Santo Natale 2015

È notte, anche se è giorno il momento in cui celebriamo questa messa, è comunque notte, perché il Natale rimanda alla notte, al buio, alle stelle, al silenzio.
La notte richiama il tempo che scorre, l’ignoto e il bisogno di senso;
le stelle il cosmo, l’universo intero con i suoi misteri, la sua scienza, le sue misure;
gli angeli, i messaggeri straordinari di Dio che appaiono quando c’è qualche cosa di veramente importante ed eccezionale;
poi ci sono i pastori, sporchi, ignoranti, non adatti ad ascoltare la parola di Dio;
e il silenzio, come nella notte dei tempi, quando Dio creò Adamo ed Eva.
Ma non mancano i potenti, la città con le sue frenesie – un poco come le code di macchine e ai supermercati di questi giorni –, per una volta di giorno, alla luce del sole, quasi che la bibbia volesse dire che l’iniquità, le ingiustizie non possono più essere nascoste.
In tutto questo quadro così essenziale, ma così preciso, un uomo e una donna obbediscono alla sete di potere di Augusto che voleva contare il suo popolo, ma non l’imperatore e i suoi ministri, bensì Dio prende per mano Maria e Giuseppe e li conduce nel luogo dove nascerà il loro primogenito che sarà chiamato Gesù, il Salvatore; Emmanuele, Dio-con-noi!
Non l’imperatore, ma Gesù è il Salvatore; non un tempo vuoto, ma un tempo pieno, Dio-con-noi!
(Quando penso a molte di voi, donne e nonne di questa terra, a molte di voi affaticate, schiacciate da situazioni difficili, da lavori pesanti, da potenti che vi rendono schiavi; quando vedo la vostra fede, capisco cosa significhi Gesù è il Salvatore, Emmanuele Dio-con-noi!).
Certo oggi l’uomo è più maturo, più autonomo, più libero, non ha bisogno di Dio e anche molti cristiani vivono con un Dio che non si chiama più Emmanuele, Dio-con-noi; quanti cristiani atei ci sono.
Eppure Dio sceglie oggi di nascere con questo uomo non per togliergli l’autonomia, bensì per dire che da Natale non è più solo; non per togliergli la libertà, ma per insegnargli la libertà; non per renderlo schiavo, bisognoso, ma per fargli capire che Dio ha “bisogno” dell’uomo per annunciare a tutto l’universo la giustizia, la pace, la misericordia e la verità.
E non ha bisogno dei potenti, dell’imperatore, Dio ha bisogno di due sconosciuti, Giuseppe e Maria per farsi uomo, Dio-con-noi; Dio ha bisogno dei pastori, sì di questi uomini ignoranti, sporchi, che non avevano il diritto di ascoltare la parola di Dio; Dio ha bisogno di questi pastori per annunciare la gioia della salvezza: la pace, la giustizia, la misericordia, la verità.
E qui vorrei pregare per tutte quelle persone, quelle donne – anche qui a San Felice – che lottano per la pace, per la giustizia, per la misericordia, per la verità.
Dio non ha avuto paura a farsi uomo per noi, noi non abbiamo paura a celebrare la giustizia, la pace, la misericordia, la verità!
Dio non si è chiuso nel suo cielo, ma è sceso tra noi, tra la nostra povertà, o tra le nostre ricchezze.
Vorrei chiedervi un regalo per questo Natale: aprite un poco le porte delle vostre case all’altro; preoccupatevi un poco di più e meglio di quanto accade intorno a voi; fate anche solo un piccolo gesto per qualcuno che forse non se lo merita, ma chi di noi si merita la misericordia di Dio?; fate sì che le vostre preghiere, le vostre messe non siano solo delle belle parole – come quelle dei potenti – ma diventino lievito di pace e di giustizia.
A Natale Dio si è fatto Dio-con-noi perché anche noi, a nostra volta, diventiamo di più portatori di gioia e di salvezza tra gli uomini tutti che Dio ama. Ma non portatori per finta, perché Dio non si è fatto uomo per finta, si è fatto uomo davvero sino alla morte! Alla morte per noi!
Santo Natale a tutti voi.

