Cosa ci insegna Moreno!

Non ce l’ho con Moreno anche se non sono un suo fan; non voglio fargli la morale, anche se non condivido diverse sue scelte; neppure è mia intenzione dare un giudizio sulla persona, anche se parto dalla sua storia: lo faccio per arrivare a riflettere sui criteri che dovrebbero guidare le realtà ecclesiali che organizzano concerti ed eventi per i più giovani, a livello locale, nazionale o persino internazionale.

Anzitutto, ecco la storia. Prima tappa: il Giubileo dei Ragazzi. Lo scorso maggio, il nostro artista è tra i protagonisti dello spettacolo giubilare ufficiale, che si tiene allo stadio Olimpico di Roma; un evento che, nel programma, si trova dopo le confessioni in San Pietro e prima della Messa celebrata dal Papa. Seconda tappa: la Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia. Lo scorso luglio, il rapper è invitato ad un altro concerto, “Live da Cracovia”, ovvero la festa dei giovani italiani giunti in Polonia per incontrare il Papa. Terza tappa: Le Iene. Lo scorso ottobre, a Moreno organizzano uno scherzo televisivo: gli fanno credere che una ragazza con cui ha avuto una fugace relazione aspetta un bambino da lui; tra commenti divertiti di sottofondo, l’artista dice “Io non voglio tenere questo bambino”, mostrandosi particolarmente preoccupato per i soldi che gli può chiedere “la tipa” di cui fatica a ricordare il nome. Quarta tappa: L’Isola dei Famosi. Da pochi giorni si è conclusa l’edizione annuale del programma, durante la quale ha tenuto banco una relazione, vera o costruita ad arte, tra la pornostar Malena e, appunto, Moreno: una vicenda pruriginosa narrata anche in prima serata ed in fascia protetta, quella che dovrebbe tutelare i bambini.

Questa vicenda porta ad evidenziare la necessità di un primo criterio generale: la musica, lo spettacolo ed il divertimento non sono degli accessori, ma parte integrante dei percorsi educativi alla fede. La sfida educativa esige un solido, costante e competente impegno cristiano in questi ambiti, perché è qui che si definiscono sia l’immaginario, sia l’universo simbolico delle nuove generazioni. Da questo nasce un secondo criterio: la coerenza è una virtù, anche nei processi di comunicazione. Prendiamo, ad esempio, lo spot di un’autovettura: se l’obiettivo è esaltarne la forza o la resistenza non vedremo una ballerina di danza classica o una farfalla, semmai un lottatore di sumo o un leone; se invece l’obiettivo è valorizzarne la velocità, non vedremo un sollevatore di pesi o un bradipo, semmai un centometrista o un ghepardo. Invece, salvo rarissime eccezioni che di norma restano fuori dagli eventi ecclesiali, il mondo rap e hip-hop porta una visione dell’uomo e della donna non coerente con quella cristiana: basterebbe vedere qualche videoclip, per rendersi conto di come le ragazze vengano usate  per il divertimento altrui o di come l’alcol sia un compagno inseparabile del ballo oppure di come la droga non sia condannata. Arriviamo così al terzo criterio: l’artista è il messaggio. È bene non essere ingenui pensando che il messaggio sia solo quello che un artista dice o canta quando sale su un palco. Un esempio? A nessuno verrebbe in mente di invitare un dittatore sanguinario a parlare dell’amore verso i suoi figli e la sua famiglia, per non accreditare agli occhi dei presenti tutto quello che fa. Infine, un ultimo criterio ci viene suggerito da chi sostiene che queste riflessioni non abbiano più significato, perché la Chiesa deve dialogare con tutti, anche con chi ha istanze culturali diverse; se è auto-evidente che la missione della Chiesa è di-per-sé aperta al dialogo con chi è lontano, tuttavia un palco dove ci si esibisce senza contraddittorio non è il luogo del dialogo, ma della rappresentazione di progetti artistici portatori di modelli di vita, che devono essere minimamente coerenti con la finalità dell’evento. Altrimenti, nel tentativo di attirare i più giovani, si finisce ad investire denaro per accreditare chi li allontana. E di questo, prima o poi, bisognerà rispondere.

