Hallosaints

Sai perché oggi è festa, domani quasi?
Perché ricordiamo i santi e commemoriamo i defunti.

Forse oggi hai dormito un po’ d più, magari visiterai un cimitero, senza porti qualche domanda, ma l’indifferenza, paga!
Tu non sei chiamato all’indifferenza ma alla santità, non sei chiamato alla morte ma alla Vita.
Questa festa nasce dal comando di Dio: siate santi perché Io sono santo;
dall’esperienza d Gesù: io sono la risurrezione e la Vita.
Si festeggiano i santi per crescere nella speranza e nella gioia;
si commemorano i defunti per vivere la vita di qui e di là!

Quest’oggi non mettere una maschera: cresci la gioia e la vita!
pJgiannic

È facile essere giovani a Merida?

È facile essere giovani?
Bella domanda. Dipende dai punti di vista, dalle statistiche, dall’ottimismo, pessimismo o realismo dell’interlocutore.
Più che da ottimismo sono guidato dalla Speranza, che mi permette di essere realista. Realista nel trovare e confermare il buono senza nascondere il cattivo.
Ieri sera mi sono ritrovato con un nutrito gruppo di giovani messicani, di Merida (Yucatan). Non è stato facile entrare in sintonia: il rumore della strada e dei ventilatori, la lingua, la preoccupazione di raccontare cose inutili, il loro numero!
Con tutto ciò sono emerse delle reazioni e riflessioni interessanti sul loro essere persone, giovani, cristiani.
Non sono pochi i problemi in Messico, magari a Merida di meno, ma non mancano le aggressioni contro i giovani, la droga, lo spaesamento, il lavoro. Quindi come essere giovani e cristiani di fronte a tutto ciò?
Si è cristiani perché ci è stato insegnato così e accolgo questo dono della mia famiglia racconta F. Ma si deve anche diventare cristiani, cioè usare la ragione per capire cosa dice il cuore; rielaborare cosa la famiglia ci ha insegnato è importante e necessario, se non si vuole mantenere una fede infantile.
A. è cristiano perché “Dio è tutto per la mia vita!”. Bella affermazione. Quello che penso, sono, faccio è condiviso con Dio e da lui illuminato. Sorprendente professione di fede. Ho chiesto ad A. di scrivermi il significato di queste parole, per crescere insieme, anche se spesso le parole non possono dire l’Amore.
Ragionare sulla fede è importante e necessario, ho insistito su questo aspetto culturale che è proprio di noi barnabiti e delle persone che crescono con noi. Sapere che J. non disdegna di leggere un libro, un romanzo, non solo apre la mente ma anche aiuta a capire che … si vuole capire il mondo in cui lo Spirito ci conduce a vivere non solo dal proprio punto di vista. Aprire la mente è il modo migliore per testimoniare la Carità!
Ma il mondo non è sempre facile da vivere. A. denuncia la fatica di essere cristiani, di essere una persona che sceglie di lavorare per studiare di più e trovare qualche “buco ufficiale” per Dio. Non è facile essere cristiani in un mondo che gira molto altrove. Non è facile essere rispettati nella propria fede. Ma è bello, perciò facile prendere delle buone strade per crescere la propria vita anche se altri ne prendono altre, o non ne prendono nessuna.
Per K. poi essere cristiano ha un senso e un valore in più che nasce dal ritrovarsi in un gruppo, dall’avere una guida. È importante avere una guida non perché ti traccia tutte le strade, ma prima di tutto perché sai che qualcuno ti ascolta.
Ascoltare, essere ascoltati, forse questa è l’esigenza più importante, più necessaria non solo per i giovani di Merida ma per tanti altri nel mondo.
L’impegno primario di un cristiano non è quello di convertire tutti al Vangelo, ma di far conoscere che c’è un Dio, attraverso i suoi testimoni, che ti ascolta, che ti tende la mano. Essere giovani cristiani significa perciò far comprendere che non si è soli, che c’è una sedia su cui sedersi, un bicchiere d’acqua con cui rinfrescarsi, uno sguardo che accoglie. Il resto è un “problema” di Dio!
Se questi sono i presupposti di un gruppo giovanile di una delle “periferie” del mondo… possiamo stare sicuri che il mondo avrà un futuro, perché nonostante tutto sono i piccoli che ribaltano le sorti della umanità.

