Non più schiavi, ma fratelli

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

PER LA CELEBRAZIONE DELLA

XLVIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2015

NON PIÚ SCHIAVI, MA FRATELLI

Cari amici ci sembra doveroso offrirvene una sintesi per cominciare bene il nuovo anno.

All’inizio di un nuovo anno prego in modo particolare perché, rispondendo alla nostra comune vocazione di collaborare con Dio e con tutti gli uomini di buona volontà per la promozione della concordia e della pace nel mondo, sappiamo resistere alla tentazione di comportarci in modo non degno della nostra umanità.

Purtroppo, la sempre diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo ferisce gravemente la vita di comunione e la vocazione a tessere relazioni interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità. Tale abominevole fenomeno, che conduce a calpestare i diritti fondamentali dell’altro e ad annientarne la libertà e dignità, assume molteplici forme sulle quali desidero brevemente riflettere, affinché, alla luce della Parola di Dio, possiamo considerare tutti gli uomini “non più schiavi, ma fratelli”. …

Caino e Abele sono fratelli, perché provengono dallo stesso grembo, e perciò hanno la stessa origine, natura e dignità dei loro genitori creati ad immagine e somiglianza di Dio, pur mantenendo la propria diversità. … Purtroppo, tra la prima creazione narrata nel Libro della Genesi e la nuova nascita in Cristo, che rende i credenti fratelli e sorelle del «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29), vi è la realtà negativa del peccato, che più volte interrompe la fraternità creaturale e continuamente deforma la bellezza e la nobiltà dell’essere fratelli e sorelle della stessa famiglia umana. … La loro vicenda (cfr Gen 4,1-16) evidenzia il difficile compito a cui tutti gli uomini sono chiamati, di vivere uniti, prendendosi cura l’uno dell’altro». … Le conseguenze? … Rifiuto dell’altro, maltrattamento delle persone, violazione della dignità e dei diritti fondamentali, istituzionalizzazione di diseguaglianze. Di qui, la necessità di una conversione continua all’Alleanza, compiuta dall’oblazione di Cristo sulla croce

Attenzione però: Non si diventa però cristiani, figli del Padre e fratelli in Cristo, per una disposizione divina autoritativa, senza l’esercizio della libertà personale, cioè senza convertirsi liberamente a Cristo. L’essere figlio di Dio segue l’imperativo della conversione …

Oggi, a seguito di un’evoluzione positiva della coscienza dell’umanità, la schiavitù, reato di lesa umanità, è stata formalmente abolita nel mondo. Il diritto di ogni persona a non essere tenuta in stato di schiavitù o servitù è stato riconosciuto nel diritto internazionale come norma inderogabile… Eppure, malgrado la comunità internazionale abbia adottato numerosi accordi al fine di porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diverse strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone – bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù.

[E qui il papa elenca a una serie di schiavitù odierne cui pensa, tra tutte citiamo: al lavoro schiavo e alla prostituzione anche di minori].

C’è una causa ontologica della schiavitù: quando l’uomo non riconosce più l’altro come suo fratello, ma come oggetto.

Ci sono cause materiali: specialmente il non potere accedere all’educazione.

Spesso, osservando il fenomeno della tratta delle persone, del traffico illegale dei migranti e di altri volti conosciuti e sconosciuti della schiavitù, si ha l’impressione che esso abbia luogo nell’indifferenza generale. Se questo è, purtroppo, in gran parte vero, vorrei ricordare l’enorme lavoro silenzioso che molte congregazioni religiose, specialmente femminili. Questo immenso lavoro, che richiede coraggio, pazienza e perseveranza, merita apprezzamento da parte di tutta la Chiesa e della società.

Ma esso da solo non può naturalmente bastare per porre un termine alla piaga dello sfruttamento della persona umana. Occorre anche un triplice impegno a livello istituzionale di prevenzione, di protezione delle vittime e di azione giudiziaria nei confronti dei responsabili.

Gli stati, le organizzazioni governative, le imprese… Alla responsabilità sociale dell’impresa però si accompagna poi la responsabilità sociale del consumatore. Infatti, ciascuna persona dovrebbe avere la consapevolezza che «acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico»…

La Chiesa ha il compito di mostrare a tutti il cammino verso la conversione, che induca a cambiare lo sguardo verso il prossimo, a riconoscere nell’altro, chiunque sia, un fratello e una sorella in umanità, a riconoscerne la dignità intrinseca nella verità e nella libertà, come ci illustra la storia di Giuseppina Bakhita, che da schiava divenne la santa della libertà.

In questa prospettiva, desidero invitare ciascuno, nel proprio ruolo e nelle proprie responsabilità particolari, a operare gesti di fraternità nei confronti di coloro che sono tenuti in stato di asservimento. Chiediamoci come noi, in quanto comunità o in quanto singoli, ci sentiamo interpellati quando, nella quotidianità, incontriamo o abbiamo a che fare con persone che potrebbero essere vittime del traffico di esseri umani, o quando dobbiamo scegliere se acquistare prodotti che potrebbero ragionevolmente essere stati realizzati attraverso lo sfruttamento di altre persone.

