Oggi chiacchieriamo con Gabriele 24 anni di Busto Arsizio, magistrale in Chimica delle molecole biologiche a Firenze, si interessa di musica, pittura e teatro. Dove l’abbiamo conosciuto? Bla-bla car!

Ciao Gabriele, metteresti al mondo un figlio?
Si, penso che sia una grande opportunità di amore, probabilmente perché voglio molto bene alla mia famiglia, ai miei genitori e ai miei fratelli, penso che sarebbe bello, spero di incontrare qualcosa del genere sulla mia strada.

Cosa pensi del futuro?
Il futuro me lo immagino pieno di possibilità per l’umanità di crescere come specie, spero che le tecnologie saranno in grado di mostrarci una strada per essere più che umani, perché queste evolvono man a mano che aumenta la nostra comprensione della natura e mi auguro che in qualche modo questa conoscenza ci apra dei varchi verso una nuova consapevolezza.

Cosa significa crescere?
Penso che significhi esplorare i limiti, come i grandi navigatori del passato esploravano le coste e le disegnavano per creare delle mappe. Forse ci vuole la stessa prospettiva marinaia di allora, per immaginarci come continenti e percorrere le rive di quello che siamo. Quando incontriamo un amico a volte abbiamo scarse prospettive e non ci accorgiamo che quello che vediamo è solo una piccola parte del nostro amico e così allo stesso modo consideriamo noi stessi. Mi piace pensare gli uomini e la realtà in generale con questo approccio e forse crescere è la naturale conseguenza di questo risveglio. Nella pratica è necessario esercitare l’ascolto come una passione eccitante e prendersi cura delle persone che amiamo, perché sono quelle che ascoltiamo di più e spesso ci aiutano a crescere.

Pensi che gli adulti ti stiano lasciando un buon mondo?
La nostra generazione si porta addosso ancora molta rabbia e frustrazione, non si può trascurare la storia che abbiamo alle spalle, non siamo liberi dai suoi traumi, perché di generazione in generazione ci sono stati tramandati. Mi guardo intorno e cerco tra i miei coetanei persone che hanno voglia di parlare di ferite e guarigioni, persone che sanno ascoltare e sanno cogliere la bellezza di questo tipo di corrispondenze, perché io sento il bisogno di parlarne.

I tuoi studi interessi capacità avranno un futuro?
Mi piacciono così tante cose che certe volte vado in confusione, a volte ho paura che quando inizierò a lavorare non potrò più fare tutte le cose che amo, mi sento in trappola e penso di andare verso una condanna. Altre volte sono un po’ meno ansioso e penso che se mi piacciono tante cose forse una o due le potrò ancora farle dopo il lavoro, oppure sarà il lavoro a diventare una delle cose che amo. Io studio chimica e forse non vorrò fare il chimico per tutta la vita, però una volta laureato ci proverò! La parte più frustrante è che ancora non lo sono diventato e sono già passati cinque anni!

Credi in Dio?
Chissà cosa vuol dire credere in Dio, la domanda è molto difficile da circoscrivere, però diciamo che ci ho avuto a che fare, con Dio intendo, la nostra cultura mi ci ha fatto dialogare in qualche modo. Da bambino mi piaceva molto Dio, ora mi sta più simpatico Gesù, Dio mi sembra troppo complicato da definire. Qualche hanno fa ho provato a dare una seconda possibilità anche alla Chiesa, stavo con una ragazza cattolica e in qualche modo volevo capire, insomma per andare d’accordo, però penso di aver ritrovato una spiritualità vera e propria dopo questa esperienza, quando ci siamo lasciati. Non sono più tornato in chiesa ma ho letto i vangeli e ho cominciato la mia ricerca spirituale anche su fronti diversi. Io, per la mia esperienza di vita, mi sentivo un po’ malato e quindi la cosa più spontanea per me è stata quella di cercare di curare il mio spirito. Per ora non sono interessato ad altro che alla cura dell’animo che riconosco essere legato a doppio filo con gli altri e per questo mi prodigo a far si che ci sia solidarietà e raccoglimento nella mia piccola comunità di amici.

Cos’è il dolore per te?
Il dolore è così dettagliato… sento che cambia nel corso del tempo in modi imprevedibili. Parlarne non è facile però va detto che inevitabilmente il dolore ci parla. Diventa un insopportabile compagno di viaggio in certi momenti e a volte vorrei che sparisse, soprattutto quando sono con gli altri. Hannah Arendt suggerisce che “bisogna evitare di cascarsi addosso l’un l’altro e ricordarci quanto è forte in noi il bisogno di comunità”. Penso che il soggetto di questo “cascare” sia un peso morto, una carcassa di noi che lasciamo cadere con indifferenza verso ciò che ci circonda e questo penso che accada quando escludiamo il dolore dalla nostra vita, non accettiamo che si possa vivere con il dolore e pensiamo che il dolore non sia nostro, aspettiamo solo che se ne vada senza fare granché. Occuparsi del dolore è riconoscere che abbiamo bisogno di un amore speciale, vuol dire chiedere aiuto mettendo da parte il giudizio verso noi stessi, senza valutare se ce lo meritiamo o no, è sufficiente ricordarsi quali sono le persone che amiamo e chiedere, riconoscere un bisogno. A volte il momento peggiore è quando non riusciamo a ricordare come ci si sente ad amare o essere amati, ma quando ascoltiamo il dolore e lo misuriamo, riusciamo a capire che il dolore che abbiamo tra le mani richiede una lavorazione e un’attenzione da parte di chi sa costruirci e soprattutto da parte di quelle persone da cui ci lasciamo cambiare.

Grazie Gabriele per le tue parole belle e profonde che ci fanno sperare e auguri per i tuoi progetti “cinematografici” di cui vorremmo discutere prossimamente. ps.: l’immagine a inizio testo è un’opera di Gabriele