Veterani del Natale

È Natale! lo sappiamo!
Ma come spiegare, meglio raccontare il Natale? Infatti qualcuno ce lo ha raccontato, quindi dobbiamo continuare a raccontarlo.
Siamo dei veterani del Natale, per questo dobbiamo evitare l’abitudine del Natale e chiedere allo Spirito santo di aiutarci a raccontarlo.
Il Natale è fatto di parole e di Parola!
Ci sono delle parole che raccontano della Parola che si fa carne, bambino!
C’è una parola che racconta la Parola che si fa uomo, bambino, per incontrare l’umanità.
Ciò significa che un veterano del Natale deve sapere Incontrare la Parola che si fa carne, deve sapere annunciare/raccontare la Parola diventata uomo per concorso di Maria e disponibilità di Giuseppe.
Viviamo un tempo di tante, troppe parole e ancora molte più parole cattive e violente! Questo Natale deve far rinascere parole di bellezza, di verità, di bene invece di bruttezza, falsità e violenza.
Liliana Segre diceva che dobbiamo continuare a combattere le parole violente con una educazione continua alla relazione, all’incontro.
Quale incontro vogliamo vivere questa notte, cari veterani del Natale?
Il dramma del Natale racconta da una parte i potenti della terra, dall’altra i pastori, da una parte Erode, dall’altra i Magi, da una parte la gloria degli angeli, dall’altra il nascondimento di Maria e Giuseppe.

Luca racconta dei potenti, della geografia, degli angeli… ma della nascita solo poche parole, solo che è accaduta! Anche se un uomo assiste alla nascita del proprio figlio, solo la donna comprende il mistero della nascita: solo Maria!
Un veterano del Natale deve sapere incontrare la Parola: nel silenzio, nel nascondimento.

Il mistero di questa nascita qual è?
La molteplicità dei componenti del presepe: di persone diverse per ceto, genere, razze, situazioni: il presepe non è proprietà di questo o di quello. Il presepe è di tutti, il presepe è per tutti! Perché nel presepe contempliamo una Parola fatta bambino, un bambino con le braccia aperte al mondo.
Il presepe non è di quelli che lo usano come simbolo di muri da costruire o di quelli che lo vogliono cancellare per non disturbare gli altri: il presepe ha le braccia aperte a tutti, per questo disturba.

Cari veterani del Natale aprite le vostre braccia a ogni uomo, al più nascosto degli uomini.
Cari veterani del Natale aggiungete realmente un posto sulla vostra tavola, perché i vostri ospiti possano sapere che questa notte non abbiamo ascoltato solo una bella cantata, delle belle parole, ma abbiamo incontrato Gesù! ma ci siamo lasciati incontrare da Gesù, la Parola fatta carne per noi.
Vi prenderanno per matti?
Ma noi crediamo in Dio che è matto, tanto matto da donarci il suo Figlio l’unigenito!

Santo Natale a tutti voi.

Bellezza tra arte e scienza

 

Vi sarà certamente capitato di ragionare sul concetto di bellezza e vi sarete sicuramente accorti di quanto sia complicato dare una definizione soddisfacente del termine. Forse perché, come spiegava Kant nella “critica del giudizio”, essa è indefinibile in termini logici, scientifici o matematici. “Il senso della bellezza”, documentario del 2017 accetta questa inconoscibilità insita nel concetto stesso di bellezza ma indaga sul rapporto tra arte e scienza (in particolare la fisica) e su come esse possiedano come fattore comune proprio la bellezza. Come può qualcosa di così emotivo e sensitivo avere a che fare con complesse formule matematiche o acceleratori di particelle giganteschi?

Oggi la scienza viene definita, non a torto, la religione del nostro tempo: una mano immateriale che neanche gli scienziati sanno dove ci condurrà. I fisici, per la prima volta nella storia, non hanno una strada maestra da seguire e con le loro ricerche indagano l’ignoto, ciò che non è conosciuto dall’uomo. Nessuno sa cosa verrà scoperto con i nuovi esperimenti in corso al Cern di Ginevra, ma attraverso l’LHC (Large Hadron Coolider, il più grande acceleratore di particelle del pianeta) si cerca di scoprire il senso dell’universo e quindi, in un certo senso, il fondamento della bellezza. Sì, perché il concetto di bellezza è strettamente legato al mondo fisico. La natura ricerca nelle sue forme armonia, corrette proporzioni, simmetria e semplicità che sono le caratteristiche che rendono un oggetto o un ente differente dagli altri. Sempre, però, con un miscuglio tra ordine e caos perché un universo totalmente simmetrico e perfetto sarebbe paralizzante.