Alcuni di noi, per indifferenza, o perché distratti dalle preoccupazioni quotidiane, o per ragioni economiche, chiudono un occhio. Altri, invece, scelgono di fare qualcosa di positivo, di impegnarsi nelle associazioni della società civile o di compiere piccoli gesti quotidiani – questi gesti hanno tanto valore! – come rivolgere una parola, un saluto, un “buongiorno” o un sorriso, che non ci costano niente ma che possono dare speranza, aprire strade, cambiare la vita ad una persona che vive nell’invisibilità, e anche cambiare la nostra vita nel confronto con questa realtà. … Sappiamo che Dio chiederà a ciascuno di noi: “Che cosa hai fatto del tuo fratello?” (cfr Gen 4,9-10).

La globalizzazione dell’indifferenza, che oggi pesa sulle vite di tante sorelle e di tanti fratelli, chiede a tutti noi di farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità, che possa ridare loro la speranza e far loro riprendere con coraggio il cammino attraverso i problemi del nostro tempo e le prospettive nuove che esso porta con sé e che Dio pone nelle nostre mani.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2014

FRANCISCUS

Papa Francesco ai cristiani perseguitati

Cari fratelli e sorelle,

«Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio» (2 Cor 1,3-4).

Mi sono venute alla mente queste parole dell’apostolo Paolo quando ho pensato di scrivere a voi, fratelli cristiani del Medio Oriente. Lo faccio nell’imminenza del Santo Natale, sapendo che per molti di voi alle note dei canti natalizi si mescoleranno le lacrime e i sospiri. E tuttavia la nascita del Figlio di Dio nella nostra carne umana è ineffabile mistero di consolazione: «È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11).

L’afflizione e la tribolazione non sono mancate purtroppo nel passato anche prossimo del Medio Oriente. Esse si sono aggravate negli ultimi mesi a causa dei conflitti che tormentano la Regione, ma soprattutto per l’operato di una più recente e preoccupante organizzazione terrorista, di dimensioni prima inimmaginabili, che commette ogni sorta di abusi e pratiche indegne dell’uomo, colpendo in modo particolare alcuni di voi che sono stati cacciati via in maniera brutale dalle proprie terre, dove i cristiani sono presenti fin dall’epoca apostolica.

Nel rivolgermi a voi, non posso dimenticare anche altri gruppi religiosi ed etnici che pure subiscono la persecuzione e le conseguenze di tali conflitti. Seguo quotidianamente le notizie dell’enorme sofferenza di molte persone nel Medio Oriente. Penso specialmente ai bambini, alle mamme, agli anziani, agli sfollati e ai rifugiati, a quanti patiscono la fame, a chi deve affrontare la durezza dell’inverno senza un tetto sotto il quale proteggersi. Questa sofferenza grida verso Dio e fa appello all’impegno di tutti noi, nella preghiera e in ogni tipo di iniziativa. A tutti voglio esprimere la vicinanza e la solidarietà mia e della Chiesa, e offrire una parola di consolazione e di speranza.

Cari fratelli e sorelle, che con coraggio rendete testimonianza a Gesù nella vostra terra benedetta dal Signore, la nostra consolazione e la nostra speranza è Cristo stesso. Vi incoraggio perciò a rimanere attaccati a Lui, come tralci alla vite, certi che né la tribolazione, né l’angoscia, né la persecuzione possono separarvi da Lui (cfr Rm 8,35). Possa la prova che state attraversando fortificare la fede e la fedeltà di tutti voi!

Prego perché possiate vivere la comunione fraterna sull’esempio della prima comunità di Gerusalemme. L’unità voluta dal nostro Signore è più che mai necessaria in questi momenti difficili; è un dono di Dio che interpella la nostra libertà e attende la nostra risposta. La Parola di Dio, i Sacramenti, la preghiera, la fraternità alimentino e rinnovino continuamente le vostre comunità.

La situazione in cui vivete è un forte appello alla santità della vita, come hanno attestato santi e martiri di ogni appartenenza ecclesiale. Ricordo con affetto e venerazione i Pastori e i fedeli ai quali negli ultimi tempi è stato chiesto il sacrificio della vita, spesso per il solo fatto di essere cristiani. Penso anche alle persone sequestrate, tra cui alcuni Vescovi ortodossi e sacerdoti dei diversi Riti. Possano presto tornare sane e salve nelle loro case e comunità! Chiedo a Dio che tanta sofferenza unita alla croce del Signore dia frutti di bene per la Chiesa e per i popoli del Medio Oriente.

In mezzo alle inimicizie e ai conflitti, la comunione vissuta tra di voi in fraternità e semplicità è segno del Regno di Dio. Sono contento dei buoni rapporti e della collaborazione tra i Patriarchi delle Chiese Orientali cattoliche e quelli ortodossi; come pure tra i fedeli delle diverse Chiese. Le sofferenze patite dai cristiani portano un contributo inestimabile alla causa dell’unità. È l’ecumenismo del sangue, che richiede fiducioso abbandono all’azione dello Spirito Santo.

Che possiate sempre dare testimonianza di Gesù attraverso le difficoltà! La vostra stessa presenza è preziosa per il Medio Oriente. Siete un piccolo gregge, ma con una grande responsabilità nella terra dove è nato e si è diffuso il cristianesimo. Siete come il lievito nella massa. Prima ancora di tante opere della Chiesa nell’ambito scolastico, sanitario o assistenziale, da tutti apprezzate, la ricchezza maggiore per la Regione sono i cristiani, siete voi. Grazie della vostra perseveranza!

