È ormai noto che l’attuale crisi economico-finanziaria si sta rivelando innanzitutto una profonda crisi etica, culturale e antropologica, figlia di un consumismo sfrenato che ha alimentato l’illusione della felicità esclusivamente legata alla ricchezza materiale: una quantità di tempo sconsiderata è destinata al conseguimento di obiettivi cui è fissato un prezzo, a scapito – e qui non parlo in termini monetari – delle relazioni sociali, propriamente dette in economia beni relazionali. Non a caso, uno dei grandi problemi che gli economisti stanno affrontando negli ultimi anni, è il cosiddetto “paradosso della felicità”: al contrario di quanto la società dei consumi esorti a credere, risulta che ad un aumento del reddito pro-capite corrisponde un calo della felicità soggettiva delle persone, la cui maniacale inclinazione all’uso dei beni di comfort, spedisce nel dimenticatoio la sfera affettivo-relazionale. In un momento storico come questo, in cui la domanda di beni relazionali stenta a crescere, il mondo ha bisogno di proposte nuove per tentare un via di fuga dal baratro della crisi… La mia? La donna. “Sono profondamente convinta che il ‘nuovo’ da molti invocato abbia molto a che fare con il ruolo della donna nella dimensione economica” sostiene Suor Alessandra Smerilli, docente di Economia all’Università Cattolica; bisogna ripartire dalle origini, ovvero dall’oikos nomos (che nelle società antiche rappresentava la gestione della casa, quindi un’esclusiva femminile) “inteso come ambiente, come sviluppo sostenibile”. Nell’economia moderna la figura della donna si è eclissata a causa del potere maschile che ha confinato il suo “genio” nel livello morale della società. Tuttavia, “le esperienze in atto, come il microcredito, ci fanno intravedere quali potenzialità si nascondono dietro l’empowerment delle donne, proprio nelle culture dove esse sono meno libere di esprimersi” sottolinea la Smerilli; il “sistema Yunus” (premio Nobel per la pace 2006) si occupa, o meglio, preoccupa di concedere piccoli prestiti a imprenditori troppo poveri per riuscire a ottenere credito dalle banche e più del 90% dei prestiti viene destinato alle donne. È emerso che i profitti realizzati dalle donne sono più frequentemente indirizzati al sostentamento delle famiglie e delle comunità, e non al soddisfacimento di interessi personali; la logica del successo non appartiene alla donna: “nell’azione femminile il mondo è concepito come un intreccio di rapporti”, “la realtà come ragnatela e non come gerarchia” – sono le parole di Giuliana Martirani, docente universitaria nonché promotrice di numerose attività pacifiste, ecologiste, nonviolente. L’economia attuale ha un disperato bisogno di guardare ai mezzi, non solo ai fini, al processo non solo al risultato, alle motivazioni intrinseche, non solo al profitto; profitto che andrebbe senz’altro diviso tra sviluppo dell’impresa, sostegno ai poveri e formazione di persone nuove, secondo il modello dell’“economia di comunione” ideato da Chiara Lubich, frutto di una prospettiva altruista e caritatevole, tipica della natura femminile. Evidenze internazionali mostrano i possibili benefici di una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, nelle amministrazioni pubbliche e private: si denotano livelli di corruzione più bassi e un’attenzione mirata a quei beni e servizi, bersaglio principale dei tagli dei governi quando i conti nel bilancio non tornano: sanità e istruzione. Ma da quanti anni sentiamo parlare di riduzione dei costi in questi settori dell’economia? Possiamo ancora credere alla buona fede, e alla competenza, di chi li propone? Il sistema ha bisogno di un motore nuovo che possa alimentare questa economia “miope”, e la donna, in quanto bandiera di creatività e carisma, sembra essere l’arma vincente per abbattere la logica strumentale, causa della crisi e malattia della nostra epoca, per una società più a misura di persona.
“Normalmente il progresso è valutato secondo categorie scientifiche e tecniche, e anche da questo punto di vista non manca il contributo della donna. Tuttavia, non è questa l’unica dimensione del progresso, anzi non ne è neppure la principale. Più importante appare la dimensione socio-etica, che investe le relazioni umane e i valori dello spirito: in tale dimensione, spesso sviluppata senza clamore, a partire dai rapporti quotidiani tra le persone, specie dentro la famiglia, è proprio al « genio della donna » che la società è in larga parte debitrice” (“Lettera alle donne”, Papa Giovanni Paolo II).
Pasqua Peragine, Altamura
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- Preghiera per la famiglia – Sinodo dei vescovi 2014