Nativi digitali e salvezza del pianeta

Clima. Il bello dei «nativi digitali» che vogliono salvare il pianeta
Adriano Fabris, docente di Etica della Comunicazione all’UniPisa
Avvenire, sabato 20 aprile 2019

Sono sempre di più in Italia, in Europa e nel mondo i ragazzi che manifestano per ricordare ai governanti dei rispettivi Paesi, ma anche a tutti noi, che non c’è più molto tempo se vogliamo intervenire davvero sui cambiamenti climatici, invertendone la tendenza. Bisogna fare qualcosa – dicono – e velocemente. Bisogna agire subito, se si vuol lasciare alle future generazioni un ambiente che possa essere abitato allo stesso modo in cui lo stiamo abitando noi. È anche questa una questione di giustizia: di giustizia intergenerazionale. Questi ragazzi sono parte in causa e perciò sono legittimati a intervenire. Ma non possono farsi carico d’interventi efficaci perché non sono loro a poter prendere le decisioni di fondo. Davanti a tali questioni si sentono spesso impotenti. Per questo si fanno sentire. Per questo si rivolgono a noi adulti.
Ma chi sono i ragazzi che manifestano il venerdì? Dobbiamo stare attenti a non riportare le loro azioni agli schemi e alle categorie che siamo abituati ad applicare. Sappiamo bene che è stata Greta Thunberg a ispirare il Global Strike for Future, a rilanciare il tema dell’emergenza ambientale con la sua determinazione e cocciutaggine. Ma a ben vedere non è necessario individuare a tutti i costi un leader, un personaggio da seguire – o da insultare – per far contenti i media, per metterlo sugli altari e poi, subito dopo, trascinarlo nella polvere. È inutile, ad esempio, cercare la “Greta milanese”. I ragazzi non hanno un leader perché non ne hanno bisogno. È la rete a fare da collegamento, non una persona. È un tema condiviso ciò che spinge a partecipare, non una parola d’ordine ripetuta e accolta passivamente. Basta guardare i cartelli portati alle manifestazioni, ironici e pungenti. C’è infatti un altro senso di democrazia che qui s’annuncia: una democrazia che diffida di ogni organizzazione gerarchica, di ogni pretesa d’autorità. Il leaderismo e il populismo, ormai, riguardano solo i vecchi.
Bisogna poi evitare di considerare questi ragazzi come un tutto omogeneo. Non lo sono. Nelle strade si trovano ragazze e ragazzi, con le loro sensibilità diverse e le loro differenti fragilità. Adolescenti e persone un poco più grandi. Vi è chi – ed è la maggioranza – manifesta pacificamente. Vi è qualcun altro che vuole solo saltare la scuola, o fare confusione. Non c’è da stupirsi: accade in tutte le buone famiglie. In realtà, però, questi ragazzi noi non li conosciamo per davvero. Sono, o potrebbero essere, i nostri figli, i nostri nipoti, ma non li conosciamo. Non c’è da allarmarsi, però. È sempre accaduto così. È accaduto anche quando noi avevamo la loro età. Facevamo gruppo con i nostri coetanei, eravamo impermeabili agli occhi dei nostri genitori. Questo era ciò che preoccupava questi ultimi allora; questo è ciò che allarma noi oggi.
Ma in realtà, per capire chi sono i ragazzi scesi in piazza, alcuni indizi già li abbiamo. Sono una generazione abituata a interagire con il mondo e a relazionarsi fra loro e con noi soprattutto attraverso alcuni dispositivi di comunicazione. Non si tratta di “nativi” o di “nati” digitali, comunque vogliamo tradurre la fortunata espressione coniata da Mark Prensky. Essa infatti sembra far riferimento a un’ulteriore attitudine che i nostri ragazzi hanno sviluppato rispetto a noi, esseri vissuti in un’epoca soprattutto televisiva. Questa capacità, tuttavia, è spesso sopravvalutata. Fra i “nativi digitali” vi è certamente chi vive con lo smartphone sempre acceso, e da esso dipende, ma poi non sa gestire un programma Word o non conosce come funziona il sistema tutor nelle autostrade.
In parte, però, chi sono questi ragazzi già lo sappiamo. Siamo noi, infatti, ad averli educati, e non sempre nella maniera più saggia. Li abbiamo protetti, coccolati. Ci siamo posti al loro servizio permanentemente, dando l’idea che il mondo fosse fatto solo per loro. Abbiamo scelto di fare pochi figli per poterli seguire in tutto e per tutto. Li abbiamo posti al centro dell’attenzione. E, così facendo, ci siamo messi nelle condizioni di non poter insegnare loro nulla, o nulla che fosse per loro accettabile. Abbiamo confuso l’autorità cieca, a cui bisogna soltanto ubbidire e che giustamente andava superata, con quell’autorevolezza che, sola, permette di trasmettere valori credibili: e le abbiamo abolite entrambe.
In una parola, i nostri ragazzi li abbiamo in molti casi lasciati a loro stessi. E mentre per noi la baby sitter è stata la televisione, per loro sono stati l’iPad e lo smartphone. Che, per di più, non abbiamo insegnato loro a usare correttamente, così come a noi nessuno ha insegnato a decodificare le immagini trasmesse sullo schermo. Così altri valori sono stati recepiti: quelli veicolati dalle piattaforme. Le piattaforme, lo dice la parola stessa, tutto appiattiscono, tutto mettono sullo stesso piano, tutto rendono omologato. Ci si può rivolgere con il “tu” a tutti, si può manifestare sempre e comunque la propria opinione, non importa che competenza uno abbia su un determinato argomento, semplicemente perché si possiede l’accesso a una rete sociale.
Nel contempo, poi, un’altra etica si è ormai imposta nella mentalità comune: quella per cui qualche cosa vale di più quanto più è condivisa. E poi, in questo contesto, nulla in realtà è propriamente mio. Ogni cosa che è accessibile in rete possiamo farla nostra, possiamo scaricarla, possiamo copiarla. Ciò non fa problema, nella misura in cui noi stessi, senza problemi e senza paure, condividiamo le nostre immagini, i nostri dati, la nostra vita anche con chi se ne vuole solamente appropriare. Nella rete, infatti, tutto è pubblico.
Insieme, però, l’uso delle tecnologie della comunicazione ha creato nuove forme di socialità, nuovi legami. E ciò è davvero la novità del nostro tempo. Non solo ha potenziato i legami già presenti, non solo, in molti casi, ha sostituito vecchi modelli di relazione con nuovi collegamenti. Soprattutto ha fatto sì che si potessero vivere tutti insieme nuove emozioni e nuovi problemi. I nostri ragazzi lo stanno appunto facendo. Rendendosi conto, anche se noi non glielo diciamo, che questo nuovo mondo virtuale ha delle conseguenze sulla realtà di tutti i giorni, e che la realtà è qualcosa di duro, qualcosa che ha le sue leggi e con cui prima o poi bisogna fare i conti. Come accade nel caso dei mutamenti climatici.
È una situazione fatta di luci e di ombre, certo, come tutte le situazioni che caratterizzano l’essere umano. Per questo essa ci pone di fronte a scelte ben precise. I nostri ragazzi se ne sono accorti. E cominciano ad applicare ciò che caratterizza nel profondo la loro vita – l’uso cioè di strumenti che li immettono in sempre nuovi ambienti digitali – al futuro che li attende. Cominciano cioè a rendersi conto che un futuro lo devono avere. Che non basta il tempo reale, rassicurante, che viene offerto dalle tecnologie. Grazie a esse, infatti, è pure possibile fissare un momento speciale in una foto che posso postare su Instagram e condividere con i miei amici. Ma per me e per i miei amici, se vogliamo davvero ancora avere la possibilità di ricordare quest’immagine, un futuro alla fine ci deve essere.
Ce lo ricorda anche Google. Ogni tanto, infatti, sul nostro smartphone ci viene riproposta oggi la foto scattata nello stesso giorno di un anno o due fa. Ma – riflettiamoci – affinché la foto scattata oggi possa essere da noi goduta tra un anno o due, dovremo quanto meno trovarci nelle stesse condizioni in cui siamo oggi. Questo i nostri ragazzi lo hanno capito meglio di noi, e certamente meglio dei nostri governanti. Se ciò non avverrà la tecnologia, invece di essere strumento d’intrattenimento e di condivisione, finirà per trasformarsi solo in un’occasione di rimpianto.