Il vostro sforzo di collaborare con persone di altre religioni, con gli ebrei e con i musulmani, è un altro segno del Regno di Dio. Il dialogo interreligioso è tanto più necessario quanto più difficile è la situazione. Non c’è un’altra strada. Il dialogo basato su un atteggiamento di apertura, nella verità e nell’amore, è anche il migliore antidoto alla tentazione del fondamentalismo religioso, che è una minaccia per i credenti di tutte le religioni. Il dialogo è al tempo stesso un servizio alla giustizia e una condizione necessaria per la pace tanto desiderata.

La maggior parte di voi vive in un ambiente a maggioranza musulmana. Potete aiutare i vostri concittadini musulmani a presentare con discernimento una più autentica immagine dell’Islam, come vogliono tanti di loro, i quali ripetono che l’Islam è una religione di pace e può accordarsi con il rispetto dei diritti umani e favorire la convivenza di tutti. Sarà un bene per loro e per l’intera società. La situazione drammatica che vivono i nostri fratelli cristiani in Iraq, ma anche gli yazidi e gli appartenenti ad altre comunità religiose ed etniche, esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte di tutti i responsabili religiosi, per condannare in modo unanime e senza alcuna ambiguità tali crimini e denunciare la pratica di invocare la religione per giustificarli.

Carissimi, quasi tutti voi siete cittadini nativi dei vostri Paesi e avete perciò il dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita e alla crescita della vostra nazione. Nella Regione siete chiamati a essere artefici di pace, di riconciliazione e di sviluppo, a promuovere il dialogo, a costruire ponti, secondo lo spirito delle Beatitudini (cfr Mt 5,3-12), a proclamare il vangelo della pace, aperti alla collaborazione con tutte le autorità nazionali e internazionali.

Desidero esprimere in modo particolare la mia stima e la mia gratitudine a voi, carissimi fratelli Patriarchi, Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e sorelle Religiose, che accompagnate con sollecitudine il cammino delle vostre comunità. Quant’è preziosa la presenza e l’attività di chi si è consacrato totalmente al Signore e lo serve nei fratelli, soprattutto i più bisognosi, testimoniando la sua grandezza e il suo amore infinito! Com’è importante la presenza dei Pastori accanto al loro gregge, soprattutto nei momenti di difficoltà!

A voi, giovani, mando un abbraccio paterno. Prego per la vostra fede, per la vostra crescita umana e cristiana, e perché i vostri progetti migliori possano realizzarsi. E vi ripeto: «Non abbiate paura o vergogna di essere cristiani. La relazione con Gesù vi renderà disponibili a collaborare senza riserve con i vostri concittadini, qualunque sia la loro appartenenza religiosa» (Benedetto XVI, Esort. ap. Ecclesia in Medio Oriente, 63).

A voi, anziani, faccio giungere i miei sentimenti di stima. Voi siete la memoria dei vostri popoli; auspico che questa memoria sia seme di crescita per le nuove generazioni.

Vorrei incoraggiare quanti tra voi operano negli ambiti molto importanti della carità e dell’educazione. Ammiro il lavoro che state facendo, specialmente attraverso le Caritas e con l’aiuto delle organizzazioni caritative cattoliche di diversi Paesi, aiutando tutti senza preferenze. Attraverso la testimonianza della carità, voi offrite il più valido supporto alla vita sociale e contribuite anche alla pace di cui la Regione è affamata come del pane. Ma anche nell’ambito dell’educazione è in gioco il futuro della società. Quanto è importante l’educazione alla cultura dell’incontro, al rispetto della dignità della persona e del valore assoluto di ogni essere umano!

Carissimi, pur se pochi numericamente, siete protagonisti della vita della Chiesa e dei Paesi in cui vivete. Tutta la Chiesa vi è vicina e vi sostiene, con grande affetto e stima per le vostre comunità e la vostra missione. Continueremo ad aiutarvi con la preghiera e con gli altri mezzi a disposizione.

Nello stesso tempo continuo a esortare la Comunità internazionale a venire incontro ai vostri bisogni e a quelli delle altre minoranze che soffrono; in primo luogo, promuovendo la pace mediante il negoziato e il lavoro diplomatico, cercando di arginare e fermare quanto prima la violenza che ha causato già troppi danni. Ribadisco la più ferma deprecazione dei traffici di armi. Abbiamo piuttosto bisogno di progetti e iniziative di pace, per promuovere una soluzione globale ai problemi della Regione. Per quanto tempo dovrà soffrire ancora il Medio Oriente per la mancanza di pace? Non possiamo rassegnarci ai conflitti come se non fosse possibile un cambiamento! Sulla scia del mio pellegrinaggio in Terra Santa e del successivo incontro di preghiera in Vaticano con i Presidenti israeliano e palestinese, vi invito a continuare a pregare per la pace in Medio Oriente. Chi è stato costretto a lasciare le proprie terre, possa farvi ritorno e vivere in dignità e sicurezza. L’assistenza umanitaria possa incrementarsi, ponendo sempre al centro il bene della persona e di ogni Paese nel rispetto della sua identità propria, senza anteporre altri interessi. Che la Chiesa intera e la Comunità internazionale diventino sempre più consapevoli dell’importanza della vostra presenza nella Regione.

