Il fallimento degli aiuti umanitari

Nonostante tutti gli aiuti e risorse messe in atto in Africa questa detiene ancora tutti i primati negativi. Perché? Dov’è l’errore che come un bias, errore sistematico, in un analisi statistica altera completamente il risultato?

Tutti sono d’accordo nell’affermare che il modello assistenziale non può rappresentare la strada giusta per liberare questi popoli dal loro stato di indigenza. D’altro canto dobbiamo fare attenzione a non cascare nello scontato del “prevenire è meglio che curare” oppure del “a chi ti chiede un pesce, insegna a pescare”, la famosa acquisizione del know-how.

La maggior parte delle dichiarazioni rilasciate da enti che si occupano dei PVS (paesi in via di sviluppo) si basano su una logica del genere, trasferire conoscenza e gli strumenti adatti. Però anche le strategie educative hanno avuto uno scarso risultato e un basso impatto sulla popolazione dei PVS.

Perché questo insuccesso?

Intanto possiamo sottolineare la mancanza di idee e soluzioni innovative: ci si concentra sempre e solo su assistenza sanitaria, sviluppo agricolo e industriale. Proviamo invece a sostituire l’aggettivo “scontato” con “svuotato”, infatti il nostro bias sembra essere legato a un vuoto concettuale, a una mancanza di contenuto antropologico, che possiamo riscontrare anche nel come la realtà viene letta, in base a degli indicatori di salute, benessere e sviluppo, con lo scopo di rendere la realtà misurabile, ma questo approccio è ben lontano dallo scoprire vere soluzioni al problema.

La strada da intraprendere è quella della riscoperta di senso, rispetto ad un numero o a una statistica, al di là della causa materialistica in sé. Si rende necessario trasmettere alle popolazioni dei PVS dei valori antropologici che indichino il perché e per chi migliorare, come scrive Vicktor Frankl, prigioniero nei campi di concentramento: «si può anche vivere senza saperne il perché, ma non si potrà mai vivere senza sapere per chi».

Fino a oggi negli aiuti umanitari a prevalso il “come”. Ma lo sviluppo in quanto fenomeno umano è immediatamente, un fenomeno morale: noi occidentali soffriamo di un vuoto antropologico, e di conseguenza non riusciamo a trasmettere a queste popolazioni un modello autorevole di uomo e di umanità. Infatti anche nei programmi per il personale dei PVS è rarissimo trovare corsi che si concentrino sull’importanza della promozione umana, perché e per chi apprendere?

Come in un organismo, quando una componente è deficitaria altre vanno incontro ad iperplasia. In questo caso vediamo come la ricerca biomedica ha fatto enormi passi avanti, la salute, è uno dei settori prominenti sul mercato. Ma nonostante ciò le nuove tecnologie, farmaci e macchinari più all’avanguardia rimangono a disposizione di un élite, e così è come avere un giardino dell’Eden chiuso, accessibile a pochi mentre intorno la maggior parte della popolazione si nutre di erbacce. La dichiarazione di Alma ATA (1978) lanciava come slogan “salute per tutti entro il 2000”, Primary Health Care, ovviamente questo obiettivo che sembrava già allora irraggiungibile non è stato raggiunto, ma anzi sembriamo andare verso l’esatto opposto. Così la saluta diventa il primo paradigma dell’ingiustizia sociale. C’è comunque da dire che l’UE ha intrapreso una strategia di lotta con le cosiddette Poverty Related Deseases (PRDs: AIDS, tubercolosi, malaria) cercando di finanziare economicamente le ricerche su metodi di guarigione per quelle malattie più diffuse dei PVS. Per affrontare il problema della salute nei PVS si è cercato soprattutto di trasferire conoscenze e competenze alla popolazione locale, cercando quindi oltre ad un modo per risolvere il problema salute, anche un modo per risolvere il gap professionalizzante esistente.

