Molto spesso si legge sui giornali e si sente in televisione di valori percentuali in crescita o in diminuzione; di PIL in crescita o di PIL in diminuzione e questi sono i valori in base ai quali si dovrebbe essere in grado di definire la ricchezza o la povertà di un paese. Certo, questo è indubbiamente vero: più un paese produce, più evidentemente guadagna, più la popolazione sta bene. È però necessario stare attenti a rapportare il valore del PIL al numero di abitanti presenti in quel paese: l’India ha certamente un PIL maggiore rispetto a quello del Lussemburgo, eppure siamo tutti d’accordo che sia più ricca la popolazione del Lussemburgo rispetto a quella indiana; è quindi necessario, a questo punto, affidarci a un parametro un po’ più preciso in questo senso: il PIL pro capite. Così capiamo effettivamente tra quante persone va suddiviso questo “guadagno” rappresentato dal PIL.
Ma è davvero così? Davvero riusciamo a capire quanto guadagna una persona in un paese? Be’, riusciamo sicuramente a capire quanto guadagna in media. Secondo questa analisi, infatti, converrebbe andare in massa in Qatar, un paese che negli ultimi anni ha sbaragliato tutti gli altri in quanto a guadagno per persona! Il Qatar, infatti, vanta il PIL pro capite più alto del mondo, ma è anche vero che in Qatar sono presenti delle condizioni lavorative pessime, che chiamano “la schiavitù del ventunesimo secolo” (una collaboratrice domestica guadagna circa 200 dollari al mese, senza avere giorni liberi). In altre parole, se io ho 100 polli e tu zero, in media abbiamo 50 polli a testa: ma ciò non cambia il fatto che io ne ho 100 e tu ne hai 0. Con questa affermazione si apre un discorso molto complicato, delicato ovvero molto importante: si apre il tema dell’“allocazione del reddito”.
In qualsiasi facoltà di economia di qualsiasi università si studia la politica economia, quella materia che, detto in maniera molto riduttiva, modifica l’andamento dell’economia, in modo coercitivo e non, per raggiungere determinati obiettivi, quali la crescita del PIL, la stabilizzazione del livello generale dei prezzi eccetera. Da ciò si può intuire che la parola d’ordine sia “efficienza”: si parla infatti di “allocazione efficiente” del reddito”. Tuttavia, in nessuna facoltà di economia si studia “politica economica morale o sociale” e, quindi, non si parla nemmeno di “allocazione equa” delle risorse”. Si parla solo di efficienza, di ciò che conviene, di ciò che massimizza i risultati, ma mai di ciò che è giusto, etico, morale.
Il caso del Qatar di cui sopra è emblematico: la sua ricchezza deriva infatti dalla presenza di giacimenti di petrolio e gas naturale che, ovviamente, appartengono a grosse società che ne traggono i benefici maggiori; ma perché non appartengono a tutti? Dopotutto, lo stato è dei propri abitanti, a rigor di logica. Ma, a quanto pare, “a rigor di fatti”, lo stato è solo di pochi abitanti.
Per dirla con Hobbes potremmo definire questo fenomeno con la famosa frase “homo homini lupus” (l’uomo è un lupo per l’uomo), secondo la quale l’agire umano sarebbe spinto soltanto dall’istinto di sopravvivenza e da quello di sopraffazione, negando ogni possibilità di avvicinamento tra uomini in virtù di amore reciproco.
Tutto ciò è però riduttivo, triste e non del tutto vero: non si spiegherebbe altrimenti la dimensione affettiva della famiglia, né gesti eroici di personaggi del calibro di Salvo D’Acquisto, ventiduenne vice brigadiere dei Carabinieri che durante la II guerra mondiale si sacrificò per salvare la vita a 22 persone ingiustamente condannate a morte dalle truppe delle SS naziste. Ciò prova il fatto che una società umana improntata sull’attenzione verso il prossimo è senz’altro possibile; non prova tutta via che sia questo l’atteggiamento che muove l’agire dei più.
Questo egoismo che purtroppo domina la maggior parte degli abitanti del nostro mondo (è bello pensare al mondo come un’unica cosa) è il principale oggetto di studio del Nobel per l’economia Amartya Sen, che definisce questo atteggiamento egoistico come “pensiero calcolante”, ossia la massimizzazione del proprio interesse; Sen suggerisce di affiancare al “pensiero calcolante” il “pensiero pensante”, ossia quello capace di cogliere il senso, la direzione complessiva dell’agire umano.
La conclusione di queste mie riflessioni va verso la spiegazione del titolo, che vuole essere la voce di un mondo che subisce ingiustizie e soprusi; un mondo in cui il più debole viene lasciato indietro; un mondo in cui chi più ha, più avrà, ma che dovrebbe essere un mondo in cui chi più ha, più dovrebbe dare.

Tommaso Carretta
Milano

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