Care sorelle e cari fratelli cristiani del Medio Oriente, avete una grande responsabilità e non siete soli nell’affrontarla. Perciò ho voluto scrivervi per incoraggiarvi e per dirvi quanto sono preziose la vostra presenza e la vostra missione in codesta terra benedetta dal Signore. La vostra testimonianza mi fa tanto bene. Grazie! Ogni giorno prego per voi e per le vostre intenzioni. Vi ringrazio perché so che voi, nelle vostre sofferenze, pregate per me e per il mio servizio alla Chiesa. Spero tanto di avere la grazia di venire di persona a visitarvi e confortarvi. La Vergine Maria, la Tutta Santa Madre di Dio e Madre nostra, vi accompagni e vi protegga sempre con la sua tenerezza. A tutti voi e alle vostre famiglie invio la Benedizione Apostolica e auguro di vivere il Santo Natale nell’amore e nella pace di Cristo Salvatore.

Dal Vaticano, 21 dicembre, IV Domenica di Avvento

Francesco

Felicità e confidenza di Gesù

Gesù è felice di nascere tra noi, a San Felice, a Roma, a Lodi, a Genova, a Bologna, a …?
Gesù è stato felice di nascere a Betlemme e di nascere ogni momento in me, in noi, tra noi?

Se la felicità dipende solo dal trovare qualche nostro sorriso, o qualche chiesa un po’ piena delle altre domeniche, magari qualche bel canto, può darsi che sia felice giusto per compiacersi con noi.
Un po’ come quando incontriamo certi parenti che dobbiamo vedere per forza a Natale: facciamo finta di essere felici perché si deve, ma il cuore è altrove!
Io penso che Gesù un poco, solo un poco (poi spiegherò perché) sia felice perché ci riconosce cristiani tiepidi! Forse un po’ chiusi in noi stessi.
Le porte che si aprono giusto per curiosare chi è questo Gesù, ma poi si richiudono subito perché non c’è posto in casa, siamo troppo indaffarati; ma non preoccupatevi accade già una cosa simile con gli alberghi a Betlemme: sbaglio?

Forse Gesù è più felice di nascere in Iran, in Siria o da quelle parti, dove molti cristiani perseguitati, e anche uomini e donne di altre fedi, vivranno un altro Natale di tribolazione a causa del nome che portano: nazirei, seguaci di Gesù di Nazaret.
Scrive papa Francesco:
Cari fratelli e sorelle, che con coraggio rendete testimonianza a Gesù nella vostra terra benedetta dal Signore, la nostra consolazione e la nostra speranza è Cristo stesso. Vi incoraggio perciò a rimanere attaccati a Lui, come tralci alla vite, certi che né la tribolazione, né l’angoscia, né la persecuzione possono separarvi da Lui. Possa la prova che state attraversando fortificare la fede e la fedeltà di tutti voi!
Prego perché possiate vivere la comunione fraterna sull’esempio della prima comunità di Gerusalemme. L’unità voluta dal nostro Signore è più che mai necessaria in questi momenti difficili; è un dono di Dio che interpella la nostra libertà e attende la nostra risposta. La Parola di Dio, i Sacramenti, la preghiera, la fraternità alimentino e rinnovino continuamente le vostre comunità.

Ma noi non siamo tribolati, non siamo perseguitati, o così almeno crediamo, quindi che ci possiamo fare?
Eppure Gesù è felice di nascere tra gli uomini, tra tutti gli uomini, specialmente tra i più tribolati. È felice di nascere perché egli, che pur stava bene nel suo cielo, ha ritenuto più bello mettersi al nostro servizio, condividere la nostra natura umana per aiutarci a vincere il peccato.
Per aiutarci a combattere il peccato!
Ma noi vogliamo combattere il peccato? Oppure preferiamo restare chiusi nei nostri schemi, nelle nostre case comode, nella nostra fede fatta di formule piuttosto che di fede, speranza e carità?

Quante volte avete sentito i vangeli del Natale? Quante volte li avete ascoltati? Cioè meditati e tentato di farli vostri, di viverli?
Vi siete accorti che questi vangeli sono un continuo movimento, un continuo andare e venire di pastori, di stelle, di angeli, di magi, di soldati? Che significa questo movimento? Significa che per accogliere Gesù bisogna muoversi, non si può restare fermi!
Restare fermi nella propria mentalità, nei propri costumi e idee della vita è come chiudere la porta a Maria e Giuseppe che chiedono spazio per fare nascere Gesù!
Il cristiano non è un uomo statico: il cristiano è un pellegrino dell’amore, dell’Amore di un Dio che si muove dal suo cielo per scendere sulla terra degli uomini così da insegnare agli uomini la strada del cielo, ma una strada del cielo – fate bene attenzione – che passa attraverso gli altri uomini!
Avete mai guardato il cielo? Avete mai pensato ai secoli che sono passati? Tutti gli esperimenti recenti di questi astronauti che vanno alla Luna ci hanno almeno abituati a guardare un po’ di più la volta stellata che sta sopra di noi. E pensare a queste distanze immense, a questi secoli senza numero, che segnano l’età dell’universo e quindi il Dio di questo universo. Ebbene il Dio di queste profondità, il Dio infinito, il Dio che sta nei cieli. «Padre nostro che sei nei cieli», che sei in questo tuo … in questo immenso, immenso mistero; questo Dio che è inafferrabile ai nostri occhi, e così poco pensabile anche ai nostri cervelli, questo Dio vero.
Lui è venuto in mezzo a noi per darci confidenza! Così predicava papa Paolo VI: per darci confidenza!
Non si può dare confidenza al primo che passa, a un delinquente, a un poco di buono, a della gente come noi! Eppure Dio ha mandato il suo Figlio proprio per darci confidenza!
Quale regalo di Natale più bello?