Il miracolo della gioia di Lourdes

Ogni giorno abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di nuovo dalle tante esperienze che ci accadono; tuttavia, tornata per il secondo anno dal pellegrinaggio a Lourdes, posso affermare di non aver mai vissuto delle emozioni così intense e profonde come in questi giorni. Raccontare quanto provato in questa meravigliosa esperienza per il mio cuore, per la mia vita non trova mai le parole giuste e sufficienti.

Penso che Lourdes sia veramente un posto speciale, dove si respira un’atmosfera indescrivibile, piena di pace e amore, dove anche il più piccolo gesto: un sorriso, un abbraccio, una parola gentile arrivano a toccare direttamente il cuore di chi ti circonda.

Sette giorni vissuti con altri, non pensando a se stessi, ma offrendo a chi ci sta accanto il nostro tempo e le nostre energie. Ho capito come, in realtà, è solo donando ciò che si ha agli altri che si riceve qualcosa di più grande e importante. In questi giorni, ogni volta che qualcuno mi ringraziava anche per il più piccolo servizio o per una semplice chiacchierata, riflettevo su come avrei dovuto io ringraziare gli altri, perché da ogni incontro, scambio, condivisione ho imparato qualcosa che custodirò nel cuore per tutta la mia vita. Infatti, in ogni incontro, in ogni gesto e anche nella sofferenza c’è tanto amore per cui ho imparato che la cosa più importante è saper aprire il proprio cuore agli altri per poter dare e ricevere.

Prima di partire per Lourdes la prima volta ricordo, inizialmente un po’ di timore; essendo io solitamente una ragazza un po’ timida, avevo paura di non riuscire a essere di aiuto. Tuttavia, ho poi subito capito come nel momento in cui si è davanti a persone disposte ad aprirti il loro cuore, spontaneamente, anche tu riesci ad aprirti agli altri. Infatti, l’amore vince ogni barriera e penso che un miracolo si compia a Lourdes ogni giorno: vedere migliaia di persone, provenienti da tutto il mondo, condividere insieme la stessa esperienza, pronte a tendere le proprie mani per poter aiutare ed essere aiutati, credo che sia un grande miracolo d’amore.

Ho imparato che nella vita non si è mai soli e che il Signore non ci abbandona mai. Egli ci sta sempre accanto, incontrabile nel prossimo che ci tende le sue mani, perché la cosa più bella è poter incontrare gli altri e offrire loro il nostro amore. Dalla grotta la Madonnina osserva ognuno di noi, legge nei nostri cuori, ci affida alle persone capaci di sostenerci e non ci lascia mai da soli.

Molte volte, ci lamentiamo per anche i più piccoli problemi e non ci rendiamo conto delle grandi fortune che abbiamo ricevuto, ma che spesso diamo per scontate. Vedere come anche chi è nella sofferenza ha sempre la forza di sorridere e donare amore, mi ha fatto capire che nella vita bisogna essere sempre gioiosi e bisogna saper accettare tutto quello che ci capita: sia le cose belle che quelle più tristi, perché ci sarà sempre qualcuno che camminerà al nostro fianco, con cui condividere gioie e dolori.

Una delle cose che mi ha colpito di più, è stato vedere come un semplice sorriso fosse in grado di donare felicità e amore; un sorriso e uno sguardo possono comunicare a chi ci circonda molto di più di quanto possano fare mille parole, come una luce accesa nella notte, capace di ridare speranza.

Durante la processione del flambeaux, ognuno è diventa portatore di luce con la sua candela: quante lacrime per la gioia, perché ho capito che il nostro compito è quello di portare luce, speranza, felicità e gioia nella vita di chi ci sta accanto.

Chi ringraziare per tutto ciò?