Le donne

Evviva le donne, verrebbe da scrivere commentando le letture di oggi, 4 domenica di Avvento.
Si perché anche se la Chiesa non sempre è stata “femminista” il vangelo, e non solo quello di oggi, è assolutamente femminile!
Dio non ha scelto di rivelarsi in modo extranaturale, ha scelto il semplice corpo di una donna qualunque di un paese qualunque.
Ma la assoluta normalità di Maria non le ha vietato di ragionare e scegliere come rispondere alla proposta di Dio. Le paure e le preoccupazioni di Zaccaria, marito dell’altra donna del Vangelo, Elisabetta e di Giuseppe non fanno parte del vigore e della determinazione di Maria.
Maria, in questo racconto, è forse la vera icona del vero cristiano; nel vangelo di oggi leggiamo infatti il modello del cristiano.
Maria p colei che per prima riceve il dono dello Spirito santo in modo definitivo da qui ne consegue il suo “alzarsi” e “correre” verso la cugina Elisabetta.
Il verbo alzare è lo stesso verbo usato per indicare la risurrezione di Cristo: colei e colui che ricevono lo Spirito santo sono rialzati dalla sua forza a una vita nuova! E, come i discepoli all’incontro con il risorto, si comincia a correre ad annunciare a tutti la bella notizia. Il nostro caro SAMZ direbbe di “correre come matti verso Dio e verso il prossimo!”.
Dove trova Maria la forza per tale corsa? Nell’azione dello Spirito santo che non solo dona vita addirittura “contamina” Elisabetta, ignara di tutto, facendole sussultare il grembo.
L’azione dello Spirito santo dona vita, dona forza per correre, e contagia quanti incontra.
La comunità cristiana di Luca che aveva fatto esperienza di Pentecoste, pone Maria come prototipo, come modello dell’azione dello Spirito santo; lei che si ritroverà nel Cenacolo a pregare con i discepoli aveva già fatto esperienza dell’azione dello Spirito nel suo corpo, vero e primo cenacolo.
Attendere Gesù che viene significa perciò attendere, voler sperimentare la dolce potente azione dello Spirito santo perché, nonostante il nostro peccato, fecondi i nostri corpi per renderli portatori di Cristo, per insegnare loro a correre verso Dio e verso il prossimo, per farli capaci di contagiare tutti coloro che il Signore pone sulle nostre strade.
Solo così saremo degni di poter recitare la preghiera dell’Ave Maria e cantare con lei: Magnifica il Signore l’anima mia…

La corsa della gioia

La domenica del cristiano non è semplicemente un giorno di pausa necessaria per ricomporre la propria storia, la propria umanità.
La domenica del cristiano è il giorno in cui la parola di Dio, di quel Dio al quale egli dice di credere, bussa con maggiore forza alla porta della sua vita.
Il pane di vita al quale ci accostiamo ogni domenica, trova il suo senso, la sua forza, la terra in cui adagiarsi per porre radice e portare frutto, nella parola di Dio.
La parola di Dio oggi ci parla di gioia (oggi è la cosiddetta domenica gaudete) perché il Signore è ormai vicino a noi, con la nostra storia facile e difficile.
Il profeta Sofonia (1^ lettura) in un momento drammatico della vita del suo popolo, (quando la monarchia ormai è alla fine e) il dramma dell’esilio si profila all’orizzonte, dopo aver richiamato alla conversione e dopo aver proclamato minacce per le nazioni e per Israele, alla fine in nome di Dio pronuncia parole meravigliose di speranza: “Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio è in mezzo a te: è un salvatore potente. Gioirà per te. Ti rinnoverà con il suo amore. Esulterà per te con grida di gioia”.
La lettera di Paolo ai Filippesi (2^ lettura), pur non nascondendo le difficoltà che l’apostolo sperimenta nel suo cammino, è un continuo richiamo alla gioia, dall’inizio (Fil.1,18.25) alla fine, con il piccolo brano che oggi leggiamo: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù” (Fil.4,4-7).
Sono parole stupende quelle di Sofonia e di Paolo: è l’esperienza personale di Dio, una relazione d’amore che ringiovanisce la vita, l’esperienza di un Dio vicino, dello sposo che con la sposa esulta con grida di gioia. È l’esperienza della fede, che Sofonia preannuncia e che Paolo annuncia come realizzata in Gesù, il figlio che dona la vita per noi: la fede è l’esperienza dell’amore di Dio per noi. Se Dio ci ama, noi siamo liberi da tutte le paure, nei momenti difficili possiamo rivolgere a lui le nostre invocazioni, siamo nella pace, la nostra vita spoglia di ipocrisie, rivendicazioni, desiderio di potere, è bella, gioiosa, felice.
Queste parole sono già una risposta alle richieste etiche, di cambiamento, di azione concreta che Giovanni Battista (vangelo) chiede a quanti si rivolgono a lui, nel vangelo di oggi. Già meditare quanto il profeta Sofonia e san Paolo raccontano è una risposta concreta al bisogno di conversione che la fede, che l’incontro con Cristo chiedono: “Se Dio ci ama ci sentiamo veramente liberi?”; “liberi di essere sereni, cioè nella gioia sempre?”.
 
È cominciato l’anno di giubileo, cioè di gioia, della misericordia. Siamo capaci di credere e celebrare la misericordia di Dio? Di aprire le porte della nostra coscienza non solo alle parole di Dio, ma specialmente alle domande di senso degli uomini di oggi? Di testimoniare la gioia della misericordia?
“La misericordia esercitata non è buonismo, non è timidezza di fronte al male, ma è esercizio di responsabilità”. “La misericordia è necessaria, prima ancora dei trattati politici internazionali, per poter spianare i terreni di pace e le tante vie degli esodi forzati che stanno mutando il mondo”, perché anche a livello economico, politico e giuridico la misericordia e il perdono devono trovare realizzazioni che aprano a una convivenza buona tra i popoli e le genti. “Non si può capire un cristiano che non sia misericordioso, come non si può capire Dio senza misericordia”. È la misericordia di un Dio che ci “rincorre” sempre e proprio per questo sperimentiamo la gioia.

