Verë në kohën e Covid-19

Vera e këtij viti ishte ndryshe nga të tjerat. Nuk ishim mësuar më parë me këtë situatë dhe prandaj ishte mjaft e vështirë. Kjo verë ishte e pazakontë dhe ka detyruar shumë persona të rishikojnë planet e tyre. Janë anuluar shumë aktivitete kulturore e fetare dhe janë ndryshuar shumë gjëra të planifikuara më parë.
Pushimet verore këtë vit ishin të pazakonta për këdo. Ishim të detyruar të mësoheshim me praninë e virusit në mes nesh dhe të bënim kujdes duke respektuar rregullat e këshillat e nevojshme për tu mbrojtur nga kjo pandemi e rrezikshme.
Sigurisht që kur përmendet vera, gjëja e parë që të vjen ndërmend është plazhi. Epo këtë vit edhe palzhi ishte ndryshe, ku na duhej të përshtateshim me rregullat e reja aspak të zakonshme për një vend të tillë.
Këtë vit nuk e kishim të mundur të organizonim kampin veror duke parë situatën e vështirë që po kalojmë. Ndoshta kjo ishte ajo për të cilën na erdhi më shumë keq. Gjithsesi më e rëndësishme në këtë situatë është shëndeti.
Gjëja më e mirë që mund të bëje gjatë kësaj vere ishte shëtitja në një ambient të hapur pse jo në një park, duke vrapuar, ecur ose duke ngarë një biçikletë. Pra aktivitetet në mjediset e hapura ishin një nga mënyrat më të mira dhe mbi të gjitha më të sigurta në këtë periudhë pandemie. Kjo ishte periudha e duhur për të shijuar momente me familjen, për t’u stresuar më pak, e për t’u argëtuar.
Kjo nuk ishte një verë e zakonshme për askënd. Ndërsa pandemia COVID-19 është ende mes nesh është shumë e rëndësishme të kujdeseni për veten dhe të gjithë përreth jush. Lutemi dhe shpresojmë që të gjithë të jeni mirë me shëndet.

Lutemi për padre Graziano dhe padre Giovanni Nitti që të shërohen sa më shpejt dhe të rikthehen shëndosh e mirë në mesin tonë. Siamo con voi!

Redjon LL. – FushMilot

L’estate a Milot nel tempo del Covid-19

L’estate di quest’anno è stata diversa da tutte le altre. Non avevamo mai vissuto una situazione simile perciò è stato ancora più difficile. Quest’estate così inusuale ha costretto molte persone a rivedere i propri progetti. Molte attività culturali e religiose sono state annullate e molti altri progetti precedentemente pianificati sono stati modificati.
Le vacanze estive di quest’anno sono state “diverse” per chiunque. Dovevamo abituarci alla presenza del virus tra di noi e stare sempre attenti rispettando le regole e i consigli necessari per proteggerci da questa pericolosa pandemia.
Certo che quando pensi all’estate la prima cosa che viene in mente è la spiaggia. Eppure quest’anno anche la spiaggia è stata diversa. Anche qui dovevamo adattarci alle nuove regole assolutamente inusuali per un posto simile.
Quest’anno poi non abbiamo potuto organizzare il campo estivo con i giovani italiani e i nostri bambini vista la difficile situazione che stiamo vivendo. Forse questo è l’aspetto che mi è dispiaciuto di più anche se comprendo che più importante in questi casi sia la salute.
La cosa migliore che potevi fare durante quest’estate era la passeggiata fuori in un parco, correndo, camminando o andando in bici. Le attività all’aria aperta erano le opportunità migliori e più sicure per affrontare questa pandemia. È stato questo anche il periodo dove si potevano gustare dei sereni momenti in famiglia per dimenticare lo stress e per divertirsi un po’.
Questa non è stata un’estate usuale per nessuno. Mentre la pandemia dovuta al COVID-19 è ancora tra noi è importantissimo prendersi cura di noi e di tutti quelli intorno a voi.
Noi anche preghiamo e speriamo che siate tutti in buona salute. In particolare preghiamo per padre Giovanni e padre Graziano perché possano guarire al più presto e ritornare quanto prima tra di noi sani e salvi.

PpGG: siamo con voi.

Redjon LL. – FushMilot

PREGIUDIZI SULLA CHIESA? brevi annotazioni sulla necessità di generare il futuro.

«Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?».

F. Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 125

Nell’atrio di questo millennio, che l’Occidente si appresta a vivere, che cos’è, cosa può essere e soprattutto cosa non potrà più essere deputata a fare, l’istituzione ecclesiastica, “baluardo” del nostro Vecchio Continente?
Non è importante, in questa sede, dibattere sui classici – e seduttivi – argomenti concernenti l’esistenza o l’inesistenza di Dio, il significato dell’esser fedeli, i meriti e i demeriti storici della cristianità e così via. Il punto essenziale, il crocevia, è il seguente: la Chiesa, il Vaticano, come si percepisce nel nostro tempo? Ora che siamo distanti ormai vent’anni dal secolo scorso, in che modo il mondo cattolico e mutato e quanto, ancora, muterà? Gli europei, come i cattolici, per fortuna o purtroppo, non possono ignorare determinati quesiti. Il motivo di ciò? Non esisterebbe l’Europa – la nostra, amata, Europa – se non esistesse il cristianesimo e viceversa. Sulla base di questo dato imprescindibile – il quale potrà essere confermato da chiunque si sia occupato, nel corso della sua esistenza, di discipline storiche, filosofiche e teologiche – non possiamo continuare a fingere di non vedere e non capire.
Al di là di quanto i governi e i cittadini europei ne possano dire, è impossibile non far caso alla forte crisi politica, culturale e antropologica, che tutti noi stiamo vivendo. Questo senso di disincanto, disorientamento e disillusione, ovviamente non può che coinvolgere anche la Chiesa alla quale, però, bisogna riconoscere che è da ormai un decennio che sta tentando disperatamente di restare aggrappata a un mondo che nessuno – veramente nessuno – riesce più a comprendere. Tuttavia, anche il mondo cattolico sta pagando a caro prezzo la vertigine della trasformazione antropologica che l’intero pianeta sta attraversando.
L’Occidente, dopo il 1989, ha dato progressivamente l’impressione di aver smarrito la bussola: crisi delle cosiddette socialdemocrazie, dissoluzione e disincanto nei confronti di qualsivoglia ideologia politica e ridimensionamento brutale del potere ecclesiastico. Tutto ciò, innegabilmente, ha incrementato il senso di smarrimento in tutti coloro i quali sono venuti al mondo a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio. L’opinione pubblica e gli organi d’informazione cercano le cause nella mancanza di occupazione che – a causa delle crisi economiche – avrebbe obliato nelle menti dei giovani l’idea di uno stralcio d’avvenire. Questo, in parte e solo in piccola parte, è vero. Bisogna considerare, però, che ci troviamo dinanzi a un cane che si morde la coda. Bene, la causa dei nostri mali va cercata proprio nell’assenza di luoghi dove cercare ristoro.
Tralasciando la questione politico-antropologica, vorrei concentrarmi sulla figura e sul luogo che può rappresentare la Chiesa. Non importa se Dio esiste o meno, ciò che conta è la domanda che un individuo nell’oggi può porre a Dio. Ogni tipo d’interesse, ogni forma di desiderio, amore e ammirazione, non è nient’altro che la formulazione di un quesito. Il fatto che qualcuno abbia assistito al collasso di un qualche tipo di ideologia politica certifica un fatto: quell’ideologia non era più in grado di rispondere, e forse neppure di accogliere, la domanda dell’interlocutore. Quest’ultimo, allo stesso tempo, ha rinunciato persino a formulare il quesito: “ma tutto ciò, alla fine, che senso ha? Meglio lasciar perdere. Che vada tutto in malora”.
Nei confronti della cristianità, dal mio punto di vista, è andata più o meno allo stesso modo. L’istituzione ecclesiastica, nella percezione comune, non è più in grado di rispondere ai più svariati quesiti. Tutto questo, però, è un dramma.
Una volta che abbiamo obliato il tutto – e, quindi, niente più ideologie, niente più Dio né religione – cosa ci resta? Che cosa siamo? Temo che ci resti il nulla e che, conseguentemente, non possiamo che scoprire d’esser divenuti un grande – seducente e amabile – niente.
La Chiesa accusa i giovani di non avere valori, mentre i giovani, al contrario, accusano il mondo cattolico di essere afflitto da un sistema valoriale anacronistico: un cane che si morde la coda, ripeto! Comunque, questa condizione, fa male indistintamente a tutti. Bisogna tentare necessariamente di distruggere entrambi i pregiudizi: le giovani generazioni devo smetterla d’immaginare la figura del cristiano come una figura fuori dal tempo e dal mondo; i cristiani, i sacerdoti, non devono dare più modo ai giovani di pensarli come obsoleti. Aprirsi al dialogo, alla diversità, alla differenza, aprirsi persino allo scontro. Essere disposti ad accettare le contraddizioni e le incoerenze. Solo attraverso una forma di caos produttivo, oggi, potrà germogliare una nuova idea di mondo, di casa, di futuro. Offrire l’avvenire, un pensiero, un paradiso che sia qui –nei corpi e nelle menti- e non solo in cielo!
La cristianità, del resto, dispone di armi potentissime – quali l’arte e la bellezza – per rigenerarsi. Il compito, oggi, spetta a tutti i seminaristi, a tutti coloro che si apprestano a divenire sacerdoti, ma anche ai cristiani giovani, sono loro il futuro della cristianità e solo formando in modo impeccabile i nuovi apostoli di Dio, Dio stesso riuscirà a non morire. I nuovi cattolici, i futuri signori di Dio, hanno il dovere di pensarsi come i “custodi del divenire”, affinché il nulla – che un tempo fu immaginato dalla Chiesa nelle vesti del Diavolo – possa finalmente cessare di tediare le nostre primavere.

