I Giochi Olimpici di Parigi 2024 si sono conclusi qualche giorno fa, pronti per lasciare spazio alle Paralimpiadi, al via il 28 agosto. Tanti saranno i momenti da ricordare di questa edizione olimpica, dalle grandiose imprese sportive delle atlete e degli atleti in gara, alle polemiche più o meno strumentali che hanno accompagnato giorno per giorno lo svolgimento delle competizioni, proprio a ricordarci che, neanche di fronte alle Olimpiadi, l’evento universale per eccellenza, riusciamo ad abbandonare le nostre fiere convinzioni e le bandiere ideologiche.
Eppure, in questo marasma di eventi mediatici, un fatto è passato piuttosto in sordina rispetto alle notizie che più hanno suscitato clamore e dibattito in queste giornate parigine.
Mi riferisco a quello che ai più, sarà parso come un normalissimo selfie scattato dopo la finale del torneo di Ping Pong a squadre miste, vinto dalla squadra Cinese. In effetti, parrebbe non esserci niente di strano nella simpatica foto, scattata come stabilito dal Comitato Olimpico Francese, per celebrare con leggerezza e simpatia, le brillanti prestazioni degli atleti medagliati nelle varie discipline. Eppure, a ben guardare, qualcosa di particolare c’è. Sul gradino più alto del podio, come detto, la coppia cinese composta da Wang Chuqin e Sun Yingsha; a vincere l’argento, due atleti Nord Coreani, Ri Jong Sik e Kim Kum Yong. Già questa sarebbe di per sé una notizia, data l’assenza della Corea del Nord alle ultime olimpiadi, svoltesi a Tokio nel 2021, a causa della necessità di “proteggere gli atleti dalla crisi sanitaria mondiale causata dalla COVID-19” secondo le dichiarazioni ufficiali del governo Nord Coreano, e, soprattutto, per la totale chiusura del Paese asiatico che, da ormai 76 anni, vive sotto la stretta morsa di una delle più feroci dittature ancora esistenti, totalmente isolato dal resto del mondo. Ad alimentare ancora di più il clamore, però, è la nazionalità degli atleti saliti sul terzo gradino del podio: Lim Jonghoon e Shin Yubin sono infatti due atleti Sud Coreani, paese storico nemico della Corea del Nord fin dallo scoppio della Guerra di Corea nel 1950. Da allora, i rapporti fra i due paesi sono assolutamente inesistenti e il confine fra le due Coree, il celebre 38° Parallelo, è uno dei confini più militarizzati e pericolosi del mondo.
Si tratta, quindi, di un’immagine storica, non solo, e forse non tanto, per la valenza sportiva del risultato ottenuto dagli atleti, quanto, soprattutto, per la sua valenza simbolica e, in parte politica. Ping Pong Diplomacy, potrebbe pensare qualcuno, rievocando termini di Nixoniana memoria, forse esageratamente. La foto scattata, infatti, potrebbe non avere alcuna valenza all’atto pratico, né rappresentare alcun tipo di cambiamento nelle politiche dittatoriali attuate in patria dal leader Nord Coreano Kim Jong Un. Come hanno sottolineato analisti e commentatori, infatti, niente nel comportamento dei due atleti Nord Coreani ha fatto intuire una graduale apertura: dei due non si sa praticamente niente, non hanno partecipato a competizioni internazionali, numerosi dubbi sono sorti sul dove si allenino e dove effettivamente vivano e nel corso dei giochi sono sempre parsi schivi e riservati, senza mai rilasciare alcun tipo di intervista.
Forse non sarà l’inizio di una nuova era per la Corea del Nord né di un radicale cambiamento nei rapporti di quest’ultima con il resto del mondo. Sicuramente però, in un’Olimpiade segnata da continue polemiche, proteste e divisioni, in cui la competizione sportiva ha spesso lasciato il posto a tensioni di entità molto più politica, da questo selfie dal podio del torneo di Ping Pong misto arriva una delle pagine più belle, e sicuramente inaspettate, di questi Giochi Olimpici, capace di realizzare, almeno per il tempo di un clic, quella famosa tregua olimpica spesso invocata ma mai realmente attuata.