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A relação da fé com a medicina

A relação da fé com a medicina e a saúde

Enquanto o conceito antigo de saúde dizia respeito apenas ao físico das pessoas, hoje já se fala em saúde como algo mais amplo que engloba, além da física, a mental e a espiritual.
Sabe-se que o nosso corpo responde segundo a condição da nossa mente. Isso acontece pelo fato de tudo trabalhar junto em prol de um bom funcionamento.
No encéfalo, existem circuitos neuronais, o sistema límbico, que estão intimamente ligados às emoções e que influenciam em todo o desempenho do organismo.
Deste modo, quando estamos bem, neurotransmissores que nos dão uma sensação de bem-estar são liberados. A dor se ameniza e o corpo é capaz de trabalhar melhor, produzindo proteínas e renovando células, por exemplo. Em contrapartida, o estresse ativa esses mesmos circuitos de modo a induzir a liberação de neurotransmissores e hormônios, como o cortisol, que aumentam a depressão e o mal-estar.
Por isso a grande dificuldade da recuperação médica diante de uma grande enfermidade, pois, quanto mais doente, mais estressado e menor é a esperança de melhora.
Muitas pessoas, assim, agarram-se a uma luz no fim do túnel, mesmo quando não há mais tratamento possível, e obtêm melhora. Milagre? Com certeza, às vezes não sabemos explicar.
Portanto, a fé vem como um meio de renovação das esperanças: a cura de uma enfermidade, ou um fim suportável.
Vários são os relatos de pessoas que, por milagre, receberam a cura de uma doença que já não havia mais solução. No Evangelho, podemos ver vários casos, sendo um o da menina hemorrágica que foi curada ao tocar no manto de Jesus que disse: “Filha, a sua fé a curou! Vá em paz e fique livre do seu sofrimento” (Mc 5,34). Diante disso, hoje há estudos no campo da ciência que tentam conciliar os aspectos religiosos com os científicos na busca de um tratamento que reflita em maior adesão do paciente e mais rápida recuperação.
Segundo um psiquiatra brasileiro: “Antigamente, os médicos se lembravam da religião só quando o paciente parava de tomar um medicamento por causa dela. Hoje é comum perguntar sobre aspectos espirituais e religiosos para usá-los positivamente em um tratamento.”
Assim, algumas universidades dos Estados Unidos já apresentam uma disciplina com o intuito de preparar os estudantes da área de saúde a melhor acolher os pacientes que muitas vezes apresentam seu sofrimento por meio de uma linguagem que lhes é indecifrável. No Brasil, algo semelhante vem sendo implantado, um modelo que molde os estudantes para, no futuro, analisar o paciente como um todo. As diversas esferas, como a social, a profissional e a religiosa, devem ser levadas em conta para melhor compreender o paciente e seu problema, além de definir, de forma seleta, qual será o tratamento a partir dos recursos disponíveis.
Ademais, é sabido que um fator que contribui bastante para a melhora física é a relação médico-paciente. A empatia colocada em prática proporciona uma melhor segurança naquilo que será realizado, o que gera resultados mais positivos. Pois, a função do médico não é apenas tratar a doença, mas proporcionar melhor qualidade de vida às pessoas que o procuram. Como disse Hipócrates: “Curar quando possível; aliviar quando necessário; consolar sempre”.
A exemplo de SAMZ, devemos “exercer um serviço prestado unicamente por amor a Deus, vendo no rosto do enfermo a imagem de Cristo. Além de cuidar dos corpos, dizer piedosas palavras que ajudem a alma. O motivo do nosso trabalho não deve ser o dinheiro, mas servir ao homem que sofre.”