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Martedì 12 febbraio, nell’Aula Magna del nostro Istituto Alberghiero a Vieste, abbiamo incontrato padre Giannicola Simone con Sofia Rossi e Andrea Bianchini, due giovanissimi associati del gruppo GiovaniBarnabiti sul tema del volontariato.

L’incontro ha avuto inizio con un’affermazione forte e chiara “non è l’essere credenti che porta a fare volontariato”, infatti la maggior parte dei volontari comincia grazie alla sola curiosità. A questa affermazione ne è seguita un’altra altrettanto forte e cioè “fare volontariato significa mettersi a disposizione di chi ha bisogno di aiuto con gratuità”. Sofia poi ha parlato del Dynamo Camp a cui partecipa da qualche anno, definendolo “luogo magico”, infatti la sua caratteristica principale è quella di essere un campo di terapia ricreativa strutturato per assistere gratuitamente ragazzi malati e disabili. Il campo offre molteplici attività finalizzate allo svago di coloro che lo frequentano, come il teatro, laboratori creativi, scuola di circo, sport e giochi. Andrea ha preferito raccontarci delle sue estati albanesi con bambini e ragazzi “avidi” di gioco e compagnia.

Uno degli argomenti centrali dell’incontro, e non poteva essere diversamente, è stato quello dei rifugiati. Chi sono i rifugiati? Generalmente i rifugiati detti anche profughi sono tutti coloro i quali fuggono dal proprio Paese di origine per motivi politici o per la povertà, che trovano ospitalità in un paese straniero per condurre una vita migliore ed essere felici come tutti hanno diritto a essere. Senza rimanere ingarbugliati nelle polemiche che caratterizzano spesso la discussione riguardo a questo argomento, gli intervenuti hanno messo in evidenza la centralità delle personee l’importanza di venire incontro alle loro necessità.

Il volontariato in tutte le sue forme è indiscutibilmente utile in un duplice modo, utile per chi riceve aiuto, e utile per chi lo dà. Infatti se è evidente l’importanza che può avere per chiunque ricevere un supporto in caso di bisogno, sono altrettanto importanti, anche se meno visibili, le conseguenze positive che si ricevono nel dare aiuto.

Alessandra de Feo
Classe II A – IPSSAR “E. Mattei”

 

La Redazione ringrazia gli alunni per la buona partecipazione all’incontro, le loro riflessioni e specialmente per l’ottimo pranzo che ci hanno preparato!

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Lunedì 11 febbraio nell’aula magna del liceo E. Mattei di Vieste abbiamo incontrato gli studenti della scuola per parlare del nostro volontariato.
Insieme a Sofia e Andrea di Milano, Onofrio, Carlo, Francesco e Giuseppe di S. Felice (anche se ha parlato solo Francesco!) abbiamo cercato di raccontare il nostro modo di vivere il tempo libero non solo per noi stessi ma anche per gli altri. I campi con i bambini di Milot in Albania, con i bambini malati al Dynamo Camp di Pistoia; l’impegno per il territorio provato da illegalità, inquinamento e indifferenza della gente a S. Felice a Cancello (CE).
Anche se ciò che fai ti appassiona, non è facile parlarne davanti a 300 studenti, non è facile intrattenerli un’ora e mezza.
Il fatto che Andrea (3 liceo) abbia fatto delle domande, ci dice dopo, significa che l’incontro è stato interessante, che ha lasciato insegnamenti utili. L’importanza di dedicare del tempo con gratuità ai diversi tipi di bisogno nel territorio; la bellezza di scocciare le persone che non vogliono preoccuparsi di nulla; la preoccupazione di ascoltare le esigenze di persone e realtà che spesso nessuno ascolta. Poca teoria e molta concretezza, evidenzia Andrea, che piace!
Non sono mancate le lacune, specialmente il fatto che gli organizzatori dell’incontro, denunciano i giovani viestani di essere inetti, incapaci di riconoscere le esigenze dei ragazzi.
«Non si può pretendere – continua Andrea – che tutti i giovani vadano in Chiesa e quindi rispondano alle sue proposte; il mondo, anche quello di Vieste, è più grande della Chiesa. A noi piace organizzare momenti di sport o feste per raccogliere altri giovani, per creare incontro. Forse non è un vero e proprio volontariato, ma è del tempo che con passione io e miei amici spendiamo per togliere dall’indifferenza, dal non sapere cosa fare il sabato sera. Non mancano però attività sporadiche nelle mense pubbliche per i più bisognosi.»
Sicuramente il volontariato è un bel tempo da vivere per crescere come persona. Non si sa se lo si fa per Gesù, perché il rapporto con la Fede è ancora abbastanza contorto evidenziano più volte Sofia e Andrea: lo si fa perché fa crescere.
Il tempo scorre velocemente, qualche volta si perde la tensione, ma la sinergia tra di noi ci permette di recuperare subito il discorso e portarlo a termine con una certa abilità!
L’unico problema? Oltre l’audio aggiustato dal nostro Giuseppe, far parlare “timidi” liceali, ma qualcuno rompe il ghiaccio e le cose scivolano via con destrezza. Anche questo è … volontariato!

Grazie a GiovaniBarnabiti, grazie giovani di Vieste.

Giovani in politica!