La parola cadde su un uomo nel deserto

Tempo di Avvento, II domenica

L’Avvento è già cominciato e ci vuole vedere in azione; il giubileo troverà la sua ufficiale iniziazione martedì; la storia di Giovanni B. si staglia in questa liturgia; noi vogliamo entrare un poco di più ancora nel mistero di Cristo e farci penetrare di più dalla forza dello Spirito che ci vuole legare, abbracciare, … di più a Gesù.
Domenica scorsa papa Francesco ha aperto a Bangui in Centroafrica la porta santa dell’anno della Misericordia, forse nessuno se n’è accorto; nessuno sapeva dell’esistenza di questa città, di questo Stato; tutti pensano all’Africa come una immensa foresta ovvero un grande deserto, un luogo comunque indietro rispetto all’Occidente.
Un deserto, come quello di Giovanni Battista, non il luogo de potenti: Tiberio Prisco, Pilato, Erode, Anna e Caifa, un deserto è il luogo dove «la parola di Dio cadde su un uomo»!
Non è la città, l’Occidente – potremmo dire – il luogo scelto da Dio, ma la periferia. Quella periferia del mondo dal quale vediamo sorgere il male che stiamo cercando di combattere, che mette a repentaglio le nostre esistenze, questa periferia è il luogo scelto da Dio per rivelarsi per farsi conoscere, per costruire il nuovo.
IL Vangelo non ci chiede di rinnegare le nostre radici, la nostra storia, ma di riguardarla, di non pensare di essere sempre i migliori, ma di essere parte di un mondo più grande, di avere bisogno degli altri. Questa è conversione!
Giovanni non ha paura di stare nel deserto, di allontanarsi dai grandi poteri, di gridare nel deserto, di vivere secondo i criteri del deserto piuttosto che i criteri dell’opulenza della città. Giovanni Battista di fronte al rumore dell’impero romano, preferisce fare silenzio e stare nel silenzio – anche Gesù, nei primi trent’anni della propria esistenza preferisce stare nel silenzio, nel silenzio della periferia di Nazaret! «E la parola di Dio scese su Giovanni nel deserto». Dopo circa 5 secoli di silenzio la parola di Dio tornò a farsi sentire attraverso Giovanni, chiamato a annunciare non solo l’amore rinnovato di Dio; chiamato a preparare non solo le strade per la conversione dell’uomo; ma destinato a farci conoscere con mano il progetto di Dio: Gesù!
Ecco lo spiraglio della salvezza.
Tutti noi abbiamo bisogno di salvezza, tutti cerchiamo il bene, Giovanni ci fa conoscere il bene: Gesù. E ci dice che per conoscere Gesù dobbiamo lasciarci lavare dalle acque del battesimo così da poter cambiare vita, non da ricco a povero o viceversa. Cambiare vita dentro di sé
In linea con gli antichi profeti Giovanni Battista comincia a gridare al mondo che nulla è impossibile a Dio, che è Padre, grazia, amore: occorre alzare la testa, aprire gli occhi per vedere e il cuore per lasciarsi amare da lui. Questo è cambiare vita.
Giovanni battista non sa come Dio salverà l’uomo, ma sa che l’uomo deve cambiare, deve lasciare irrigare e lavare la propria coscienza dall’acqua viva che è Gesù!
Non voglio darvi ricette, voglio solo invitarvi a chiedere cosa macina il vostro cuore, la vostra coscienza: pensieri cristiani o pensieri umani?
Voglio solo invitarvi a fare un po’ di silenzio in questa settimana per entrare nel mistero di Dio che agisce in Cristo nello Spirito santo.
Per fare ciò la settimana scorsa vi invitavo a ricordare, nella vostra preghiera, il mistero della fede: annunciamo, proclamiamo, attendiamo; oggi, per questa nuova settimana, vi invito a ricordare il Segno della Croce.
La chiave per aprire la porta dell’incontro con Dio e con noi stessi è proprio il segno più elementare del cristiano, questo segno che molti non conoscono più; il segno della croce non è solo una scaramanzia prima di tirare un calcio di rigore; il segno della croce è il segno della presenza di Dio nella mia vita, nel mio modo di pensare, di amare, di agire. Il segno della croce è il segno di un Dio che delicatamente bussa alla porta della mia vita per darmi pace e forza. Il Segno della Croce è il segno che ci protegge dalla paura, dal peccato. Il Segno della Croce è il segno della misericordia di Dio che ci aiuta ad annunciare la sua misericordia!