105 solo in 11 mesi

105
Questo è il numero delle donne uccise solo quest’anno 2023, e non è ancora finito!
Donne a cui la vita è stata strappata da uomini che dicevano di amarle, da padri che giuravano di proteggerle e da sconosciuti che credevano di avere il diritto di fare ciò che volevano con il loro corpo.
“Non tutti siamo così, non tutti siamo mostri” questa è la frase che nell’ultimo periodo sta circolando; una frase semplice uscita dalla bocca di uomini che vogliono prendere le distanze da tutta la violenza che ci circonda.
Tutti siamo coinvolti perché non si parla di persone che impazziscono e commettono atrocità; si parla di persone normali con una vita normale che però non capiscono un NO, non capiscono il RIFIUTO, una ROTTURA.
C’è chi colpevolizza le vittime perché “non ci si presenta mai all’ultimo appuntamento” oppure perché: “poverino lui era geloso perché l’amava tanto”, “lei avrebbe dovuto aiutarlo”, “era ubriaca e l’ha provocato”, “era una bambina provocante”.
C’è bisogno di educare le persone al rispetto reciproco facendo capire che amore e possesso sono due cose diverse, che se si ama qualcuno non deve mai esserci violenza, che se una persona dice NO bisogna rispettare la sua scelta e non superare mai il limite. Per educare bisogna iniziare dal principio, da quando si è bambini insegnando il rispetto, ma anche che la violenza non è mai la soluzione, con delle lezioni diverse a seconda dell’età e ovviamente dando l’esempio per primi.
Non sarà mai un mondo senza violenza, ma la speranza di poter vivere la mia vita senza paura è il mio sogno nel cassetto.

Martina C. – 3les Bologna

Chiese vuote… di giovani?

Le chiese sono vuote, di giovani (ma non solo).
La colpa è della Chiesa che non parla più di Cristo bensì di sole cose mondane.
I giovani hanno bisogno di Cristo non di cose mondane.
Lasciamo le necessarie cose del mondo al mondo.
I giovani scansano le chiese perché la Chiesa vuole fare da maestra in tutto non sapendo più parlare di Cristo.
Queste sono alcune delle riflessioni che molti credenti fanno alla realtà ecclesiale attuale. In particolare provo a rispondere a Matteo Matzuzi che sabato 18 novembre scriveva su IlFoglio un testo dal titolo Ite Missa Est proprio su questo tema.
Certo, ognuno ha le sue competenze, i propri ambiti di azione, ma i vari ambiti oggi più di ieri sono così interconnessi tra loro e sollecitano delle risposte anche morali.
Già Paolo VI, che non è l’ultimo arrivato, diceva che il credente deve avere su una mano il Vangelo e sull’altra il giornale, perché il vangelo è fatto per il mondo e il cristiano deve conoscere il mondo. Il Vangelo è la lampada da porre in cima al monte perché illumini le città degli uomini. Per illuminare il mondo è necessario conoscerlo.
E poi Dio si è fatto uomo in Gesù non per hobby, bensì “per conoscere” la storia degli uomini, perché gli uomini conoscessero la sua storia.
Non si può dare una fede senza il mondo e viceversa. Forse per troppo tempo si è voluto lasciare il mondo fuori dalle porte delle chiese, come fosse qualcosa di solamente cattivo, maligno e si è persa la capacità di comunicare.
Il problema non è parlare di Cristo, bensì scalfire l’indifferenza all’incontro con la persona Cristo. Questo perché l’apatia, l’indifferenza e l’individualismo della nostra società ormai sono all’apice del ben vivere: se già chiedere di incontrare l’uomo è una sfida, chiedere di incontrare l’uomo Cristo lo è ancora di più.
Non si può non parlare del mondo, perché il mondo tutto è stato ricapitolato in Cristo, perché ogni più piccolo granellino di sabbia o filo d’erba trovano il loro senso in Cristo! Certo il rischio di confondere l’ecologia con l’escatologia è alto, ma sempre è stato così. La sfida è far capire che l’ecologia senza escatologia diventa ideologia.
Forse non tutti sanno che l’escatologia è la conoscenza e l’esperienza del Paradiso; è lasciarsi guidare dalla luce e della realtà del Paradiso per dare direzione, significato e sapore all’ecologia non solo dell’ambiente, ma di ognuno di noi. Si può vivere la storia con tutte le ottime intenzioni ma solo nel presente. Si può vivere la storia con la prospettiva futura che dona continuamente speranza e forza nel presente.
Le chiese sono vuote non perché la Chiesa parla troppo del mondo e poco Cristo, bensì perché non ha ancora ritrovato quella capacità di parlare del mondo come segno della rivelazione di Cristo aperto alla luce di Cristo.
D’altra parte non è proprio il Concilio Vaticano II a scrivere: le gioie e le speranze, i dolori e le angosce degli uomini di oggi sono anche le gioie, le speranze, i dolori e le angosce dei discepoli di Cristo?
«Non so, mi scrive F., se dire le cose del mondo porti a oscurare Gesù, anche perché la religione insegna valori umani assolutamente condivisibili: fratellanza, rispetto… Quindi per forza bisogna trattare le interazioni umane che, diciamo, sono una manifestazione più diretta e visibile della Rivelazione».

