Cari amici di GiovaniBarnabiti.it, eccomi con Alessandro D’Avenia, scrittore e uomo di teatro a parlare del suo spettacolo: L’arte d’essere fragili, tratto dall’omonimo libro.
Ciao Alessandro, tu sei uno scrittore e oggi si legge sempre di meno anche perché la pazienza è diminuita negli adulti e nei ragazzi, con quale coraggio e spirito scrive?
Io sono innanzitutto un insegnante, lo scrittore è forse una conseguenza o un completamento di questo mestiere perché mentre nel caso dei ragazzi ascolti persone, nel caso della scrittura ascolti personaggi. Sono due categorie molto delicate che chiedono di esistere un po’ di più.
Qual è il coraggio o la pazienza che ci vuole? Quella di avere un cuore a forma di grembo, in cui dare tempo, il proprio tempo, il proprio spazio, a questi personaggi e a queste persone. Chiaramente con una grossa diversità che nel caso dei personaggi la libertà è limitata, nelle persone ci vuole un rispetto sacrale di questa libertà, in cui mettersi al servizio ma quando appunto abbassi le difese e accogli come in un grembo queste vite, poi accade che queste vite possano, se voglioso, esistere un po’ di più.
Quale scintilla fa scattare la voglia di scrivere?
Mi piace la metafora del fuoco, proprio quando nella vita quotidiana si apre un varco, una ferita, qualcosa che obbliga, costringe a guardare dentro il mistero. Come se per un attimo il senso dell’esistenza che noi andiamo cercando in ogni nostra giornata si manifestasse in una maniera un po’ più piena. Allora si tratta di essere con le orecchie del cuore bene aperte e infilarsi in quella fessura, in quella crepa che si crea e guardarci dentro per sapere come va finire, non so come andranno a finire le storie che racconto, sono curioso di sapere come vanno a finire perché poi è quello che ho da scoprire attraverso quella stessa storia. Credo che ognuno di noi abbia in dono da Dio un alfabeto che è quello dei talenti che serve a dialogare con Lui. Quindi quando insegno o scrivo sostanzialmente entro dialogo con questo mistero.
Aprire il varco e far scattare crea una scintilla in te, ma farla scattare nei lettori non è forse il problema di oggi?
Se sei un cercatore onesto e autentico di verità non accade nulla nel lettore che non sia accaduto a te. Per cui se è il tuo mestiere è solo maniera, i lettori passeranno un buon momento nella lettura ma quella lettura non cambierà o non riconfigura il loro mondo interiore; se invece quello scrivere ha riconfigurato il mio mondo interiore altrettanto accade anche nel lettore. Diceva un poeta che a me piace molto, Giorgio Caproni, che lo scrittore non è diverso dagli altri, è colui che come tutti gli altri vuole scendere nell’abisso, è colui che si mette questa tuta da palombaro e affronta la paura dell’abisso e del buio e quando arriva in fondo trova tutti gli altri. E ha in più la capacità di raccontare l’immersione che ha fatto.
Incontrare gli altri! Nel tuo ultimo lavoro L’arte di essere fragili parli a Giacomo Leopardi adolescente, giovane per parlare ai giovani, partendo dal presupposto che i ragazzi di oggi hanno più bisogno di essere ascoltati, perché portatori di problematiche più gravi, più difficili rispetto al passato. Ma c’erano degli adolescenti nel passato?
Io credo che ogni periodo storico abbia la sua complessità, le sue battaglie, le sue sfide, ma l’uomo nella sua ricerca della verità, del bene, della bellezza rimane sempre lo stesso. Chiunque di noi vada al ristorante pretende un piatto buono, chiunque di noi cerchi un amico pretende un amico sincero, chiunque di noi si innamori si innamora attraverso la bellezza, non credo che questo sia cambiato. Leopardi perché lo racconto e non solo nella sua parte adolescenziale ma come tutto percorso di vita? Perché è uno che nonostante la fragilità della sua vita, guardata dall’esterno è una vita in cui a poco a poco gli è stato tolto quasi tutto, non ha rinunciato alla ricerca di queste tre cose. In particolare la bellezza e la verità che per tutto il tempo lui ha cercato di tenere insieme. Quindi questo è un viaggio che ci riguarda tutti. I giovani sono nell’età dell’apertura massima alla verità e alla bellezza, anche se gli è stato rubato, molto, tutto.
E riusciranno questi giovani ad accorgersi che gli stiamo rubando tutto?
Questo è il gioco della libertà, noi come loro, dobbiamo cercare di fare onestamente questa ricerca, poi sta accadendo per questo racconto teatrale, per questo libro, un po’ sorprendente che vengano mille ragazzi di sera a sentire un professore che parla di Leopardi. La cosa va aldilà delle mie capacità, quindi evidentemente c’è una vita interiore. I ragazzi poi quando sentono che c’è qualcosa che li riguarda, di cui hanno bisogno, accorrono.
Quando termini un libro, o uno spettacolo, cosa succede?
Ringrazio Dio di averlo portato a termine perché tutto quello di bello che c’è nella mia vita non è mio, ma viene dal fatto di essere stato educato in una famiglia che mi ha abituato a questo, a pensare agli altri, a loro devo tutto questo e poi sono stato fortunato perché ho avuto come insegnante di religione nella mia scuola padre Pino Puglisi che quando stavo al quarto anno è stato ucciso dalla mafia, allora lì mi sono detto va be ma tu adesso che fai? Che ci fai di questa vita? Di questo sangue? E li è cambiata la mia prospettiva, dal ristretto giro di cose che pensavo fosse la vita a un aprirsi anche rischiando ai propri sparuti, piccoli talenti.
Ci auguriamo che non sia sempre necessario dover arrivare a un’esperienza forte e drammatica come questa ma che anche attraverso le nostre parole ed i tuoi particolari si possono aiutare altri giovani a scoprire che hanno delle potenzialità, dei talenti, hanno delle opportunità che siano Leopardi o che siano semplici Giovanni, Marco, Gennaro credo che questo sia l’importante.
Se Leopardi non fosse stato convinto, nell’età che hanno questi ragazzi, di avere ricevuto una vocazione come poeta, non avremmo neanche una riga di questo ragazzo confinato alla periferia dello Stato Pontificio all’inizio dell’800. Ciò dimostra che ciascuno di noi anche se sembra che la vita gli tolga molto è qui perché è necessario alla grande polifonia del mondo.
Grazie Alessandro per questi dieci minuti prima del tuo spettacolo.
Grazie perché, dopo lo spettacolo, costatare che per i 100 minuti del tuo monologo non un beh o una mosca siano volati, non uno smartphone abbia suonato è stato la conferma che se sappiamo parlare alle coscienze dei giovani, anche essi sanno vivere il silenzio dell’ascolto e, sicuramente, del lasciarsi mettere in gioco.
Alla prossima, pJgiannic.