Giulia C. – Amsterdam
Month: Agosto 2024
Basket meraviglia del Sud Sudan!
Il Sudan del Sud è uno degli Stati più giovani e più turbolenti del mondo: il processo per la secessione e l’indipendenza dal Sudan è terminato solamente nel 2011, poi dal 2013 al 2020 c’è stata una violentissima guerra civile con i (quasi) omonimi del Nord, che ha provocato 400mila morti, secondo stime non confermate, e ha determinato la fuga di quattro milioni di profughi. Ancora oggi tra i due Paesi persistono diatribe riguardanti in particolare il petrolio, di cui il Paese è molto ricco. Anche una volta ottenuta l’indipendenza, la storia di un Paese grande il doppio dell’Italia non è stata semplice: nel 2013 è scoppiato un sanguinoso conflitto etnico tra le forze governative del presidente Kiir, di etnia Dinka, la più numerosa del Paese, e quelle fedeli all’ex vicepresidente Machar, di etnia Nuer. Solo nel febbraio 2020 è stato finalmente dato seguito all’accordo di pace del 2018, con la redazione di una nuova Costituzione e di un governo di unità nazionale che porterà il Paese a nuove elezioni, fissate il prossimo dicembre.
In un contesto del genere, era molto difficile che potesse fiorire un movimento sportivo anche solo lontanamente competitivo. Invece nel 2011 avviene la prima storica qualificazione di questo giovane Paese ad AfroBasket 2021 e successivamente l’approdo ai Mondiali 2023 a Manila, nelle Filippine, ma soprattutto l’impresa olimpica. Questa squadra però ha rischiato di non partecipare ai Giochi poiché, nel torneo africano di qualificazione, tutti i componenti avevano contratto il Covid trovandosi costretti a ritirarsi. Ripescata per un pelo dopo il ritiro dell’Algeria, la nazionale del Sud Sudan ha poi partecipato ai Campionati Mondiali dove, battendo l’Angola, ha conquistato di diritto il pass olimpico. Un lieto fine degno di una favola, la realizzazione di un sogno del “Paese che molta gente nemmeno sa che esiste”, come ha detto il giocatore Wenyen Gabriel. Poiché nel Paese non c’era nemmeno un palazzetto, la selezione sudsudanese, è stata costretta a effettuare un ritiro pre-Giochi in Ruanda, in attesa del completamento del palazzetto al coperto finanziato dal presidente della Federazione Luol Deng, che sogna di costruirne anche altri.
Domenica 28 agosto, Palazzetto Pierre Mauroy di Lille, esordio nel torneo olimpico di basket contro Porto Rico: i cestisti del Sud Sudan, alla loro prima partecipazione, si dispongono per il momento degli inni nazionali, mano sul petto, mentre partono le note dell’inno del Sudan, scelto per celebrare l’indipendenza del Sudan dal controllo coloniale inglese. Chiaramente è l’inno sbagliato: quello del Sudan del Sud, che si è reso indipendente da Khartoum appena tredici anni fa dopo una faticosa guerra civile e un referendum, è invece un altro, “South Sudan Oyee”, che tradotto in italiano significa “Evviva il Sudan del Sud”. Superato il momento di imbarazzo, compreso dal pubblico presente che li ha lungamente applauditi, la Nazionale guidata dal c.t. Royal Ivey ha superato per 90-79 la nazionale centroamericana, con il playmaker Carlik Jones autore di 19 punti, 7 rimbalzi e 6 assist. Purtroppo, però la selezione sudsanese perderà le ultime due partite della fase a gironi, rispettivamente contro Team USA delle superstar LeBron James, Stephen Curry e Kevin Durant (103-86) e contro la Serbia di Nikola Jokic (96-85). Quest’ultima sconfitta ha infatti spento il sogno del Sud Sudan di centrare una storica qualificazione ai quarti di finale. Infatti, gli africani si sarebbero qualificati con una vittoria o anche con un ko di uno o due punti. Ma un plauso va sicuramente all’impegno e al cuore del Sud Sudan, che anche sul -17 non si sono mai arresi arrivando anche sul -7, salvo poi però subire di nuovo il vantaggio serbo e la sconfitta finale per 96-85.
