E pace è!

Il Signore darà forza al suo popolo,
il Signore benedirà il suo popolo con la pace. (Sal. 28, 11)

è questo l’augurio che facciamo al popolo iracheno e a quello siriano,
come a ciascun popolo oppresso e attanagliato
dalla violenza della guerra e della discriminazione.

Unendoci alla gioia dei cristiani iracheni per la liberazione delle loro terre dall’Isis,
non dimentichiamo di pregare per la loro sofferenza
offerta da quelle tanto sognate terre che ora vedono
devastate,
bruciate,
vandalizzate,
distrutte,
profanate!

Ringraziamo Dio per la grazia che ha concesso loro,
grazia di fortezza nella fede
perchè stavano edificando il loro rifugio in Cristo,
da stranieri che erano nella loro stessa terra,
e che ora dovranno avere ancor di più
contando le macerie e toccando con mano il ricordo della cacciata.

Aspettando che possano far al più presto ritorno alle loro case
seppur la maggior parte non esista più,
preghiamo il Signore affinchè possiamo trarre qualche insegnamento
da questa triste storia!

In missione per conto di Dio

“In missione per conto di Dio” era il famoso motto dei Blues Brother: solo una battuta? Una realtà che per il cristiano dovrebbe essere continua. Il cristiano è in perenne “missione per Dio”.

Oggi la Chiesa celebra la giornata mondiale missionaria per sollecitare tutti noi a pregare per le missioni ma specialmente per ricordarci la dimensione missionaria propria di ogni credente, di tutta la Chiesa.

Se una volta la dimensione missionaria richiamava esclusivamente l’andare ad annunciare il Vangelo in terre lontane, oggi non può più essere così. In una Europa che non è più cristiana, in una Italia che sta raggiungendo livelli minimi di cristianesimo, livelli alti di ateismo e livelli altissimi di indifferenza la missione deve essere anche per se stessi. I molti sacerdoti stranieri in arrivo nel vecchio continente sono la spia d’allarme!

La missione perciò riguarda prima di tutti ognuno di noi uomini di fede, mette in gioco la nostra fede, il nostro essere cristiani, la nostra testimonianza del Vangelo.

Come gli Apostoli e i primi cristiani hanno messo in gioco se stessi a partire dal Vangelo, altrettanto e di più è chiesto a noi oggi!

La preghiera del fariseo e del pubblicano al tempio (ascoltata oggi alla messa) sono l’emblema di cosa significhi mettere in gioco se stessi. Il missionario non è colui che offre sterili giudizi sul mondo intorno a se, mondo di cose e persone sulle quali scaricare il proprio sapere, anche la propria fede. Il missionario è colui che riconoscendosi bisognoso dell’amore misericordioso di Dio annuncia agli altri questo grande dono di Dio per tutti.

Attraverso la figura del pubblicano Gesù ci esorta a umiliarci nel senso di lasciarci accogliere e perdonare da Dio, che con la sua forza può curarci e guarirci; a non perdere tempo a guardare fuori di noi, scrutando gli altri con occhio cattivo e spiando i loro peccati; ad accettare di riconoscere la nostra condizione di persone che “non fanno il bene che vogliono, ma il male che non vogliono” (cf. Rm 7,19). Il pubblicano si è affidato a Dio, invocando come unico dono di cui aveva veramente bisogno la sua misericordia.

Questa consapevolezza propria del pubblicano, che lo rimette in circolo con Dio e con l’umanità bisognosa di salvezza deve diventare consapevolezza di ognuno di noi per poter essere credibili nell’annuncio della bella notizia che il Battesimo e la Cresima ricevuti ci impegnano a perseguire.

Ci sono una sete di Dio, da una parte, e una indifferenza di Dio dall’altra che non possono lasciarci tiepidi, bensì devono farci correre verso Dio e verso il prossimo.

Con questo spirito vogliamo anche noi giovani barnabiti celebrare questa giornata missionaria mondiale ricordando tutti i nostri fratelli sacerdoti e non che vivono in prima linea l’annuncio del Vangelo e sollecitando tutti noi a rispondere alla domanda di missione personale che Dio ha per tutti noi.

Siamo sempre in missione per conto di Dio!

 

 

Forse è poco per avere pace?

