Parlate a noi adulti

Di questo siamo tutti sicuri: il Sinodo dei Vescovi sui giovani è un evento storico, che rappresenta un avvicinamento della Chiesa a quel mondo dei giovani sempre percepito unicamente come destinatario degli insegnamenti, dell’istruzione e dei rimproveri degli adulti, specialmente quando il rapporto è Giovani – Chiesa. Con il Sinodo i giovani diventano attori, sono loro a parlare. Proprio questo è stato il suggerimento di Papa Francesco durante la riunione presinodale tenutasi a Roma dal 19 al 24 marzo e ce lo dice Gabriella Serra, Presidente Nazionale femminile della F.U.C.I. (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), che vi ha partecipato e che ci ha gentilmente concesso una breve intervista, per raccontarci quanto vissuto durante l’incontro, ma anche la percezione di cosa sta avvenendo, che ha come esito finale e tanto atteso proprio il Sinodo dei Vescovi sui giovani.

«Si sta vivendo un ottimo momento – dice Gabriella – nel quale i giovani vengono coinvolti veramente, in prima persona, attraverso una partecipazione attiva e concreta». Infatti, Papa Francesco, durante la riunione presinodale ha chiesto con forza ai giovani di “parlare” a gran voce avendo il coraggio di esprimersi e raccontarsi, perché la Chiesa ha più che mai bisogno di capire i giovani e per questo è necessario un dialogo aperto con essi.
Papa Francesco ha ricordato che tutti siamo parte della Chiesa, anche i giovani e, per questo, ognuno ne è responsabile, aggiungendo: «anche se noi adulti tacciamo, voi dovete parlare»; proprio da ciò, ci dice Gabriella: «Si intuisce quanto a Papa Francesco stia a cuore la causa; è proprio lui il grande promotore di questo Sinodo, nuovo nella forma di coinvolgimento. È lui che ci ha dato e continua a darci la forza, il coraggio e la speranza».

Ripercorrendo il documento finale della riunione presinodale, ci si accorge di quanto siano stati ridotti e assottigliati gli spazi che hanno da sempre separato la struttura fortemente gerarchizzata della Chiesa con il popolo giovanile. Papa Francesco ha parlato a tutti i giovani presenti in modo diretto, colloquiale, paritetico e la prova di ciò sta anche nella riuscita di quella che era una grande sfida: riunire tutti e 5 i continenti del monto durante questo evento a Roma, 300 ragazzi più molti altri collegati via web.
Dal Documento emerge anche un tema cruciale, specialmente in questo periodo, non solo per la Chiesa ma anche per la società: la donna. Si è ricordato quanto importante sia e debba essere il ruolo che la donna ricopre all’interno della società e della Chiesa, chiedendosi quale sia l’apporto che la donna può dare all’interno della società e della Chiesa.
Infine, «È stato dato spazio anche a un altro rilevante tema: il volontariato. Si è sottolineato come il volontariato sia un metodo adeguato per permettere ai giovani di sentirsi utili, responsabilizzati e coinvolti all’interno della società e della Chiesa. Un modo per sentirsi vicini al prossimo in modo attivo e concreto, corresponsabili del mondo che si abita e dei luoghi che si vivono», visto il riscontro di una recente problematica giovanile legata proprio a uno scoraggiamento generale per la scarsa responsabilità che si sentono di avere all’interno della società e, di conseguenza, maturano una percezione, spesso inconscia, di essere inutili.

Dalle parole di Gabriella si sente la grande soddisfazione di aver assistito e partecipato in prima persona all’evento, facendo trasparire una grande emozione e un grande entusiasmo, accompagnati da profonda consapevolezza, da lei sottolineata: l’importanza storica dell’evento.
Noi GiovaniBarnabiti ringraziamo Gabriella per l’esperienza vissuta e per averla raccontata e condivisa rendendoci partecipi, anche se indirettamente, delle emozioni vissute e dell’impegno profuso. Le auguriamo un grande “in bocca al lupo” per il futuro, sperando che le nostre strade possano incrociarsi ancora.

Tommaso C. Milano

Papà e figlio, #buoncompleanno2

Aiutare a diventare uomini

Ci vuole anche un po’ di buona sorte per essere genitori in questa stagione complessa e veloce. È stato un bene veder cadere molti dei dogmi del passato, ma la nostra società non ha ancora appreso a gestire la propria libertà. Il compito di aiutare i ragazzi a diventare uomini s’è fatto ancora più difficile. Nella confusione di principi e di valori – intesi qui nel senso laico – il rapporto con i figli trova nuove ragioni di difficoltà che i padri e le madri faticano ad affrontare.
Noi siamo stati una famiglia fortunata, almeno sinora. Abbiamo scampato anche la crisi adolescenziale, quella in cui i “Vaffa” volano gratis. È stato merito del destino benigno, delle circostanze ambientali, dell’indole di nostro figlio e del modo in cui abbiamo trasformato il nostro amore in attenzione, cura e indirizzo. Il ruolo dei genitori è centrale. Quando vedo affermarsi l’incomprensione, mi rendo conto che è quasi sempre il frutto di padri e madri inadeguati, egoisti e disattenti.
Mia moglie ha dato tutta sé stessa per nostro figlio. Ha rinunciato a una parte della sua vita per coltivare quella che aveva generato. È stata una madre fantastica, che ha colmato con il suo affetto le mie assenze. Da parte mia, ho tentato sin dall’inizio di stabilire un rapporto in cui non fossi solo quello che spuntava la sera tardi o il fine settimana, e neanche tutti. Da che ha avuto quattro anni, mio figlio ed io abbiamo fatto una vacanza a due (oltre a quelle a tre) per conoscerci a fondo e affrontare insieme le cose. Abbiamo scoperti terreni comuni e li abbiamo coltivati. Un esempio? Suonare insieme la domenica mattina o andare a visitare luoghi storici ricostruendo eventi lontani e raccontandoceli a nostro modo. È un dono che si ripete ancora adesso che il ragazzo è diventato uomo.
Siamo stati severi, a tratti. Gli altri dicevano “troppo”. A tratti. Ma ci siamo impegnati a spiegargli cosa ritenevamo fosse giusto e sbagliato – sono scelte difficili, ma inevitabili -, fargli entrare bene in testa che si poteva vedere ogni spettacolo, a patto di pagare il biglietto. Andare bene a scuola voleva dire fare belle cose nel tempo libero. Dire la verità era meglio che mentire su un errore di quelli che se ne fanno tanti. Era importante che capisse come, nella vita, andare avanti richiede fatica e impegno. E che se ci si vota a fare le cose bene e seriamente, presto o tardi, riesce a realizzare il sogno che ha in testa. Basta crederci.
Credo che questo sia il messaggio chiave per tutti i giovani di buona volontà (e non solo). Là fuori la vita è sempre stata dura e, oggi, non lo è meno. Bisogna imparare a conoscere i propri limiti, ad accettare sé e gli altri. È necessario ricordare che non esistono scorciatoie, che nessun chitarrista suonerà bene senza aver studiato a lungo e nessuna ballerina danzerà alla Scala senza sacrifici. La nostra società in preda all’edonismo, al commercio fine a sé stesso, al tradimento delle nostre coscienze sempre più frequente, alla corruzione degli spiriti (detto in senso laico), ci chiede di essere forti e determinati nei confronti delle nostre giuste ambizioni, ma anche pienamente solidali con chi non ha avuto la stessa fortuna. A nostro figlio abbiamo cercato di spiegare che la gioia, la consapevolezza e la realizzazione personale nel rispetto degli altri richiedono fatica. Lo abbiamo fatto sentire autonomo e sicuro. Quando lo guardo negli occhi, sento che l’impegno e l’amore non sono stati seminati invano.