Giuseppe P. – Aversa

Minhas causas valem mais que minha vida

“Minhas causas valem mais que minha vida”, dizia Dom Pedro Casaldáliga, padre, bispo, missionário de São Félix do Araguaia, que faleceu no último 8 de agosto. Se suas causas valiam mais do que sua vida, Pedro fez delas sua vida. Tinha uma forma própria de se portar – sempre de forma simples e humilde, desde o falar até a forma de se vestir – e de defender a vida (dos outros).
Nascido Pere Casaldàliga i Pla em Balsareny, na província de Barcelona, na Catalunha, chegou ao Brasil, como padre, em 1968 para uma missão claretiana (ele fazia parte da Congregação dos Missionários Filhos do Imaculado Coração de Maria, fundado por Santo Antônio Maria Claret) no estado do Mato Grosso. Lá ele começou a testemunhar de perto a realidade cruel que o esperava.
Em 1970, aquele que viria a ser conhecido mundialmente pela defesa dos direitos humanos, dos povos indígenas e pela sua constante defesa e preferência pelos pobres, foi nomeado administrador apostólico da prelazia de São Félix do Araguaia (Mato Grosso) e posteriormente bispo da prelazia. Foi nessa época também que publicou as primeiras denúncias à existência do trabalho análogo a escravidão no Brasil. De lá para cá foram inúmeras ações em favor da população de São Félix e a todos os menos favorecidos e marginalizados. Foi responsável por uma evangelização voltada para a promoção humana e sem colonialismo e de oposição à truculência da ditadura.
Tendo tido sua vida ameaçada diversas vezes viu vários de seus companheiros de luta morrerem. Contam até mesmo que um morreu em seu lugar – visto que o marcado para morrer era um bispo porém Dom Pedro Casaldáliga mas ele não tinha o costume de se vestir como os trajes eclesiásticos; preferindo um vestuário mais simples (um chapéu de palha em vez da mitra, um cajado indígena em vez do báculo e um anel de tucum em vez do anel de ouro).
O primeiro bispo prelado de São Félix representou até o seu último sopro de vida uma grande referência para a Igreja Católica no Brasil mas também para a política, para os avanços nos direitos dos povos indígenas, para as populações ribeirinhas e tantos outros; mas seu legado e sua marca continuarão sendo referência e incentivo para todos os que o conheceram ou ouviram sua história – ultrapassando as demarcações nacionais. Como resultado de toda uma vida de dedicação à Criação e aos filhos e criaturas de Deus, o velho Pedro foi enterrado como sempre desejou: na beira do rio Araguaia, de baixo de um pé de pequi, no Cemitério dos Karajá – mesmo local onde eram enterrados indígenas e trabalhadores sem terra que foram assassinados pelos grileiros da região; sendo até no seu próprio enterro, um exemplo de tudo que pregou e viveu.

O óbvio precisa ser dito e vivido e foi isso que Dom Pedro Casaldáliga fez. Que seu exemplo e suas lutas possam representar para todos nós a esperança da perseverança. E, como ele mesmo costumava dizer: “na dúvida, fique do lado dos pobres.”

Ana-Clara Fontenelle – Rio de Janeiro