Le dame, i barellieri, l’organizzazione dell’Unitalsi e la mia Scuola per avermi dato l’opportunità di vivere quest’esperienza unica, infatti è anche grazie all’esempio e all’amore di chi mi è stato vicino e mi ha guidato in questi giorni, che ho potuto vivere così profondamente questa settimana a Lourdes.

Francesca Carloni IV sc. Ist. Zaccaria Milano

CioccolatItaliani

 

Siamo a Milano in via de Amicis, la sede storica e principale di CioccolatItaliani; un brand internazionale che molti di voi già hanno iniziato a conoscere anche se non sono di Milano.
Siamo davanti a Vincenzo Ferrieri, ex alunno del nostro Istituto F. Denza di Napoli.
Classe?
’84

Classe ’84… vivi a Milano?
Ormai da 13 anni ma, nato a Napoli quindi napoletano nell’indole.
Beh è giusto mantenere le proprie radici… e poi Milano sembra essere abbastanza accogliente, forse non ha il cuore grande dei napoletani…
In realtà non è vero. Milano è una città che ti accoglie, che ti permette di conoscere tantissime persone, quindi è molto aperta a culture e tradizioni non locali.

Vincenzo è un imprenditore del cioccolato, perché il cioccolato?
Perché è un prodotto che piace un po’ a tutti, quindi ci permetteva di strutturare un negozio come appunto CioccolatItaliani che potesse abbracciare un target molto alto che va dai bambini fino agli adulti che magari vogliono dimostrare un buon cioccolato anche accompagnato da un rum o da un whisky: fondamentalmente un prodotto molto amato sia in Italia che nel mondo da diversi consumatori.

Cioccolato, golosità, capricci… qualche capriccio infantile?
Tanti… voglia di girare il mondo, ho costretto i miei genitori a farmi viaggiare tanto. Voglia di entrare nel mondo dell’alta finanza, mi sono interstardito, ho fatto anche errori e esperienze che poi però mi sono servite.

Qualche capriccio da adulto?
La voglia di crescere, di creare qualcosa di importante a livello professionale. Si ha sempre paura che a volte l’ambizione possa superare il talento… vedremo di gestire questo capriccio.

Invece dei “capricci seri”?
Vincenzo ci pensa su un po’ … Capricci seri, non sono capricci particolari.
Se mi guardo allo specchio penso al mio sogno giovanile.
Diventare un grande sportivo.
Sogno interrotto per poi intraprendere, ovviamente, la via dello studio, della cultura, Milano. Quello è un sogno che mi è rimasto, cui penso.

Quindi hai una certa versatilità! E… un sogno da adulto?
Realizzami non tanto professionalmente ma come persona.
Vengo da una famiglia molto unita, numerosa… il sogno è poter ripetere quello che hanno fatto i miei genitori, avere la stessa armonia che oggi c’è nella mia famiglia.

Non ti chiedo cosa significa la parola persona. Ti chiedo però, cosa significa per te la parola valori?
Innanzitutto coerenza. Perché parliamo sempre di valori e poi siamo i primi a dimenticarci che questi vanno rispettati a 360° in ogni momento e ambito della tua vita: professione, amicizie, intimità. Coerenza.
I giovani, anche quelli a cui tu dai lavoro nei tuoi negozi, hanno dei valori?
Sì, a volte si perdono un po’ sulla coerenza. Io credo che in fondo hanno dei valori, abbiamo tanti giovani che hanno buoni valori, tante idee. Il tema è sempre che non si è tanti!
Purtroppo di recente lessi: non è ciò che sei ma ciò che fai che ti qualifica, e purtroppo è la verità.
Non basta avere valori, è importante portarli avanti in ogni momento della giornata e della propria vita.

Vincenzo Ferrieri è un imprenditore del gusto… in poche parole come nasce la tua impresa?
Nasce perché la mia famiglia lavorava nel settore della ristorazione e della pasticceria.
Inizialmente avevo intrapreso il percorso della finanza.
Forse però l’unione della mia famiglia, l’esser cresciuto con dei genitori imprenditori e comunque commercianti del gusto e della pasticceria mi ha riportato a incrociare le strade con le origini della mia famiglia.
Da qui la voglia di non lavorare più nella finanza ma in qualcosa di più “reale”, più a contatto con le persone; qui è nato il progetto di una catena dedicata al gusto.