Ma, come già sottolineato, ci sono chiari segni della deriva puramente tecnicistica del trasferimento di tali conoscenze, ritornando sempre all’annosa questione: “perché e per chi mi do da fare?”. Dunque possiamo concludere che il primo passo non può essere soltanto operativo. Bisogna concentrarsi sul fine, e sulla ricerca di uno scopo che sta dopotutto dietro ad ogni grande scoperta e sviluppo di un popolo. L’etica può aiutarci anche nel direzionare gli investimenti economici, il problema è che molto spesso il dove orientare gli sforzi non è una decisione che può essere presa liberamente ma segue delle logiche di mercato, molto lontana dal porsi obiettivi umanitari. Per esempio è inutile spendere innumerevoli somme per un centro oncologico quando ci sono molti bambini che muoiono per mal nutrizione.

Non è tanto la formazione tecnologica del personale assegnato ai PVS quanto la loro formazione umanitaria che conta. Se scoppia un epidemia è inutile che un medico se ne stia nel suo ospedale con tutte le sue attrezzature e farmaci a disposizione aspettando che la gente vada da lui e non lui da loro. La Primary Health Care di cui si occupa la sanità pubblica si fa andando tra la gente e analizzando le necessità e i rischi che un certo popolo corre. Per quanto riguarda la formazione etica è importante che chi opera nel settore biomedico venga istruita da un punto di vista etico poiché è di importanza fondamentale per uno sviluppo corretto e sano dell’umanità.

Chiara Lagravinese – Roma

Shqipëria: piccoli grandi passi dell’Albania

 

L’Albania è un piccolo paese poco conosciuto. La maggior parte di coloro che conoscono l’Albania non ne hanno una buona opinione e credono che tutti gli albanesi siano dei criminali; però chi conosce molti albanesi riconoscono l’altra faccia della medaglia e sanno che sono persone che lavorano, gente ospitale che si aiutano l’un l’altro.

Il motivo per cui questa parte di albanesi sia meno conosciuta è dovuta al fatto che i comportamenti criminali attirano piu attenzione e più facilmente si trasmettono in TV o sul web. Tutto ciò influisce quanti non conoscono personalmente albanesi perché normalmente non fa cronaca un albanese che si guadagna da vivere onestamente, che va al lavoro ogni giorno. Non nego e comprendo queste motivazioni negative, ma sono contro la generalizzazione delle opinioni, ognuno è diverso, non sono tutti uguali.

Gli albanesi con l’uscita dalla dittatura si sono trovati di fronte a un gran cambiamento, da un isolamento totale, senza libertà di parola e di azione, a una piena libertà in un tempo molto breve. Questo cambiamento ha permesso alle persone di esprimere al meglio le proprie capacità: ora possono scegliere delle professioni in cui ci si sente di potere fare meglio. Coloro che hanno avviato il cambiamento, persone di buona volontà, hanno poi governato il Paese, ma ciò ha aumentato la loro voglia di ricchezza e di potere.

L’Albania era un paese molto povero con molta corruzione: con i soldi potevi comprare un diploma, un posto di lavoro, una promozione; se tu avevi un’impresa non pagavi le tasse, se conoscevi qualcuno potevi guidare la macchina senza documenti, se poi conoscevi qualcuno al potere eri intoccabile. Molte persone seppure incapaci sono entrate nel lavoro come insegnanti, infermieri, poliziotti… perché hanno un amico al potere oppure i soldi per comprare quel posto di lavoro: ciò ha influenzato l’educazione delle generazioni a venire.

La corruzione stava crescendo sempre più e ha creato una classe politica corrotta dove un deputato o sindaco non si eleggeva per servire il popolo, ma come un’opportunità per fare soldi. Questo malgoverno ha creato buche nello sviluppo economico, evasione delle tasse, lavoro nero, pochi investimenti in infrastrutture e rallentamento nello sviluppo del Paese. Oggi si cerca di aumentare la lotta contro questi fenomeni anche se è molto difficile perché una parte di quanti lottano con questi fenomeni sono essi stessi coinvolti, ma nonostante questo dei passi positivi si stanno percorrendo.

Per un giovane questa situazione è abbastanza demoralizzante, c’è molta disoccupazione, l’università non aiuta a meno che non conosci qualcuno che ti spinge oppure puoi pagare un lavoro. Molti sono i casi di persone incompetenti che hanno comprato anche lavori importanti: insegnante, infermiere… Per fortuna non tutti sono così ma è un fenomeno che non dovrebbe esistere, qualcuno dovrebbe essere assunto perché lo merita!