Marco Zatterin, Torino (papà e vice direttore La Stampa)

Suburra, #buoncompleanno3

Le nostre Suburra
Fra tanta overdose di film e telefilm, incominci a seguirne uno o l’altro senza riuscire a finire la stagione. In uno di quei incontri sono arrivato, prima al film, poi alla serie dal titolo Suburra (il quartiere più popolare dell’antica Roma, fra il Quirinale, il Viminale, il Celio e l’Appio, socialmente “male abitato”).
Già dalle prime puntate ho pensato che è facile parlare di malavita, aldilà di qualche città o quartiere in particolare, oggi nel mondo tutto. Ci basta aprire bene gli occhi o le finestre e incominciamo a vedere come la violenza e gli abusi di potere fanno parte della nostra vita. Una volta pensavamo che restandosene lontani la tossicità della malavita non ci avrebbe inquinata. Ma oggi non basta rinchiudersi e sbarrare le porte perché la forza coinvolgente della tentazione di fare un torto, entra con forza nel nostro quotidiano.
Sono tante le Suburra disseminate per il mondo intero; io scrivo dal terzo mondo – da una città alquanto violenta e da una cultura coinvolta dalla corruzione –, ma il terzo mondo te lo trovi dappertutto, anche nelle importanti città del “primo mondo”.
Segnali di degrado, quartieri costruiti non a misura umana, controllati dalle mafie (quelle fuorilegge o quelle che noi abbiamo votato), mancanza di convivenza umana, ineguaglianze vergognose di opportunità, educazione e lavoro. Anche il divertimento oggi è rimasto lontano dalle possibilità dei più poveri: le super palestre e shopping sono luoghi a cui molti non possono neanche pensarci.
I personaggi di Suburra, Gomorra, Chapo o tante altre serie sono svariati ma accomunati nella ricerca del male e dell’ingiustizia come metodo di arricchimento e della violenza come sistema di controllo. A ciò arrivano ragazzi di vita, persone “importanti” e persino quelle “perbene” perché tentate da un potere economico facile. I giochi macabri di potere e violenza si filtrano persino nelle nostre istituzioni benemerite. E le vittime vanno restando lungo le strade delle nostre città e le nostre vite.
Ho letto che “la fiction è ottima, allora la realtà è pessima” e parrebbe essere questo che attira l’attenzione dello spettatore senza un giudizio morale o valorico appropriato. Così la nostra capacità di stupore va perdendonsi ogni volta e aumentando il nostro menefreghismo. Poco o niente ci interessa quello che accade là fuori. Anche se, quando ci è conveniente, pure noi siamo ingiusti e non minimamente morali.
Il controllo sociale dei mass media (difficile in una cultura dei fakes) il valore dell’uso appropriato delle reti sociali indubbiamente sono uno strumento per migliorare questa cultura della morte e del degrado. Ma dobbiamo fare il possibile per trasformare il nostro piccolo senza lasciare spazio a quello strapotere che inghiotte le forze e le vite delle persone. Quel dragone di Roma che canta la sigla di Suburra:
“…Un gigante che ti culla tra le urla che non sente… Ti compra, ti vende, ti innalza, ti stende… Ti usa se serve, ti premia, ti perde…”.

MiguelAngel Panes Villalobos, Rio de Janeiro

essere felici, #buoncompleanno5

Essere felici

«Puoi avere difetti, essere ansioso e perfino essere arrabbiato, ma non dimenticare che la tua vita è la più grande impresa del mondo. Solo tu puoi impedirne il fallimento.
Molti ti apprezzano, ti ammirano e ti amano.
Ricorda che essere felici non è avere un cielo senza tempesta, una strada senza incidenti, un lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni.
Essere felici significa trovare la forza nel perdono, la speranza nelle battaglie, la sicurezza nella fase della paura, l’amore nella discordia. Non è solo godersi il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza. Non è solo celebrare i successi, ma imparare dai fallimenti. Non è solo sentirsi felici con gli applausi, ma essere felici nell’anonimato.
Essere felici non è una fatalità del destino, ma un risultato per coloro che possono viaggiare dentro se stessi. Essere felici è smettere di sentirsi una vittima e diventare autore del proprio destino. È attraversare i deserti, ma essere in grado di trovare un’oasi nel profondo dell’anima. È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita.
Essere felici è non avere paura dei propri sentimenti ed essere in grado di parlare di te. Sta nel coraggio di sentire un “no” e ritrovare fiducia nei confronti delle critiche, anche quando sono ingiustificate. È baciare i tuoi figli, coccolare i tuoi genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche quando ci feriscono.
Essere felici è lasciare vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice.
È avere la maturità per poter dire: “Ho fatto degli errori”. È avere il coraggio di dire “Mi dispiace”. È avere la sensibilità di dire “Ho bisogno di te”. È avere la capacità di dire “Ti amo”.
Possa la tua vita diventare un giardino di opportunità per la felicità … che in primavera possa essere un amante della gioia ed in inverno un amante della saggezza.
E quando commetti un errore, ricomincia da capo. Perché solo allora sarai innamorato della vita.
Scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta. Ma usa le lacrime per irrigare la tolleranza.
Usa le tue sconfitte per addestrare la pazienza. Usa i tuoi errori con la serenità dello scultore. Usa il dolore per intonare il piacere. Usa gli ostacoli per aprire le finestre dell’intelligenza. Non mollare mai …
Soprattutto non mollare mai le persone che ti amano.
Non rinunciare mai alla felicità, perché la vita è uno spettacolo incredibile».