Perché a Milano e non a Napoli?
Vivevo a Milano e perché la considero una città piena di opportunità che ci ha dato e continuerà a darci moltissimo. L’azienda è nata a Milano, è cresciuta a Milano e da Milano si sta espandendo. Speriamo di arrivare lontano e di passare per Napoli.

La società, Milano anche, a volte propone dei modelli vincenti. Ma la vita è fatta di quotidianità, di operai, di camerieri…: non c’è il rischio di far sentire la normalità come qualcosa di limitato?
Sì, specialmente in città come Milano dove si è quasi sempre sopra le righe sia a livello professionale sia a livello intimo, personale. Bisogna stare attenti, ricordarsi le origini e che la normalità è quello che rende speciali le vite di ognuno di noi.

Tu dai lavoro a molti giovani, penso…
Sì abbastanza. Abbiamo un’azienda molto giovane, l’età media è di circa 32 anni.

Che cosa offri e che cosa chiedi?
Offro un’azienda la cui forza deriva dalle risorse che lavorano all’interno.
Chiedo tantissima curiosità e tantissimo senso di partecipazione.
Quello che chiedo ai ragazzi è di non limitarsi a compiere il proprio compito quotidiano ma ricordarsi che tutti quanti facciamo parte di qualcosa di più grande.

Riescono a lasciarsi invogliare? A rendersi partecipi?
La risorsa umana è ciò su cui lavoriamo.
Oggi abbiamo 540 dipendenti, tanti ragazzi capiscono che questo concetto di partecipazione e legame con l’azienda è un valore aggiunto sia per il loro percorso professionale sia per il futuro dell’azienda. È qualcosa che oggi “è tornato di moda tra i giovani” si comprende quanto una risorsa umana può fare la differenza.

Diciamo che non sei un imprenditore come quelli denunciati da Chaplin in Tempi moderni… è facile o difficile trovare lavoro oggi? 
Non è facilissimo trovare il lavoro che ti appassiona, però non è così difficile. Abitiamo in un paese difficile, dove è impossibile dire che non ci siano problemi di disoccupazione, specialmente giovanile o di precarietà professionale. È vero pure che secondo me ci sono tante piccole aziende che stanno crescendo in maniera sana, che han bisogno di risorse ma che fanno fatica a reperirle. È un momento difficile ma non credo sia impossibile trovare lavoro, anzi credi che bisogna avere lo spirito di sacrificio.

Alle volte però uno vuole raggiungere un obiettivo e deve fare dell’altro. Cosa dici a queste persone? Non saprei bene cosa dire. Dico solo che nella vita uno deve mirare a fare ciò che ciò che lo appassiona e lo rende felice. Se deve fare dell’altro ma questa situazione non lo rende felice, non so quale potrebbe essere la soluzione ma bisogna trovare il modo per avere degli obiettivi che oltre a portare una sicurezza finanziaria portino a una tua realizzazione personale.

Una impresa che fa sentire il proprio dipendente partecipe lo porta a essere non un numero ma parte di una comunità.
Assolutamente. Noi abbiamo aperto il primo punto vendita qui in via De Amicis in 18, ora siamo 540.
Il ragazzo che inizialmente lavava i vetri oggi è un area manager che gestisce 4 punti vendita.

Lavorate molto con i Paesi Arabi… come mai?
È stata soprattutto una questione di opportunità; aprendo il secondo punto vendita non avevamo molte risorse per strutturare un vero piano di sviluppo, abbiamo colto le opportunità di mercato. Tutte le persone che sono venute a richiederci affiliazioni in franchising, collaborazioni erano dal Medio Oriente. Forse perché sono abituati a comprare in altri paesi ciò che loro non hanno nel loro paese.