«A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà.»
Don Sturzo, nell’ormai lontano 1919 si rivolgeva così agli italiani martoriati dalle disgrazie della guerra invitandoli a rimboccarsi le maniche per ricostruire un futuro migliore per il Paese.
Ispirandosi a queste parole, dopo 100 anni esatti sta nascendo a Genova un’associazione di promozione sociale. “NOI X I GIOVANI” per riavvicinare i giovani alla politica.
Certo, qualcuno, soprattutto chi proclama la quarta repubblica, potrebbe contestarmi che le parole di Don Sturzo a cui mi ispiro sono addirittura riferibili a periodi anteriori alla prima di repubblica, ma rileggendo questa frase mi sono accorto di quanto siano attuali queste parole:
Ci sono ancora degli uomini liberi e forti che vogliono impegnarsi in qualcosa dedicandoci anima e corpo?
Quali sono oggi gli ideali di giustizia e di libertà per cui valga la pena lottare?
Dove sono i giovani in tutto questo?
“NOI X I GIOVANI” nasce non solo per provare a rispondere a questi interrogativi, tramite conferenze e occasioni di confronto tra i giovani ma si pone soprattutto come un contenitore di buone idee, di domande e risposte liberali per costruire, con tutti quelli che vorranno partecipare, qualcosa di più, di migliore.
La politica, anzi, la buona politica, come ho già detto in altre occasioni, si fa mettendoci la faccia, mettendoci il cuore e la mente, le parole, anche se buone e nobili, da sole non bastano.
Noi giovani, nel nostro piccolo, in un mondo in cui aumentano le disuguaglianze materiali e immateriali dobbiamo impegnarci, nell’Università, nei Municipi, nelle Associazioni, nel Volontariato, nello Sport, ovvero in tutte quelle realtà che, attraverso la loro struttura centrale e periferica, promuovono azioni politiche, economiche e culturali per riportare al centro la persona nel suo essere sociale, ripristinando un sistema valoriale fondato su principi liberali, di correttezza, lealtà e partecipazione.
Venerdì 22 febbraio p.v. presenteremo “Noi per i Giovani” ai giovani genovesi.
Personalmente come giovane che vuole fare politica ritengo fondamentale far passare il messaggio che nel delicato rapporto giovani e politica spetta alla politica fare il primo passo.
Per questo motivo inviteremo i presenti e molte altre persone attraverso i social a compilare uno speciale questionario online basato sui problemi reali dei giovani, sui problemi legati al mondo universitario, alla difficoltà di trovare un lavoro dignitoso, dando spazio anche a critiche e consigli in modo tale che il lavoro politico che Noi x i giovani realizzerà nei prossimi mesi non sia frutto di scelte calate dall’alto ma che sia espressione di una politica che “incontra i giovani” nelle loro esperienze di vita.
Con questa iniziativa speriamo di raccogliere, nel miglior modo possibile, quel invito di Papa Francesco a gettare il seme buono del vangelo attraverso il servizio dell’impegno politico, mettendoci in gioco anche attraverso la passione educativa e la partecipazione al confronto culturale.

Luca Marcato – Genova

Influncer del proprio ego

Definire Maria “influencer di Dio” può sembrare un paragone azzardato per qualcuno, ma non per Papa Francesco, che con tali parole esorta i giovani a seguirne l’esempio per farsi messaggeri dei valori cristiani (GMG 2019, Panama).
Chi sono gli influencer? Sono personaggi divenuti così popolari da rivestire un ruolo primario nell’ambito della comunicazione pubblicitaria; utenti che vantano un profilo di migliaia (o milioni) di follower sui social network dove, attraverso foto e video, trasmettono messaggi e contenuti di vario genere.
Sono per lo più personalità del web o VIP, che non si prestano soltanto a promuovere i prodotti delle aziende per cui vengono ingaggiati (a differenza dei testimonial), ma si presentano come esperti nel proprio settore e per questo capaci di conquistare la fiducia dei follower. “Primi tra pari”, gli influencer non sembrano così diversi da noi, poiché lontani dall’alone di perfezione che riveste le star hollywoodiane…ed è proprio tale percezione (genuinità = credibilità) che ci spinge a seguirli.
Non è un caso che la rete dei social – nella quale si insedia la cultura dell’esteriorità e del superfluo – costituisca l’habitat naturale per il proliferarsi di una tale figura, spesso icona di bellezza… ma non è questo il punto della digressione sopraesposta, che mira piuttosto a contestualizzare le recenti parole di Papa Francesco.
Il fenomeno “influencer” è un trend, e Bergoglio, che ama esprimersi con il linguaggio dei giovani, non esita a farne menzione quando dice: «Senza alcun dubbio, la giovane di Nazaret non compariva nelle “reti sociali” dell’epoca, però senza volerlo né cercarlo è diventata la donna che ha avuto la maggiore influenza nella storia». “Esperta” di fede e amore, donna comune all’apparenza (certamente non una diva del suo tempo), Maria è la “prima fra gli umili” scelta Dio per la diffusione del Suo messaggio di pace e la realizzazione del Suo progetto di salvezza.
Considerato il fatto che le aziende reclutano un influencer sulla base del suo profilo – il più possibile compatibile con i rispettivi valori d’impresa – si potrebbe dire che la scelta di Dio abbia seguito con successo le dinamiche di questo fenomeno.
Ma cosa significa, per noi cristiani, essere «“influencer” nel secolo XXI»? Certamente non vuol dire ambire «a possedere l’ultimo modello di automobile o acquistare l’ultima tecnologia sul mercato. In questo consiste tutta la grandezza dell’uomo?».
Siamo strumenti nelle mani di Dio, partecipi di un progetto più grande di quella che è la fitta/finta “rete” dei social, dove i giovani che ostentano la ricchezza materiale sono sempre più influencer del proprio ego e prigionieri di uno schermo dove si combatte per la visibilità e non per un ideale.
«È la cultura dell’abbandono e della mancanza di considerazione» afferma Papa Francesco, «molti sentono di non avere tanto o nulla da dare perché non hanno spazi reali a partire dai quali sentirsi interpellati. Come penseranno che Dio esiste se loro da tempo hanno smesso di esistere per i loro fratelli?».
Solo aprendo il nostro cuore, come Maria aprì il suo accettando la volontà di Dio, diventeremo “influencer di pace” e, attraverso il concreto (non digitale) condividere, potremo finalmente sentirci parte attiva di una comunità che agisce per il bene comune.
Come J.K. Rowling scrive in uno dei suoi più celebri romanzi: «non serve a nulla rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere», allo stesso modo non ha senso restare connessi tutto il giorno, per sentirsi apprezzati e amati da una comunità tutt’altro che vera, preferendo un contatto online al contatto diretto, un post a una buona azione.
Riscopriamo l’essenza delle relazioni e cancelliamo i filtri, quelli che ci trasformano in personaggi costruiti e poco credibili agli occhi di Dio e del prossimo, perché «solo l’amore ci rende più umani, più pieni… tutto il resto sono cose buone, ma vuoti placebo».

