Osservatore Romano, 2015-06-01

 La nuova «Oasis»

Un dialogo aperto con l’islam

di MARIA LAURA CONTE

Venezia, giugno 2004: al primo incontro del comitato scientifico internazionale di «Oasis» sono presenti il vescovo di Tunisi, Maroun Elias Nmeh Lahham, l’arcivescovo grecomelchita di Aleppo, Jean-Clément Jeanbart, il vescovo di Islamabad, Anthony Lobo, per citare solo alcuni dei numerosi ospiti giunti da Oriente e Occidente per rispondere a un invito. Lavoriamo insieme per produrre una rivista plurilingue che possa essere strumento di supporto culturale per le comunità dei cristiani che vivono in Paesi a maggioranza musulmana. Un invito a rispondere a una domanda concreta, espressa dai patriarchi e vescovi delle Chiese orientali, non esercizio intellettuale astratto. «Quale soggetto e strumento espressivo — rilevò il cardinale Angelo Scola in quella circostanza — “Oasis” può in qualche modo favorire la nascita di un soggetto comunionale (…) e aiutarci ad affrontare il fenomeno “musulmano”. Nello stesso tempo, tale strumento potrà educare i battezzati che vivono in Paesi tradizionalmente cristiani a incontrare i musulmani e gli uomini delle altre religioni che, ormai numerosi, vivono in Europa e nelle Americhe».

Giugno 2015: «Oasis» ha sede a Venezia e Milano, la rete del comitato scientifico si è ampliata e può contare sulla presenza di alcuni intellettuali musulmani accanto a personalità ecclesiastiche e del mondo accademico. Alla rivista si è affiancata una newsletter, una serie di libri e gli account sui social network; l’orizzonte della ricerca si è allargato fino a scegliere come sottotitolo «cristiani e musulmani nel mondo globale», a rimarcare la loro rilevanza culturale reciproca.

Ma ancora non basta: le circostanze storiche attuali, incalzanti, se da un lato confermano l’intuizione originaria, dall’altro chiedono un passo in più. Lo spiegano drammaticamente le vicende che hanno segnato alcuni dei presenti a Venezia in quell’estate di oltre dieci anni fa e dei loro Paesi: il Pakistan non riesce a uscire dalla spirale di odio che colpisce le minoranze non musulmane, la Tunisia di oggi ha poco in comune con quella di allora, essendosi aperta alla democrazia, mentre in Siria e Iraq i confini sono saltati per l’azione di Is. L’Aleppo di Jeanbart è oggi un campo di macerie di una guerra senza tregua. E sull’altro versante, quello occidentale, è evidente come le nostre società, sempre più plurali e “meticce”, sono attraversate da tensioni che chiedono di essere sciolte.

Sollecitata da tutti questi dati, «Oasis» ha deciso di rinnovare forma e contenuto, che sempre si intrecciano: la rivista punta con più decisione su un tema monografico per offrire una maggiore unitarietà nella lettura dei processi storici in atto; indirizza la ricerca comune verso l’elaborazione di un giudizio culturale più esplicito, osando una lettura sintetica; infine accentua il metodo scelto all’origine di parlare “con” i musulmani e non solo “di” loro, che si è dimostrato negli anni molto fecondo.

Le nuove scelte si documentano nel primo numero della nuova edizione (n. 21) che prende in esame la crisi che investe l’islam e tutte le realtà che ne sono a contatto. Europa e Occidente compresi. Il titolo, Islam al crocevia. Tradizione, riforma, jihad, viene ben illuminato dall’espressione emblematica di uno degli autori di questo numero, Hamadi Redissi, che osserva: «Tutti parlano in nome dell’islam, ma non dello stesso islam; ognuno lo reinventa nel presente».

Da semestrale la rivista può permettersi di accogliere le domande sollevate dalla cronaca, di non schiacciarsi sul presentismo e guardare indietro, alla storia degli ultimi secoli: come l’islam ha avviato una riforma che, rileggendo la tradizione, l’ha ammodernata ma anche ideologizzata, ponendo i germi del jihadismo che oggi si manifesta in uno spaventoso nichilismo. E come ora, nello sforzo obbligato di rispondere all’incontro con la modernità, questo molteplice islam sia arrivato a un bivio decisivo, al centro del quale sta la questione “violenza”.

Nella prima parte della rivista, “Temi”, una sequenza di articoli sviluppa da angolature diverse il titolo di copertina, con una più spiccata unitarietà rispetto al passato, tracciata da un breve editoriale in apertura di Martino Diez. Tra gli autori di questo numero di «Oasis» gli egiziani Sherif Younis e Wael Farouq, l’indiana Aminah Mohammad-Arif, l’iraniana Forough Jahanbakhsh, il marocchino Hassan Rachik, l’americano David Cook e il curdo Hamit Bozarslan. Segue la sezione “Classici”, del pensiero islamico e cristiano: estratti di al-Jâhiz e al-Ghazâlî, sul tema del dubbio come metodo utile, anche se non sufficiente, per raggiungere la certezza, e del grande islamologo Louis Gardet, che riflette sull’atto di fede nell’islam. Il foto-reportage da Erbil, racconto di viaggio e di incontri personali, offre un’ulteriore prospettiva sul tema guida del numero, mettendo a fuoco il volto delle vittime della deriva violenta dell’islam jihadista, in particolare i cristiani dell’Iraq. Infine chiude la rivista una rassegna di recensioni di libri e film offerte ai lettori che desiderano approfondire ulteriormente i temi offerti con nuove analisi e argomentazioni.

La scelta del nuovo formato, più amico del digitale, ha ricevuto ulteriore impulso da un altro fattore: la volontà di favorire una diffusione più capillare nei Paesi del mondo musulmano, in Medio Oriente, Africa e in Asia, dove la versione su carta arriva con maggior fatica, e allargare così la rete di persone con cui attuare uno scambio effettivo.

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