di un Occidente che dopo avere depredato l’universo oggi chiude le sue frontiere;
l’egoismo di un Occidente senza più figli e senza più padri, specialmente senza più padri;
il rischio dell’individualismo e dell’indifferenza anche tra molti noi cristiani;
il pericolo del pessimismo anche per un cristiano.
La settimana santa si apre questa sera, nel giorno di san Giuseppe, padre di Gesù; in questo periodo di crisi della figura paterna, voglio proprio evidenziare il valore dell’azione tra il Padre e il Figlio suo Gesù.
C’è un’assoluta libertà di Gesù nel percorrere la via della croce proprio perché esiste una profonda relazione con il Padre.
C’è una capacità del Padre di offrire al Figlio una libertà tale per cui Gesù obbedisce non per obbligo, ma per totale fiducia nel Padre, una fiducia che risponde alla totale fiducia del Padre nel Figlio.
La fiducia del Padre verso il Figlio è così profonda da lasciarlo scegliere in piena libertà; certo il Padre vigila sul Figlio anche nel momento dell’abbandono, della solitudine, ma il Figlio può scegliere liberamente proprio in forza della fiducia che ha nel Padre.
Con ciò la storia della Passione non è maschilista, infatti ai piedi della Croce e davanti al sepolcro ci saranno delle donne, non degli uomini; ma il racconto della Passione di Gesù è il racconto della cura che il Padre di Gesù ha per tutta l’umanità; è il racconto di un Figlio che fa comprendere a tutti noi che non siamo soli, che Dio Padre è sempre con noi.
Oggi è il giorno in cui in Campania ricordiamo l’assassinio di don Peppe Diana, ucciso mentre si preparava a celebrare la messa nel giorno di san Giuseppe. Il male ha toccato lui, ma può toccare ognuno di noi.
Chiediamo la sua intercessione perché ci faccia meglio comprendere cosa significa testimoniare il Figlio obbediente fino alla morte al Padre suo e Padre nostri, cosa significa rispondere alla logica dell’amore del Padre, logica che ha esaltato Gesù al di sopra di ogni altro nome, affinché ogni ginocchio, in cielo, sulla terra e sotto terra si pieghi davanti a Lui.

Giuseppe padre per i giovani?

Mi permetto di condividere la riflessione che offrirò domani ai miei studenti del Denza!

Perché san Giuseppe?
Perché ha un ruolo importante nella storia della salvezza, perché richiama tutti i papà, perché oggi più di ieri abbiamo bisogno di papà, quando in una società cominciano a mancare i padri – vuoi perché sono andati via – vuoi perché non ci sono più figli – allora la società scricchiola! E la nostra società sta scricchiolando, non è morta, ma scricchiola!
(migrazioni, delitto di roma, droga, baby gang, guerre…)
La figura di san Giuseppe ci aiuta a dare delle risposte a capire quali porte varcare per essere felici e salvarci.
Siamo partiti, il mercoledì delle Ceneri, dall’esperienza della riconciliazione in cui Dio ci ha chiesto di pregare, digiunare e celebrare la carità per prepararci alla Pasqua.
La figura di san Giuseppe ci aiuta a capire se abbiamo pregato bene, se abbiamo digiunato, se abbiamo celebrato la carità!

Cosa vi colpisce di questo uomo – giusto?
I sogni
La castità
La misericordia
Giuseppe è un uomo che sogna, non sogna a occhi ad aperti, ma sogna con Dio.
Il sogno è sempre una risposta alle nostre domande più nascoste, alle nostre riflessioni più profonde.
Giuseppe era un uomo puro di mente, puro di cuore, puro di corpo,
aveva pensieri buoni, coltivava pensieri buoni – formato alla scuola del suo tempo, non amava gli eccessi, ma sapeva affrontare le emergenze, lascia Betlemme e va in Egitto, è un migrante;
aveva sentimenti buoni, verso Maria, non voleva approfittare di lei, tantomeno metterla alla berlina, farle fare brutte figure (forse pensava che tutti possono sbagliare e quindi non tutti si devono condannare);
era un uomo casto, non aveva avuto rapporti con Maria, non era facile ma sapeva coltivare la castità.

Proprio perché Giuseppe ha un cuore puro, un animo puro e un corpo puro, poteva meglio di altri riconoscere la parola di Dio e rispondere a questa parola collaborando con Lui.
Giuseppe era un indifferente? No, Giuseppe diventa responsabile della parola di Dio, non solo della parola ma del figlio stesso di Dio: Gesù.
Anche a noi è chiesto di diventare responsabili della parola di Dio, e del figlio di Dio Gesù.