La luce del Vangelo illumina davvero?

Sebbene qui faccia buio tardi e potrei rispondere affermativamente, lo stile gotico della maggioranza delle chiese indurrebbe a una risposta negativa.

Poca luce quindi poco calore? Per quanto Stato e Chiesa si sforzino di riscaldare queste enormi cattedrali, farà sempre freddo in una chiesa francese.

Dove mi trovo? Nella regione Grand Est, dipartimento della Marna, città di Reims, valle circondata dai vigneti dello Champagne e annoverata nelle cronache d’Oltralpe per il battesimo di Clodoveo e le consacrazioni dei re di Francia, che avvenivano nella cattedrale locale. Perché proprio qui? Per studiare scienze politiche in un campus internazionale.

Com’è la vita di un cristiano in Francia? 

Anche se il rischio è di scrivere un diario di bordo, proverò a raccontare il tutto seguendo un po’ le emozioni e le suggestioni susseguitesi dal primo anno agli inizi di questo nuovo anno. Per cominciare, devo ammettere che tutti i miei incontri ed esperienze di Chiesa qui hanno avuto una connotazione piuttosto provvidenziale.

Mi spiego meglio. Ho iniziato ad andare a messa quasi per scommessa, in una stagione della mia carriera da studente che si sarebbe rivelata molto dura e in un periodo tutto nuovo della mia vita. Lontano da casa, in un luogo in cui persino la lingua parlata per strada o a scuola deve essere messa in discussione, ci si sente sempre messi alla prova. Pensavo di trovare una celebrazione normale, posata, che mi restituisse il sapore della tipica domenica in oratorio, poi tutti a casa, baci e abbracci.

Pas du tout! Per niente, direbbero loro. Entro in una chiesa gremita di giovani alle 19.00, ed esco da una chiesa gremita di giovani alle 20.45, sbalordito da quanto si potesse “allungare” facilmente una messa! Mi ero reso conto di essere finito nella chiesa accanto all’università dedicata ai giovani guidata da un parroco spaziale, che presto è diventato mio amico. Col tempo, ho notato che all’interno della comunità la curiosità verso il prossimo costituiva un carattere distintivo. Mi sono reso conto, soprattutto grazie al gruppo scout con cui svolgo attività quassù, che, in contrasto con quello che si dice su di loro, i francesi sono di natura curiosi, giocherelloni e grandi provocatori nei confronti del “diverso”, sempre pronti a mettersi in discussione, mai però tentennando su nessuno dei loro punti fermi. Conscio di ciò (avendolo imparato a mie spese!), posso dire che lo scambio con coetanei, adulti, cristiani, insomma “cugini di oltralpe” non può che essere fruttuoso.