Ai giovani si dice sempre che sono il futuro e hanno il potere di fare la differenza ovviamente perché hanno energia, idee e coraggio, proprio per questo una parte di loro intende abbandonare l’Albania. Se poi si fanno paragoni con altri paesi o con albanesi che vivono all’estero, nonostante le difficoltà iniziali i motivi aumentano.

Come detto prima però l’Albania sta prendendo direzioni positive, piccoli lenti passi; magari non si vedono le differenze ma da un punto si deve iniziare, non si può pretendere che i cambiamenti accadono in 4-5 anni serve molto più tempo e lavoro e soprattutto noi dobbiamo lavorare per fare la differenza non dobbiamo aspettare qualcuno che viene a fare la differenza per noi.

Shqipëria ndryshe

Shqipëria është një vend i vogël që nuk njihet shumë. Shumica e atyre që e njohin Shqipërinë ose shqiptarët nuk kanë një opinion të mirë dhe mendojnë se të gjithë shqiptarët janë kriminelë. Pjesa tjetër që kanë pasur kontakt me njerëz të mirë e punëtorë njohin anën tjetër të medaljes, pra dinë se shqiptarët janë njerëz punëtore, bujarë, mikpritës, inteligjent po ashtu njerëz që ndihmojnë njëri-tjetrin.

Arsyeja se pse kjo anë e shqiptarëve njihet më pak, është se sjelljet kriminale tërheqin më shumë vëmendje pasi transmetohen nëpër televizione, gazeta, internet, gjithandej nëpër media sociale. E gjitha kjo ndikon edhe tek pjesa e mirë e shqiptarëve që nuk i njohin personalisht, kjo sepse normalisht nuk bën lajm një shqiptar që e fiton bukën e gojës ndershmërisht, që shkon në punë çdo ditë, por krimet bëjnë lajm. Njerëzit duke parë gjithmonë të tilla lajme krijojnë steriotipin e shqiptarit kriminel.

Unë nuk e mohoj këtë pjesë dhe e kuptoj se pse është krijuar ky steriotip, por jam kundër përgjithësimit të gjërave. Çdo njeri është i ndryshëm nuk janë të gjithë njësoj. Shqiptarët me daljen nga diktatura u përballën me një ndryshim të madh, nga izolim total pa liri fjale dhe veprimi, në liri të plotë në një kohë shumë të shkurtër.

Ky ndryshim i dha mundësi njerëzve për të shprehur më mirë aftësitë e tyre. Njerëzit zgjodhën ata profesione ku ndiheshin ose bënin më mirë sepse dikur jo çdokush mund mund të mbaronte universitetin, ose të kishte punën që donte. Njerëzit që filluan lëvizjet për të ndryshuar sistemin, ishin ata që më pas morën në dorë qeverisjen e vendit.

Mirpo tek një pjesë e tyre kjo shtoi etjen për pasuri dhe pushtet, por kishte edhe njerëz vullnet mirë që donin të përmirsonin Shqipërinë. Duke qënë së ishte një vend shumë i varfër, kishte shumë korrupsion. Me para mund të blije një diplomë, një vend pune, mund të ngriheshe në detyrë. Nëse kishe një biznes dhe njihje dikë nuk paguaje taksa. Mund te ngisje makinën pa dokumenta mjafton që të paguaje policinë në rrugë, ose nëse njihje dikë në pushtet ishe i paprekshëm. Shumë të paaftë janë futur në punë si mësues, infermierë, policë, punonjës në administratë, etj sepse kanë një mik në pushtet ose kanë para ta blejnë vendin e punës.

Kjo ka ndikuar tek arsimimi i brezave që po vijnë. Korrupsioni ishte gjithnjë e më në rritje dhe krijoi një klasë politike të korruptuar, ku një deputet ose kryetar bashkie nuk mendon të zgjidhet për t’i shërbyer popullit, por e sheh si një mundësi për të bërë para. Kjo keq qeverisje ka krijuar shumë boshllëqe në zhvillimin ekonomik, duke filluar nga mos pagesa e taksave, shmangia e detyrimeve, puna në të zezë, përfitimi i asistencave padrejtësisht etj.