Pensi che ci sarà uno scontro tra queste culture? Occidentale e islamica? Con la quale noi lavoriamo tanto e che pure hanno comprato tanto anche a Milano.
Purtroppo lo scontro già c’è. È un dato di fatto. Quello che io è vedo è che lavorando in quei paesi (5 punti vendita in Arabia Saudita che visito spessissimo) c’è un movimento popolare che potrà fare qualcosa e cambiare la situazione… anche con l’utilizzo della rete, i giovani, la nuova generazione, i ragazzi della mia età e addirittura quelli prima, riescono ad essere culturalmente più evoluti e più aperti. Questo secondo me sarà il motore verso il cambiamento. È chiaro, non so quanti anni ci vorranno, quanto sarà difficile e se si potrà eliminare del tutto la frange più estrema di quella regione, però qualcosa sta cambiando. 5 anni fa quando noi siamo entrati in Arabia Saudita i locali erano o per uomini o per donne e ogni tavolo doveva avere le tende. Le persone arrivavano, si chiudevano attorno al proprio tavolo, si levavano il velo e si mangiavano il gelato. Oggi nell’ultimo locale che abbiamo aperto non esistono più le tende. Il primo anno che siamo andati c’era la polizia religiosa per strada, che ti obbligava a pregare per 5 volte, oggi non c’è più. Da un mese a questa parte la donna può iniziare a guidare. Insomma ci sono tanti cambiamenti in atto. È chiaro che lo scontro c’è ancora. La situazione attuale del Qatar è molto grave, molto critica. Purtroppo anche lì il sistema politico non è del tutto chiaro e trasparente quindi non è una situazione facile. Credo che la naturale evoluzione e anche l’apertura mentale che stanno avendo le nuove generazioni possa aiutare a trovare una mediazione tra le due culture.

Tu credi in Dio?
Non solo credo in Dio ma anche amo molto la nostra religione per i valori che professa.

La sensazione che ricordi quando hai messo la prima pietra qua in via de Amicis 25?
Eravamo molto spaventati, era un investimento importante.
Avevo coinvolto la mia famiglia perché da solo non avevo le risorse finanziarie. Mi sentivo molto spaventato per il fatto che i miei genitori abbiano sempre avuto fiducia e stima verso le mie idee, sempre puntato su di me. Questo ovviamente mi caricava e mi carica ancora oggi di responsabilità perché mi sento in dovere di mantenere le aspettative.

Il prodotto più buono che hai?
Negli ultimi due anni abbiamo selezionato una piantagione in Colombia io e mio padre che si chiama casa Lucher; un’azienda colombiana impegnata in moltissime attività anche sociali, sia nel recupero di piantagioni di cocaina sia per lo sviluppo di questi piccoli villaggi che nascono all’interno delle piantagioni del cacao e abbiamo selezionato una piantagione che produce una sola tipologia di cacao definito cacao fino d’aroma ovvero una certificazione internazionale per un cacao ricco di aromi, tra i più pregiati al mondo. Solo l’8% del cacao mondiale ha questa certificazione. Da due anni utilizziamo questo prodotto nei nostri store e credo che sia uno dei principali, qualitativamente superiore.

E questa vostra sensibilità sociale da cosa nasce?
Nasce dalla consapevolezza di essere fortunati nella vita e secondo me la fortuna spesso ti porta dei doveri nel senso che hai l’obbligo di ridare qualcosa indietro, “give back”. È un qualcosa che noi abbiamo sempre fatto nel nostro piccolo. Da tre mesi a questa parte andiamo negli ospedali a portare il gelato ai bambini malati, facendo un accordo con la onlus medicine buone per cui il 10% del nostro fatturato viene devoluto a questa associazione che va negli ospedali a regalare attimi di piacere, gioia e momenti di leggerezza ai bambini ricoverati. Ma è un qualcosa che credo sia quasi naturale nella mia famiglia nel senso che abbiamo sempre avuto un’attenzione verso chi è più in difficoltà. Quando abbiamo conosciuto questa azienda colombiana, già attiva in questi programmi, un’azienda familiare ma gigantesca, cresciuta tantissimo, ci siamo detti: questa è l’azienda perfetta per noi, c’è stato un match di valori e una collaborazione!

E quindi qual è il miglior gelato che posso mangiare?
Il gelato prodotto con questo cacao, Arauca 75% accompagnato eventualmente da lamponi o una crema di pistacchio.