La figura di san Giuseppe mi aiuta proprio a crescere in questi tre dimensioni della vita:
animo puro, cuore puro, corpo puro.
Il problema di molti uomini di oggi è coltivare buoni pensieri, pensieri che educano le proprie scelte, quindi dobbiamo chiederci se leggiamo cose buone, se frequentiamo persone buone, se permettiamo alla preghiera di ragionare con noi oppure se la nostra preghiera è solo una preghiera di abitudine. Una preghiera di abitudine è una preghiera che non ci mette in discussione, ma ci lascia sempre quelli di prima. I sogni di Giuseppe sono proprio il frutto del suo voler ragionare con Dio, di non vivere una fede passiva.

Giuseppe ha un corpo casto. La parola castità a molti di noi non piace più eppure è una parola importante. Il nostro corpo non è un oggetto qualsiasi, il corpo degli altri non è un oggetto qualsiasi, il corpo è lo strumento più bello che abbiamo, ma va trattato bene. Certo non è facile coltivare i propri stimoli, sensazioni, esigenze, ma siamo invitati a domandarci se tutto quello che ci passa per la testa dobbiamo farlo: rischiamo di arrivare all’ubriacatura.
Per educarmi alla castità devo imparare a fare delle scelte nelle piccole cose, a non mettere sempre me al centro di tutto. Imparare a parlare sempre bene delle ragazze (le donne sono quelle che soffrono sempre e ancora troppo nel mondo!); imparare a essere più sobrio, più attento a consumare (siamo tra le regioni al mondo più sprecone di cibo); imparare a dipendere meno da fumo, alcol, telefono…
La castità ti permette di amare di più! Giuseppe è capace di amare in totalità proprio perché si dona tutto a Dio.
Vi chiedo di pregare per noi religiosi, perché sappiamo bene coltivare la nostra castità.

Giuseppe ha un cuore puro. È molto difficile ma assai importante avere un cuore puro, un cuore che non odia, non invidia, non pensa male, un cuore benevolo, amorevole, pacifico, paziente, forte! Quante volte i nostri genitori dicono di voi: è un bravo ragazzo! Ma io non voglio che voi siate dei bravi ragazzi, ma dei ragazzi bravi! Il bravo ragazzo è colui che vive bene fino a che ne ha voglia! Il ragazzo bravo è colui che ha sempre il radar, il cuore, acceso e sa come navigare anche tra la nebbia. Un cuore puro è come un radar! Il cuore puro di Giuseppe gli ha permesso di riconoscere la parola di Dio e viverla anche in una situazione difficile come quella che gli era accaduta. Il cuore puro sa indicare la strada continuamente.

Giuseppe è un padre, un padre che ha aiutato Gesù a scoprire la propria vocazione di Figlio di Dio. Una società senza padri è una società che va alla deriva. Anche noi religiosi, ci chiamano “padri”. Ma in Europa questi “padri” sono diventati pochi, mancano: una società senza padri/sacerdoti rischia di essere come un gregge senza pastore. Vi chiedo di pregare con me san Giuseppe perché susciti vocazioni al sacerdozio perché i vostri figli non restino senza pastori, senza la parola di Dio.
Grazie

#versolaPasqua2016

Per concludere la nostra due giorni di preghiera a San Felice (11/13 marzo), abbiamo voluto scrivere tre # con 140 caratteri (o poco più): tre piccoli tweet da condividere per riflettere un poco insieme!

#Etuchivuoiessere?
Tu chi vuoi essere?
Ognuno, dinanzi a questa domanda reagirebbe in maniera differente. La scelta più logica sarebbe essere come il Padre che ha avuto la forza di perdonare il figlio che, chiedendogli l’eredità, l’aveva simbolicamente ucciso. Ma chi avrebbe avuto la sua stessa forza? Probabilmente il nostro essere si avvicina di più alla figura del figlio minore.
Peccare deriva dalla parola latina “inciampare”.
Quante volte nella nostra vita siamo inciampati? E siamo sempre coscienti della nostra caduta?
Poiché tutti nasciamo peccatori il fine di ogni cristiano è salvarsi nel perdono. È questa la sfida che ognuno deve affrontare ogni giorno.
Noi cristiani come affrontiamo questa sfida, o meglio: l’affrontiamo o preferiamo scegliere il percorso meno rischioso e nasconderci dietro l’indifferenza? La risposta non è poi così banale.
Nonostante il cristiano dovrebbe perdonare incondizionatamente tutti, in realtà giustifichiamo la nostra reticenza alla misericordia con la convinzione di non essere tenuti a perdonare in quanto esseri terreni.
Possiamo rappresentare il nostro rapporto tra “Padre e figlio” con un filo che simboleggia l’alleanza tra Dio e l’uomo. A peccato commesso il filo si spezza. Quando chiediamo il perdono il filo si ricongiunge diventando più corto diminuendo la distanza tra il figlio e il Padre.