Pedro Henrique Lauar, Rio de Janeiro

Fede e medicina

La relazione della fede con la medicina e la salute
Mentre il vecchio concetto di salute si riferiva solamente alla dimensione fisica delle persone, oggi già si parla di salute come qualcosa di più ampio che comprende, oltre la dimensione fisica, la mente e lo spirito.
Si sa che il nostro corpo risponde in base alle condizioni della nostra mente. Questo accade per il semplice fatto che lavora tutto insieme per un buon funzionamento.
Nel cervello, ci sono circuiti neurali e il sistema limbico, che sono strettamente legate alle emozioni e che influenzano in tutto il disimpegno dell’organismo.
Così, quando stiamo bene, i neurotrasmettitori che ci danno una sensazione di benessere vengono rilasciati. Il dolore diminuisce e il corpo è in grado di lavorare meglio, producendo proteine e rinnovando cellule, per esempio. Al contrario, lo stress attiva questi stessi circuiti per indurre il rilascio di neurotrasmettitori e ormoni, come il cortisolo, che aumentano la depressione e il malessere.
Così la grande difficoltà di guarigione di fronte a una grave malattia cresce, perché quanto più siamo malati e stressati minore è la speranza di guarigione.
Molte persone, così, si aggrappano a una luce alla fine del tunnel, anche quando non c’è nessun trattamento possibile e ottengono la guarigione. Miracolo? Con certezza, a volte non si sa spiegare.
Pertanto, la fede si presenta come un mezzo per rinnovare le speranze: la cura di una malattia o di un fine tollerabile.
Ci sono diverse segnalazioni di persone che, miracolosamente, hanno ricevuto la guarigione da una malattia per la quale non c’era più una soluzione. Nel Vangelo, possiamo vedere un certo numero di casi di guarigione, uno della ragazza emorragica che fu guarita toccando il mantello di Gesù il quale ha detto: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Vai in pace e sii guarita dal tuo male.» (Mc 5,34). Così, oggi ci sono degli studi nel campo della scienza che cercano di conciliare gli aspetti religiosi con quelli scientifici nella ricerca di un trattamento che si rifletta in una migliore adesione del paziente e il recupero più veloce.
Secondo uno psichiatra brasiliano: «In passato, i medici si ricordavano della religione solo quando il paziente smetteva di prendere un farmaco a causa di essa. Oggi è solito fare domande su gli aspetti spirituali e religiosi per utilizzarli positivamente in un trattamento».
Così, alcune università degli Stati Uniti hanno già presentato una disciplina al fine di preparare gli studenti nel settore della sanità, per gestire e accogliere meglio i pazienti, che spesso presentano le loro sofferenze attraverso un linguaggio a loro incomprensibile.
In Brasile, è stato attuato qualcosa di simile, un modello che prepari gli studenti perché, nel futuro, possano analizzare il paziente nel suo complesso. I vari ambiti, come ad esempio quello sociale, professionale e religioso, devono essere presi in considerazione per capire meglio il paziente e il suo problema, oltre a definire, in forma selettiva, qual sarà il trattamento a partire dalle risorse disponibili.
Inoltre, è noto che un fattore che contribuisce abbastanza al miglioramento fisico è il rapporto medico-paziente. L’empatia messa in pratica fornisce una maggiore sicurezza in quello che sarà realizzato, che crea risultati più positivi. La funzione del medico non è solo curare la malattia, ma fornire una migliore qualità di vita alle persone che la cercano. Come ha detto Ippocrate: «Curare quando è possibile; alleviare quando è necessario, confortare sempre».
Come ci dà l’esempio il nostro SAMZ, dobbiamo «esercitare un servizio unicamente per amore di Dio, vedendo nel volto del paziente malato l’immagine di Cristo. Oltre a curare il corpo, dicano buone e pie parole che aiutino l’anima. La ragione del nostro lavoro non dev’essere quella economica, ma servire l’uomo che soffre».

Pedro Henrique Lauar

Da dove cominciare?

 

Da dove cominciare? Direi dall’inizio, la sera dell’arrivo quando ci siamo alzati uno per uno presentandoci e mostrando una facciata più che formale che si sarebbe sgretolata a breve grazie a un gomitolo che ci lanciavamo l’un l’altro per chiederci le generalità.

Sono stati solo tre giorni ma sufficienti per soffermarci un attimo, riflettere, riavvicinarci a Lui, e, con il Suo aiuto, a noi stessi. Si, perché per guardarsi dentro non serve sempre partire, ritirarsi: a volte, basta cercare lo spirito giusto e un po’ di coraggio.

In questi giorni di riflessione e condivisione abbiamo cercato il nostro specchio interiore. Per quanto tempo riesci a guardarti allo specchio? Dieci secondi? Venti? E no, non quando ti prepari la mattina o per uscire o per farti un selfie, quando ti guardi per guardarti, ma in ascensore, riflesso da solo a solo. Qui inevitabilmente il nostro “io” più profondo tenta di uscire fuori, di inviarci dei segnali che ci spiazzano in appena tre, quattro piani!