Non so dirvi se sia veramente di papa Francesco, ma me l’ha inviata Sofia, la nostra fotografa ufficiale e questo basta per augurare buon compleanno.

L’esempio delle regole, #buoncompleanno4

… Infine, da educatrice registro i danni maggiori, legati non all’inefficienza delle istituzioni, ma alla loro pericolosità quale punto di riferimento nella formazione civica dei giovani. Il rispetto delle regole non è soltanto continuamente violato, ma è irriso con conseguenze devastanti dal punto ti vista educativo. I continui richiami all’anarchismo e al ribellismo fanno sì che si respiri un’aria che, alla lunga, corrode e destabilizza. I miei studenti, quando hanno letto le gesta del sindaco che ha premiato l’ambulante abusivo, sconfessando la polizia municipale che aveva fatto il proprio dovere, mi hanno detto: «Prof è come se la Preside ci accogliesse a scuola dopo che lei ci ha sospeso per due giorni». Cosa diranno, quando sapranno che lo stesso ha partecipata a una festa all’interno di una stabile occupato, legalizzando con la sua presenza un abuso e, talmente innamorato di se stesso, non ha neanche compreso la gravità istituzionale della propria azione, dichiarandosi pronto a ripeterla?
In occasione della Giornata della Memoria delle vittime del terrorismo, dalle colonne del Corriere, è stato rivolto alla scuola superiore l’invito a far conoscere i percorsi di vita e di pensiero di quegli uomini che hanno testimoniato senso dello Stato e rispetto delle Istituzioni affinché l’esempio sia i più valido strumento di emulazione. Ci piace, appunto, sottolineare l’importanza dell’esempio nella formazione dei giovani che saranno i futuri cittadini perché, come dice il Poeta: «A egregie cose il forte animo accendono l’urne dei forti».

Beatrice Carrillo, insegnante, Napoli

#buoncompleanno GiovaniBarnabiti

5 anni di Giovanibarnabiti.it, ancora troppo pochi? già troppo tanti?
Il blog è una realtà virtuale, quindi non reale, però le persone che ci stanno dietro e il tempo che si consuma per costruirlo sono assolutamente reali. In questi 5 anni abbiamo avuto scrittori saltuari, altri migrati, alcuni rimasti fedeli a condividere le fatiche di questa piccola impresa.
5 anni, “un lustro” come diceva mia nonna, hanno permesso di conoscere, pensare, scrivere, fare tante cose su quei giovani così spesso bistrattati o sfruttati da molti: nessuna ricetta, molta passione e tanto ascolto, senza dimenticare l’inchiostro per scrivere di … voi.
Il blog è nato nel giorno in cui si ricorda quando SAMZ è stato proclamato santo. Mi auguro che la sua testimonianza, la sua perseveranza, la sua giovinezza, la sua creatività continuino a ispirare il nostro lavoro. AMZ amava cercare tutti ovunque, percorrere strade nuove, lavorare insieme ai propri amici, sfidare i tiepidi e affocare gli impavidi.
Questa la filosofia che muove il nostro lavoro, sicuri che la fiducia nello Spirito ci condurrà alla perfezione.
Per festeggiare questo 5 compleanno ringraziamo Marco Zatterin (vice direttore de La Stampa, Torino), p. Miguel Panes (barnabita, Rio de Janeiro), Beatrice Carrillo (insegnante di Napoli) e Sofia (studente, Milano) o meglio il pensiero di papa Francesco che mi ha condiviso.

Buon compleanno GiovaniBarnabiti

pJgiannic

Papa Francesco ai Giovani, 19 marzo 2018

Discorso di papa Francesco apertura pre-sinodo (19.03.2018)

Cari giovani, buongiorno!

Saluto tutti i 15340! Speriamo che domani siano di più in questo nostro interloquire per fare uscire quello che ognuno di voi e di noi abbiamo nel cuore. Parlare con coraggio. Senza vergogna, no. Qui la vergogna si lascia dietro la porta. Si parla con coraggio: quello che sento lo dico e se qualcuno si sente offeso, chiedo perdono e vado avanti. Voi sapete parlare così. Ma bisogna ascoltare con umiltà. Se parla quello che non mi piace, devo ascoltarlo di più, perché ognuno ha il diritto di essere ascoltato, come ognuno ha il diritto di parlare.
Grazie per aver accettato l’invito di venire qui. Alcuni di voi hanno dovuto fare un lungo viaggio. Altri, invece di andare a dormire – perché è ora di andare a dormire da loro – sono collegati con voi. Faranno la notte ascoltando. Venite da tante parti del mondo e portate con voi una grande varietà di popoli, culture e anche religioni: non siete tutti cattolici e cristiani, nemmeno tutti credenti, ma siete certamente tutti animati dal desiderio di dare il meglio di voi. E io non ho dubbi su questo. Saluto anche quelli che si collegheranno, e che lo già hanno fatto: grazie del vostro contributo!
Voglio ringraziare in modo speciale la Segreteria del Sinodo, il Cardinale Segretario, l’Arcivescovo Segretario e tutti, tutti quelli che lavorano nella Segreteria del Sinodo. Hanno lavorato fortemente per questo e hanno avuto una capacità di inventare cose e creatività molto grandi. Grazie tante, Cardinale Baldisseri, e a tutti i vostri collaboratori.