Kjo përkthehet në mosinvestime në infrastrukturë, normalisht edhe në ngadalësim të zhvillimit të vendit. Çdo ditë e më tepër po shtohet lufta kundër këtyre dukurive, edhe pse është shumë e vështirë sepse një pjesë e tyre që pretendojnë t’i luftojnë këto dukuri janë të vetpërfshirë, por pavarësisht kësaj po bëhen hapa pozitivë.

Për një të ri deri diku situata në Shqipëri është demoralizuese sepse papunësia është e madhe. Pasi mbaron universitetin ky i ri apo e re eshte pa shpresë se do gjejë punë, ose edhe nëse mund të gjejë vend punë duhet të njohë dikë për tu futur, ose dikush që ai njeh shumë mirë dhe nuk është as sa gjysma e tij . Vetem se ka para dhe njohje blen një diplomë dhe bëhet shefi yt, ose mesuesja e fëmijëve të tu që mezi kalonte klasën dhe sot jep mesim sepse ka paguar për ate vend pune, ose ifermierja e urgjencës që s’ia ka haberin ka paguar për tu futur në punë dhe pretendon se do ja marrë dorën me kalimin e kohës.

Fatmirësisht jo të gjithë janë ashtu, megjithatë është një fenomen që nuk duhet të ekzistojë. Dikush duhet të futet në punë sepse e meriton jo sepse ka mundësinë të blejë vendin e punës. Të rinjve u thuhet se janë e ardhmja dhe se kanë fuqinë të bëjnë ndryshimin, sigurisht sepse kanë energji, ide dhe guxim, por një pjesë e rinisë synojnë të largohen nga Shqipëria për shkakt të këtyre arsyeve. Ajo që i shtyn më tepër të rinjtë të largohen është se duke qënë se kthesat positive që po merr Shqipëria janë të vogla dhe hapat janë të ngadaltë, ata bëjnë krahasime me vende më të zhvilluara. Duke parë edhe shqiptarët që jetojnë jashtë vendit që pavarësish vështirësive që kanë kaluar, kanë një jetesë më të mire , i bën të mendojnë të ardhmen e tyre jashtë Shqipërisë.

Siç e përmenda edhe më lart, Shqipëria po merr kthesa pozitive edhe pse me hapa të ngadaltë.

Eshtë e vërtetë që ndryshimet ndoshta nuk vihen re pasi po ndodhin ne hapa te ngadaltë ama duhet t’ia nisësh nga diku, nuk mund të pretendohet që ndryshimet të ndodhin në pak vjet duhet shumë më shumë kohë dhe punë. Më e rëndësishmja është se ne po punojmë për ndryshim e vendit pasi nuk presim të vijë dikush të bëjë ndryshimin për ne.

Gentian Prenga

Perfetti sconosciuti

Nel 1970 veniva premiato col David di Donatello come “Miglior film” Il conformista di Bernardo Bertolucci. Vent’anni dopo, nel 1990, Porte aperte (Gianni Amelio).
E qualcosa nell’aria stava cambiando, dunque. In peggio.

Nel 2016 si aggiudica il Primo titolo nientemeno che Perfetti sconosciuti, l’ultimo lungometraggio di produzione italiana firmato Paolo Genovese – stiamo parlando del Paolo di Immaturi – Il viaggio (2012) e Questa notte è ancora nostra (2008). Proprio lui…
Quando un film ha qualcosa da raccontare, ovvero quando ha un messaggio da “consegnare”, è allora che la settima arte adempie alla sua funzione originale di medium. Ci si libera da ogni censura sociale e si va oltre, trattando di temi che possano in qualche modo arricchire lo spettatore.
Lo facevano Antonioni e Godard, Fellini e Rivette, Argento e Altman… lo facevano i registi che hanno sempre avuto qualcosa da “dire”, qualcosa da “raccontare”.
E lo facevano perché i tempi lo richiedevano: si parlava di “schizofrenia borghese” (Il deserto rosso, Michelangelo Antonioni, 1964) e di “presunzione marxista” (La chinoise, Jean-Luc Godard, 1967); si filmava di “dopoguerra giovanile” (I vitelloni, Fellini, 1953) e “magico realismo” (L’amour fou, Jacques Rivette, 1969); si arrivava perfino a “sfidare” le compagnie farmaceutiche (Il gatto a nove code, Dario Argento, 1971) e i sei gradi di separazione (Nashville, Robert Altman, 1975).