Pasqua Peragine – Altamura

Buon compleanno Barnabiti

486 anni fa il Nostro fondatore, Sant’Antonio Maria Zaccaria, si ritrovò davanti a una situazione difficile, quella di dover trovare un modo per rinnovare un oratorio, un modo di essere cristiani, ormai in crisi.
Decise pertanto di fondare un nuovo ordine religioso distinto in tre diversi collegi, uno di sacerdoti, uno di religiose e uno di laici. Diede vita a qualcosa di innovativo, qualcosa di nuovo per quei tempi.
Ritengo che oggi abbiamo bisogno di questo, di un rinnovamento, di un vento che spazzi via le difficoltà che oggi incontriamo nel nostro cammino. E quel vento dobbiamo essere noi giovani! Noi giovani che, come dice papa Francesco, non siamo il futuro ma siamo il presente!
Perché sempre più bambini dopo la comunione spariscono dall’ambiente parrocchiale? Perché i genitori non spingono i bambini a essere partecipi, perché sono restii a condividere i valori che la Chiesa trasmette? Perché sempre meno giovani sono disponibili a mettersi in gioco in un ambiente sano, capace di stimolarli e di trasmettere loro veri valori, di rendere loro veri uomini e donne?
Tocca a noi fare qualcosa per invertire la rotta, noi che ci sappiamo sempre lamentare di ciò che non va, ma che oggettivamente abbiamo paura di agire.
Adesso è il nostro momento, è il momento di avere il coraggio di cambiare, ciò che va rinnovato. Prendere le redini e dirigere la chiesa verso un nuovo mondo d’Accoglienza, di Partecipazione, di Felicità, di tanto Entusiasmo e Amore.
Tanti auguri a Noi!

Samuele Grosso – Genova

Parlate a noi adulti

Di questo siamo tutti sicuri: il Sinodo dei Vescovi sui giovani è un evento storico, che rappresenta un avvicinamento della Chiesa a quel mondo dei giovani sempre percepito unicamente come destinatario degli insegnamenti, dell’istruzione e dei rimproveri degli adulti, specialmente quando il rapporto è Giovani – Chiesa. Con il Sinodo i giovani diventano attori, sono loro a parlare. Proprio questo è stato il suggerimento di Papa Francesco durante la riunione presinodale tenutasi a Roma dal 19 al 24 marzo e ce lo dice Gabriella Serra, Presidente Nazionale femminile della F.U.C.I. (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), che vi ha partecipato e che ci ha gentilmente concesso una breve intervista, per raccontarci quanto vissuto durante l’incontro, ma anche la percezione di cosa sta avvenendo, che ha come esito finale e tanto atteso proprio il Sinodo dei Vescovi sui giovani.

«Si sta vivendo un ottimo momento – dice Gabriella – nel quale i giovani vengono coinvolti veramente, in prima persona, attraverso una partecipazione attiva e concreta». Infatti, Papa Francesco, durante la riunione presinodale ha chiesto con forza ai giovani di “parlare” a gran voce avendo il coraggio di esprimersi e raccontarsi, perché la Chiesa ha più che mai bisogno di capire i giovani e per questo è necessario un dialogo aperto con essi.
Papa Francesco ha ricordato che tutti siamo parte della Chiesa, anche i giovani e, per questo, ognuno ne è responsabile, aggiungendo: «anche se noi adulti tacciamo, voi dovete parlare»; proprio da ciò, ci dice Gabriella: «Si intuisce quanto a Papa Francesco stia a cuore la causa; è proprio lui il grande promotore di questo Sinodo, nuovo nella forma di coinvolgimento. È lui che ci ha dato e continua a darci la forza, il coraggio e la speranza».

Ripercorrendo il documento finale della riunione presinodale, ci si accorge di quanto siano stati ridotti e assottigliati gli spazi che hanno da sempre separato la struttura fortemente gerarchizzata della Chiesa con il popolo giovanile. Papa Francesco ha parlato a tutti i giovani presenti in modo diretto, colloquiale, paritetico e la prova di ciò sta anche nella riuscita di quella che era una grande sfida: riunire tutti e 5 i continenti del monto durante questo evento a Roma, 300 ragazzi più molti altri collegati via web.
Dal Documento emerge anche un tema cruciale, specialmente in questo periodo, non solo per la Chiesa ma anche per la società: la donna. Si è ricordato quanto importante sia e debba essere il ruolo che la donna ricopre all’interno della società e della Chiesa, chiedendosi quale sia l’apporto che la donna può dare all’interno della società e della Chiesa.
Infine, «È stato dato spazio anche a un altro rilevante tema: il volontariato. Si è sottolineato come il volontariato sia un metodo adeguato per permettere ai giovani di sentirsi utili, responsabilizzati e coinvolti all’interno della società e della Chiesa. Un modo per sentirsi vicini al prossimo in modo attivo e concreto, corresponsabili del mondo che si abita e dei luoghi che si vivono», visto il riscontro di una recente problematica giovanile legata proprio a uno scoraggiamento generale per la scarsa responsabilità che si sentono di avere all’interno della società e, di conseguenza, maturano una percezione, spesso inconscia, di essere inutili.

Dalle parole di Gabriella si sente la grande soddisfazione di aver assistito e partecipato in prima persona all’evento, facendo trasparire una grande emozione e un grande entusiasmo, accompagnati da profonda consapevolezza, da lei sottolineata: l’importanza storica dell’evento.
Noi GiovaniBarnabiti ringraziamo Gabriella per l’esperienza vissuta e per averla raccontata e condivisa rendendoci partecipi, anche se indirettamente, delle emozioni vissute e dell’impegno profuso. Le auguriamo un grande “in bocca al lupo” per il futuro, sperando che le nostre strade possano incrociarsi ancora.

Tommaso C. Milano

Papa Francesco ai Giovani, 19 marzo 2018

Discorso di papa Francesco apertura pre-sinodo (19.03.2018)

Cari giovani, buongiorno!

Saluto tutti i 15340! Speriamo che domani siano di più in questo nostro interloquire per fare uscire quello che ognuno di voi e di noi abbiamo nel cuore. Parlare con coraggio. Senza vergogna, no. Qui la vergogna si lascia dietro la porta. Si parla con coraggio: quello che sento lo dico e se qualcuno si sente offeso, chiedo perdono e vado avanti. Voi sapete parlare così. Ma bisogna ascoltare con umiltà. Se parla quello che non mi piace, devo ascoltarlo di più, perché ognuno ha il diritto di essere ascoltato, come ognuno ha il diritto di parlare.
Grazie per aver accettato l’invito di venire qui. Alcuni di voi hanno dovuto fare un lungo viaggio. Altri, invece di andare a dormire – perché è ora di andare a dormire da loro – sono collegati con voi. Faranno la notte ascoltando. Venite da tante parti del mondo e portate con voi una grande varietà di popoli, culture e anche religioni: non siete tutti cattolici e cristiani, nemmeno tutti credenti, ma siete certamente tutti animati dal desiderio di dare il meglio di voi. E io non ho dubbi su questo. Saluto anche quelli che si collegheranno, e che lo già hanno fatto: grazie del vostro contributo!
Voglio ringraziare in modo speciale la Segreteria del Sinodo, il Cardinale Segretario, l’Arcivescovo Segretario e tutti, tutti quelli che lavorano nella Segreteria del Sinodo. Hanno lavorato fortemente per questo e hanno avuto una capacità di inventare cose e creatività molto grandi. Grazie tante, Cardinale Baldisseri, e a tutti i vostri collaboratori.