Questa idea è stata perfettamente compresa non solo dagli artisti ma anche dagli uomini del passato. Un’antica leggenda racconta come i tessitori di tappeti persiani lasciassero appositamente una piccola imperfezione nelle loro opere perché temevano che nelle geometrie troppo perfette dei loro tappeti la loro anima si intrappolasse e vi rimanesse incastrata per l’eternità.

Ma la bellezza, continua il documentario, è nello sguardo dell’osservatore perché risiede nella nostra mente: ovunque potremmo vedere bellezza se solo fossimo predisposti a concepirla. Tuttavia i segreti della natura potremo comprenderli solamente quando avremo risolto ogni dubbio della fisica quantistica, perché è in essa che viene gelosamente custodita la sua essenza.

Purtroppo il mondo quantistico non è percepibile dai sensi umani, ma al contrario ricade spesso in paradossi assolutamente insormontabili se continuassimo ad affrontarli con le leggi della fisica classica. A Ginevra è stata costruita quella che è probabilmente la più affascinante macchina inventata dall’uomo: l’LHC, un enorme occhio capace di fotografare la materia, permettendoci di osservarla come mai prima d’ora. È grazie ad essa che sono state fatte incredibili e rivoluzionarie scoperte come la supersimmetria, il bosone di Higgs o sono state scattate le prime immagini degli scontri tra particelle.

Dopo aver cercato di descrivere come siano correlate fisica e bellezza cercherò di sintetizzare quale siano invece i punti di contatto tra arte e scienza studiati dal documentario e come essi abbiano concetti di bellezza molto simili tra loro. Innanzitutto c’è una poetica inutilità nelle ricerche fisiche che vengono svolte a Ginevra: esse non servono a nulla se non a cercare risposte. Ciò che accomuna gli scienziati e gli artisti è la passione verso la conoscenza, entrambi provano a comprendere il ruolo dell’uomo nell’universo e il senso delle cose. Il fisico crede che la natura comunichi con un suo linguaggio specifico che è quello matematico e attraverso gli esperimenti cerca di esprimere la propria creatività come un artista con una tela. Non solo, entrambi sono fortemente ispirati dal mondo naturale e così come esso fa un uso incredibile dell’immaginazione e della fantasia anche loro vi fanno spesso ricorso. Infatti, come un uomo che osserva un panorama non può sapere cosa vi sia oltre l’orizzonte ma può solo immaginarlo, noi non possiamo vedere le cose come sono ma solo come appaiono. Dietro ad un’incredibile complessità della natura vi si nasconde un’estrema semplicità ed è questa la sua bellezza. Perciò più le leggi fisiche possiedono un’estetica semplicità più esse sono esatte, in quanto scoprono l’essenza delle cose. Se consideriamo che l’universo non ha alcuna conoscenza del costrutto umano, è assolutamente affascinante come i Greci che costruirono il tempio di Agrigento, pur non sapendo nulla di fisica quantistica, utilizzarono le medesime proporzioni che 2500 anni dopo sono state ritrovate nelle particelle sub-atomiche dai fisici di oggi.

Ma gli studi al Cern, come nel resto del mondo, non sono ancora finiti. Resta da scoprire circa il 95/96% del nostro universo ancora totalmente ignoto all’essere umano. In questo senso gli esperimenti compiuti a Ginevra, con lo scopo di simulare nella maniera più vicina alla realtà possibile il Big Bang, stanno provando a scoprire i misteri del mondo fisico a partire dalla sua nascita. Nessuno sa quali nuove leggi riusciranno a descriverli. Quel che è certo è che saranno bellissime.

Luigi Cirillo– Roma

Um tempo muito corrido

Hoje em dia vivemos um tempo muito corrido, a rotina nos faz programar qualquer coisa, desde trabalho, casa e escola, as vezes programamos até a hora de encontrar com Deus, mas a grande pergunta que inquieta o coração de muitos é: Onde eu encontro Deus? Por que tem dias em que vamos a igreja e não conseguimos estar completo na presença do Senhor?  Por que as vezes nós sem querer acabamos mecanizando o encontro com Deus?

