Il primo gesto politico avvenuto nel mondo dello sport può essere quello delle Olimpiadi del ’68, quando Smith e Carlos, una volta ricevute le relative medaglie, ascoltarono l’inno nazionale sollevando un pugno chiuso ricoperto da un guanto. Questo gesto esprimeva solidarietà nei confronti delle Black Panthers, organizzazione che lottava per porre fine alla discriminazione degli afroamericani. Tale posa è stata ripresa in tempi moderni da Hamilton, pluricampione di Formula 1, per combattere il razzismo in America e nel mondo.
Purtroppo, però, almeno per quello che posso vedere in Italia, si sta strumentalizzando troppo la questione, la quale non può essere definita soltanto come un qualcosa a due colori, bensì di mille sfumature. Nel compiere un gesto politicamente forte, la persona deve crederci e porre degli ideali in essere. Non basta farlo. Moltissime persone non compiono i gesti proprio perché non credono sia la strada giusta per combattere il razzismo. Quindi non sentono una motivazione valida. Non è vero che se una persona non si fa fotografare mentre combatte le disuguaglianze allora è una persona razzista. Non sono azioni complementari. Ne sa qualcosa il ferrarista Leclerc, pilota molto presente in campagne solidali, che ha dovuto rispondere in maniera molto forte, attraverso i suoi canali social, alle accuse di chi lo ha criticato per non essersi inginocchiato prima dei Gran Premi. Per il pilota monegasco, infatti, “contano maggiormente i fatti e i comportamenti delle persone nella vita piuttosto che i gesti formali che potrebbero essere giudicati controversi in alcuni Paesi”.
Una situazione simile si è verificata durante gli indimenticabili Europei di calcio del 2020: alcune squadre si sono volute inginocchiare in solidarietà al movimento BLM mentre altre no. Questo contesto ha visto l’Italia come protagonista assoluta in quanto, durante la partita contro il Galles, metà squadra era rimasta in piedi mentre l’altra era inginocchiata. Ho visto persone criticare e insultare duramente i giocatori, la squadra e i dirigenti. Fino a prova contraria, però, esiste l’articolo 21 della Costituzione che dà diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. Pertanto, se una persona non dovesse essere d’accordo relativamente a un gesto o una parola, non vedo perché dovrebbe emularlo, cadendo poi nella banalità. Penso, inoltre, che l’Italia nella decisione presa contro il Galles si sia dimostrata un Paese democratico, come affermato nella Costituzione, in cui ognuno può sentirsi libero di esprimere la propria opinione. Obbligare tutti allo stesso tipo di comportamento in nome di uno spirito di squadra mi sembra assurdo. I calciatori sono persone normali, possono essere amici anche avendo opinioni e modi di dimostrarle differenti.
Ripeto, bisogna avere rispetto nei confronti delle persone perché un gesto formale non implica che la persona che lo compie è razzista o meno. Inoltre, bisogna anche essere onesti con sé stessi quando si prendono queste iniziative. Durante il quarto di finale Italia-Belgio, il calciatore Spinazzola si è rotto il tendine d’Achille ed è uscito piangente in barella. Nessun giocatore belga, che qualche ora prima si era inginocchiato in senso di rispetto verso il prossimo, si è avvicinato per chiedergli come stesse, non uno ha bloccato il lancio di oggetti dagli spalti verso di lui, non uno ha avuto un qualsiasi moto di compassione. A questo punto mi viene da pensare, come dice Leonardo Tondelli nel suo blog, che veramente c’è il rischio di non sapere perché ci si inginocchia. Mi viene da dire che molti si inginocchiano e si inginocchieranno per conformarsi alla massa e aderire ad una scelta politica che però, nei fatti reali, è abbastanza sterile. Come si può sostenere la causa di milioni di persone sconosciute se non si riesce a rispettare nemmeno chi è a due metri da te? Penso, inoltre, che l’Italia nella decisione presa contro il Galles si sia dimostrata una Nazione democratica in cui ognuno può sentirsi libero di esprimere la propria opinione. Obbligare tutti allo stesso tipo di comportamento in nome di uno spirito di squadra mi sembra assurdo. I calciatori sono persone normali, possono essere amici anche avendo opinioni e modi di dimostrarle differenti.
Detto ciò, non voglio essere frainteso, ma soltanto esprimere la mia opinione dopo tutto quello che ho visto. Vorrei soltanto che le persone che compiono questi gesti fossero consapevoli di ciò che fanno. E non che lo facciano soltanto per “farsi vedere”. Lo stesso vale per le proteste sportive nei confronti delle donne. Credo abbia poco valore dipingersi la faccia, se poi non si fa nulla di concreto per difendere le donne da molestie sessuali o altre discriminazioni. Credo, infine, che per combattere al meglio le disuguaglianze bisogni infliggere delle dure punizioni all’istante e non dopo aver aspettato metà campionato; soprattutto al giorno d’oggi con una tecnologia avanzata e i biglietti nominativi.
Marco C., Milano
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