Ma torniamo a noi. Messa lunga eppure densa di importanti spunti da portarsi a casa. Qui in Francia, infatti, cantano molto di più. Il canto, sia collettivo sia del celebrante, grazie alla singolare musicalità della lingua, aiuta a scandire le parole della liturgia nella testa e contribuisce a creare un’atmosfera intima, che senza dubbio favorisce la preghiera. Un tipo di preghiera che non avevo mai vissuto in maniera tanto forte quanto adesso: il pregare con il cuore, rivolto alla tua stessa dimensione interiore. È proprio vero, quando “leggi” le cose abituali con un altro tipo di occhiali, in questo caso un’altra lingua, esse diventano straordinarie e il loro significato si rinnova. In Italia non ho mai visto tanta gente inginocchiarsi a pregare, chiudere gli occhi così intensamente, comunicarsi [prendere l’Eucaristia] in ginocchio, ma allo stesso tempo condividere la fraternità, aprirsi alla novità, vivere con la Chiesa al centro. Famiglie intere di Francesi, infatti, sono molto legate alla loro fede e al loro intimo modo di esprimerla. Ormai, riconosco a prima vista una famiglia cattolica.

Esagerato! Potreste dire. Certo, la mia analisi è senz’altro superficiale e il fenomeno avrebbe bisogno di una trattazione più ampia e di più righe (soprattutto in uno Stato dove il principio della laicité è interpretato ben diversamente). Tuttavia, è indubbio che la Chiesa francese stia affrontando un periodo storico diverso da quello italiano, che noi non riusciamo nemmeno ad immaginare.

Se il problema della carenza di vocazioni, infatti, da noi è percepito ma non sentito, in Francia stanno già correndo ai ripari, incrementando ad esempio le responsabilità dei laici: sono numerose le reti, per esempio, di pastorali universitarie e giovanili, associazioni di volontariato, sportive, culturali, benefiche di ispirazione cristiana, tutte piccole ma incredibilmente feconde. Se in Italia il problema degli abusi ci fa male ma non ci ha toccati nel profondo, qui in Francia l’argomento è ancora scottante e le ferite non sono ancora state del tutto cicatrizzate. Il presidente della Conferenza Episcopale Francese, proprio l’arcivescovo di Reims, è tuttora impegnato nel risolvere i problemi sociali e le conseguenze generali del fenomeno sulle diocesi e sulle parrocchie, completamente allineato con il pensiero di Papa Francesco.

Su questi temi, per quanto vicina, la Francia è da considerare un universo a parte. Alla luce di quanto detto, una persona potrebbe domandarsi se le chiese si stiano svuotando, come sta succedendo da noi. Pas du tout! Di nuovo, risponderebbero loro. “Pochi ma buoni”, infatti, i cristiani francesi si rimboccano le maniche, urlano dai tetti la loro presenza, riempiono le chiese, gli eventi nazionali e internazionali. Ho avuto modo di notare che nei momenti di preghiera, nella vita di tutti i giorni, per queste poche persone, si tratta di una questione di identità, di radici e di tradizioni. Certo, la fede dei Padri è tale per tutti e ci riunisce, ma il loro modo di viverla consiste nel mettere genuinamente Dio al centro e nell’essere capaci di distinguere fra ciò che Lo riguarda e ciò che riguarda il nostro passaggio sulla Terra, servendosi spesso di momenti per “fare deserto”.

Numerose sono infatti le occasioni di formazione per gli adulti e per i giovani; questi ultimi, instancabilmente inseriti nelle loro parrocchie, gruppi e comunità, si pongono domande di senso legate all’età, lasciandosi pur sempre illuminare, nell’intimità, dalla Luce del mondo che irradia attraverso la preghiera.

Che sensazioni bizzarre, che esperienza diversa, straniante! Questa esperienza in Francia mi sta aiutando ad “aprire sempre di più le braccia” per andare incontro al Padre, ma anche a me stesso e agli altri.

Per quanto distanti, ma allo stesso tempo vicini, ritengo che i cristiani francesi siano un esempio a cui guardare, per apprezzare le tipicità e il carisma di una comunità che mette in primo piano il fare silenzio e il pregare il Padre nel segreto, senza però mai prendere la lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, affinché irradi la luce a tutti quelli che sono nella casa.

Elia Q. – (Grosseto) attualmente a Reims