Fare un film era un “work in progress”, un’opera sulla quale si ragionava il più a lungo possibile perché le chances che venisse cassata dalla critica e dal pubblico erano parecchio più alte di adesso – sembra che si sia perso quello spirito critico necessario a rendere un film “memorabile”. E non mi rivolgo esclusivamente a lavori italiani.
Il trend che sembra più di moda oggi è quello di creare storie con il solo intento di stupire, divertire, intrattenere; di suscitare le emozioni e reazioni basiche che sembrano definire le masse. E non c’è nulla di male in questo, per carità, non sto dicendo che si debba solo trattare di marxismo o borghesia!
Penso però che mettere insieme sette attori – bravi e mediocri – attorno a un tavolo e farli blaterare su un qualsiasi stereotipato preconcetto passato poi per “nuovo” e “originale” sia un approccio sbagliato – un modo scorretto di raccontare una storia.

Il concetto cardine da cui parte Perfetti sconosciuti è: cosa succederebbe se una sera a cena con gli amici di sempre, si decidesse di scomodare gli smartphone dalla privacy delle tasche dei nostri pantaloni, metterli sul tavolo e fare outing leggendo i messaggi ricevuti – per tutta la durata del pasto – ad alta voce e rispondere alle chiamate con il vivavoce?
L’idea di per sé è carina, no? Voglio dire, non è per niente fresca e si sa dove voglia andare a parare sin dal primo minuto, ma incuriosisce.
In questa storia, però, ci si aspetta che i “segreti” siano qualcosa di più che quattro stupidaggini taciute per quieto vivere.
Posto che sia possibile in una coppia o fra amici tacere di tette finte, psicanalisi e ospizi, quello che rende due persone sconosciute fra di loro non sono corbellerie da adolescenti, ma veri e propri lati oscuri nascosti sotto la superficie di un’intimità che si dipinge come “normale”: sono manie morbose e inconfessabili che trasformano e trascendono la comprensione umana.
È quello su cui hanno sempre sperimentato Hitchcock o Haynes, etichettabili come i portavoce – odierni e di ieri – di storie dai personaggi fragili e impuri, schiacciati dal peso della società e costretti a crearsi alter ego adatti.
Genovese & Co., ahimè, ci propongono un’apparenza di film impegnato, ma in realtà ne tengono basso il profilo sociale. Fast food, ma senza scivolare nel cibo spazzatura.
Non mancano riferimenti a una società che il caro Paolo descrive come corrotta e corruttibile, edificata su tette finte e omosessualità repressa, padri emancipati, internet, social network… e ovviamente immancabili tradimenti. Tradimenti in lungo e in largo. Ma attenzione: guardandone solo il lato peccaminoso; mai le ragioni, le sofferenze, i disagi, quelli no!
Affidandosi a facili cliché, scontati e bacchettoni, Genovese racconta una storia distante dai problemi reali di oggi, piena di preconcetti e scene già viste, confenzionata in una fotografia abbastanza scarna ma un montaggio perlomeno ritmato.

Non condivido il consenso generale che è stato dato a questa pellicola.
Non ne condivido né la forma, tantomeno il contenuto.
Non ne condivido la recitazione, teatrale e asciutta (forse salverei le performance di Battiston e della Rohrwacher in extremis).
Perfetti sconosciuti è esattamente come certi cibi industriali che hanno la pretesa di ricordarci la cucina casalinga. Li compriamo ugualmente, ma li consumiamo scordando che sono precotti e congelati, e che assomigliano a qualcosa di commestibile grazie a coloranti, esaltatori di sapidità e conservanti, per niente sani e dannosi in fondo.

52628Fabio Gregg Cambielli