In fondo non abbiamo remore a vedere la nostra immagine riflessa dopo che non abbiamo agito al meglio? O, viceversa, non ci soffermiamo un po’ di più a guardarci quando siamo fieri di noi? A volte è così difficile guardarsi riflessi, perché diciamola tutta, ognuno di noi ha quella parte un po’ scomoda di sé che vorrebbe ignorare o mettere a tacere. Non parlo di un naso storto, di quei chili di troppo, dei capelli mai al loro posto. No, parlo dei pensieri mai al loro posto, delle emozioni scomode che scalpitano per uscire come piccole crepe dalla nostra anima.

Abbiamo uno strano modo di badare a noi stessi, l’apparire, fisico e sociale, spesso sorpassa le nostre più vere ragioni d’essere. A volte siamo talmente concentrati a condividere foto, momenti, sui vari social così da lasciarli impressi ovunque tranne che dentro di noi. Ormai sembra sempre più difficile trovare qualcosa che ci faccia dimenticare di condividerla perché siamo troppo impegnati a viverla. Forse potremmo distogliere lo sguardo da questi schermi, da questi like, da questi profili e cominciare a guardarci l’un l’altro: chi meglio di un vero amico può aiutare a guardarci dentro? Il confronto con gli altrici permette di crescere e rendere quelle crepe dei veri e propri panorami di luce. Quante volte non cerchiamo un contatto con una persona perché abbiamo paura di essere in torto, di non essere capiti o di essere di troppo. Nulla di più sbagliato. Con chi ci vuol bene abbiamo la possibilità di condividere silenzi senza “commentarli”, di ricordarci qualcosa per un odore o una canzone e non perché ce lo suggerisca facebook, di essere connessi con uno sguardo e un sorriso, senza spunte blu.

Prima ancora di guardarci dentro, potremmo provare a lasciare emergere la parte più vera di noi che, a nostra insaputa, si porta dietro tutto: sbagli, esperienze, vita, tutti i passi che ci hanno portato fino a qui.

I miei passi mi hanno portato ieri a un ritiro, oggi a scrivere, domani verso i miei sogni ma voglio che non vadano solo verso di me, ma anche verso gli altri. Come adesso, mentre vi racconto uno spicchio di vita che tanti ragazzi hanno condiviso (per davvero, senza internet!). Per trovare la nostra luce nei momenti bui, il nostro panorama oltre le crepe, sono i veri amici e chi ci ama a poterci guidare. Perché come fanno luce nei momenti bui e ci ricordano quanto siamo speciali, ci possono aiutare anche a vedere dove non vogliamo vedere, a essere i nostri occhi dove noi abbiamo posto delle bende. Così quella situazione difficile, quei cambiamenti ignorati, quei nostri modi di essere un po’ scomodi, piano piano prendono forma dentro di noi… prima sfocati e poi sempre più nitidi. Sarà allora che l’amico che ci ha aperto gli occhi, ci terrà per mano e ci aiuterà a trovare la strada. La stessa persona che ci ha aiutato a levare le nostre bende, ci aiuterà a tracciare la rotta.

Ad aspettare ognuno c’è il suo panorama, ogni mezzo dell’amicizia è consentito per raggiungerlo purché accompagnato da lealtà, fiducia, coraggio. Non ci resta allora che cominciare, partire e poi ripartire ancora, ogni volta portando dietro quel bagaglio che sono le nostre esperienze. Come quando, finito il ritiro, ci siamo salutati e abbiamo ripreso le nostre strade. Forse erano sempre le stesse che ci portavano a casa ma questa volta con un po’ più di luce dentro, sempre più vicini al nostro panorama con la certezza che ciò che è veramente condiviso non si “archivia” mai.