Siete invitati perché il vostro apporto è indispensabile. Abbiamo bisogno di voi per preparare il Sinodo che a ottobre riunirà i Vescovi sul tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. In tanti momenti della storia della Chiesa, così come in numerosi episodi biblici, Dio ha voluto parlare per mezzo dei più giovani: penso, ad esempio, a Samuele, a Davide e a Daniele. A me piace tanto la storia di Samuele, quando sente la voce di Dio. La Bibbia dice: “In quel tempo non c’era l’abitudine di sentire la voce di Dio. Era un popolo disorientato”. È stato un giovane ad aprire quella porta. Nei momenti difficili, il Signore fa andare avanti la storia con i giovani. Dicono la verità, non hanno vergogna. Non dico che sono “svergognati” ma non hanno vergogna e dicono la verità. E Davide da giovane incomincia con quel coraggio. Anche con i suoi peccati. Perché è interessante, tutti questi non sono nati santi, non sono nati giusti, modelli degli altri. Sono tutti uomini e donne peccatori e peccatrici, ma che hanno sentito il desiderio di fare qualcosa di buono, Dio li ha spinti e sono andati avanti. E questo è bellissimo. Noi possiamo pensare: “Queste cose sono per le persone giuste, per i preti e per le suore”. No, è per tutti. E voi giovani di più, perché avete tanta forza per dire le cose, per sentire le cose, per ridere, anche per piangere. Noi adulti tante volte, tante volte, abbiamo dimenticato la capacità di piangere, ci siamo abituati: “Il mondo è così… che si arrangino”. E andiamo avanti. Per questo vi esorto, per favore: siate coraggiosi in questi giorni, dite tutto quello che vi viene; e se sbagli, un altro ti correggerà. Ma avanti, con coraggio!

1. Troppo spesso si parla di giovani senza lasciarci interpellare da loro. Quando qualcuno vuole fare una campagna o qualcosa, ah, lode ai giovani!, non è così?, ma non permette che i giovani li interpellino. Lodare è un modo di accontentare la gente. Ma la gente non è sciocca o stupida. No, non lo è. La gente capisce. Soltanto gli scemi non capiscono. In spagnolo c’è un motto bellissimo che dice: “Loda lo scemo e lo vedrai lavorare”. Dare la pacca sulla spalla e lui sarà contento, perché è scemo, non se ne accorge. Ma voi non siete scemi! Anche le migliori analisi sul mondo giovanile, pur essendo utili – sono utili –, non sostituiscono la necessità dell’incontro faccia a faccia. Parlano della gioventù d’oggi. Cercate per curiosità in quanti articoli, quante conferenze si parla della gioventù di oggi. Vorrei dirvi una cosa: la gioventù non esiste! Esistono i giovani, storie, volti, sguardi, illusioni. Esistono i giovani. Parlare della gioventù è facile. Si fanno delle astrazioni, percentuali… No. La tua faccia, il tuo cuore, cosa dice? Interloquire, sentire i giovani. A volte, evidentemente, voi non siete, i giovani non sono il premio Nobel per la prudenza. No. A volte parlano “con lo schiaffo”. La vita è così, ma bisogna ascoltarli.
Qualcuno pensa che sarebbe più facile tenervi “a distanza di sicurezza”, così da non farsi provocare da voi. Ma non basta scambiarsi qualche messaggino o condividere foto simpatiche. I giovani vanno presi sul serio! Mi sembra che siamo circondati da una cultura che, se da una parte idolatra la giovinezza cercando di non farla passare mai, dall’altra esclude tanti giovani dall’essere protagonisti. È la filosofia del trucco. Le persone crescono e cercano di truccarsi per sembrare più giovani, ma i giovani non li lascia crescere. Questo è molto comune. Perché? Perché non si lascia che vengano interpellati. È importante. Spesso siete emarginati dalla vita pubblica ordinaria e vi trovate a mendicare occupazioni che non vi garantiscono un domani. Non so se questo succede in tutti i vostri Paesi, ma in tanti… Se non sbaglio il tasso di disoccupazione giovanile qui in Italia dai 25 anni in su è verso il 35%. In un altro Paese d’Europa, confinante con l’Italia, 47%. In un altro Paese d’Europa vicino all’Italia, più del 50%. Cosa fa un giovane che non trova lavoro? Si ammala – la depressione –, cade nelle dipendenze, si suicida – fa pensare: le statistiche di suicidio giovanile sono tutte truccate, tutte –, fa il ribelle – ma è un modo di suicidarsi – o prende l’aereo e va in una città che non voglio nominare e si arruola nell’Isis o in uno di questi movimenti guerriglieri. Almeno ha un senso da vivere e avrà uno stipendio mensile. E questo è un peccato sociale! La società è responsabile di questo. Ma io vorrei che foste voi a dire le cause, i perché, e non dire: “Neanch’io so bene il perché”. Come vivete voi questo dramma? Ci aiuterebbe tanto. Troppo spesso siete lasciati soli. Ma la verità è anche il fatto che voi siete costruttori di cultura, con il vostro stile e la vostra originalità. È un allontanamento relativo, perché voi siete capaci di costruire una cultura che forse non si vede, ma va avanti. Questo è uno spazio che noi vogliamo per sentire la vostra cultura, quella che voi state costruendo.
Nella Chiesa – sono convinto – non dev’essere così: chiudere la porta, non sentire. Il Vangelo ce lo chiede: il suo messaggio di prossimità invita a incontrarci e confrontarci, ad accoglierci e amarci sul serio, a camminare insieme e condividere senza paura. E questa Riunione pre-sinodale vuol essere segno di qualcosa di grande: la volontà della Chiesa di mettersi in ascolto di tutti i giovani, nessuno escluso. E questo non per fare politica. Non per un’artificiale “giovano-filia”, no, ma perché abbiamo bisogno di capire meglio quello che Dio e la storia ci stanno chiedendo. Se mancate voi, ci manca parte dell’accesso a Dio.

2. Il prossimo Sinodo si propone in particolare di sviluppare le condizioni perché i giovani siano accompagnati con passione e competenza nel discernimento vocazionale, cioè nel «riconoscere e accogliere la chiamata all’amore e alla vita in pienezza» (Documento preparatorio, Introduzione). Tutti noi abbiamo questa chiamata. Voi, nella fase iniziale, siete giovani. Questa è la certezza di fondo: Dio ama ciascuno e a ciascuno rivolge personalmente una chiamata. È un dono che, quando lo si scopre, riempie di gioia (cfr Mt 13,44-46). Siatene certi: Dio ha fiducia in voi, vi ama e vi chiama. E da parte sua non verrà meno, perché è fedele e crede davvero in voi. Dio è fedele. Per i credenti dico: “Dio è fedele”. Vi rivolge la domanda che un giorno fece ai primi discepoli: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). Anch’io, in questo momento, vi rivolgo la domanda, a ognuno di voi: “Cosa cerchi? Tu, cosa cerchi nella tua vita?”. Dillo, ci farà bene ascoltarlo. Dillo. Di questo abbiamo bisogno: di sentire il vostro cammino nella vita. Cosa cerchi? Vi invita a condividere la ricerca della vita con Lui, a camminare insieme. E noi, desideriamo fare lo stesso, perché non possiamo che condividere con entusiasmo la ricerca della vera gioia di ciascuno; e non possiamo tenere solo per noi Chi ci ha cambiato la vita: Gesù. I vostri coetanei e i vostri amici, anche senza saperlo, aspettano anche loro una chiamata di salvezza.