Talvez essas dúvidas que parecem ser tão simples tenham surgido pelo fato não estarmos com intimidade, com Deus, achamos que não podemos questionar, achamos que não temos o direito de falar. O Pai está em todos os lugares e sabe o que fazemos, mas antes Dele fazer qualquer coisa, ele sempre pede permissão. Como vamos mecanizar algo que pode acontecer a qualquer instante? Deus está em tudo e mesmo na sua imensidão Ele se faz simples, Ele pode está em num “bom dia” em num “abraço” em um irmão que precise, até mesmo em uma brisa leve ou no por do sol, ir ao encontro de Deus é maravilhoso, mas sentir Ele não tem explicação.

Santo Antonio Maria Zaccaria nos exorta: “o amor nasce do conhecimento”. É conhecendo Deus e percebendo-O nas pequenas coisas que conseguiremos ama-Lo e amar nosso próximo.

Neste Encontro Nacional da Juventude Zaccariana (ENJUZ) do Brasil vivemos isso de uma forma muito sublime e intensa. Descobrimos nas pequenas coisas, nos gostos pessoais semelhantes, no entendimento apenas pelo olhar, na defesa da dignidade do próximo…; que estávamos verdadeiramente entre irmãos, e ali estava Deus. Não éramos mais pessoas de estados e cidades diferentes, de costumes e até fuso-horários diferentes, mas sim irmãos. E parecíamos mesmo irmãos que se conheciam a vida toda mesmo tendo nos conhecido, em sua maioria, ali mesmo. No respeito mútuo e na tolerância, no encher o copo de água para o outro, como vimos o pequeno “Neto” fazer inúmeras vezes, no sentar para conversar com alguém que estava mais quieto, no “ensinar o carimbó” para quem não conhecia, no amor e dedicação que a equipe da cozinha temperava a comida, no deixar o irmão cansado cochilar nos tempos livres, no se varrer o chão ao término do dia: ali estava Deus.

Vivenciamos naqueles quatro dias de encontro o que Jesus pregou no evangelho em tantos e pequenos detalhes que talvez nem tenhamos percebido a grandiosidade de tudo aquilo, mas na alegria que sentimos, no sentimento de completude ao término do encontro, ali estava Deus.

E agora, ao término do encontro, munidos de tamanha alegria e amor, de todo esse amor que nasceu do conhecimento de Deus e do estreitar os laços com o próximo, de perceber que não estamos sozinhos, precisamos ir além e, com esse amor, fogo e luz, contagiar muitos mais!

Escrito por: João Marcos Reis e Ana Clara Fontenelle

Down by Law

Commedia “impassibile”, Down By Law (1986) di Jim Jarmusch è da qualche anno in ristampa. Ho avuto la fortuna di vederlo settimana scorsa su un grande schermo della capitale, e non riesco ancora a capacitarmi di quanto sia stato illuminante, rivelatore.
Della premiere nel 1986, il film mantiene ancora la sua ipnotica colonna sonora, le straordinarie prestazioni attoriali e la superba cinematografia monocromatica di Robby Müller. Tutto questo rende il primo lungometraggio del regista americano un gioiellino, una pietra preziosa da mettere da parte e custodire nel cassetto insieme alle prime opere di David Lynch e Spike Lee.
Se si tratti di un’opera assolutamente inimitabile, rimando a pareri più esperti e scienti del mio: tuttavia bisogna affermare che trova il suo fiorire soprattutto se messo a confronto con le successive fatiche del regista, reo di aver portato alla ribalta personaggi come Bill Murray (Broken Flowers, 2005) e Tilda Swinton (Only Lovers Left Alive, 2013). Non che non fossero famosi prima eh, ma quantomeno hanno acquistato quel velo di dignità richiesto per essere credibili.
Guadagna anche nella scelta della sceneggiatura, così semplice e lineare da costringere lo spettatore a perdere il filo qua e là, a perdersi e domandarsi, per poi ritrovarsi a un bivio finale – chi ha visto, capirà.

