“Uno splendido fiore sbocciato in mezzo al deserto”: con queste famose parole Jacob
Burckhardt definì il Rinascimento italiano, consegnando ai posteri l’immagine di un’epoca
felice, illuminata, idealmente contrapposta alle tenebre e all’ignoranza del Medioevo. Se è
vero che tale lettura appare ormai superata agli occhi di qualsiasi storico moderno, a distanza
di quasi centocinquant’anni dalla pubblicazione del saggio di Burckhardt il mito del
Rinascimento fiorentino continua a godere di ottima salute nella coscienza collettiva e nelle
stesse istituzioni europee, almeno a sentire le parole di Ursola Von Der Leyen. L’attuale
presidente della Commissione ha infatti recentemente dichiarato che, con l’approvazione del
Recovery Plan, l’Unione si attende di rilanciare l’economia del continente, dando vita a un
nuovo “Rinascimento europeo”.
Eppure, proprio sulla portata di questa “Rinascita” è opportuno fermarsi a riflettere,
prendendo spunto dal lavoro di un altro storico europeo, Johan Huizinga, che del
rinascimento italiano fornì un’interpretazione molto diversa da quella di Burkhardt. Nella sua
opera più famosa, “L’Autunno del Medioevo”, egli dimostrò infatti come Il Rinascimento
fiorentino avesse interessato una ristretta fascia della popolazione, un’élite colta e raffinata,
composta da aristocratici che vedevano nell’arte e nella cultura lo strumento per evadere da
un mondo e da una società povera e ignorante, che disprezzavano nel profondo. Di fronte agli
stenti della vita, in altre parole, la corte rinascimentale avrebbe rappresentato un giardino
protetto, un eden in cui i nobili potevano rinchiudersi, lontani dalle fatiche e dalle sofferenze
della popolazione.
Lasciando stare per un momento la polemica sovranista contro il progetto europeo, appare
evidente come il rilancio dell’Unione debba necessariamente passare da una politica capace
di supportare quella parte della popolazione europea più povera e vulnerabile, che appare
oggi ancora indifferente all’ideale europeo. Questa fascia della popolazione, indebolita dalla
crisi, rischia di sentirsi estromessa dalla politica comunitaria e di vedere nelle Istituzioni
europee una riproposizione di quelle coorti rinascimentali tanto raffinate quanto lontane e
disinteressate dalla vita comune. Affinché ciò non avvenga, la presidente della commissione
europea è chiamata a far tesoro della lezione di Huizinga, assicurandosi, con l’investimento
dei soldi del Recovery Fund, di lanciare un rinascimento europeo che, almeno questa volta,
non sia appannaggio di pochi, ma che sappia avvicinare l’intera popolazione alla politica
attiva. Diversamente, al pari delle corti italiane cinquecentesche, l’aula di Bruxelles rischia di
rimanere una pericolosa cattedrale nel deserto.
Andrea Bianchini, Milano