3. Il prossimo Sinodo sarà anche un appello rivolto alla Chiesa, perché riscopra un rinnovato dinamismo giovanile. Ho potuto leggere alcune e-mail del questionario messo in rete dalla Segreteria del Sinodo e mi ha colpito l’appello lanciato da diversi giovani, che chiedono agli adulti di stare loro vicini e di aiutarli nelle scelte importanti. Una ragazza ha osservato che ai giovani mancano punti di riferimento e che nessuno li sprona ad attivare le risorse che hanno. Poi, accanto agli aspetti positivi del mondo giovanile, ha sottolineato i pericoli, tra cui l’alcool, la droga, una sessualità vissuta in maniera consumistica. Sono dipendenze, no? E ha concluso quasi con un grido: «Aiutate il nostro mondo giovanile che va sempre più a rotoli». Non so se il mondo giovanile vada sempre più a rotoli, non so. Ma sento che il grido di questa ragazza è sincero e richiede attenzione. Sta a voi rispondere a questa ragazza, colloquiare con questa ragazza. È una di voi e bisogna vedere questo “schiaffino” che ci dà, dove ci porta. Anche nella Chiesa dobbiamo imparare nuove modalità di presenza e di vicinanza. È molto importante. Mi viene in mente quando Mosè vuole dire al Popolo di Dio qual è il nocciolo dell’amore di Dio. E dice: “Pensate: quale popolo ha avuto un Dio così vicino?”. L’amore è vicinanza. E loro, i giovani di oggi chiedono alla Chiesa vicinanza. Voi cristiani, voi che credete nella vicinanza di Cristo, voi cattolici, siate vicini, non lontani. E voi sapete bene che ce ne sono tante, tante modalità di allontanarsi, tante. Educate tutti, con guanti bianchi, ma prendere distanza per non sporcarsi le mani. I giovani, oggi, ci chiedono vicinanza: ai cattolici, ai cristiani, ai credenti e ai non credenti. A tutti. E a questo proposito, un giovane ha raccontato con entusiasmo la sua partecipazione ad alcuni incontri con queste parole. Così dice: «La cosa più importante è stata la presenza di religiosi in mezzo a noi giovani come amici che ci ascoltano, ci conoscono e ci consigliano». Uomini e donne consacrati che sono vicini. Ascoltano, conoscono e a chi chiede consiglio, consigliano. Io conosco alcuni di voi che fanno questo.
Mi viene in mente lo splendido Messaggio ai giovani del Concilio Vaticano II. È anche oggi uno stimolo a lottare contro ogni egoismo e a costruire con coraggio un mondo migliore. È un invito a cercare nuovi cammini e a percorrerli con audacia e fiducia, tenendo fisso lo sguardo su Gesù e aprendosi allo Spirito Santo, per ringiovanire il volto stesso della Chiesa. Perché è in Gesù e nello Spirito che la Chiesa trova la forza di rinnovarsi sempre, compiendo una revisione di vita sul suo modo di essere, chiedendo perdono per le sue fragilità e inadeguatezze, non risparmiando le energie per mettersi al servizio di tutti, col solo intento di essere fedele alla missione che il Signore le ha affidato: vivere e annunciare il Vangelo.

4. Cari giovani, il cuore della Chiesa è giovane proprio perché il Vangelo è come una linfa vitale che la rigenera continuamente. Sta a noi essere docili e cooperare a questa fecondità. E tutti voi potete collaborare a questa fecondità: che siate cristiani cattolici, o di altre religioni, o non credenti. Vi chiediamo di collaborare alla fecondità nostra, a dare vita. Lo facciamo anche in questo cammino sinodale, pensando alla realtà dei giovani di tutto il mondo. Abbiamo bisogno di riappropriarci dell’entusiasmo della fede e del gusto della ricerca. Abbiamo bisogno di ritrovare nel Signore la forza di risollevarci dai fallimenti, di andare avanti, di rafforzare la fiducia nel futuro. E abbiamo bisogno di osare sentieri nuovi. Non spaventatevi: osare sentieri nuovi, anche se ciò comporta dei rischi. Un uomo, una donna che non rischia, non matura. Un’istituzione che fa scelte per non rischiare rimane bambina, non cresce. Rischiate, accompagnati dalla prudenza, dal consiglio, ma andate avanti. Senza rischiare, sapete cosa succede a un giovane? Invecchia! Va in pensione a 20 anni! Un giovane invecchia e anche la Chiesa invecchia. Lo dico con dolore. Quante volte io trovo comunità cristiane, anche di giovani, ma vecchie. Sono invecchiate perché avevano paura. Paura di che? Di uscire, di uscire verso le periferie esistenziali della vita, di andare là dove si gioca il futuro. Una cosa è la prudenza, che è una virtù, ma un’altra è la paura. Abbiamo bisogno di voi giovani, pietre vive di una Chiesa dal volto giovane, ma non truccato, come ho detto: non ringiovanito artificialmente, ma ravvivato da dentro. E voi ci provocate a uscire dalla logica del “ma si è sempre fatto così”. E quella logica, per favore, è un veleno. È un veleno dolce, perché ti tranquillizza l’anima e ti lascia come anestetizzato e non ti lascia camminare. Uscire dalla logica del “sempre è stato fatto così”, per restare in modo creativo nel solco dell’autentica Tradizione cristiana, ma creativo. Io, ai cristiani, raccomando di leggere il Libro degli Atti degli Apostoli: la creatività di quegli uomini. Quegli uomini sapevano andare avanti con una creatività che se noi facciamo la traduzione a quello che significa oggi, ci spaventa! Voi create una cultura nuova, ma state attenti: questa cultura non può essere “sradicata”. Un passo avanti, ma guarda le radici! Non tornare alle radici, perché finirai sotterrato: fai un passo avanti, ma sempre con le radici. E le radici – questo, perdonatemi, lo porto nel cuore – sono i vecchi, sono i bravi vecchi. Le radici sono i nonni. Le radici sono quelli che hanno vissuto la vita e che questa cultura dello scarto li scarta, non servono, li manda fuori. I vecchi hanno questo carisma di portare le radici. Parlate con i vecchi. “Ma cosa dirò?”. Prova! Ricordo a Buenos Aires, una volta, parlando con i giovani, ho detto: “Perché non andate in una casa di riposo a suonare la chitarra agli anziani che sono lì?” – “Ma, Padre…” – “Andate, un’oretta soltanto”. [Rimasero] più di due ore! Non volevano uscire, perché i vecchi che erano così [un po’ addormentati], hanno sentito la chitarra e si sono svegliati, svegliati, svegliati e hanno incominciato [a parlare], e i giovani hanno sentito cose che li toccavano dentro. Hanno preso questa saggezza e sono andati avanti. Questo il Profeta Gioele lo dice tanto bene, tanto bene. Al capitolo terzo. Per me questa è la profezia di oggi: “I vecchi sogneranno, e i giovani profetizzeranno”. Noi abbiamo bisogno di giovani profeti, ma state attenti: mai sarete profeti se non prendete i sogni dei vecchi. Di più: se non andate a far sognare un vecchio che sta lì annoiato, perché nessuno lo ascolta. Fate sognare i vecchi e questi sogni vi aiuteranno ad andare avanti. Gioele 3,1. Leggi questo, ti farà bene. Lasciatevi interpellare da loro.