Siete invitati perché il vostro apporto è indispensabile. Abbiamo bisogno di voi per preparare il Sinodo che a ottobre riunirà i Vescovi sul tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. In tanti momenti della storia della Chiesa, così come in numerosi episodi biblici, Dio ha voluto parlare per mezzo dei più giovani: penso, ad esempio, a Samuele, a Davide e a Daniele. A me piace tanto la storia di Samuele, quando sente la voce di Dio. La Bibbia dice: “In quel tempo non c’era l’abitudine di sentire la voce di Dio. Era un popolo disorientato”. È stato un giovane ad aprire quella porta. Nei momenti difficili, il Signore fa andare avanti la storia con i giovani. Dicono la verità, non hanno vergogna. Non dico che sono “svergognati” ma non hanno vergogna e dicono la verità. E Davide da giovane incomincia con quel coraggio. Anche con i suoi peccati. Perché è interessante, tutti questi non sono nati santi, non sono nati giusti, modelli degli altri. Sono tutti uomini e donne peccatori e peccatrici, ma che hanno sentito il desiderio di fare qualcosa di buono, Dio li ha spinti e sono andati avanti. E questo è bellissimo. Noi possiamo pensare: “Queste cose sono per le persone giuste, per i preti e per le suore”. No, è per tutti. E voi giovani di più, perché avete tanta forza per dire le cose, per sentire le cose, per ridere, anche per piangere. Noi adulti tante volte, tante volte, abbiamo dimenticato la capacità di piangere, ci siamo abituati: “Il mondo è così… che si arrangino”. E andiamo avanti. Per questo vi esorto, per favore: siate coraggiosi in questi giorni, dite tutto quello che vi viene; e se sbagli, un altro ti correggerà. Ma avanti, con coraggio!

1. Troppo spesso si parla di giovani senza lasciarci interpellare da loro. Quando qualcuno vuole fare una campagna o qualcosa, ah, lode ai giovani!, non è così?, ma non permette che i giovani li interpellino. Lodare è un modo di accontentare la gente. Ma la gente non è sciocca o stupida. No, non lo è. La gente capisce. Soltanto gli scemi non capiscono. In spagnolo c’è un motto bellissimo che dice: “Loda lo scemo e lo vedrai lavorare”. Dare la pacca sulla spalla e lui sarà contento, perché è scemo, non se ne accorge. Ma voi non siete scemi! Anche le migliori analisi sul mondo giovanile, pur essendo utili – sono utili –, non sostituiscono la necessità dell’incontro faccia a faccia. Parlano della gioventù d’oggi. Cercate per curiosità in quanti articoli, quante conferenze si parla della gioventù di oggi. Vorrei dirvi una cosa: la gioventù non esiste! Esistono i giovani, storie, volti, sguardi, illusioni. Esistono i giovani. Parlare della gioventù è facile. Si fanno delle astrazioni, percentuali… No. La tua faccia, il tuo cuore, cosa dice? Interloquire, sentire i giovani. A volte, evidentemente, voi non siete, i giovani non sono il premio Nobel per la prudenza. No. A volte parlano “con lo schiaffo”. La vita è così, ma bisogna ascoltarli.
Qualcuno pensa che sarebbe più facile tenervi “a distanza di sicurezza”, così da non farsi provocare da voi. Ma non basta scambiarsi qualche messaggino o condividere foto simpatiche. I giovani vanno presi sul serio! Mi sembra che siamo circondati da una cultura che, se da una parte idolatra la giovinezza cercando di non farla passare mai, dall’altra esclude tanti giovani dall’essere protagonisti. È la filosofia del trucco. Le persone crescono e cercano di truccarsi per sembrare più giovani, ma i giovani non li lascia crescere. Questo è molto comune. Perché? Perché non si lascia che vengano interpellati. È importante. Spesso siete emarginati dalla vita pubblica ordinaria e vi trovate a mendicare occupazioni che non vi garantiscono un domani. Non so se questo succede in tutti i vostri Paesi, ma in tanti… Se non sbaglio il tasso di disoccupazione giovanile qui in Italia dai 25 anni in su è verso il 35%. In un altro Paese d’Europa, confinante con l’Italia, 47%. In un altro Paese d’Europa vicino all’Italia, più del 50%. Cosa fa un giovane che non trova lavoro? Si ammala – la depressione –, cade nelle dipendenze, si suicida – fa pensare: le statistiche di suicidio giovanile sono tutte truccate, tutte –, fa il ribelle – ma è un modo di suicidarsi – o prende l’aereo e va in una città che non voglio nominare e si arruola nell’Isis o in uno di questi movimenti guerriglieri. Almeno ha un senso da vivere e avrà uno stipendio mensile. E questo è un peccato sociale! La società è responsabile di questo. Ma io vorrei che foste voi a dire le cause, i perché, e non dire: “Neanch’io so bene il perché”. Come vivete voi questo dramma? Ci aiuterebbe tanto. Troppo spesso siete lasciati soli. Ma la verità è anche il fatto che voi siete costruttori di cultura, con il vostro stile e la vostra originalità. È un allontanamento relativo, perché voi siete capaci di costruire una cultura che forse non si vede, ma va avanti. Questo è uno spazio che noi vogliamo per sentire la vostra cultura, quella che voi state costruendo.
Nella Chiesa – sono convinto – non dev’essere così: chiudere la porta, non sentire. Il Vangelo ce lo chiede: il suo messaggio di prossimità invita a incontrarci e confrontarci, ad accoglierci e amarci sul serio, a camminare insieme e condividere senza paura. E questa Riunione pre-sinodale vuol essere segno di qualcosa di grande: la volontà della Chiesa di mettersi in ascolto di tutti i giovani, nessuno escluso. E questo non per fare politica. Non per un’artificiale “giovano-filia”, no, ma perché abbiamo bisogno di capire meglio quello che Dio e la storia ci stanno chiedendo. Se mancate voi, ci manca parte dell’accesso a Dio.