Ma come fa uno dei Paesi più poveri al mondo, con un Pil pro capite di 230 dollari, con un indice di sviluppo umano (ISU) tra i più bassi (il 94% della popolazione vive nei villaggi), colpito dalla crisi economica, dalle minacce ambientali (il Sudan del Sud è considerato tra i cinque Paesi al mondo più vulnerabili ai cambiamenti climatici) e senza un palazzetto per gli allenamenti ad avere una Nazionale di pallacanestro tanto importante da arrivare alle Olimpiadi, dove il posto per le selezioni africane è solo uno? Buona parte del merito si deve al seguito generato dalla grande carriera di Manute Bol, una delle prime stelle africane della NBA: cresciuto in un villaggio Dinka, inizialmente lavorava come pastore. Poi è stato notato da un osservatore per la sua altezza sbalorditiva (231 cm) e si è trasferito negli Stati Uniti, dove ha giocato con Washington, Golden State, Philadelphia e Miami a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90. Prima di arrivare negli Usa, mentre era al Cairo in attesa di ricevere il visto, Bol ha fondato una scuola di basket in cui è stato uno dei primi maestri di Luol Deng, sud sudanese con cittadinanza britannica e stella NBA tra il 2014 e il 2019 con numerose squadre, tra cui Miami, Chicago, Minnesota, Cleveland, e i Los Angeles Lakers.
Ma sicuramente gran parte del merito per aver creato questa nazionale va attribuito proprio allo stesso Luol Deng, che nel 2019 ha accettato la richiesta d’aiuto del governo sudsudanese per gestire il programma di basket ed è diventato presidente della Federazione, proprio lui che dal Sudan del Sud era scappato nel 1990.
Inoltre, il due volte all-star NBA a Juba, capitale del Paese, ha aperto una Deng Academy per ispirare i giovani. In realtà, però, non è stato e non è solo il presidente federale e l’uomo-simbolo del movimento: ha convinto giocatori di altre nazionalità a rendersi eleggibili per la Nazionale sudsudanese, ha finanziato di tasca propria hotel, palestre e biglietti aerei, non avendo dormitori o strutture per allenarsi; a un certo punto ha persino accettato di diventare capo-allenatore pur non avendo alcuna esperienza in questo ruolo.
Impensabile che fino a poco fa questa nazionale che non aveva neppure un palazzetto al coperto adesso è pronto a scrivere la storia ai giochi olimpici. «Un anno fa ci allenavamo all’aperto con le aquile che ci sorvolavano minacciosamente. I campi erano allagati. Al coperto non ce ne sono», ha raccontato il c.t. Ivey.
Per questo giovane Paese però il basket è la seconda disciplina olimpica dopo l’esordio ai Giochi Olimpici di Rio 2016 nell’atletica leggera. Questo evidenzia l’enorme passione e amore dei sudsudanesi verso il proprio Paese; un amore che è stato tale da portare la gente a riversarsi in massa per le strade al loro arrivo a Juba dopo la Coppa del Mondo e oggi a seguire in diretta le partite.
Insomma, è stato il vero e proprio artefice di questo impensabile traguardo e un vero e proprio esempio positivo, come quello che intende trasmettere al mondo. Infatti, lo ha sottolineato proprio lui stesso con queste parole: «Vogliamo che la gente conosca la nostra storia, che c’è un giovane Paese che va nella direzione giusta. Vogliamo essere conosciuti come esempio positivo. Questa è la nostra presentazione al mondo».
