Da diversi mesi le cronache sono affollate di drammatiche notizie dell’Iran e del suo popolo, alle prese con una vastissima ondata di proteste. Una vera e propria rivoluzione che abbiamo provato a raccontare con l’aiuto di un occhio esperto, conoscitore consapevole delle dinamiche di quella parte di mondo.
Vida Diba è una donna iraniana, residente in Italia da più di 10 anni. Oggi è product manager presso la società Wrad, un brand di design e moda sostenibile. Vida ci racconta che venire in Italia è sempre stato il suo sogno sin da bambina. Un sogno che realizza con impegno, programmandolo passo dopo passo: gli studi in Iran, fino alla laurea, poi il trasferimento in Italia.
«Cosa ti ha spinto fin da piccola a desiderare un altro posto dove vivere?»
«Diversi motivi. Vivevo una situazione di disagio: non vivevo bene in Iran, non c’era un bel clima, mi sentivo come se fossi una persona di troppo. Mi veniva detto che dovevo andarmene, che se qualcosa non mi andava bene, avrei fatto meglio ad andar via dal mio paese. Mi sentivo diversa rispetto a molti altri: volevo essere libera, volevo uscire, avere un ragazzo, poter lavorare anche con i ragazzi, tutte cose normali che in Iran vengono viste come strane, sbagliate. Per ogni limite che mi veniva imposto, sentivo il desiderio di oltrepassarlo. Ogni volta che mi dicevano ciò che le donne devono e non devono fare, io sentivo la voglia di fare tutto ciò che mi era proibito. Ho sempre cercato di dire quello che pensavo, ma dovevo spesso dire bugie perché non sempre si può dire la verità. Non puoi dire “io sono”, devi dire “io devo essere”».
Nel 2009, nel periodo delle proteste del movimento Verde in Iran, Vida scende in piazza a manifestare. «Volevo far sentire la mia voce, ma sono stata picchiata e fermata diverse volte dalla polizia morale. Una volta – racconta-, mentre ero in taxi con mio fratello, ci hanno fermati e interrogati per il modo in cui eravamo vestiti. In quegli anni ho capito che non potevo più vivere lì, che dovevo andare via. Mi sentivo chiusa in gabbia, non mi sentivo tratta come una persona. Così ho deciso di venire in Italia».
In Italia Vida si è subito sentita a casa: «era il paradiso dove volevo vivere».Da quando è arrivata non ha mai parlato dell’Iran. «Avevo paura per me e per la mia famiglia; mi chiedevo perché proprio io avrei dovuto parlare e raccontare ciò che accadeva».
Con l’arresto e l’uccisione della giovane Masha Amini, il 13 settembre 2022, in Vida è cambiato qualcosa. Lei stessa racconta che quell’episodio è stato come un’esplosione, una prorompente necessità di raccontare la verità. «Di colpo volevo parlare, volevo avere anche io il coraggio di queste donne ed essere al loro fianco nelle loro proteste», dice.
«Cosa hai deciso di fare quindi?»
«Ho iniziato ad andare in giro, in scuole e università. Ho cercato di utilizzare al meglio il mio lavoro per sensibilizzare l’opinione pubblica su queste tematiche. Da quattro anni lavoro con Wrad e in tutto questo tempo ho sempre parlato di sostenibilità ambientale nel mondo della moda. Ora è giunto il momento di iniziare a parlare anche dell’Iran, portando avanti diversi progetti.
Collaborando con il gruppo di Fashion Revolution Iran, ad esempio, abbiamo notato che in Iran centinaia di migliaia di artisti e artigiani hanno smesso di lavorare. In questo modo riescono ad essere accanto ai manifestanti, seppur non in piazza, e non alimentano economicamente il regime iraniano. Grazie all’aiuto di Vogue Italia, abbiamo deciso di agire con una call to action: chiediamo a tutti gli artisti italiani e europei di mandarci un’opera d’arte che racconti la sofferenza e la tragedia di quanto sta accadendo, ma anche la bellezza di queste persone e di questo popolo in lotta, che cerca di cambiare le cose. Il loro è un grido universale di libertà, il loro motto “Donna, vita e libertà” è rivolto a tutte le persone nel mondo. E sono proprio queste le parole che abbiamo scelto come filo conduttore per le opere che chiediamo di inviarci: tra quelle che riceveremo, ne sceglieremo venti che saranno esposte in mostra a Milano, per raccogliere fondi e aiutare gli artisti in Iran».
«Cosa ne pensi di quanto accaduto fino a questo momento nel tuo paese? Credi che la strada percorrere sia ancora molto lunga?»
«Non possiamo fermarci! Tante cose sono cambiate, molti politici occidentali si stanno confrontando con l’opposizione politica ancora presente in Iran. Le persone devono capire che una rivoluzione di questa portata richiede tempo: vorremmo che le cose accadessero velocemente, ma niente può accadere con tale rapidità».
«Quale è la situazione per le donne in Iran, e perché c’è tutto questo accanimento nei loro confronti?»
«Il tasso di alfabetizzazione delle donne in Iran è molto alto, oltre il 97%; tra queste la maggior parte, circa il 70%, sono laureate in materie STEM: scienza, tecnologia, ingegneria e matematica! Sono donne consapevoli, intelligenti, conoscono il mondo che le circonda. Pertanto si chiedono perché non possano avere la stessa libertà degli altri. Se lo chiedono e non trovano vere risposte, e quindi combattono per ottenere i loro diritti.
Per questo fanno paura a un governo che conosce bene il loro potenziale: se una donna ha potere, l’avranno anche i suoi figli, mentre se una donna è ignorante, lo saranno anche i figli. Ecco perché hanno paura delle madri e non dei padri. Sono queste la molla per moltissimi altri cambiamenti sociali.
Tutte le donne intelligenti vengono imprigionate appena iniziano a parlare e a esprimere ciò che pensano, come accaduto in passato a Shirin Ebadi, vincitrice del premio Nobel per la pace».
Vida riflette ad alta voce su quanto che sta accadendo di recente con gli avvelenamenti seriali nelle scuole femminili: «decine di bambine vengono avvelenate. Questo governo ha paura di bambine di sette anni perché ha paura della bellezza, della felicità, perché è un regime del terrore. Questa rivoluzione – conclude – non riguarda il velo, che resta comunque soltanto un simbolo. Questa – dice – è una rivoluzione che riguarda tutti: gli uomini e le donne, l’ecosistema, gli animali, gli esseri viventi in generale verso i quali non c’è alcuna pietà. È al contempo una rivoluzione economica, le persone non hanno il cibo e vivono in povertà. Non possiamo più permetterlo. Dunque, perché non cambiare proprio ora».
Giulia Centauro