E noi cosa possiamo regalare a Gesù?
Prima di tutto la gratitudine e la preghiera e in secondo luogo l’amore al prossimo come Lui ci ha insegnato.
Vorrei fare delle domande e poi finisco (predica ancora papa Paolo VI). Per celebrate il Natale: avete fatto qualche opera buona? Avete perdonato a qualcheduno? Avete pregato per qualcheduno che ne ha bisogno? Avete detto una buona parola per consolare qualcuno? Avete dato un po’ di gioia a qualche bambino, a qualche parente o a qualche persona? Avete cercato di effondere e di trovare in fondo al vostro cuore un po’ di calore, un po’ di dolcezza da dare intorno a voi? Avete fatto un atto di amore per questa vostra comunità, questa nostra società spirituale, che è la Chiesa? Beh, fatelo con me adesso! Noi celebreremo la Messa proprio per questa parrocchia, per questa Chiesa, perché diventi davvero una famiglia in Cristo, perché l’amore di Cristo regni, trionfi nella vostra comunità parrocchiale.
L’amore deve essere il sole che illumina la nostra vita, il sole che scende e che dirige il nostro amore dal senso verticale al senso orizzontale: amiamo Dio e amiamo il prossimo.
Se abbiamo capito questa chiave, questa sintesi del Cristianesimo, allora possiamo andare vicino al presepio, chiudere gli occhi e pensare a questo bambino che è venuto per essere il nostro Salvatore.

E allora Gesù veramente sarà felice di essere sceso tra noi, e noi saremo felici di essere in confidenza con Lui.
Santo Natale a tutti voi,
pJgiannic

Incominciare

Ultima domenica di avvento, ancora qualche giorno per preparare il Natale.
Se vogliamo prepararlo!

Di fronte ai drammi cui abbiamo assistito, centinaia di bambini uccisi, cioè la morte del futuro; di fronte allo scoraggiamento che molti lasciano trapelare verso il futuro avremmo ben donde chiederci perché attendere ancora Natale?
Meglio tornare ad attendere solo il Natale del presepe, con qualche lucina e delle pecorelle tanto per consolarci, piuttosto che attendere il Natale del ritorno del Signore nella sua gloria, infatti a questo serve l’Avvento, prepararci al ritorno del Signore perché egli viene!

Siamo convinti che il Signore viene?
Ci ricordiamo che il vero nome del cristiano è “colui che attende?”;
siamo consapevoli che questo tempo è proprio dei cristiani e di nessun altra religione?
siamo consapevoli che non attendiamo la fine della storia in un modo qualsiasi ma nell’incontro con il nostro Salvatore?
Se siamo convinti di tutto ciò certamente non possiamo vivere questo tempo con la stessa indifferenza con cui attendiamo l’autobus!

Il vangelo di questa domenica, l’annunciazione a Maria, è proprio lo scacco nei confronti del pessimismo e dello scetticismo. Non è il Vangelo della fantasia, ma del sano realismo.
Se noi attendiamo veramente Gesù, egli arriva; se noi cerchiamo veramente Gesù, egli ci cerca e fa per noi e con noi cose grandi.
Maria era una donna come le altre, in attesa delle grandi promesse di Dio, non sapeva come queste si sarebbero realizzate e sicuramente non sapeva di essere priva di peccato. Perché anche questo fatto è importante: Dio che si era rivelato nella notte dei tempi in un universo “vergine”, lasciando aleggiare il proprio spirito perché creasse il mondo; non poteva che scegliere un grembo vergine per ricreare l’universo! Un grembo, un cuore, una mente vergini, pure, belle per incarnarsi e rivelarsi.
Maria era una donna sconosciuta, viveva in una terra sconosciuta, in un’era sconosciuta eppure viene scelta da Dio e da Dio fatta strumento di salvezza.
Maria era preoccupata, perché non conosceva uomo – diversamente da Elisabetta – e colui al quale era promessa avrebbe potuto perderlo!
Ma anche qui, Dio, non avrebbe potuto scegliere diversamente per incarnarsi e questo non per strabiliare, ma per farci capire che, come nella notte dei tempi, quando il suo Spirito aleggiava sul caos informe primordiale per dare vita all’universo, così oggi aveva bisogno di un grembo assoluto per dare origine alla nuova creazione.

Il sì di Maria, di questa donna sconosciuta al messaggero di Dio, a un progetto sconosciuto di Dio di cui mai avrebbe pensato il divenire, l’accadere diventa il sì per tutti noi, il sì della speranza, della possibilità!