Valentina – Roma

Amore a 18 anni

L’amore è sempre stato uno, se non il più, comune dei sentimenti che ‘colpiscono’ l’uomo.
Tale sentimento è cambiato con il passare degli anni. dall’amore ai tempi di Dante, per molti aspetti ‘spirituale’, a quello dei tempi nostri, più di contatto ‘fisico’.
Nella nostra era di comunicazione di massa e dei social l’amore è sicuramente cambiato rispetto a 50 anni fa.
Attraverso i vari Facebook o altri, questo sentimento si è per certi aspetti ‘semplificato’. Infatti basta ‘chattare’ con la persona interessata, senza aver bisogno di vederla fisicamente, per cercare di iniziare una relazione. Questa opportunità seppure ha reso l’amarsi più semplice rispetto a molti anni fa, lo rende al tempo stesso più difficile.
Se due ragazzi si sono messaggiati per un lungo periodo, diventa arduo poi avere un contatto diretto. Attraverso i social una persona può apparire all’interessato/a in maniera diversa rispetto a quello che è realmente, andando così a complicare un loro futuro incontro. Questo però non vuol dire che valga per ogni persona. Molti ragazzi, infatti, sono fidanzati da molti anni e amano il proprio/la propria partner.
A 18 anni, quindi, è possibile innamorarsi di una persona.
L’amore a questa età, però, comporta anche delle complicazioni. I ragazzi infatti, sono nel pieno della loro gioventù, con la voglia di stare la maggior parte del proprio tempo con gli amici, rendendo difficile mantenere un rapporto stabile con un’altra persona.
Anche se per alcuni aspetti l’amore è cambiato, alcune cose sono rimaste com’erano. Un esempio è la considerazione sull’amore tra Giulietta e Romeo, visto come amore di riferimento, soprattutto tra le ragazze. Questo amore ‘mitico’ però difficilmente può inserirsi nella nostra epoca, almeno nei contesti sociali più sviluppati. Ormai non ci sono più ‘lotte’ tra famiglie, come tra i Montecchi e i Capuleti e c’è sicuramente molta più libertà nello scegliere il proprio compagno/a. Nelle zone più arretrate, o meno sviluppate culturalmente, è ancora possibile vedere una cosa simile.
Un altro esempio problematico può essere dato dalle differenti origini razziali. Se, per esempio, un nigeriano emigrato in Italia si fidanza con una di Milano, che proviene da una famiglia legata ancora alle antiche tradizioni, è possibile che possa riscontrare in vari problemi, prima di essere accettato dalla famiglia di lei.
Ma non esiste solo questo tipo di ‘amore’. Infatti con questa parola si intende anche l’amore per un proprio amico, e quindi l’amicizia, o per un proprio familiare, animale ecc. Questo anche è un sentimento fortissimo se il legame tra questi è saldo e sincero.
L’amore, inteso con tutte le sue sfaccettature, è presente da sempre nell’uomo (e … negli animali).

Alessandro Bevilacqua, Napoli

Il dramma della Palme a Napoli

Un dramma, quello che abbiamo appena ascoltato in questa domenica delle Palme, all’inizio di questa settimana santa, la settimana più importante dell’anno, è un dramma.
L’evangelista Matteo ci racconta il dramma di un Dio che diversamente da tutte le altre manifestazioni divine non ha ricusato non solo di farsi uomo in Maria affidandosi a Giuseppe; di condividere la propria vita con 12 scapestrati; addirittura lasciarsi morire così come conosciamo. Un dramma che lascia perplessi non per i patimenti ma perché questo uomo che poteva tutto ha abbandonato tutto e da tutti è stato abbandonato. Può un Dio o un eroe lasciarsi finire così!
E qui comincia anche l’altro dramma, quello dei discepoli, di Pietro in particolare, che non sanno capire questo lasciarsi umiliare del loro leader, ne restano scandalizzati. Una reazione talmente forte che li porterà al dramma del rinnegamento della sua amicizia, della sua comunione, sino a scappare, ad abbandonarlo sulla strada della Croce. Un dramma che le donne, solo le donne sapranno seguire, condividere, sostenere. Forse perché solo la donna capisce il valore profondo della vita. Almeno sino a ieri, oggi chissà!
In questo dramma siamo chiamati in causa anche noi qui presenti. Forse con un poco più di consapevolezza, poiché viviamo dopo la Pasqua, poiché leggiamo questa vicenda dopo la Pasqua.
Ma noi avremmo agito diversamente?
In questo dramma c’è tutto il dramma della nostra storia, del dolore degli innocenti, della superbia dei potenti, siano essi terroristi o russi o americani (preghiamo ancora per la Siria). Si legge che Erode e Pilato divennero amici facendo del male a Gesù! Quando diverranno nemici Trump e Putin per fare il bene della Siria e non solo?
Ma noi che centriamo con questo dramma, quali scandali o responsabilità possiamo denunciare?
A Napoli accade in questi giorni che tanti Fuffi, Bob, Cochi e altri quadrupedi di compagnia siano usciti dal dramma di essere senza diritti, senza possibilità di avere spazi propri e libertà di movimento in città. Infatti il governo locale ha istituito il “garante degli amici dell’uomo”: ce n’era proprio bisogno.
Peccato che lo stesso governo, in sintonia con la Regione Campania, abbia tagliato i fondi per il sostegno di tanti bambini e giovani disabili che non possono più permettersi di andare a scuola e non per colpa di genitori inetti o menefreghisti!
Ecco il dramma, il dramma della nostra città e noi non ci scandalizziamo!
Sapete perché Gesù ha scelto i piccoli, gli ultimi, i poveri per rappresentare se stesso? Perché sono gli unici che possono profondamente comprendere il dramma della sua passione e morte, comprendere senza scandalizzarsi o fuggire.
Chiediamo a questa Settimana Santa di aiutarci a penetrare il dramma di tanti Gesù presenti nella nostra città per comprendere meglio il dramma della passione di Cristo e imparare ad accompagnarli nella loro Via Crucis; e arrivare così alla gioia della risurrezione anche per questi nostri amici oggi trafitti da tanta ipocrisia.