2. Il prossimo Sinodo si propone in particolare di sviluppare le condizioni perché i giovani siano accompagnati con passione e competenza nel discernimento vocazionale, cioè nel «riconoscere e accogliere la chiamata all’amore e alla vita in pienezza» (Documento preparatorio, Introduzione). Tutti noi abbiamo questa chiamata. Voi, nella fase iniziale, siete giovani. Questa è la certezza di fondo: Dio ama ciascuno e a ciascuno rivolge personalmente una chiamata. È un dono che, quando lo si scopre, riempie di gioia (cfr Mt 13,44-46). Siatene certi: Dio ha fiducia in voi, vi ama e vi chiama. E da parte sua non verrà meno, perché è fedele e crede davvero in voi. Dio è fedele. Per i credenti dico: “Dio è fedele”. Vi rivolge la domanda che un giorno fece ai primi discepoli: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). Anch’io, in questo momento, vi rivolgo la domanda, a ognuno di voi: “Cosa cerchi? Tu, cosa cerchi nella tua vita?”. Dillo, ci farà bene ascoltarlo. Dillo. Di questo abbiamo bisogno: di sentire il vostro cammino nella vita. Cosa cerchi? Vi invita a condividere la ricerca della vita con Lui, a camminare insieme. E noi, desideriamo fare lo stesso, perché non possiamo che condividere con entusiasmo la ricerca della vera gioia di ciascuno; e non possiamo tenere solo per noi Chi ci ha cambiato la vita: Gesù. I vostri coetanei e i vostri amici, anche senza saperlo, aspettano anche loro una chiamata di salvezza.

3. Il prossimo Sinodo sarà anche un appello rivolto alla Chiesa, perché riscopra un rinnovato dinamismo giovanile. Ho potuto leggere alcune e-mail del questionario messo in rete dalla Segreteria del Sinodo e mi ha colpito l’appello lanciato da diversi giovani, che chiedono agli adulti di stare loro vicini e di aiutarli nelle scelte importanti. Una ragazza ha osservato che ai giovani mancano punti di riferimento e che nessuno li sprona ad attivare le risorse che hanno. Poi, accanto agli aspetti positivi del mondo giovanile, ha sottolineato i pericoli, tra cui l’alcool, la droga, una sessualità vissuta in maniera consumistica. Sono dipendenze, no? E ha concluso quasi con un grido: «Aiutate il nostro mondo giovanile che va sempre più a rotoli». Non so se il mondo giovanile vada sempre più a rotoli, non so. Ma sento che il grido di questa ragazza è sincero e richiede attenzione. Sta a voi rispondere a questa ragazza, colloquiare con questa ragazza. È una di voi e bisogna vedere questo “schiaffino” che ci dà, dove ci porta. Anche nella Chiesa dobbiamo imparare nuove modalità di presenza e di vicinanza. È molto importante. Mi viene in mente quando Mosè vuole dire al Popolo di Dio qual è il nocciolo dell’amore di Dio. E dice: “Pensate: quale popolo ha avuto un Dio così vicino?”. L’amore è vicinanza. E loro, i giovani di oggi chiedono alla Chiesa vicinanza. Voi cristiani, voi che credete nella vicinanza di Cristo, voi cattolici, siate vicini, non lontani. E voi sapete bene che ce ne sono tante, tante modalità di allontanarsi, tante. Educate tutti, con guanti bianchi, ma prendere distanza per non sporcarsi le mani. I giovani, oggi, ci chiedono vicinanza: ai cattolici, ai cristiani, ai credenti e ai non credenti. A tutti. E a questo proposito, un giovane ha raccontato con entusiasmo la sua partecipazione ad alcuni incontri con queste parole. Così dice: «La cosa più importante è stata la presenza di religiosi in mezzo a noi giovani come amici che ci ascoltano, ci conoscono e ci consigliano». Uomini e donne consacrati che sono vicini. Ascoltano, conoscono e a chi chiede consiglio, consigliano. Io conosco alcuni di voi che fanno questo.
Mi viene in mente lo splendido Messaggio ai giovani del Concilio Vaticano II. È anche oggi uno stimolo a lottare contro ogni egoismo e a costruire con coraggio un mondo migliore. È un invito a cercare nuovi cammini e a percorrerli con audacia e fiducia, tenendo fisso lo sguardo su Gesù e aprendosi allo Spirito Santo, per ringiovanire il volto stesso della Chiesa. Perché è in Gesù e nello Spirito che la Chiesa trova la forza di rinnovarsi sempre, compiendo una revisione di vita sul suo modo di essere, chiedendo perdono per le sue fragilità e inadeguatezze, non risparmiando le energie per mettersi al servizio di tutti, col solo intento di essere fedele alla missione che il Signore le ha affidato: vivere e annunciare il Vangelo.

