Serafino Ghidini un seme per tutti

In occasione dell’anniversario della nascita ci affidiamo alla penna di p. Giorgio M. Vigano per ricordare un nostro purtroppo nascosto “santo”.

Nascosto con Cristo in Dio: se dovessi raccontare Serafino Ghidini con poche parole userei proprio queste.
Normalmente quando vengono proposte alla nostra attenzione delle figure di santi o anche semplicemente di uomini illustri domandiamo subito «che cosa ha fatto? Quali imprese ha compiuto?».
Nel caso del nostro Serafino dobbiamo rispondere che non ha avuto il tempo di fare imprese o azioni particolari che possano meritargli uno spazio sui libri di storia.
Ha però sicuramente avuto il tempo necessario per essere qualcosa di molto importante: essere seme che cade e che muore; essere morto con Cristo vivendo la grande ma intima e silenziosa storia d’amore che inizia col battesimo.
Serafino ha avuto tempo per essere preghiera e per salire sulla croce della malattia trasfigurata dalla fede nell’amore più forte anche della morte i cui flutti non possono travolgerlo.
Il Ghidini nasce a Cavallara (CR) il 10 gennaio del 1902. Per aiutare l’economia di casa si trasferisce a Cremona: lavora come garzone presso una libreria in corso Garibaldi vicino alla nostra bella chiesa del San Luca. Chiederà di farsi Barnabita nonostante l’opposizione del padre. Dopo due anni di vita presso i padri di Cremona dove si distinguerà per lo spirito di preghiera e di umile servizio passerà al noviziato a Monza: l’anno in cui si scompare al mondo per imparare a tornarci ma abitati e guidati da Dio. In quel contesto il nostro Serafino avrà una madre maestra particolare: la sua malattia.
Emessi i voti semplici il primo novembre del 1924 dopo una breve visita ai suoi famigliari viene condotto privo di forze alla comunità del san Francesco di Lodi. Sorella morte venne a chiedere di lui quando dopo pochi giorni fu ricoverato all’ospedale Fatebenefratelli di Milano dove unica sua preoccupazione fu di ricevere quotidianamente la santa Comunione. Possiamo dire che le sue ultime parole furono quelle della professione solenne pronunciate nella austera liturgia di un ospedale.
Il suo segreto?
Ce lo raccontano le tre immaginette da cui mai si separava: il Crocifisso, l’Immacolata e Antonio Maria Zaccaria.

  • p. Giorgio M. Vigano

La magia dell’Epifania

Ci risulta un po’ strana e forse un po’ “magica” questa festa dell’Epifania.

È la festa del Natale ortodosso perché secondo il più antico calendario giuliano il 6 gennaio cadeva il solstizio di inverno, quindi in quella data doveva nascere il Salvatore.

Forse una festa un po’ “magica” con questi cercatori venuti dall’Oriente, una stella che illumina, dei segreti da scoprire e comprendere.

Sì, la magia c’è: la magia del non arrendersi, del cercare, del porsi delle domande, di scoprire qualche cosa di inaudito.

Possiamo riflettere e contemplare su questa festa dal punto di vista di Dio o da quello dell’uomo, meglio se dal punto di vista di entrambi perché Dio si è fatto uomo, conosce l’uomo e l’uomo ha imparato a conoscere Dio.

E il punto di vista è: abbiamo ancora domande oggi? Voglia di cercare oggi? Voglia di arrivare oggi? L’uomo infatti scopre se stesso e si afferma come tale solo quando si riconosce capace di porsi domande importanti, fondamentali, capace di fermarsi nel silenzio della propria coscienza per godere del dono di se stesso e, perché no, del dono degli altri.

Anche all’uomo di oggi non mancano le domande, manca la pazienza e la passione di ascoltarsi e di cercare. La festa dell’Epifania ci invita proprio a fermarci per scegliere la giusta guida per percorrere la giusta strada verso la verità.

Nel quadro del Vangelo, e delle letture che lo preparano, si rivela un Dio che non ha risposte preconfezionate (mai nel Vangelo Gesù ha risposte preconfezionate, se non quella della Carità), ricette pronte, ma un Dio capace di accogliere chiunque si pone domande semplici, come quelle dei pastori; domande articolate, come quelle dei Magi, forse. E Dio risponde con la semplicità di un bambino, con la calda sobrietà del luogo dove nasce.

E questi uomini venuti da lontano offrono oro, incenso e mirra.

L’oro, tutto se stessi, le proprie esperienze, la proprie vite; l’incenso, le proprie domande, che sono preghiere quando sono vere; la mirra, la domanda sul finire della vita, di chi “non ha paura” di farsi delle domande sul morire, perché Cristo è nato per morire per noi e per il nostro vivere.

Allora chiediamo a questa Epifania che ci doni la possibilità di inginocchiarsi davanti a noi stessi con umiltà, semplicità e molta gioia, la gioia di scoprire che nella nostra coscienza non siamo mai soli ma possiamo trovare un Dio che ama parlare con noi, come si parla a un amico. È quello che è accaduto a questi Magi d’oriente: arrivati dove la stella li aveva condotti provarono una gioia grandissima!