L’inquietante città fantasma di New Orleans evocata in Down By Law è una trasposizione post-apocalittica di Detroit, città sempre cara a Jarmusch, dove nei suoi anni d’oro trova e realizza il miracolo della semplicità nel cinema, partorendo un cinema senza tanti fronzoli e sovrastrutture, in cui ogni personaggio ha il dono miracoloso di saper trovare il vuoto e colmarlo, di saper rendere bello tutto quello che a un primo sguardo potrebbe non sembrarlo, di trovare ciò che non è inferno nell’inferno, e farlo durare, e dargli spazio. (cit.)
Di sapere rendere il cinema un’arte.

Down By Law è un film rilassato senza sforzo, superbamente elegante, che guadagna in credibilità grazie anche a degli attori geniali: Tom Waits nei panni di Zack, il DJ disoccupato che si è trovato in una cella della Louisiana per un crimine che non ha commesso; Jack, un pappone squallido interpretato da John Lurie, musicista e grande amico di Waits; e Roberto Benigni, nei panni di Roberto, lui che un uomo l’ha ucciso veramente, e che viene incarcerato e internato nella stessa cella degli altri due. Da un incontro così casuale, ma fatale, nasce un’amicizia che porta i tre a progettare di scappare assieme e trovare il loro senso ultimo altrove, a metà strada tra il Texas e il Mississippi, nelle paludi stagnanti piene di coccodrilli e insetti.

Il surrealismo della pellicola è, a volte, decisamente marcato e un po’ troppo palese, stucchevole, ma la bravura di Jarmusch nel dirigere e quella dei tre attori (otto se si contano tutte le comparse dall’inizio alla fine) nello stare al gioco, rende Down By Law un perfetto esempio di come si possa fare del buon cinema senza budget milionari, colonne sonore da Oscar e una fotografia scarna, minimalista, nordica, veicolando un senso di purezza più credibile di ogni altra presuntuosa messa in scena odierna.

Andate e vedetene tutti.

Fabio Greg Cambielli

10 dicembre 1948 : i diritti umani

10 dicembre 1948, Parigi, per la tenacia di una donna, Eleanor Roosvelt, viene firmata la Dichiarazione Universale dei diritti umani; non dei diritti degli uomini, ma dei “diritti umani” come ha chiesto si scrivesse, un’altra donna, l’indiana Hansa Mehta.

Il documento ha l’ambizione di far riconoscere la dignità di tutti i membri della famiglia umana, quale fondamento della libertà, della giustizia e della pace: i fondamenti dello Statuto ONU. I primi 21 articoli riguardano le prerogative civili e politiche. Altri sei i cosiddetti diritti di seconda generazione che riguardano le garanzie in ambito economico, culturale e sociale. I tre punti finali dettano i criteri di applicazione.

La dichiarazione è stata firmata da quasi tutte le nazioni del tempo, compresa la chiesa cattolica.

La Carta non è stata realizzata, forse non lo sarà mai in modo definitivo, però essa è un chiaro punto di riferimento per tutte le persone di “buona volontà” che hanno a cuore l’uomo e la donna di sempre, l’umanità.

In un certo senso si può affermare che questa carta ha sostituito quella che si chiamava una volta “legge naturale” cui tutti facevano riferimento al di là delle diverse appartenenze nazionali. Non ci soffermiamo ora su questioni, per altro importanti e ineludibili, morali, ma non possiamo prescindere dal fatto che ogni uomo, ogni donna, non possono fare a meno di un punto di riferimento se vogliono vivere in modo sano.

Certamente la Dichiarazione nasce al termine, dopo che il mondo intero ha sperimentato la distruzione delle grandi guerre, ma questo non significa che oggi abbia meno valore perché in Europa, in Europa non ci sono state più guerre. La Carta, infatti, ha anche il valore di mantenere viva la memoria, una memoria che illumini l’oggi.

L’Europa, il mondo continua a necessitare una illuminazione! «La Dichiarazione resta un documento di importanza straordinaria poiché pone, in modo netto, limiti al potere dei governanti sui governati. Prima, nella giurisdizione internazionale, i diritti umani non esistevano – spiega ad Avvenire Antonio Marchesi, presidente della sezione italiana di Amnesty International –. Il documento, tuttavia, resta una meta da raggiungere». Infatti, gli elementi di preoccupazione sono ancora molti. In particolare, «la “disumanizzazione” dell’altro, attraverso la negazione delle prerogative riconosciute nella Dichiarazione ad alcune categorie di persone, le più vulnerabili. Come se i diritti umani fossero un “merito” da assegnare in modo arbitrario», afferma Marchesi.