Guardare a Maria non significa guardare a un presepe del passato, ma al presepe del futuro;
guardare a Maria significa, riconoscere che nonostante il nostro peccato – redento dalla Croce – anche noi siamo oggetto della rivelazione, della scelta di Dio;
guardando a Maria comprendiamo che anche noi siamo responsabili di un futuro migliore: un nostro si o un nostro no significa costruire un futuro peggiore o migliore;
Maria si è fidata della parola di Dio e non aveva ancora la sicurezza della risurrezione, noi abbiamo la parola di Dio e la sicurezza della risurrezione, ma facciamo ancora fatica a fidarci della promessa di Dio che anche attraverso di noi può e vuole fare cose grandi, per questo il bene fatica a crescere.

Impariamo a fidarci della parola di Dio e il bene continuerà a crescere da quel momento in cui Maria disse di sì.

Luce a chi è perseguitato

Il Signore sta iniziando a imbandire il banchetto, i suoi angeli iniziano a venirci a chiamare, siamo pronti? Cristo si prepara già da tempo per venire in mezzo a noi, in noi! Siamo pronti ad accoglierlo?

Sgonfiamoci di noi stessi per far posto a Lui nel nostro cuore! facciamo in modo che sia migliore della mangiatoia che si è onorata di accoglierlo e che Lui non ha disdegnato! Che non ci disdegni!

In questa domenica dei santi progenitori per noi cristiani di rito greco, della gioia per voi cristiani di rito latino, preghiamo così:

che i santi padri progenitori effondano anche luce sui noi fratelli che questo Natale offrono al Signore e Sovrano che viene come re della Pace i loro cuori flagellati dalla persecuzione e la sofferenza in cui ancora versano!

Innanzi alle inammissibili esecuzioni in nome e per la fede perpetranti le anacronistiche pulizie etnico-religiose a cui siamo costretti assistere inermi, continuiamo a pregare finché non torni a regnare il silenzio delle armi e risuoni invece la bella melodia della giustizia ed una volta per tutte sia chiarito che ogni essere umano ha diritto alla vita e di viverla in piena libertà di coscienza, essendo tutti uguali.

Buona domenica della gioia, III di Avvento

Attendere l’autobus della gioia

Attendere l’autobus della Gioia.

Che l’Avvento è tempo di attesa lo sappiamo; che alle volte attendiamo Gesù con la stessa indifferenza con cui attendiamo l’autobus lo sappiamo; che siamo chiamati ad attendere Gesù con gioia, forse non sempre lo sappiamo.
Oggi è la domenica della Gioia, ce lo dicono le letture della messa, ma quale gioia?

Stiamo vivendo dei tempi drammatici: stiamo uccidendo il futuro, 5 mamme che in pochi giorni hanno ucciso i nostri figli; la corruzione non ha smesso di dilagare e sembra più forte della solidarietà. Tutto ciò non riguarda solo gli altri! Riguarda anche me! Che fare? Parlare di gioia non è un fuggire?
Se attendo la venuta/ritorno di Gesù solo per me, per la mia famiglia, per il mio gruppo di amici, sono nel peccato.
Se attendo il Natale, il ritorno di Gesù come un autobus tra i tanti, sono nel peccato.
Se attendo il Natale 2014 nella gioia di sapere che ogni mia azione è testimonianza della nascita di Gesù tra noi, sono nel Regno dei cieli!
Il peccato rimane, certo, ma imbrigliato dalla nostra comunione con Cristo che testimonia gioia, carità, speranza, novità di vita: le parole chiave dell’Avvento, di questa domenica.

Il profeta Isaia, profetizza la gioia su invito di Jahweh; Paolo ci comanda la gioia perché ha incontrato Gesù, vera gioia. Colui che ha vinto la morte ci dona la gioia vera per affrontare il male.
Giovanni il Battista, non ci parla di gioia, ma il suo modo di vivere, il suo modo di testimoniare non se stesso, ma Gesù, sollecitano in noi quella forza, quel vigore necessario per combattere il male. L’uomo non sempre sa cosa attende, ma sempre attende e/o tende verso qualchecosa che gli dia gioia. Dio invece sempre attende l’uomo e tende verso l’uomo. Giovanni il testimone (così lo definisce il IV vangelo) è la chiave di interpretazione di questo reciproco attendere. Giovanni il testimone è l’educatore dell’attesa: non ha la pretesa di conoscere tutto di Dio e di questo suo farsi uomo; non si mette al posto di Gesù ma lo indica; non scappa di fronte alle domande delle autorità, verrà decapitato.
Giovanni il testimone ci chiede di diventare educatori dell’attesa di Gesù, educatori nella gioia dell’incontro con il Cristo.
Tu come rispondi?

Buona terza domenica di Avvento, domenica della gioia.

Due belle testimonianze dalla Bielorussia e dal Venezuela:

Il mondo secolarizzato non può riconoscere la gioia, perché vuole essere serio, “adulto”. Ma Gesù non ci chiama ad essere “serio” o severo; egli ci ha dato il comandamento di essere come bambini (Matteo 18,3). Solo i bambini sanno davvero cosa significa gioia. Solo loro possono ricevere ogni nuovo giorno come una nuova vita; possono rallegrarsi sinceramente del presente. E la nostra vocazione ad essere come bambini significa che noi dovremmo rallegrarci nonostante tutto. P. Alexander c’invita a non ricevere la salvezza solo come una gioia, ma a considerare la gioia come salvezza.