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Carnaval – uma manifestação popular

Não é segredo para ninguém que o carnaval brasileiro é, além de uma festa popular no Brasil, um enorme espetáculo, considerado por alguns como o maior da Terra. Originário da antiga festa religiosa “carne vale”, em que se celebrava o adeus à carne antes que a Quaresma tivesse início (e começasse o período de jejum e abstinência), hoje o evento ganhou grandes proporções como festa secular.
No Brasil, o carnaval apresenta os traços culturais regionais somados às antigas tradições cristã. Em grande parte do nordeste o axé e o frevo tomam conta do momento, exportando para os quatro cantos do planeta seus artistas e atraindo fãs de todo lugar. No norte do país, acrescenta-se à festa o folclore amazonense dando ao evento a presença dos bois de Parintins em grandes desfiles. No centro-oeste a festa apresenta grande influência sertaneja; e no sul e sudeste existe a predominância de grandes desfiles em uma enorme passarela, compostos de carros alegóricos e muitas alas fantasiadas, além dos clássicos blocos de rua que arrastam multidões.
Ainda que as festas locais não agradem a todos, especialmente do ponto de vista religioso, pois por vezes toma proporções desnecessárias de promiscuidade e afins, não se pode negar que a ocasião oferece uma verdadeira e democrática variedade de oportunidades. No Rio de Janeiro, em particular, existe espaço para todos: há aqueles que aproveitam para comemorar nos blocos de rua e grandes bailes, seguindo trios elétricos pelas ruas da cidade; aqueles que preferem aproveitar o feriado por ele gerado para descansar e fazer uma pausa na correria do dia-a-dia; aqueles que se valem dos inúmeros retiros oferecidos na época pelas Igrejas, dioceses e comunidades para um maior contato com Deus; etc. Fazendo desta festa uma verdadeira manifestação artística e popular, por ser feita pelo povo e para o povo.

Ana Clara Fontenelle e Igor de França, Rio de Janeiro Parr. N.S de Loreto

Non è un segreto per nessuno che il carnevale brasiliano è, oltre una festa popolare in Brasile, un enorme spettacolo, considerato per alcuni come il più grande della Terra, del pianeta. Originaria festa religiosa “carnevale”, dove si celebrava l’addio alla carne prima che iniziasse la Quaresima (e iniziasse il periodo di digiuno e astinenza), oggi l’evento ha aumentato le sue proporzioni come festa secolare.
In Brasile, il carnevale presenta i tratti culturali regionale uniti alle antiche tradizioni cristiane.
In gran parte del Nord Este l’axe e il frevo (due tipiche danze locali) prendono in mano la situazione, esportando verso i quattro angoli del pianeta i suoi artisti e attraendo i fan da tutte le parti. Nel Nord del paese, si aggiunge alla festa il folclore dell’Amazzonia donando all’evento la presenza dei buoi di Parintins in grandi sfilate. Nel Centro Ovest la festa presenta una grande influenza dell’entroterra; e nel Sud e Sud Est vi è un predominio di grandi sfilate in un’enorme passerella, composta da carri allegorici ali di gente molto piene di fantasia; una passerella capace di bloccare la strada e trascinare le moltitudini.
Anche se le feste locali non sono gradite da tutti, soprattutto dal punto di vista religioso, anche perché a volte assumono situazioni non necessarie di promiscuità, non si può negare che l’occasione del Carnevale offre una vera e democratica varietà di opportunità per tutti.
A Rio de Janeiro, in particolare, c’è posto per tutti: ci sono quelli che approfittano di celebrare grandi incontri di strada e grandi balli, seguendo dei trios eletrico per le strade della città; quelli che preferiscono godersi il giorno di festa per riposare e fare una pausa dalla corsa di ogni giorno; quelli che godono dei numerosi ritiri spirituali offerti dalle chiese, diocesi e comunità per un maggiore contatto con Dio.
Tutto ciò fa di questa festa una vera e propria manifestazione artistica e popolare, perché fatta dal popolo e per il popolo.