#Lasalvezzaquieora
È difficile “centrare” i veri obiettivi della vita perché troppo presi dagli impegni, dalla routine, dalla tecnologia.
Vivere in questo modo ci porta a non trovare il tempo per riconciliarci con Dio.
In questi momenti ci accorgiamo dell’immensa bontà di Dio che, nonostante il nostro disinteresse, fa sempre il primo passo verso di noi.
Per apprezzare l’importanza di ciò che diamo per scontato dovremmo imparare a digiunare dal superfluo.
È inutile ostentare la nostra vita, le nostre buone azioni. Così facendo svuotiamo di significato le nostre opere “misericordiose”. Come dice San Matteo: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli».

#Chièambasciatore?
Chi è un ambasciatore? Colui che rappresenta un insieme di ideali e valori al di fuori del suo contesto.
Anche noi siamo ambasciatori/messaggeri: dobbiamo impegnarci a concretare quello che ci è trasmesso dalla Parola di Dio.
L’essere ambasciatore è una scelta vocazionale e richiede impegno, costanza e soprattutto tempo. Siamo ambasciatori non per un tempo finito ma per l’Eternità.
Un ambasciatore cristiano si differenzia da qualsiasi “collega” per la sua capacità di saper amare nel Cristo. Un esempio pratico di questo amore? la parabola del Padre prodigo.
Il figlio minore sbaglia e si ritrova a digiunare: solo così riacquisisce gradualmente la sua dignità e ritrova il desiderio di amare sé e il Padre; il Padre lo attende e accoglie a braccia aperte: questo è vero amore.
Il Padre in questo tempo di lontananza del figlio si è saziato di sofferenza e ha digiunato di orgoglio. Talvolta si deve raggiungere la sazietà per poter accedere a quel trampolino di lancio utile per sviluppare l’amore di noi nel Cristo.

Cristiani adulteri

Ancora una donna, proprio una donna! Quasi che determinati peccati siano colpa solo delle donne; già questo fatto potrebbe farci ragionare sul rispetto della dignità della donna. Ma forse il vangelo fa riferimento a una donna proprio per aiutarci a ragionare meglio e di più sulla fragilità della natura umana, sulla fragilità, sul peccato anche della comunità cristiana. Questo brano di vangelo, infatti è stato scritto per aiutare la comunità cristiana a ragionare sulla misericordia di Dio, sul modo di agire di Dio nei confronti del peccatore.
La prima comunità cristiana si è scoperta intransigente, fondamentalista, spiazzata dal peccato che l’ha colpita; anche i primi cristiani non erano così puri come avrebbero voluto e quindi? Anche i cristiani si accorgono di tradire Dio.
Di fronte al peccato che anche il cristiano si trova a vivere come reagire?
Gesù in silenzio ascolta per insegnare a ragionare a fermarsi a ragionare, a non agire di impulso; per aiutare a fare un serio esame di coscienza. È molto facile giudicare gli altri, ma quando poi devi giudicare te stesso?
“Ma siccome quelli insistevano nell’interrogarlo, Gesù si alzò e disse: Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra”. Adesso Gesù si presenta come giudice, non per condannare ma perché ciascuno prenda coscienza di se stesso, senza ipocrisia, con estrema verità.
Poi Gesù si china di nuovo e continua a scrivere sulla terra: continua il suo segno profetico, davvero egli conosce la fragilità dell’uomo. Nel silenzio che egli crea perché tutti abbiano il coraggio della verità, comincia ad accadere qualcosa di nuovo: “se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani”.
Da questo silenzio, da questo abbandono Gesù rimane “solo”! Qui comincia il dialogo tra Gesù e questa donna recuperata nella sua dignità! Avrà fatto anche un errore ma è sempre una donna, una persona, prima di essere un’adultera. È una peccatrice, ma proprio per questo necessaria di maggiore amore, un amore capace di perdonare.
Come sulla croce, anche qui Gesù è solo, con una donna: è nella solitudine di una rinnovata creazione che nasce il perdono e la possibilità di rinascita, di una vita nuova.
Come il figlio minore, anche questa donna ha bisogno del silenzio per poter rinascere, per poter cambiare vita.
Ma questa donna è solo una donna o potrebbe essere ognuno di noi quando si trova di fronte al suo peccato?
E questi farisei, giudici, sono solo delle invenzioni o potrebbero essere ognuno di noi molto capaci di giudicare e poco capaci di amare?
Ma amare non è solo tentare di perdonare o perdonare a parole, amare significa imparare a cambiare mentalità, imparare a prendersi responsabilità in prima persona, imparare a capire cosa fare per rinnovare la vita.
Spesso ci capita di denunciare situazioni sbagliate, errori, cose che non cambiano, ma noi quando ci prendiamo le nostre responsabilità?
Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, 
perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, 
che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi.

