Ultimamente sta molto a cuore ai politici e agli economisti (quelli che operano a livello europeo, in verità) il tema dell’inflazione (o, meglio, della deflazione, visto il periodo che si sta attraversando!), attendendo che si realizzi l’obiettivo fissato di un’inflazione pari al 2% annuo da parte della Banca Centrale Europea (da ora “BCE”).

L’inflazione, in poche e, economicamente parlando, “volgari” parole, è la variazione percentuale del livello generale dei prezzi nell’unità di tempo (solitamente annuale o, talvolta, trimestrale).

A rigor di logica, se per ogni euro che si spende, dovesse corrispondere un euro che si guadagna, all’aumento generale dei prezzi, non dovrebbero esserci troppi problemi, poiché, all’aumento generale dei prezzi, dovrebbe anche corrispondere un aumento generale dei redditi; questo fenomeno è abbastanza percepibile per i cosiddetti “imprenditori”, i quali guadagnano in base alla quantità che vendono e a “a quanto”: se, quindi, il livello generale dei prezzi si alza, possiamo presumere che anche il loro redditi, “a nominale”, si alzano. Ma cosa significano “nominale” e “reale”? Per “valore nominale”, in questo caso della moneta, intendiamo il valore teorico, cartaceo, ciò che “in teoria la moneta vale”; se, ad esempio, siamo abituati a comprare, con 1€, un kg di pane, il “valore nominale di 1€ è un kg di pane: se però durante l’anno vi è un tasso di inflazione pari al 3%, il valore nominale rimane 1€, mentre il “valore reale” diventa 1,03€, che sarà il nuovo prezzo per un kg di pane. Per quanto riguarda, invece, il reddito dei cosiddetti “dipendenti”, molti di loro hanno un contratto di lavoro indicizzato al tasso di inflazione (in tal caso, la loro retribuzione cresce di pari passo con il tasso di inflazione), soprattutto per i contratti “a tempo indeterminato”. Ma quindi l’inflazione non è un problema? Non proprio; poiché ad aumentare sono tutti i prezzi (si parla a tal proposito di “aumento generale dei prezzi”), la moneta perde valore.

E reddito cosa significa? Da una parte è ciò che un individuo percepisce in forma monetaria attraverso il proprio lavoro, dall’altra, la quota di reddito che l’individuo decide di non spendere e, quindi, di risparmiare (è pur sempre il suo reddito!). Se un individuo decide di detenere come risparmio sul proprio conto corrente 100 €, percependo dalla banca un “guadagno” (rappresentato dagli interessi a favore in conto corrente) annuo sulla propria giacenza dell’1,5%, a fine anno vedrebbe il proprio risparmio passare da 100 euro a 101,5 €.

Se però durante quello stesso anno il tasso di inflazione è del 2%? Per capire affidiamoci a un semplice passaggio algebrico: 100 – 2 + 1,5 = 99,5 €; in sostanza, come si è dimostrato, il risparmiatore ha perso denaro, certo non tangibilmente; a termine nominale ha in conto corrente 101,5 €, ma in termini reali, ossia sottraendo il tasso di inflazione, ha perso potere d’acquisto: ha perso denaro.

Ma “da cosa è generata l’inflazione”?

Tra le diverse cause, quella più studiata e riscontrabile nella storia dell’economia è l’aumento di quantità di moneta all’interno di un’economia.

Secondo tale teoria, infatti, l’inflazione è generata da un aumento eccessivo della quantità di moneta rispetto all’aumento della produzione di merci. La moneta immessa nel sistema economico, finendo nelle mani degli individui, prima o poi verrà da costoro spesa nell’acquisto di merci. Se la produzione di queste non può essere espansa perché il sistema economico è in una situazione di piena occupazione (cioè gli impianti e i macchinari sono pienamente utilizzati e non vi sono lavoratori disoccupati), si avrà una domanda di merci superiore all’offerta e un conseguente aumento dei prezzi delle stesse, cioè del livello generale dei prezzi.

L’inflazione può anche essere definita una “lama a doppio taglio”, poiché una moderata inflazione, che cammina di pari passo con l’espansione dell’economia (grazie alla domanda di beni e servizi che supera l’offerta e, di conseguenza, fa alzare moderatamente il livello generale dei prezzi) è considerata positivamente e contribuisce al buon funzionamento di un’economia; è stato, a questo proposito, utilizzato l’aggettivo “moderata” (inflazione): un’inflazione eccessiva può, infatti, portare a danni irreparabili.

Ricorderete tutti cosa avvenne durante la lontana seconda guerra mondiale in Germania: Hitler, che versava in gravi difficoltà finanziare, decise di sovvenzionare la propria guerra stampando la moneta necessaria. In quella sede, si ebbe una conferma tangibile che immettendo troppa moneta in un mercato si genera effettivamente troppa inflazione, in troppo poco tempo: il prezzo di una birra raddoppiava nel tempo in cui questa veniva bevuta (motivo per cui i furbi tedeschi ne acquistavano subito due).

Detto ciò, sembra quasi che il responsabile della BCE stenti a stampare e immettere moneta nel mercato per paura di raggiungere un’iperinflazione simile a quella tedesca della seconda guerra mondiale, generando però, di contro, una progressiva deflazione, che in termini reali vuol dire recessione dell’economia, depressione e crisi.

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