4. Cari giovani, il cuore della Chiesa è giovane proprio perché il Vangelo è come una linfa vitale che la rigenera continuamente. Sta a noi essere docili e cooperare a questa fecondità. E tutti voi potete collaborare a questa fecondità: che siate cristiani cattolici, o di altre religioni, o non credenti. Vi chiediamo di collaborare alla fecondità nostra, a dare vita. Lo facciamo anche in questo cammino sinodale, pensando alla realtà dei giovani di tutto il mondo. Abbiamo bisogno di riappropriarci dell’entusiasmo della fede e del gusto della ricerca. Abbiamo bisogno di ritrovare nel Signore la forza di risollevarci dai fallimenti, di andare avanti, di rafforzare la fiducia nel futuro. E abbiamo bisogno di osare sentieri nuovi. Non spaventatevi: osare sentieri nuovi, anche se ciò comporta dei rischi. Un uomo, una donna che non rischia, non matura. Un’istituzione che fa scelte per non rischiare rimane bambina, non cresce. Rischiate, accompagnati dalla prudenza, dal consiglio, ma andate avanti. Senza rischiare, sapete cosa succede a un giovane? Invecchia! Va in pensione a 20 anni! Un giovane invecchia e anche la Chiesa invecchia. Lo dico con dolore. Quante volte io trovo comunità cristiane, anche di giovani, ma vecchie. Sono invecchiate perché avevano paura. Paura di che? Di uscire, di uscire verso le periferie esistenziali della vita, di andare là dove si gioca il futuro. Una cosa è la prudenza, che è una virtù, ma un’altra è la paura. Abbiamo bisogno di voi giovani, pietre vive di una Chiesa dal volto giovane, ma non truccato, come ho detto: non ringiovanito artificialmente, ma ravvivato da dentro. E voi ci provocate a uscire dalla logica del “ma si è sempre fatto così”. E quella logica, per favore, è un veleno. È un veleno dolce, perché ti tranquillizza l’anima e ti lascia come anestetizzato e non ti lascia camminare. Uscire dalla logica del “sempre è stato fatto così”, per restare in modo creativo nel solco dell’autentica Tradizione cristiana, ma creativo. Io, ai cristiani, raccomando di leggere il Libro degli Atti degli Apostoli: la creatività di quegli uomini. Quegli uomini sapevano andare avanti con una creatività che se noi facciamo la traduzione a quello che significa oggi, ci spaventa! Voi create una cultura nuova, ma state attenti: questa cultura non può essere “sradicata”. Un passo avanti, ma guarda le radici! Non tornare alle radici, perché finirai sotterrato: fai un passo avanti, ma sempre con le radici. E le radici – questo, perdonatemi, lo porto nel cuore – sono i vecchi, sono i bravi vecchi. Le radici sono i nonni. Le radici sono quelli che hanno vissuto la vita e che questa cultura dello scarto li scarta, non servono, li manda fuori. I vecchi hanno questo carisma di portare le radici. Parlate con i vecchi. “Ma cosa dirò?”. Prova! Ricordo a Buenos Aires, una volta, parlando con i giovani, ho detto: “Perché non andate in una casa di riposo a suonare la chitarra agli anziani che sono lì?” – “Ma, Padre…” – “Andate, un’oretta soltanto”. [Rimasero] più di due ore! Non volevano uscire, perché i vecchi che erano così [un po’ addormentati], hanno sentito la chitarra e si sono svegliati, svegliati, svegliati e hanno incominciato [a parlare], e i giovani hanno sentito cose che li toccavano dentro. Hanno preso questa saggezza e sono andati avanti. Questo il Profeta Gioele lo dice tanto bene, tanto bene. Al capitolo terzo. Per me questa è la profezia di oggi: “I vecchi sogneranno, e i giovani profetizzeranno”. Noi abbiamo bisogno di giovani profeti, ma state attenti: mai sarete profeti se non prendete i sogni dei vecchi. Di più: se non andate a far sognare un vecchio che sta lì annoiato, perché nessuno lo ascolta. Fate sognare i vecchi e questi sogni vi aiuteranno ad andare avanti. Gioele 3,1. Leggi questo, ti farà bene. Lasciatevi interpellare da loro.

Per sintonizzarci sulla lunghezza d’onda delle giovani generazioni è di grande aiuto un dialogo serrato. Vi invito allora, in questa settimana, a esprimervi con franchezza e in tutta libertà, l’ho detto e lo ripeto. Con “faccia tosta”. Siete i protagonisti ed è importante che parliate apertamente. “Ma ho vergogna, mi sentirà il cardinale…”. Che senta, è abituato. Vi assicuro che il vostro contributo sarà preso sul serio. Già da ora vi dico grazie; e vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me. E quelli che non possono pregare, perché non sanno pregare, almeno mi pensino bene. Grazie.

The Place

The Place – Cosa sei disposto a fare per ottenere ciò che vuoi?

Lui è seduto sempre allo stesso posto. Non importa a quale ora del giorno e della notte, lo troverete sempre lì, all’angolo di un ristorante, allo stesso tavolo, con un quaderno in mano. Qualche volta ci scrive delle cose, qualche altra le legge.
Non sappiamo niente di lui. Chi lo viene a cercare sa soltanto che è capace di esaudire desideri. Tutti i desideri: ricchezza, bellezza eterna, fede, sesso, salute, speranza. Alcune richieste sono semplici, altre più singolari ma tutte hanno un prezzo e il prezzo da pagare non è mai senza conseguenze. Angelo? Demone? Affabulatore? Psicologo? Filantropo? Qualcuno pensa che sia un mostro ma lui i mostri li nutre, dandogli soltanto quello che vogliono e chiedendo in cambio una buona azione.
Vogliamo tutti qualcosa. È il desiderio a farci umani, a fare di noi quello che siamo. È una sorta di verità generale, di parametro intangibile, senza tempo, universale. L’assenza di desiderio non esiste. Perché altrimenti verremmo al mondo?

L’assenza di talento, però, esiste eccome, e si trasla in due parole: Paolo Genovese.

Al suo nuovo lungometraggio – che a mio parere dovrebbe rappresentare l’ultima fatica mal partorita di una carriera filmica che di filmico quasi niente ha –, il regista romano sperimenta per la seconda volta una scrittura che fa del teatro uno spettacolo vivo, convertendo il salotto di Perfetti sconosciuti (2016) in un diner à la Chris Kubasik, facendo vivere agli attori il set come vivrebbero la scena, organizzando la performance secondo lo spazio, costruendo il proprio personaggio davanti alla macchina da presa.
Appassionato franco di interni (rigorosamente borghesi), Paolo Genovese sceglie nuovamente l’unità di luogo e d’azione aristotelica, facendone come in Perfetti sconosciuti la sua cifra estetica. Una cifra che però poco valore ha, dal momento che né la scrittura né la recitazione riescono a eguagliarne la portata geniale, risultando in una copia grottesca dell’originale The Booth at the End (Chris Kubasik, 2010).
Il ritmo è sostenuto eppure quieto, niente accade se non il dialogo. E qui spezzo la mia unica lancia in favore di un montaggio che trova pochi precedenti nella storia cinematografica contemporanea del Bel Paese. La mancanza di azione, di sviluppo e di atti esteriori non si fa sentire proprio per una bravura di post-produzione, sapientemente diretta da Consuelo Catucci, che poche volte ho visto in questi ultimi anni.
In ogni caso la rovina nasce, si sviluppa e fagocita ogni nuance artistica a causa di attori poco credibili, ai quali Genovese concede una libertà di movimento più teatrale che cinematografica. Si passa dal presunto misterioso e per niente interessante Valerio Mastandrea, all’improbabile Sabrina Ferilli, proseguendo poi con i Rocco Papaleo e Silvio Muccino di turno sempre ombre di sé stessi (Vinicio Marchioni non prendiamolo nemmeno in considerazione), trovando tuttavia un po’ di respiro nella performance di Alba Rohrwacher, eccezione italo-germanica che conferma la regola: l’Italia cinematografica hic et nunc non sa recitare e non vuole nemmeno provare a farlo.