Come ben dice lo slogan di questo lavoro: “Preferiamo accendere una luce piuttosto che criticare l’oscurità”. Molti di noi abbiamo deciso, per vincere ciò che ci opprime, di sforzarci a servire il nostro prossimo, con la speranza che le differenze politiche e sociali che ci tengono in una costante incertezza possano un giorno essere superate.
Noi non possiamo cambiare tutto, non possiamo impedire che succedono cose negative, ma quel poco che possiamo sta nell’abbandonarci a Dio e servire i nostri fratelli.

Chiesa, libri, giovani

Chiesa, libri, giovani.

In che modo la Chiesa, nei suoli libri, parla ai giovani?
Con questa domanda p. Giannicola mi ha chiesto di collaborare al nostro blog.
Forse più che una domanda, una sfida, perché non ho saputo rispondere. Così mi ha invitato a cercare, a entrare in librerie specificamente cristiane, diverse da quelle che solitamente frequento e a soffermarmi su qualche testo.
Io amo leggere eppure, come immagino molti di voi, non ho alcuna consuetudine con i cosiddetti “libri cattolici” o con libreria cattoliche.
Per potervi parlare seriamente di quei libri che la Chiesa ci indirizza e per poterveli consigliare ho bisogno di tempo, di acquisire una certa familiarità con scritti che raramente mi sono capitati tra le mani.
Ho deciso quindi che inizierò a parlarvi delle mie letture, magari non cattoliche, ma altrettanto feconde, di quei testi meravigliosi che fanno parte della nostra letteratura e che, seppur in modo diverso, vogliono dire qualcosa sulla nostra fede.

Comincio subito con: “In nome della madre”.
Non vi fate ingannare, non è un noioso libro di catechesi. Si tratta di un romanzo breve (direi brevissimo) di Erri de Luca. Per chi non lo conoscesse è uno scrittore contemporaneo, napoletano ma vive da sempre a Roma (così accontentiamo un po’ tutti) autore di saggi, romanzi e poesie.
Nella Premessa si legge: “In nome del Padre” s’inaugura il segno della croce. In nome della madre s’inaugura la vita.
E di questo si tratta, di una vita; quella di Myriàm/Maria e, tramite la sua, della nascita più sacra e misteriosa che conosciamo. Con un coraggio che potrebbe facilmente esser scambiato per presunzione Erri de Luca lascia che sia la Madonna a raccontarci la sua storia.
Il risultato è racchiuso in un libro coinvolgente, semplice e pieno di tenerezza.
Leggiamo i pensieri e le emozioni che Myriàm ha provato durante quei nove mesi, dall’Annunciazione alla Nascita, che han segnato la fine della sua adolescenza, nove mesi di paure colmati dall’amore infinito per il figlio che portava in grembo e dall’amore, altrettanto profondo e gentile, che ha per lei Iosef, l’uomo che le sta sempre accanto, suo angelo custode.
Trovo che sia il libro adatto per questo tempo di Avvento. Per prepararsi al Natale e ricordare la prima venuta del Figlio di Dio attraverso una storia che ci è vicina, celebrando la forza e la fede con cui Maria e Giuseppe accettano il volere divino.
Anche lei, come noi, immersa in una società di pregiudizi; anche lei, come le nostre madri, sogna, desidera e allo stesso tempo teme per il bambino che custodisce gelosamente in sé.
È una lettura che vi consiglio perché ci parla della fede con la semplicità di cui spesso abbiamo bisogno, così che ognuno di noi possa sentirsi vicino a Myriàm e al suo monologo pervaso d’amore e delicatezza:

Con le mani intrecciate sul ventre piatto mi toccavo la pelle per sentire sulla punta delle dita la mia vita cambiata. Era per me il giorno uno della creazione.

Elena Chioda

Santi Nicola e Ambrogio

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Augurando, in questa seconda domenica di Avvento, buona preghiera e buona festa dell’Immacolata concezione di Anna, Madre di Maria,

preghiamo onorando i grandi santi che illuminano questi giorni meravigliosi e speriamo anche allevino le sofferenze costanti di quanti soffrono a motivo di questa fede che noi occidentali celebriamo così normalmente.

Dunque rivolgiamoci con queste parole a San Nicola, vescovo di Mira, dicendogli:

Illuminato dai lumi della grazia, o uomo di mente divina,
manifestamente divenuto astro della pietà,
tu custodisci indenne chi è nelle prove,
liberi chi è nell’abisso del mare, o beatissimo,
e prodigiosamente nutri gli affamati;
tu che ora dimori nel paradiso di delizie
e chiaramente contempli l’ineffabile gloria,
guarda dunque dalle volte celesti a quelli che ti cantano,
per liberarli dalle passioni, o teoforo venerabilissimo;

non dimentichiamo poi di supplicare l’illustrissimo vescovo di Milano Ambrogio dicendogli:

Regola di fede,
immagine di mitezza,
maestro di continenza:
così ti ha mostrato al tuo gregge la verità dei fatti.
Per questo, con l’umiltà, hai acquistato ciò che è elevato,
con la povertà, la ricchezza, padre e pontefice Ambrogio.
Intercedi presso Cristo Dio,
per la salvezza delle anime nostre;
così che siamo fatti degni di festeggiare l’immacolata concezione di Anna, pregando Dio:
fa festa oggi tutta la terra per la concezione di Anna, avvenuta in Dio:
essa ha infatti concepito colei che oltre la ragione ha concepito il Verbo!