Per sintonizzarci sulla lunghezza d’onda delle giovani generazioni è di grande aiuto un dialogo serrato. Vi invito allora, in questa settimana, a esprimervi con franchezza e in tutta libertà, l’ho detto e lo ripeto. Con “faccia tosta”. Siete i protagonisti ed è importante che parliate apertamente. “Ma ho vergogna, mi sentirà il cardinale…”. Che senta, è abituato. Vi assicuro che il vostro contributo sarà preso sul serio. Già da ora vi dico grazie; e vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me. E quelli che non possono pregare, perché non sanno pregare, almeno mi pensino bene. Grazie.

I giovani: la Chiesa che manca!

È necessario che le comunità mostrino ai giovani la differenza cristiana. Enzo Bianchi, OssRom 25 04 2018

Cari amici credo che questo articolo di Enzo Bianchi valga leggerlo a giovani e adulti e… preti.

A marzo i giovani hanno vissuto una riunione presinodale nella quale è stato elaborato un documento da offrire alle istituzioni del prossimo sinodo su «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», affinché da esso si sentano ispirate nell’elaborazione dell’Instrumentum laboris, la traccia per il confronto e la discussione comune. Un documento concepito da trecento giovani provenienti da tutto il mondo, collegati online attraverso gruppi di Facebook con altri quindicimila coetanei, non può essere pienamente rappresentativo di una realtà così plurale e complessa qual è la gioventù di molte e diversissime aree culturali nelle quali è presente la Chiesa cattolica. Resta tuttavia significativo che in questo testo si possano scorgere alcune convergenze, soprattutto sulle sfide e sulle opportunità dei giovani nel mondo di oggi. Va anche riconosciuta un’innegabile evidenza: le numerose indagini sociologiche e le diverse letture da parte di attenti osservatori del mondo giovanile non contraddicono ciò che i giovani hanno espresso in prima persona in questo confronto.

Questo documento ha il pregio di aiutare a percepire i giovani come parte della Chiesa e noncome semplici interlocutori di un’istituzione a loro esterna. I giovani si sentono Chiesa, anche quando hanno consapevolezza di essere “la Chiesa che manca”, secondo la felice espressione di don Armando Matteo, e hanno la capacità di prendere la parola per richiedere al corpo di cui fanno parte un cambiamento di rotta e di stile. È significativo che si esprimano giudicando «la Chiesa come troppo severa e spesso associata a un eccessivo moralismo» e chiedendo che essa sia «accogliente e misericordiosa, […] capace di amare tutti, anche quelli che non la seguono» (1.1). Dunque i giovani fanno richieste non scontate né rivoluzionarie, ma pacate e determinate. Ciò che tuttavia dal documento emerge come urgente per i giovani di oggi è la ricerca del senso dell’esistenza. Ricerca che si è fatta faticosa e difficile e che avviene ormai lontano dai percorsi indicati dalle religioni e soprattutto lontano da un itinerario di fede, perché proprio la fede non è stata loro trasmessa dalla generazione precedente, quella dei loro genitori. I millennials, nati negli ultimi due decenni del secolo scorso, possono anche essere definiti la “prima generazione incredula”, ma si faccia attenzione e si legga con discernimento quanto avvenuto nella generazione precedente, resasi estranea alla Chiesa soprattutto attraverso un’inedita incoerenza: si diceva cattolica ma non frequentava più abitualmente la liturgia domenicale e non sentiva l’appartenenza al cattolicesimo se non a livello culturale, in quanto erede di una cultura tradizionalmente cattolica.

Negli ultimi decenni del secolo scorso la Chiesa cattolica, in particolare quella italiana, è parsa aver smarrito lo slancio dell’aggiornamento conciliare e non si è più impegnata nella formazione e nella cura del fedele, affinché la sua fede fosse pensata, adulta e dunque emergesse la figura del cristiano maturo, corresponsabile nella comunità cristiana. Ha preferito spendere tutte le sue energie in una logica di presenza nella società, fino a cercare di occupare spazi abitati dalla “religione civile”. Così è avvenuta una rottura della trasmissione generazionale della fede ed è emersa una figura di cattolico astenico e poco convinto che, come tale, non poteva comunicare ai figli né le esigenze evangeliche della sequela né una concreta appartenenza alla comunità cristiana.

Va anche detto che questa generazione adulta di fine millennio è stata incapace di comunicare una grammatica umana ai figli, che oggi si trovano poco abilitati al vivere quotidiano, ad assumere una responsabilità, a trovare senso. È soprattutto questa “ricerca di senso” a essere oggi in affanno, come testimoniano le indagini sociologiche e come sperimentano quanti sono in ascolto dei giovani (come i monasteri o le comunità che li accolgono abitualmente). «Chi sono veramente io? Chi voglio essere? Come diventare me stesso? Che cosa posso sperare? Che senso dare alla mia vita? Mi ritrovo davanti a un muro: come abbatterlo? O devo forse scalarlo?». Queste le domande dei giovani, a volte vissute in modo tragico, nella sensazione che non vi siano risposte se non il nulla.

Occorre ascoltare i giovani, ascoltarli nelle loro speranze e nelle loro ansie con molta pazienza, cercando soltanto di essere vicini a loro, compagni di strada, niente di più, senza avere la pretesa di suggerire o di proporre alcunché. Proprio perché queste sono le domande drammatiche che li abitano, oggi il riferimento a Dio sembra di nessun interesse, anche se questa aporia non desta alcuna confessione o militanza ateistica. Semplicemente, Dio non è più interessante e i giovani sono convinti che si possa vivere una vita felice senza di lui. E non si dica che, di conseguenza, i giovani abbandonano la Chiesa. Questa è estranea di per sé, come un mondo che non riesce più a dire nulla né attraverso la sua liturgia né attraverso le sue prediche. Dio è una parola rifiutata ed espulsa perché è risuonata troppo, perché le sue immagini sono state percepite come false e nemiche dell’uomo, mentre la Chiesa è estranea perché — come più volte mi hanno detto i giovani — «vive in un altro mondo». Resta però significativo che quei giovani che hanno ricevuto una qualche conoscenza di Gesù Cristo e della sua radicale umanità non sono indifferenti alla sua figura esemplare e al suo messaggio, anche se non giungono a una confessione di fede in lui.