La scelta di Sofia?

Spulciando il web trovo un’intervista del giornalista Aldo Cazzullo a una sconosciuta (almeno a me) Sofia Viscardi. Lei non ha ancora 19 anni e ha un milione e mezzo di follower su Instagram, 500 mila su Twitter, 200 mila amici su Facebook. (http://www.corriere.it/italiani//notizie/sofia-viscardi-vi-spiego-chi-sono-vostri-figli-a8845916-eb26-11e6-ad6d-d4b358125f7a.shtml#commentFormAnchor).

Conoscendo Cazzullo, interessato a tutto ciò che riguarda i giovani mi sono precipitato nella lettura e ne sono uscito … un poco tiepido!

Perché investe in questo modo il suo tempo? Veramente i nostri giovani vivono sulla scia di tale Sofia?

Perciò ho sollecitato amici giovani, meno giovani e genitori sull’articolo.

L’intervista piace e non piace anche se ci si chiede chi sia poi questa così famosa Sofia: basta essere una youtuber per diventare famosa, interessante?

Sofia sembrerebbe interessare come amica almeno per la carica positiva che sprigiona, ma non è il tipo di amica che si vorrebbe avere per forza.

Sicuramente chi è famoso potrebbe diventare un idolo, ma nessuno dei nostri intervistati si scambierebbe con lei. In particolar modo A. afferma che vivere la vita di altri è un po’ un rifiuto della propria, un’esigenza di scappare dai problemi personali, andando poi a rifugiarsi nella vita di chi questi problemi non li ha.

Sofia appare una ragazza grintosa ma ognuno è contento della propria grinta, anzi C. non trova Sofia particolarmente grintosa; il suo essere frizzante appare vagamente superficiale e troppo pieno di sé!

C’è poi il rapporto con i genitori nel quale tutti concordano di avere genitori capaci di sollecitare obiettivi adeguati al proprio figlio, spronati a raggiungerli.

E se Sofia fosse nostra figlia? Gli intervistati su questo sono abbastanza unanimi, non vorrebbero una figlia così, tantomeno così social sin dalla tenera età; se poi dovessero emergere delle inclinazioni particolari allora si bisogno appoggiarle. M. in special modo aggiunge: francamente non le avrei lasciato in partenza la libertà di utilizzare cellulari e web in tenera età, quindi probabilmente non avrei favorito questa inclinazione… se si fosse presentata dopo questa sua capacità o interesse avrei cercato di capirla.

Più approfondito e comprensibile la riflessione sulla scuola che seppure ha delle regole che vanno seguite dovrebbe essere più elastica nel comprendere i valori degli alunni, ma come potrebbe seguire tutti? Possibile che nessuna scuola comprenda il talento di Sofia?

Se invece gradite una risposta secca e unanime allora è quella sul sesso: richiede dei sentimenti, dei legami, non delle occasionalità, in questo Sofia ha ragione!

I social, i social, i social… strumenti così imposti, così diventati necessari, così incapaci ma anche unici a volte nel raccontare chi sei. Veramente i social raccontano la verità di te? A. attraverso i sociali noi possiamo quasi ‘trasformarci’. Ad esempio un ragazzino timido non lo fa vedere sui social. Tu diventi tutto nel social, incalza M., ma la realtà è virtuale quindi nei fatti nella vista reale sei niente. Questo è quello che penso. Sofia sta facendo molte cose ma chi è veramente? Mentre per L. i social mostrano un’idealizzazione di noi stessi. Infine, R. si chiede se siamo realmente siamo capaci di mantenere una nostra autonomia, di saper gestire noi questi strumenti o ci facciamo gestire?

Forse il sottile confine di questa intervista è sollecitarci a capire come e cosa comunichiamo o, per restare nel tema di questo numero: quale e quanto tempo dedichiamo a raccontarci e raccontare chi siamo e come siamo?

Vi farò sapere le reazioni di Cazzullo.

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