Atto di fede o atto di fisica?
Giunto al quinto anno di fisica, non posso non fare alcune considerazioni, perché dopo cinque anni qualche domanda è normale farsela: oltre a un sacco di formule e di concetti, cosa mi ha insegnato la fisica?
Io credo che appena ci si cimenta nello studio di materie scientifiche, si ha l’idea di studiare qualcosa di sacro e profondamente giusto. Mi spiego: il fatto è che la fisica, come altre materie scientifiche necessita di un linguaggio per potersi esprimere. Quel linguaggio è la matematica.
La matematica, che comprendere algebra, geometria, analisi ecc. negli ultimi 4 secoli ha raggiunto dei livelli di complessità impensabili, e li ha raggiunti “step-by-step”, ovvero da ogni teorema se ne ricava uno ancora più forte, esaustivo e generale. Tuttavia, quasi come l’universo, si può risalire indietro nel tempo e, partendo dai teoremi che usiamo adesso, possiamo giungere ai teoremi fondamentali, quelli più semplici, il BIG BANG della matematica. Stiamo parlando di quelli che studiamo alle elementari, tipo che da due punti passa una e una sola retta.
Il problema è che ora non stiamo più parlando di teoremi, ma di assiomi, cioè affermazioni che non possono essere dimostrate, ma vanno prese per vere. A pensarci bene, la matematica, la scienza considerata vera e giusta da tutti, si basa proprio su concetti dogmatici. Già, proprio come le religioni!
Beh qualcuno potrebbe pensare a qualche modo per aggirare quest’ostacolo, per cercare di rendere la matematica (o in generale un sistema logico) avulso da dogmi di partenza. Ed è proprio un matematico che pone il veto a questo tentativo: Kurt Gödel e i suoi teoremi di incompletezza. Pur essendo alquanto complessi da essi possiamo trarne l’insegnamento che è impossibile per un sistema logico dimostrare la propria coerenza utilizzando gli strumenti stessi del sistema logico, cioè la matematica non può utilizzare se stessa per dimostrarsi coerente. Quindi, per quanto la matematica e la fisica funzionino molto bene, bisogna tenere in testa che non sono la verità. Mi spiego meglio.
Quando si assiste a un fenomeno nuovo, noi fisici costruiamo un modello matematico in grado di spiegare cos’abbiamo visto. Questo modello, per essere accettato, deve essere anche in grado di fare previsioni. Quello che ho imparato è che il modello, in fondo, non dice niente su cosa sia il fenomeno. Se mai cerca di spiegarne il comportamento. In meccanica quantistica le particelle sub atomiche si trattano utilizzando un formalismo matematico che a volte è simile a quello che si usa per descrivere le onde. Da questo formalismo, nella prima metà del novecento nasce l’interpretazione di Copenaghen. Cioè la dualità onda-particella. Eppure credo che sia sbagliato pensare alla materia come un’onda o come a una particella. È giusto dire che essa si comporta come un’onda o una particella.
In queste poche righe volevo far riflettere sul fatto che spesso la realtà va oltre la nostra capacità di astrarla e spiegarla e mi piace pensare che questo discorso si possa applicare anche alla religione. Forse è per questo che non sempre è chiaro quale sia il disegno di Dio per noi e per il mondo che ci circonda. E forse siamo troppo presuntuosi nel volerlo capire fino in fondo. Come la fisica non riesce a spiegare il mondo nella sua totalità, anche la religione non può spiegare Dio nella sua totalità. Perché la religione è comunque fatta dagli uomini.
Come la fisica chiede un’“atto di fede” per poter essere creduta e continuata, così la religione richiede un’“atto di fede”. L’atto di fede non è un’invenzione, una falsa modalità di approccio alla realtà, è la prima basilare azione non teorica dell’uomo.
Roberto Nava, Milano
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