Costruire la pace non è semplice, ma si può anche da lontano per chi è lontano.
La condivisione della preghiera con i nostri amici di fede greco-melkiti colpiti continuamente da questa orribile guerra non è poco, credetemi, specialmente se anche noi preghiamo di più.

Chiedendo al Signore,
per intercessione di san Giacomo,
di cui oggi festeggiamo la memoria,
la pazienza e la saggezza
di saper aspettare
e riconoscere la grazia che vorrà concederci
nel corso della nostra vita;

accompagniamo con la preghiera
il lavoro delle forze militari irachene
e quante ad esse affiancate
nell’opera di liberazione delle zone occupate
da più di due anni dall’Isis,
e la pazienza che quanti ne sono stati cacciati,
devono avere prima di sapere
se le proprie case ancora esistono
e se esistono in che stato sono.

Preghiamo per i cittadini di Aleppo anche,
sempre in più penose situazioni.

E a gran voce diciamo senza stancarci
Salva, Signore, il tuo popolo
e benedici la tua eredità!

Comunità cristiana greco-melkita di S. Maria in Cosmedin – Roma

Gan crazy, di Joseph H. Lewis

I piani alti di questo blog preferiscono che vengano recensiti film “non vetusti” per una serie di ragioni – tra cui il fatto che siano “difficilmente reperibili” e “di scarsa fruibilità”.

Il primo anno di triennale al corso “Istituzioni di storia del cinema” il professore esordì citando Tucidide: «Bisogna conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro». Allora capii – fui costretto a capire – che oggi non ci sarebbe stato alcun Allen senza Keaton, nessun Argento senza Murnau, né un Virzì senza De Sica.

Facciamo un salto indietro, di 66 anni, nel 1950.

A nove anni di distanza dal “debutto noir” di Humphrey Bogart nel primogenito del genere, Il mistero del falco, si considerava come b-movie quello che poi sarebbe diventato uno dei capolavori più acclamati del cinema indipendente americano anni ‘50 – Gun Crazy (titolo alternativo, forse per i più maschilisti, Deadly is the Female).

Prima che nascesse la New Hollywood, prima di Bonnie and Clyde e Dennis Hopper, allora c’era Gun Crazy. Cinetico, psicosessuale lungometraggio di Joseph H. Lewis, fu in grado di gettare alcune tra le basi creative più solide del cinema americano del ventennio seguente, benché sia prima dovuto arrivare fino in Europa per poi vantarsi di una reputazione back in patria.

Allora, infatti, sembrava che solo i critici francesi – fuori dai già citati cinéma – ne cogliessero in toto il valore; e idolatrarono Gun Crazy per la sua tenebrosità, le emozioni crude e l’enorme portata innovativa, di cui ne è un esempio la sequenza della rapina in banca in long-take (cfr. Victoria (Schipper, 2015)) girato all’interno della macchina con un dialogo in gran parte improvvisato.

Quegli stessi critici francesi sarebbero poi diventati i registi della Nouvelle Vague, che fu a sua volta idolatrata da una generazione di aspiranti cineasti americani, molti dei quali non si resero conto che il nervosismo associato al movimento francese ebbe in realtà origine proprio in quello americano.

Quindi sarebbe forse più appropriato scrivere che Gun Crazy, che rappresentò uno degli esempi di cinema più sfacciati per i francesi e per gli americani che impararono da loro, sbucò dalla purga più repressiva mai conosciuta a Hollywood: la “lista nera”. E nemmeno Lewis stesso sapeva che questa storia di violenza sessualizzata e amour fou criminale venne scritta da nientedimeno che Dalton Trumbo, la cui paternità autoriale sarebbe rimasta ignota fino al 1992.

Pochi mesi dopo l’uscita del film Trumbo dovette scontare un periodo di lavori forzati in una prigione federale per un episodio di oltraggio alla corte. Risulta perciò facile leggere una rabbia più ampia e profonda nelle frustrazioni incontrollate del film, unite alla libertà di movimento della macchina da presa di Lewis, a tutti quei long takes e agli strati d’ombra e nebbia che hanno contribuito a elevare Gun Crazy a “perla” del cinema d’oltreoceano di metà secolo, oro per qualsiasi studente di cinema e non.