Sedotto come tutti dallo script originale, il regista gli soccombe senza riuscire a concepire un film che stia a sé rispetto al suo illustre referente.

Non mancano i tentativi di dislocare col diner anche lo sfondo sociale, introducendo lo scarto, sottile ma efficace, che richiama l’emergenza del femminicidio in Italia, attraverso la storia del poliziotto di Marco Giallini che incrocia quella drammatica di Vittoria Puccini. Ma non basta. The Place non “eccede” mai il suo punto di partenza, non aggiorna la sua tesi estetica ma la serve passivamente. Diversamente dal desiderio dei suoi personaggi, tutti compresi a interrogarsi sulle modalità pratiche per riuscire nell’impresa che testerà la loro umanità, l’idea e le ipotesi di Paolo Genovese non diventano un piano, bensì sfociano in un prodotto cinematografico stagnante, poco interessante e assolutamente perfettibile.

Fabio Greg C.

I giovani: la Chiesa che manca!

È necessario che le comunità mostrino ai giovani la differenza cristiana. Enzo Bianchi, OssRom 25 04 2018

Cari amici credo che questo articolo di Enzo Bianchi valga leggerlo a giovani e adulti e… preti.

A marzo i giovani hanno vissuto una riunione presinodale nella quale è stato elaborato un documento da offrire alle istituzioni del prossimo sinodo su «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», affinché da esso si sentano ispirate nell’elaborazione dell’Instrumentum laboris, la traccia per il confronto e la discussione comune. Un documento concepito da trecento giovani provenienti da tutto il mondo, collegati online attraverso gruppi di Facebook con altri quindicimila coetanei, non può essere pienamente rappresentativo di una realtà così plurale e complessa qual è la gioventù di molte e diversissime aree culturali nelle quali è presente la Chiesa cattolica. Resta tuttavia significativo che in questo testo si possano scorgere alcune convergenze, soprattutto sulle sfide e sulle opportunità dei giovani nel mondo di oggi. Va anche riconosciuta un’innegabile evidenza: le numerose indagini sociologiche e le diverse letture da parte di attenti osservatori del mondo giovanile non contraddicono ciò che i giovani hanno espresso in prima persona in questo confronto.

Questo documento ha il pregio di aiutare a percepire i giovani come parte della Chiesa e noncome semplici interlocutori di un’istituzione a loro esterna. I giovani si sentono Chiesa, anche quando hanno consapevolezza di essere “la Chiesa che manca”, secondo la felice espressione di don Armando Matteo, e hanno la capacità di prendere la parola per richiedere al corpo di cui fanno parte un cambiamento di rotta e di stile. È significativo che si esprimano giudicando «la Chiesa come troppo severa e spesso associata a un eccessivo moralismo» e chiedendo che essa sia «accogliente e misericordiosa, […] capace di amare tutti, anche quelli che non la seguono» (1.1). Dunque i giovani fanno richieste non scontate né rivoluzionarie, ma pacate e determinate. Ciò che tuttavia dal documento emerge come urgente per i giovani di oggi è la ricerca del senso dell’esistenza. Ricerca che si è fatta faticosa e difficile e che avviene ormai lontano dai percorsi indicati dalle religioni e soprattutto lontano da un itinerario di fede, perché proprio la fede non è stata loro trasmessa dalla generazione precedente, quella dei loro genitori. I millennials, nati negli ultimi due decenni del secolo scorso, possono anche essere definiti la “prima generazione incredula”, ma si faccia attenzione e si legga con discernimento quanto avvenuto nella generazione precedente, resasi estranea alla Chiesa soprattutto attraverso un’inedita incoerenza: si diceva cattolica ma non frequentava più abitualmente la liturgia domenicale e non sentiva l’appartenenza al cattolicesimo se non a livello culturale, in quanto erede di una cultura tradizionalmente cattolica.

Negli ultimi decenni del secolo scorso la Chiesa cattolica, in particolare quella italiana, è parsa aver smarrito lo slancio dell’aggiornamento conciliare e non si è più impegnata nella formazione e nella cura del fedele, affinché la sua fede fosse pensata, adulta e dunque emergesse la figura del cristiano maturo, corresponsabile nella comunità cristiana. Ha preferito spendere tutte le sue energie in una logica di presenza nella società, fino a cercare di occupare spazi abitati dalla “religione civile”. Così è avvenuta una rottura della trasmissione generazionale della fede ed è emersa una figura di cattolico astenico e poco convinto che, come tale, non poteva comunicare ai figli né le esigenze evangeliche della sequela né una concreta appartenenza alla comunità cristiana.

Va anche detto che questa generazione adulta di fine millennio è stata incapace di comunicare una grammatica umana ai figli, che oggi si trovano poco abilitati al vivere quotidiano, ad assumere una responsabilità, a trovare senso. È soprattutto questa “ricerca di senso” a essere oggi in affanno, come testimoniano le indagini sociologiche e come sperimentano quanti sono in ascolto dei giovani (come i monasteri o le comunità che li accolgono abitualmente). «Chi sono veramente io? Chi voglio essere? Come diventare me stesso? Che cosa posso sperare? Che senso dare alla mia vita? Mi ritrovo davanti a un muro: come abbatterlo? O devo forse scalarlo?». Queste le domande dei giovani, a volte vissute in modo tragico, nella sensazione che non vi siano risposte se non il nulla.