Proprio per queste considerazioni, diventa urgente e decisivo un cambiamento nel vivere la fede cristiana: un cambiamento che riguarda innanzitutto la generazione adulta dei padri e delle madri, la generazione dei quarantenni-cinquantenni che deve essere raggiunta dal Vangelo, da quel Vangelo che non è stato loro indirizzato nel tempo della formazione cristiana. Occorre riaccendere un cristianesimo di testimonianza, in cui comportamento e stile siano veramente coerenti con il Vangelo professato. La trasmissione della fede deve cominciare nello spazio della famiglia, anche della famiglia ferita: solo se c’è convinzione salda, mite e intelligente, allora la fede si fa eloquente, parla ad altri e si fa comprendere come un tesoro per la vita. Se invece le istituzioni della Chiesa continuano a ignorare i fedeli, a lasciarli in una condizione di destinatari passivi del culto e della predicazione, se non riescono a farli partecipare con responsabilità alla vita della comunità, continuerà una fuga senza contestazioni e nel recinto dell’ovile resterà un numero sparuto di pecore.

Lasciamo perdere la retorica sui giovani e, mi permetto di dire, anche sulle donne. È controproducente caricare queste realtà di aggettivi pieni di complimenti e di immagini poetiche ma vuoti di sostanza: occorre invece un mutamento, affinché queste parti della Chiesa che stanno per mancare, o addirittura già mancano, trovino uno spazio di appartenenza e di vera fraternità e sororità vissuta in una comunità che sappia mostrare “la differenza cristiana”, in mezzo agli uomini e alle donne presenti nella storia e nella società, non contro di loro. I giovani oggi sono sempre più lontani dalla fede cristiana, ma abitano non una terra atea bensì una terra di mezzo in cui regna l’indifferenza per Dio e per la Chiesa. Questo è però un terreno aperto alla ricerca, alla vita interiore, alla spiritualità, un terreno assetato di grammatica umana.

Attraverso le loro domande, sovente mute, i giovani chiedono che sia indicato loro il senso, la chiamata/vocazione alla vita. Sì, la vocazione che vorrebbero ascoltare e discernere è la vocazione alla vita, al vivere che è la chiamata unica e irripetibile per ogni persona da parte di Dio, anche nella fede cristiana. Come tutti gli umani, anche i giovani sono chiamati a vivere in pienezza, a fare della propria vita, per quanto è possibile, un’opera d’arte consapevole: chiamati dunque alla felicità, perché la vita buona e bella sa anche dare la felicità. Nessuna visione banalmente ottimistica sul “duro mestiere di vivere”, ma se questo invito alla vita è rivolto a un giovane da chi ha fiducia e comunica fiducia, se è fatto nella piena gratuità, non per farlo entrare nella Chiesa, non per farne un discepolo, ma perché si vuole che diventi un soggetto capace di pienezza di vita, allora l’appello è veramente credibile. Solo degli anziani, degli adulti capaci di fiducia e dunque di fede sanno anche mostrare la gratuità della loro cura dei giovani e sono capaci di fare strada insieme a loro, verso la vita.

Accogliendo i giovani, nel monito presinodale Papa Francesco ha usato parole commoventi per loro, invitandoli al rischio, all’entusiasmo della fede e al gusto della ricerca. Ha chiesto loro di non temere, di non spaventarsi mai sui nuovi sentieri da percorrere. Nella domenica delle Palme ha chiesto loro di gridare perché, se non grideranno i giovani, grideranno le pietre, come aveva detto Gesù dopo il suo ingresso a Gerusalemme (cfr. Luca, 19, 40). Dunque i giovani non siano mai letti né fuori dalla Chiesa né come semplici destinatari delle parole della Chiesa, né senza i padri e le madri, senza gli anziani, perché solo tutti insieme, come un solo corpo, si cammina con fiducia e solo in comunione ci si salva.

Rimanere sulla poltrona

Rimanere sulla poltrona del proprio immobilismo.
Rimanere, forse è il verbo che più ho riscontrato in questi ultimi mesi in molti giovani che ho cercato di disturbare per chiedere qualche idea, qualche consiglio, qualche confronto.
E non parlo solo di giovani sconosciuti, incrociati tra le vie della città, ma anche di tanti giovani vicini a me, alle nostre attività, addirittura vicini a Gesù!
Sembra ci sia una paura di fondo nel lasciarsi scocciare anche per qualche cosa di semplice, sembra che non possiamo abbandonare i modi di pensare, i non lasciarci mettere in gioco.
Oggi molti di voi possono permettersi di viaggiare come io non potevo, di vedere, di comprendere (forse) tanto che sembra essere un peccato rimanere nello stesso posto per più tempo. Eppure pare si rimanga sempre attaccati alle proprie idee, al proprio pensare, per restare indisturbato.
Qualcuno obietterà che bisogna rimanere nelle proprie idee, che sono necessari dei punti fermi per diventare uomini o donne. È necessario rimanere da qualche parte, ma non per restarci in eterno, bensì per tuffarsi nella vita.
Tuffarsi non è facile ma deve essere bellissimo (io non ne sono capace) eppure per tuffarsi è necessario rimanere sulla punta del trampolino. Non restarci per sempre: quanto basta!
Quindi c’è un rimanere esagerato e un rimanere quanto basta.
Forse io, gli adulti, la società, la Chiesa siamo rimasti legati a noi e non sappiamo più cosa dirvi, come starvi accanto, come crescere con voi – non ho scritto “come farvi crescere”, ma “come crescere con voi”, o forse preferite rimanere dove siete e guai a chi vi tocca?
Rimanere è un verbo che torna molte volte nel vangelo di Giovanni per dirci dove radicare le nostre esistenze, ma non è un termine statico o passivo, tutt’altro: è un termine dinamico, attivo fino a portare frutto. Un po’ come il “rimanere sul trampolino”.
Però non si può arrivare da soli sul trampolino, non dimentichiamolo. E la mia impressione è che per certi versi molti di voi siate sul trampolino, ma ci siete soli e rischiate di rimanerci, sul trampolino.
Lo so, la Chiesa non è perfetta. In questi ultimi decenni ha fatto anche un po’ di errori, rimanendo sulle proprie lunghezze d’onda incapace non di “farvi crescere”, ma di “crescere con voi”. Per molti versi non si è accorta della vostra voglia di tuffarvi, ma anche della vostra paura di tuffarvi e così ognuno è rimasto sul proprio trampolino incapace di tuffarsi.
C’è un bel film, Tutto quello che vuoi, in cui un anziano poeta e dei giovani scapestrati si incontrano; nessuno vuole insegnare o imparare qualche cosa dall’altro, piano piano però uno per l’altro insegnano e imparano a puntare bene i propri piedi sul trampolino, uno per tuffarsi nella vita dell’aldilà e gli altri per tuffarsi nella vita dell’aldiquà!
La Chiesa per un verso è vecchia, per un altro – ora non approfondisco – è sempre giovane: vogliamo crescere insieme? Imparare e insegnare gli uni gli altri a posizionare bene i piedi sul trampolino?
È questo che papa Francesco sta chiedendo alla Chiesa ma anche a tutti voi; è questo l’obiettivo del prossimo Sinodo / Assemblea dei vescovi sui e per i giovani.
Nessuno trucco, nessun costo, solo voglia di tuffarsi ognuno con la sua età per un mondo più bello, buono e vero.
pJgiannic