Un noir con tutti gli ingredienti al posto giusto – e in giusta quantità: una storia frenetica, rapine memorabili, una femme fatale dominante, un’ossessione per le pistole e l’attrazione fatidica tra due giovani dal grilletto facile – il tutto suggellato dall’uso quasi spasmodico della traccia “Mad About You” di Victor Young e Ned Washington.

Io ho avuto il lusso di poterlo vedere poche settimane fa su grande schermo, ma per chi dovesse continuare con la storia della reperibilità, Gun Crazy è disponibile:

  • su Netflix,
  • in DVD tramite Amazon,
  • in digitale su iTunes,
  • VUDU,
  • e in HD su Google Play.

“Abbondante reperibilità”.

Fabio Greg Cambiali

Alessandro Sauli santo tenace

Cari GiovaniBarnabiti,

oggi la Chiesa e i Barnabiti ricordano Sant’Alessandro Sauli (Milano 1534- Pavia 1592).

In un momento di difficoltà per la giovane famiglia zaccariana questo giovane di nobile famiglia fu tenace nel chiedere di entrare a far parte dei Barnabiti; provò la verità della sua vocazione accentando la prova di predicare Gesù Crocefisso in p. dei Mercanti a Milano carico di una grande croce, in mezzo al popolo e ai nobili suoi amici.

Ma altre difficili prove, ben più difficili, dovrà affrontare questo Barnabita nel corso della vita. Guidare il giovane Ordine religioso già all’età di 33 anni; lasciare l’insegnamento all’Università di Pavia per trasferirsi in Corsica come Vescovo per rifondare il clero e la chiesa locale ma anche la società corsa; tornare a Pavia come Vescovo impegnandosi per la riforma della Chiesa; affrontare le fatiche della cura della Chiesa sino alla morte l’11 ottobre a Calosso d’Asti.

Per le sue virtù, per la sua continua dedizione agli studi è patrono dei giovani barnabiti: quanti scelgono la consacrazione religiosa ovvero vivono la spiritualità di SAMZ.

Dai suoi commenti e omelie segnaliamo questo passaggio:

«Che all’uomo piaccia la suprema bellezza di Dio e accetti di mettersi al suo servizio, non c’è da stupirsi; ma che Dio ami, desideri e diventi in qualche modo servo avvinto e preso dal nostro amore, questa è veramente cosa degna di ammirazione, questo è il supremo onore del quale dobbiamo gloriarci senza insuperbire… Questa bellezza deve essere interiore e non esteriore, poiché a nulla giova apparire belli agli uomini e deformi a Dio: angeli di fuori e diavoli dentro… Pertanto, mentre l’anima è stata elevata a tale dignità da diventare sposa di Dio, l’uomo non deve essere negligente e quasi trascurato, anzi quanto più lo Sposo è nobile, tanto più la sposa deve impegnarsi a piacergli, attendendo all’acquisto di tuttee le virtù»

Momento di svolta per difendere il pianeta

New York, 6 ottobre 2016

L’accordo sul clima di Parigi (Cop21) entrerà in vigore il prossimo 4 novembre. Lo hanno confermato da New York fonti delle Nazioni Unite, precisando che è stato raggiunto il numero minimo di paesi necessario ad avere ratificato l’intesa. «Oggi è un giorno storico e un momento di svolta nella nostra lotta per difendere il pianeta e le generazioni future», ha di- chiarato in una nota il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. L’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici — ha aggiunto il presidente — «da solo non risolverà la crisi, ma è l’opportunità migliore per salvare la terra». Quella sul clima è «una sfida che nessun paese può affrontare da solo, dobbiamo affrontarla insieme», ha concluso Obama.

Il sito della convenzione delle Nazioni Unite sul clima ha specificato che 72 paesi, che rappresentano il 56,75 per cento delle emissioni nocive mondiali, hanno depositato nelle ultime ore i loro strumenti di ratifica presso il segretariato dell’Onu, aprendo così la strada all’entrata in vigore del trattato, che, quindi, avverrà prima dell’inizio del summit Cop22, in programma dal 7 al 18 novembre a Marrakesh, in Marocco.

(L’Osservatore Romano – 7 ottobre 2016, 3)