Sazietà o digiuno?

Digiuno, preghiera e carità sono le parole chiave della Quaresima.
Oggi siamo troppo sazi, talmente sazi che non siamo più capaci di guardare oltre il nostro naso, oltre i nostri bisogni, oltre il nostro ragionare miope: il digiuno è lo strumento per recuperare la propria identità, la propria vocazione, la propria dignità.
Viviamo in una società dove vorremmo tutto e facciamo di tutto per ottenerlo, dove non vogliamo accettare i nostri limiti, dove non sappiamo più riconoscere i confini del lecito e dell’illecito per soddisfare il nostro egoismo.
(Penso che tutta la discussione e la preoccupazione riguardo adozioni forzate o figli voluti a forza possa bene inserirsi in questa dinamica di sazietà ed egoismo).

Nella liturgia di oggi san Paolo ci ordina: lasciatevi riconciliare con Dio! (2Co 5, 17-21)
Ma perché Dio possa riconciliarci con noi stessi e con Lui abbiamo bisogno di desiderare questa riconciliazione.
Ora se noi siamo troppo sazi, sazi di tutto (cibi, rumori, cose, immagini, odori) non riusciremo mai a riconciliarci con Dio e, di conseguenza, con noi stessi.
Se siamo troppo sazi della nostra idea di Dio, come i farisei e gli scribi, come il figlio maggiore della parabola: non riusciremo mai a lasciarci riconciliare con Dio e, con noi stessi!
La parabola dei due figli o del figlio ritrovato ovvero del Padre prodigo (Lc 15,1-3.11-32) ci viene raccontata da Gesù proprio per denunciare il pericolo della sazietà, del crederci autosufficienti in tutto (e sappiate che noi stiamo educando i nostri figli a questa autosufficienza negativa).
Sazi dell’idea di padre, di un padre che non parla, parlano solo i figli che avevano un’idea di padre tutta loro, di un padre – padrone a cui si deve solo obbedire, per il quale si deve solo lavorare. Questa infatti, l’idea che i figli si erano fatti del Padre: eppure questo Padre lascia libero il figlio più piccolo, non lo ostacola; eppure il Padre cerca il dialogo con il figlio maggiore; eppure il Padre attende continuamente il ritorno del figlio minore e vedendolo gli corre incontro e non lo lascia parlare e lo riveste dell’anello e dell’abito preziosi; eppure il Padre corre dal figlio maggiore non per giudicarlo ma per aiutarlo a riconciliarsi con la vita!

Nessuno dei due figli rispettava veramente il Padre, entrambi rispettavano solo se stessi la propria pancia, sino a quando non arriva la fame, il digiuno.
È il digiuno, seppure forzato, del figlio minore che gli permette di rientrare in se stesso. Nessuno gli dava delle carrube e tantomeno lui se le prendeva, capisce che non può arrivare a livello degli animali. Ma capisce anche che non si può vivere senza il bisogno dell’altro: nessuno glie ne dava!

La sazietà ci porta all’autosufficienza, il digiuno ci porta alla consapevolezza di sé, al riconoscimento dell’altro!
In questa nostra società quasi senza più padri, o con padri artificiali è necessario riprendere la pratica del digiuno per recuperare ciò che è essenziale.
Il Padre ha rinunciato al suo autoritarismo, ha lasciato libero il figlio minore, ha cercato il figlio maggiore e ha ottenuto il ritorno del figlio.
Il figlio minore ha digiunato cioè ha rinunciato al proprio egocentrismo e ha ottenuto un rinnovato rapporto con il Padre.
Il figlio maggiore non ha ancora imparato l’arte del digiuno, non sappiamo come andrà a finire.
Dio Padre ha rinunciato al proprio Figlio;
il Figlio ha rinunciato alla sua libertà e ha ottenuto una croce, per la nostra salvezza!

E tu chi vuoi essere?
Padre, figlio minore, figlio maggiore o semplicemente
un cristiano che si lascia riconciliare con Dio?