Occorre ascoltare i giovani, ascoltarli nelle loro speranze e nelle loro ansie con molta pazienza, cercando soltanto di essere vicini a loro, compagni di strada, niente di più, senza avere la pretesa di suggerire o di proporre alcunché. Proprio perché queste sono le domande drammatiche che li abitano, oggi il riferimento a Dio sembra di nessun interesse, anche se questa aporia non desta alcuna confessione o militanza ateistica. Semplicemente, Dio non è più interessante e i giovani sono convinti che si possa vivere una vita felice senza di lui. E non si dica che, di conseguenza, i giovani abbandonano la Chiesa. Questa è estranea di per sé, come un mondo che non riesce più a dire nulla né attraverso la sua liturgia né attraverso le sue prediche. Dio è una parola rifiutata ed espulsa perché è risuonata troppo, perché le sue immagini sono state percepite come false e nemiche dell’uomo, mentre la Chiesa è estranea perché — come più volte mi hanno detto i giovani — «vive in un altro mondo». Resta però significativo che quei giovani che hanno ricevuto una qualche conoscenza di Gesù Cristo e della sua radicale umanità non sono indifferenti alla sua figura esemplare e al suo messaggio, anche se non giungono a una confessione di fede in lui.

Proprio per queste considerazioni, diventa urgente e decisivo un cambiamento nel vivere la fede cristiana: un cambiamento che riguarda innanzitutto la generazione adulta dei padri e delle madri, la generazione dei quarantenni-cinquantenni che deve essere raggiunta dal Vangelo, da quel Vangelo che non è stato loro indirizzato nel tempo della formazione cristiana. Occorre riaccendere un cristianesimo di testimonianza, in cui comportamento e stile siano veramente coerenti con il Vangelo professato. La trasmissione della fede deve cominciare nello spazio della famiglia, anche della famiglia ferita: solo se c’è convinzione salda, mite e intelligente, allora la fede si fa eloquente, parla ad altri e si fa comprendere come un tesoro per la vita. Se invece le istituzioni della Chiesa continuano a ignorare i fedeli, a lasciarli in una condizione di destinatari passivi del culto e della predicazione, se non riescono a farli partecipare con responsabilità alla vita della comunità, continuerà una fuga senza contestazioni e nel recinto dell’ovile resterà un numero sparuto di pecore.

Lasciamo perdere la retorica sui giovani e, mi permetto di dire, anche sulle donne. È controproducente caricare queste realtà di aggettivi pieni di complimenti e di immagini poetiche ma vuoti di sostanza: occorre invece un mutamento, affinché queste parti della Chiesa che stanno per mancare, o addirittura già mancano, trovino uno spazio di appartenenza e di vera fraternità e sororità vissuta in una comunità che sappia mostrare “la differenza cristiana”, in mezzo agli uomini e alle donne presenti nella storia e nella società, non contro di loro. I giovani oggi sono sempre più lontani dalla fede cristiana, ma abitano non una terra atea bensì una terra di mezzo in cui regna l’indifferenza per Dio e per la Chiesa. Questo è però un terreno aperto alla ricerca, alla vita interiore, alla spiritualità, un terreno assetato di grammatica umana.

Attraverso le loro domande, sovente mute, i giovani chiedono che sia indicato loro il senso, la chiamata/vocazione alla vita. Sì, la vocazione che vorrebbero ascoltare e discernere è la vocazione alla vita, al vivere che è la chiamata unica e irripetibile per ogni persona da parte di Dio, anche nella fede cristiana. Come tutti gli umani, anche i giovani sono chiamati a vivere in pienezza, a fare della propria vita, per quanto è possibile, un’opera d’arte consapevole: chiamati dunque alla felicità, perché la vita buona e bella sa anche dare la felicità. Nessuna visione banalmente ottimistica sul “duro mestiere di vivere”, ma se questo invito alla vita è rivolto a un giovane da chi ha fiducia e comunica fiducia, se è fatto nella piena gratuità, non per farlo entrare nella Chiesa, non per farne un discepolo, ma perché si vuole che diventi un soggetto capace di pienezza di vita, allora l’appello è veramente credibile. Solo degli anziani, degli adulti capaci di fiducia e dunque di fede sanno anche mostrare la gratuità della loro cura dei giovani e sono capaci di fare strada insieme a loro, verso la vita.

Accogliendo i giovani, nel monito presinodale Papa Francesco ha usato parole commoventi per loro, invitandoli al rischio, all’entusiasmo della fede e al gusto della ricerca. Ha chiesto loro di non temere, di non spaventarsi mai sui nuovi sentieri da percorrere. Nella domenica delle Palme ha chiesto loro di gridare perché, se non grideranno i giovani, grideranno le pietre, come aveva detto Gesù dopo il suo ingresso a Gerusalemme (cfr. Luca, 19, 40). Dunque i giovani non siano mai letti né fuori dalla Chiesa né come semplici destinatari delle parole della Chiesa, né senza i padri e le madri, senza gli anziani, perché solo tutti insieme, come un solo corpo, si cammina con fiducia e solo in comunione ci si salva.

Come un vaso d’argilla

«Come un vaso di argilla il corpo umano ha bisogno per prima cosa di venir purificato dall’acqua, quindi di essere reso saldo e perfetto per mezzo del fuoco spirituale cioè di Dio che è fuoco divorante. Poi deve accogliere in sé lo Spirito Santo, dal quale riceve la sua perfezione e da cui viene rinnovato: infatti il fuoco spirituale è anche in grado di irrigare e l’acqua spirituale può anche far divampare» (Didimo d’Alessandria).

Cari amici oggi Gesù dopo averci donato la sua divinità prende la nostra carne per portarla dal Padre, un felice scambio tra Dio e noi e noi e Dio. Il cielo e la terra oggi sono un unicum e l’uomo non è più limitato al suo mondo, ma per il dono dello Spirito santo può capire, vivere, testimoniare la lingua di Dio tra gli uomini che cercano la felicità.

Viviamo bene questa settimana tra l’Ascensione e la Pentecoste, dicendo ogni giorno “Vieni Spirito santo, amico vero” e trovando il tempo per la santa messa oggi e domenica di Pentecoste.

Non spegnete il desiderio di Dio in voi.

pJgiannic