Grazie mille Vincenzo per il tempo che ci ha dedicato e buona avventura!

Bravo ragazzo?

Esistono ancora i bravi ragazzi/e?
Viaggiando in treno o metropolitana è normale incrociare ragazzi e ragazze che chiacchierano tra loro o con se stessi o con i propri smartphone: cosa si diranno, penseranno e progetteranno?
Per certi versi i giovani di oggi rispetto a quelli dei miei tempi sembrano più ordinati e rispettosi delle cose, anche nei loro abbigliamenti stracciati a pagamento o mostranti questa o quella parte del corpo; per altri versi appaiono più capaci di profondità; da altri punti di vista però sono più individualizzati, chiusi e preoccupati della propria immagine.
Ogni tanto però mi sorge una domanda, una curiosità: sono bravi questi ragazzi? E, significa qualche cosa essere bravi ragazzi? Chissà quante volte anche loro si saranno sentito dire: “fai il bravo!”.
Normalmente sulle cronache si parla dei cattivi ragazzi, e i bravi ragazzi?
Una volta si diceva che i bravi ragazzi erano quelli tutto casa e chiesa/oratorio, non sempre era vero. Oggi, che i ragazzi frequentanti un oratorio non sono più tanti, chi sono i bravi ragazzi? Quelli di “Uomini e donne”?
Ognuno ha la propria esperienza di “fare il bravo”; un matematico direbbe che non è una corollario, ma una funzione variabile secondo l’ambiente in cui si è cresciuti.
Quindi chi è un “bravo ragazzo”? Ha senso parlare di bravi ragazzi? E chi ha il diritto di
giudicare un “bravo” ragazzo?
Ho provato a chiederlo a un po’ di giovani e meno giovani; non tutti hanno voluto rispondere e diversi si sono trovati in difficoltà nel trovare una risposta.
Sicuramente “non è una domanda facile”, “non ci ho mai pensato, certamente è qualche cosa che si percepisce” più che si definisce. Senz’altro è un’empatia con il mondo dentro di sé, accanto a sé, fuori e intorno di sé.
Un “bravo ragazzo” sa essere umile, attento, capace di creare relazione perché rispetta l’altro che gli sta accanto e cerca anche di aiutarlo anche quando fosse difficile. Un “bravo ragazzo” si ricorda di essere un ospite su questo pianeta e se ne prende cura, perché ha a cuore gli altri suoi simili.
Un “bravo ragazzo” oggi deve affrontare molte sfide, deve essere forte. Deve rispettare l’essere degli altri e aiutarli il più possibile. Deve saper ascoltare le persone che ha intorno e riuscire ad andare controcorrente in una società che è un mare burrascoso e non lascia mai pace.
In questo contesto un “bravo ragazzo” è chiamato a coltivare il proprio io, con le sue passioni, i suoi pregi e soprattutto i suoi difetti. È significativo poi che tre diciannovenni, di Roma, Bologna e Rio de Janeiro, ribadiscano con forza questo dovere e volere prima di tutto prendere coscienza di sé, con le proprie debolezze e qualità, imparando a conoscere meglio ciò che è. Deve fare questo e molto altro. Di certo non è poco.
Da questo punto in poi è chiamato a collocare nel centro della vita l’amore che più di tutti ha importante, per alcuni Dio, un Dio che chiede di donare ciò che si è ricevuto da Lui.
Una persona che procede in questo cammino di ricerca di sé e del mondo, combinando tutto ciò con il fare di tutti i suoi atti un gesto d’amore, conseguirà di essere non solo un buon ragazzo ma il miglior ragazzo possibile.
Forse più che osservare quel che appare di questo o quel ragazzo sulla metropolitana, bisogna imparare a entrare nelle loro profondità per scoprire non la voglia, che è sempre successiva, ma la consapevolezza di essere un “bravo ragazzo”, così da poterla sostenere e tentare a rendere un po’ più bello il mondo.
Ma di essere un “ragazzo bravo”, ne scriveremo un’altra volta.

pJgiannic
con Luigi, Andrea, Riccardo, Igor, Gregorio, Manuele.