A questo proposito papa Francesco, nel messaggio alla Conferenza sui diritti umani organizzato dall’Università Gregoriana di Roma scrive:

«In effetti, osservando con attenzione le nostre società contemporanee, si riscontrano numerose contraddizioni che inducono a chiederci se davvero l’eguale dignità di tutti gli esseri umani, solennemente proclamata 70 anni or sono, sia riconosciuta, rispettata, protetta e promossa in ogni circostanza. Persistono oggi nel mondo numerose forme di ingiustizia, nutrite da visioni antropologiche riduttive e da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino ad uccidere l’uomo. Mentre una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati».

Parole forti, che si aggiungono a quelle di altri uomini e donne di buona volontà, non certo di molti governanti, che stanno ragionando oggi su questo anniversario. Sono parole che interpellano ognuno di noi anche nel nostro piccolo giardino di casa. Stiamo infatti rischiando di riconoscere questi diritti a parole, purché restino chiusi nei propri giardini. I diritti valgono ma ognuno nel proprio giardino, se casomai qualche essere umano fosse catapultato fuori dal proprio giardino allora sono problemi suoi.

«Ciascuno, continua papa Francesco, è dunque chiamato a contribuire con coraggio e determinazione, nella specificità del proprio ruolo, al rispetto dei diritti fondamentali di ogni persona, specialmente di quelle “invisibili”: di tanti che hanno fame e sete, che sono nudi, malati, stranieri o detenuti (cfrMt25,35-36), che vivono ai margini della società o ne sono scartati».

Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo

Preambolo

Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo;

Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità, e che l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo;

Considerato che è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione;

Considerato che è indispensabile promuovere lo sviluppo di rapporti amichevoli tra le Nazioni;

Considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto la loro fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna, ed hanno deciso di promuovere il progresso sociale e un miglior tenore di vita in una maggiore libertà;

Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l’osservanza universale dei diritti umani e delle libertà fondamentali;

Considerato che una concezione comune di questi diritti e di questa libertà è della massima importanza per la piena realizzazione di questi impegni;

L’ASSEMBLEA GENERALE

proclama

la presente dichiarazione universale dei diritti umani come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione.

Articolo 1

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

VIDEO-INTERVISTA : PADRE LELLO LANZILLI DOPO IL SINODO

Cari amici di GiovaniBarnabiti.it eccoci ancora con padre Lello Lanzilli, gesuita, membro della segreteria per il Sinodo dei Vescovi I giovani, la fede e il discernimento vocazionale.

Dopo avere discusso sulla preparazione del Sinodo discutiamo ora sulla sua conclusione e prospettive.