Nel roster delle Bright Stars (così chiamati i giocatori della nazionale) le etnie Dinke e Nuer convivono pacificamente, ci sono cestisti come Carlik Jones, nato in Ohio, oppure come la guardia Marial Shayok, nato in Canada. Ci sono poi anche coloro che sono scappati dall’Africa quando erano ancora bambini, come nel caso della guardia Peter Jok, che perse suo padre, generale dell’Esercito Popolare di Liberazione del Sudan, e suo nonno, durante la seconda guerra civile sudanese (1983-2005), ed è poi emigrato negli Stati Uniti. Oppure, come l’ala Nuni Omot, nato in un campo profughi in Kenya da genitori che stavano scappando dalla guerra in Etiopia nel 1994. O addirittura come Khaman Maluach, neppure diciottenne, 218 cm di altezza, cresciuto in un campo profughi in Uganda con ciò che resta della sua famiglia devastata dalla guerra.
Impensabile che fino a poco fa questa nazionale non aveva neppure un palazzetto al coperto e adesso è pronto a scrivere la storia ai giochi olimpici. «Un anno fa ci allenavamo all’aperto con le aquile che ci sorvolavano minacciosamente. I campi erano allagati. Al coperto non ce ne sono», ha raccontato il c.t. Ivey.
Per questo giovane Paese però il basket è la seconda disciplina olimpica dopo l’esordio ai Giochi Olimpici di Rio 2016 nell’atletica leggera. Questo evidenzia l’enorme passione e amore dei sudsudanesi verso il proprio Paese; un amore che è stato tale da portare la gente a riversarsi in massa per le strade al loro arrivo a Juba dopo la Coppa del Mondo e oggi a seguire in diretta le partite.
Forse dovremmo imparare di più da queste storie, da questa Africa di cui spesso abbiamo solo pregiudizi.
Manuele L. – Firenze
COP 30 una lettura critica di Laudato sì
In vista della partenza (oramai avvenuta) dei nostri giovani volontari per la missione dei Barnabiti a Belem, in Brasile, e in preparazione alla COP 30, uno dei principali forum di incontro a livello internazionale per discutere di clima e cambiamento climatico, che si terrà nel 2025 proprio a Belem, come Blog dei Giovani Barnabiti abbiamo deciso di dare il nostro contributo scrivendo alcuni articoli su questo tema.
In particolare, mi occuperò di redigere una breve sintesi e analisi di uno dei testi di riferimento principali per noi cristiani riguardo l’ecologia e la questione ambientale: l’enciclica di Papa Francesco “Laudato Sì”, pubblicata nel 2015, che affronta il tema dei rapporti dei cristiani con il creato, con un particolare focus sul dramma del cambiamento climatico e della necessità di pendersi cura dell’ambiente e delle persone che lo abitano.
Il nome “Laudato Sì” deriva dal celebre Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi, datato attorno al 1224, opera di fondamentale importanza non solo per la sua valenza artistica e per il profondo contenuto religioso, ma anche perché considerato il testo poetico più antico della letteratura italiana di cui si conosca con certezza l’autore.
«(…) San Francesco d’Assisi (…) ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella con la quale condividiamo l’esistenza e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia», scrive Papa Francesco nelle righe introduttive dell’enciclica. Tuttavia, nonostante la Terra sia per tutti noi come una madre benevola e accogliente e una sorella premurosa, con la nostra noncuranza e cattiveria la stiamo rovinando, consumando, abusando dei beni che Dio ha posto in lei. La brutalità e la violenza del cuore umano trovano manifestazione nei sintomi di malattia che quotidianamente vediamo nella Terra che abitiamo.