Santi e sante tutte, sostenete quanti sono perseguitati a causa della fede cristiana.
Amen

Aspettando l’autobus o Gesù?

Aspettiamo l’autobus o Gesù?

Cari amici è la seconda domenica di Avvento: vi interessa?

Ho trovato alcune citazioni che voglio condividere con voi giovani di oggi.

Il nome del cristiano è: “Colui che attende il Signore” (J. H. Newman).

In realtà l’Avvento è il solo specifico cristiano, perché un tempo di digiuno e penitenza come la Quaresima lo condividiamo con l’islam, il tempo della Pasqua con l’ebraismo, ma l’attesa della venuta del Kyrios è solo cristiana, solo noi cristiani attendiamo il ritorno di Cristo da lui stesso promesso: “Sì, vengo presto! Amen! (Ap. 22,20).

Siete uomini che attendete il ritorno del Signore o vi accontentate di un presepe? Siete uomini che si interrogano su come incontrare e far incontrare Gesù ai vostri contemporanei o preferite l’indifferenza e il tran tran quotidiano?

Scriveva da qualche parte Ignazio Silone: “Mi sono stancato di cristiani che aspettano la venuta del loro Signore con la stessa indifferenza con cui si aspetta l’arrivo dell’autobus”.

È vero spesso attendiamo il Signore come se stessimo attendendo l’autobus, ma l’autobus fa sempre lo stesso tragitto, limitato: Gesù ti permette un viaggio infinito alla scoperta della tua esistenza, sotto la guida della speranza.

Domenica scorsa ragionavamo sul fatto di verificare se abbiamo un senso spirituale, un motivo per cui esistiamo, oggi ci domandiamo se abbiamo speranza, se abbiamo l’audacia di salire sulla pianta (come Zaccheo) per vedere Gesù e cominciare una vita rinnovata.

Non scrivo una vita nuova, perché credo che molti di voi hanno già il sentimento di Cristo, ma rinnovata perché forse questo sentimento richiede una “rinascita”, una riforma, un non avere paura di ricominciare come chiede il vangelo di oggi.

Oggi il Vangelo comincia con… l’“inizio”. Inizio del Vangelo di Gesù, comincia una nuova storia di Dio con noi e di noi con Dio; comincia la possibilità di essere rigenerati nello Spirito santo (è la differenza dal battesimo di Giovanni) per iniziare a portare speranza al mondo.

La situazione sociale e politica e valoriale di oggi è sempre più drammatica e ci sentiamo inetti, incapaci di reagire. È proprio in questi momenti che siamo chiamati a consolare (la prima lettura del profeta Isaia), cioè iniettare speranza. Siamo chiamati a rimboccarci le maniche per iniziare, dalle piccole scelte quotidiane, a ridare credibilità a questa nostra umanità, certo anche rinunciando a qualche comodità materiale e intellettuale.

I politici, a Roma e non solo, hanno usato la povertà, gli scarti umani per fare soldi: usiamo lo scarto d’Europa per ridare fiducia alla società malata in cui viviamo (papa Francesco a Strasburgo).

La speranza è esattamente questo: volere infinitamente il finito, è vivere eternamente il tempo. La speranza “rifà ciò che è l’abitudine disfa. È la sorgente di tutte le nascite spirituali, di ogni novità, di ogni libertà. Semina cominciamenti là dove l’abitudine immette morte” (E. Mounier): questo è attendere Gesù, non l’autobus!

Buona seconda domenica di Avvento.

La sapienza è un cuore in ascolto

Nel primo libro dei Re (3,9) Salomone, il sapiente per eccellenza secondo la tradizione biblica, chiede a Dio un “cuore docile” per discernere il bene e il male. La traduzione esatta però dice: un “cuore che ascolta”.

Il cuore, nel linguaggio biblico, non è la sede del sentimento, bensì il luogo dove l’uomo unifica se stesso ed è capace di scelte che lo coinvolgono totalmente. È dunque più simile alla sede della volontà. L’ascolto è l’azione specifica del porsi in relazione. Gioca un ruolo fondamentale anche nella relazione con Dio, tanto che è centrale nella forse più importante preghiera ebraica: lo shemà, che significa proprio “ascolta”. “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è unico” (Dt 6,4).

La saggezza sta quindi nell’ascolto, ma non soltanto con le orecchie, bensì col cuore. Si tratta di saper “incontrare”, cioè di sapersi “mettere in relazione” con tutto ciò che è altro da noi, per farne esperienza autentica e vitale. In definitiva è anche un incontro con Dio che si fa presente a noi attraverso la creazione, il nostro prossimo e gli avvenimenti della nostra vita.

Tutto questo ci rimanda ad atteggiamenti di silenzio, attesa, interiorizzazione, disponibilità, che SAMZ e tutti i maestri della vita spirituale da sempre suggeriscono. Ma, non si tratta di una disposizione contemplativa che allontana e isola dal mondo, anzi, essa permette di immergersi nella realtà delle cose per farne esperienza profonda. La proposta che SAMZ indica nelle sue lettere è infatti quella di una contemplazione in azione, modalità che recentemente è stata ricordata anche da papa Francesco nella Evangelii Gaudium (cfr. cap. 5, n. 262) come centrale nella figura del cristiano evangelizzatore.

Stefano Maria