PER IL VIDEO DELL’INTERVISTA CLICCA  QUI

Come è cominciato il Sinodo?
Dobbiamo distinguere tra l’inizio assembleare il 3 ottobre, quello riportato dalla stampa, e quello ufficiale, cominciato prima, con l’ascolto. L’ascolto delle chiese locali, dei giovani, l’assemblea presinodale dei giovani a Roma (che sono stati ascoltati in presa diretta), quindi l’instrumento laboris per sostenere i lavori dei vescovi nell’assemblea generale in aula. Un sinodo non si fa perché si vuole sapere cosa la Chiesa pensa di un tema o perché i vescovi possano discuterne e indicare il da farsi. Un sinodo si fa perché le indicazioni che emergono dall’ascolto possano incarnarsi nella Chiesa perché questa possa meglio vivere e annunciare il messaggio di Gesù.
Grazie per questa delucidazione, di un percorso più ampio, per un coinvolgimento maggiore e uno sviluppo migliore. Ma dopo la messa il primo giorno cosa è successo?
Io, in quanto membro della segreteria non ero in aula, però dopo il saluto iniziale del papa è cominciata la riflessione sulla prima parte dell’instrumento laboris, il vedere cui hanno partecipato non solo i vescovi ma anche i giovani presenti in aula. (la 2 parte riguarderà il giudicare, riflettere, discernere, e la 3 l’agire, le proposte). Ci sono state poi 4 assemblee generali quindi 4 sessioni di lavori nei circoli linguistici per le 6 lingue ufficiali; abbiamo saputo che più che altre volte i giovani sono stati molto coinvolti nel dialogo, nel confronto, non solo nel lavoro di gruppo. Perciò il Sinodo, che nasce come una assemblea dei e per i vescovi, per i vescovi, si è aperto ai giovani presenti. Per la verità il coinvolgimento è stato vicendevole, dei vescovi verso i giovani, ma anche i giovani hanno potuto superare alcune preoccupazioni e pregiudizi sulla chiesa istituzionale, sulla eventuale formalità; hanno potuto conoscere dei vescovi vicini, più disponibili a incontri anche fuori dall’ aula, per chiedere pareri su questioni importanti e delicate. La Chiesa qui si è riconosciuta nella sua ricchezza: questa è la sinodalità. Questa dimensione sinodale è molto importante, primo perché richiesta dal cammino cominciato con il Concilio Vaticano II, secondo – come emergerà dal documento finale – perché è un vero e proprio bisogno della chiesa di oggi. Infatti alla fine del Sinodo il papa ha detto che è stato prodotto un documento, ma questo non è importante quanto l’esperienza di comunione tra vescovi e quella parte di popolo di Dio, i giovani, che deve diventare modello e testimonianza. Dobbiamo lasciarci convertire da questa esperienza e farne uno stile nuovo della Chiesa. La sinodalità, la condivisione è molto importante per aiutare il vescovo a decidere. Una decisione si prepara, è il punto di arrivo di un cammino condiviso con i giovani. Nel documento finale si invita caldamente a coinvolgere meglio e di più i giovani anche nei processi decisioniali. Questo è lo stile del discernimento, la comunione delle diverse esperienze perché non si possono prendere delle decisioni se non si conoscono le realtà. I giovani, i fedeli hanno una conoscenza della realtà ineludibile che la Chiesa deve fare più sua.
Spesso i giovani denunciano i sacerdoti come troppo giudicanti o incompetenti, segno di una chiesa moralista e paternalista, cosa si è detto in merito?
I giovani hanno sottolineato con forza il bisogno di essere ascoltati, accompagnati e non solo di essere usati o diretti. I sacerdoti spesso si sentono in dovere di dire la verità a priori piuttosto che cercarla insieme, ma ciò allontana i giovani. I giovani hanno bisogno di pastori che gli stiano accanto, cosa rara perché troppo impegnati dalla burocrazia, dalle attività, che non siano sacerdoti a tempo.
Nel documento finale si legge che bisogna guardare ai giovani con “atteggiamenti, occhi di Gesù”? cosa significa?
Qui entra in gioco la formazione dei sacerdoti perché imparino un nuovo atteggiamento verso i giovani. È necessaria una formazione più incarnata che superi l’attuale metodo formativo ormai obsoleto. I seminaristi devono confrontarsi meglio con la realtà pastorale se vogliono essere preti per il domani. Questo ancora non accade. Gesù andava per le strade, porta a porta e aveva uno sguardo attento a tutti. Ricordo lo stupore dei giovani che incalzati da noi a terminare un intervento scritto entro la sera, hanno chiesto tutta la notte per poter finire con cognizione; pensavano a una risposta negativa! Alla nostra disponibilità e fiducia nella loro proposta hanno risposto che mai un sacerdote si era loro dimostrato così fiducioso e disponibile al “rischio”.
Quale idea il Sinodo si è fatta dei giovani: Inquieti, tiepidi, audaci, protagonisti, tranquilli..?
Secondo me tutto quello che dici. C’è un potenziale enorme nel mondo giovanile, vicino o lontano alla Chiesa, che non viene utilizzato. Come accennavo, facciamo ancora fatica a dare loro fiducia!
Infine, dalla tua esperienza pastorale e di segreteria, quali indicazioni daresti ai giovani ai loro pastori?
Di continuare in questa via della comunione e della conoscenza reciproca: non solo una relazione funzionale, ma anche esistenziale.
La Chiesa è nata dal “porta a porta”, da persone affascinate da Gesù, capaci di trasmetterlo a quanti le incontravano. Questo fascino può nascere solo da una maggiore comunione e fiducia reciproca.
Ancora una volta grazie a padre Lello e come dice lui per salutare: buona vita.
Grazie a voi e buona vita a tutti.

 

Intervista a cura di P.Giannicola Simone.

Riprese e montaggio: Giacomo Camilletti e Luigi Cirillo