Fratelli tutti: solo uno slogan?

Nella terza Lettera enciclica di Papa Francesco si affrontano tre grandi tematiche: l’uguaglianza sociale, l’economia e la pandemia del coronavirus.
Il pontefice, citando i migranti, invita le persone ad essere gentili ed accoglienti verso il prossimo affinché nessuno venga escluso. Parla, infatti, di “diritti senza frontiere” in quanto nessuno deve rimanere escluso perché povero o nato in un Paese meno sviluppato. Coglie l’occasione per parlare anche della pena di morte, sanzione che andrebbe abolita perché nessun uomo ha il diritto di giudicare e decidere sulla vita di un’altra persona. Inoltre ritorna anche sul tema della donna. Considera inaccettabile come, nel 2020, una persona possa avere meno diritti solo per il fatto di essere donna. Questo comporta che ci siano ancora maltrattamenti e violenze perché la femmina non riesce a far prevalere i propri diritti sul maschio.
Affronta poi il tema dell’economia. Definisce il sistema economico mondiale “insostenibile”. Prega per un sistema economico-finanziario sostenibile, basato sull’ecologia. Papa Francesco definisce il sistema attuale “un sistema pieno di distorsioni”. Attualmente il sistema è, infatti, pieno di falle che generano un’inefficienza economica. L’inefficienza impedisce di raggiungere il tanto atteso benessere sociale, preferendo quello individuale. La distorsione è una conseguenza causata da diversi fattori come: le esternalità non regolamentate, le aliquote fiscali differenti sui beni e/o redditi e le limitazioni alle importazioni (dazi doganali). Altri fattori che portano l’economia ad avere delle distorsioni sono l’avere una cattiva informazione e soprattutto l’inflazione.
Il Papa, alzando i toni, invoca più rispetto e più serietà verso l’ambiente stesso che ci ospita e verso l’uomo del futuro a cui lasceremo le redini. Chiede pertanto una economia ecosostenibile per combattere l’emergenza climatica ed avere un futuro nitido. Reclama premi ad imprese che si adoperano nell’utilizzare fonti di energia pulita. Invita poi il sistema a escludere le aziende che non soddisfano i parametri ecologici. I primi che devono dare l’esempio, nel nostro piccolo, siamo noi stessi in casa, a scuola, in giro con gli amici e nelle nostre scelte. Bisogna mettere da parte l’ego personale ed essere più altruisti e fraterni in modo da cambiare anche il tipo di società che governa questo mondo, ovvero quella consumistica. Bisogna capire gli errori storici del passato senza più commetterli. Solo così si possono abbassare i livelli di emissioni di gas a effetto serra. Solo così si rende la Terra un posto più pulito ed accogliente.
Se questi erano temi di cui aveva già parlato nelle prime due encicliche con parole meno forti, l’ultimo tema è una novità. Infatti, proprio mentre il pontefice stava scrivendo “Fratelli tutti” è scoppiata quella che viene definita da molti esperti “la crisi più devastante dal secondo dopo guerra ad oggi”. L’avvenimento ha perciò posticipato l’uscita della Lettera. Riflettendo sul Covid-19, coglie l’occasione per evidenziare l’incapacità umana in questo momento storico. Afferma che “la pandemia del Covid-19 ha messo in luce le nostre false sicurezze. È apparsa evidente l’incapacità di agire insieme. Malgrado si sia iper-connessi, si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti”. È chiaro come le Sue parole siano una critica verso i sistemi dei Paesi e verso i governi stessi. I primi perché troppo basati sul denaro e sul vedere tutto in chiave economica e poco umana. Quindi diciamo che si guarda al fatturato più che alle relazioni sociali. I secondi, invece, li critica perché hanno abbassato troppo presto la guardia, prendendo misure e decisioni affrettate. Hanno fatto passare il messaggio di una pandemia conclusa riaprendo tutto (confini tra regioni, discoteche, mezzi pubblici) quando bastava agire con calma e soprattutto ponderando le scelte e le affermazioni pubbliche.

Marco C., Milano

il furto delle stagioni

Cosa resterà dell’oggi ai giovani occidentali?
Sollecitato dalla perturbazione causata dalle restrizioni per far fronte all’epidemia e alla nuova ondata che ha investito l’Europa nelle ultime settimane provo a indagare la condizione attuale da una prospettiva inedita. Non voglio commentare o giudicare le scelte dei governi europei, tantomeno quanti sono deceduti ovvero gli uomini e le donne che ogni giorno lavorano per tenere in piedi i sistemi sanitari del “nostro” Vecchio Continente e gli ammalati gravemente sofferenti. Tutto ciò va trattato dalle persone competenti, io cercherò invece di scrive di qualcosa che conosco meglio.
Cercherò di scrutare la prospettiva, la condizione, la potenziale sofferenza silente, di un segmento della popolazione. Uno spaccato di cittadinanza residua, a tratti invisibile, demograficamente minoritaria e tuttavia legittima proprietaria del futuro del mondo. Naturalmente mi riferisco a una parte specifica della gioventù europea: gli studenti, i dottorandi, i neo-laureati, i maturandi che ambiscono a divenire fisici, chimici, magistrati, biologi, consoli, artisti e così via. Se è vero che le sofferenze, oggi, investono maggiormente i piccoli-medi imprenditori, dipendenti e lavoratori, è vero anche che ciò non delegittima né può sminuire l’inquietudine che investe le gioventù europee, ossia il nostro futuro. Chiaramente, a questo punto, diviene legittima una domanda: “ma perché mai, questi ragazzi, dovrebbero soffrire?”. Purtroppo, o per fortuna, non tutti sono angosciati per ragioni calcolabili matematicamente. Se gli adulti, e nello specifico i lavoratori, costituiscono la loro esistenza sull’equilibro del calcolo e sul garante personificato dal Signor Reddito Adeguato (e immutato), per un giovane studente non è così. Se l’adulto riesce a fare della stabilità il proprio Dio; la giovinezza, invece, ha la prospettiva –l’ambizione- come solo e unico argomento. E cosa accade, allora, a questi ragazzi che giustamente si vedono barricati nelle loro case? Perché il “restare a casa” dovrebbe essere così drammatico per loro –noi-?
Prima di rispondere a questa domanda, credo sia opportuno compiere una precisazione. La giovinezza, nutrendosi esclusivamente di avvenire e di ambizioni, risulta essere –e questo è risaputo- una delle fasi della vita più intense e complesse di ogni esistenza. In una condizione ordinaria, quasi sempre, vi sono dubbi, rimorsi, sensi di colpa, incertezze e paure (tutto ciò, in solitudine, diviene asfissiante). A uno studente universitario può sfuggire il presente, ma non il futuro. In senso pratico ciò significa quanto segue: in età giovanile si fa molta fatica a comprende che cosa e, soprattutto, chi si è. L’adulto, invece, giovando del fatto di possedere già un passato –e quindi un vissuto-, non può avere determinati dubbi in merito. Può impoverirsi, sì; può perdere il lavoro, è vero; certamente, però, è molto più difficile che smarrisca se stesso e che non sappia più rispondere alla domanda “chi sono, io?”. Ai nostri ragazzi, in questo tempo, può accadere quanto detto. L’inquietudine, derivante dall’isolamento e dalla distanza siderale dal proprio “contesto”, ingombra e annebbia le menti. E quindi vi è un rischio di rinuncia all’ambizione, di smarrimento e deperimento della spinta esistenziale e vitale. La tragedia, la morte, può essere anche psicologica, non solo organica. Indubbiamente il momento storico è complesso per tutti noi, ciononostante bisogna non ignorare né sottovalutare la totalità delle questioni.
Ho scritto per dare voce a delle dinamiche, a delle conseguenze, che altrimenti resterebbero ignorate solo perché non organicamente danneggiate dal virus. In definitiva, nessuno può fingere di dimenticare ciò: se l’adulto ha la salute come necessità primaria della propria esistenza, la giovinezza ha il futuro come solo argomento. Perché se è vero che tutti godono degli stessi diritti, è vero anche che nessuno possiede il diritto di non ascoltare e non considerare qualsivoglia forma di sofferenza –sia pure minoritaria, non patologica o meramente psichica-.

Giuseppe P., Aversa