L’obiettivo dell’enciclica di Papa Francesco, quindi, è porre l’attenzione su una tematica che, come esseri umani e come cristiani, dovrebbe essere di primaria importanza, unendoci con forza nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, che passi attraverso un nuovo modo di leggere il problema, una nuova consapevolezza diffusa nuove forme di educazione e presa di coscienza, ma anche forme di azione attiva da parte dei potenti della terra, nella ricerca non solo di nuovi soluzioni tecniche ma di una nuova solidarietà universale.
L’opera è divisa in diverse parti, in modo tale da fornire uno sguardo molteplice sulla questione: il primo capitolo offre un’analisi di “Quello che sta accadendo alla nostra casa”, descrivendo una serie di effetti, da un punto di vista scientifico seppur dal taglio estremamente divulgativo, grazie all’esposizione di risultati di studi e ricerche a testimonianza non solo dei danni materiali e ambientali che il comportamento umano sta causando alla Terra, ma anche sociali, con l’aumento di povertà e diseguaglianze a livello globale e la degradazione della qualità della vita di ampie fasce di popolazione. La seconda parte offre un’analisi dei testi biblici e religiosi, filosofici e letterari, nei quali sia affrontato il tema del rapporto con il creato. La terza parte dell’opera affronta il tema delle cause antropologiche della crisi climatica, identificando direttamente i colpevoli e le modalità di azione umana che portano al deterioramento dell’ambiente e degli ecosistemi. Nella quarta e quinta parte vengono proposte soluzioni per frenare il collasso ambientale a verso cui stiamo andando incontro, che partano da un radicale ripensamento della nostra condizione di abitanti della Terra, passando da forme di ecologia ambientale economica e sociale fino ad arrivare a quella che viene definita ecologia culturale. Viene sottolineata la necessità di portare avanti con forza il dialogo sull’ambiente nei forum e nei dibattiti internazionali, di cui la Cop 30 che si svolgerà a Belem rappresenta una delle tappe fondamentali, ma anche l’importanza di azioni locali e nazionali, ed infine riflettendo sull’importanza del dialogo fra religione e scienza. L’ultimo pensiero di Papa Francesco, infine, è rivolto all’importanza dell’educazione, spirituale e non solo, dei giovani e delle future generazioni, tesa al raggiungimento di una conversione ecologica come preludio di gioia e pace per l’umanità.
Giulia C. – Firenze / Amsterdam
ENVIRONMENT OF RWANDA
For the the overshooting day (it was yeserday) we offer you this article from Rwanda
Introduction:
Ecology is defined as the scientific study of the distribution and abundance of organisms, the interaction between organisms and their environment.
The environment is the totality of nature and natural resources, but also includes the cultural heritage and the infrastructure constructed by humans to facilitate socio-economic activities. The natural resources include land/soil, water, forests and vegetation cover, livestock, fish and other wildlife; the minerals under the land and the air which envelopes the earth’s surface; and human beings.
Rwanda is endowed by resources in the environment largely determine the nature and amount of exploitation and utilization of resources. Perception has changed through various stages of human history and with advancement of knowledge about the earth and its resources. The thinking of most people and cultures largely influences the way they treat their environment.
Why do Rwandans overexploit the resources?
Continued human population growth has led to unsustainable rates of consumption of our natural resources, resulting in a loss of Earth’s biodiversity. The main factors driving biodiversity loss include habitat destruction, climate change, invasive species, overexploitation, and pollution.
• High Population
• Unemployment (white-colour job)
• Ignorance on reuse
• Laxity in law enforcement (applicazione)
• Poor agricultural practice e.g. large herds of cattle (mandrie bestiame)
• Cultural factors e.g., keeping of large livestock
• Economic factors e.g., wealth – people tend to exploit to get wealth
Roles of youth with Rwandan government on the conservation of environment
A. The forest resources
A forest is a part of ecosystem in which vegetation plays a major role in biogeochemical cycles.
Rwanda has major forest that support life system of wildlife and support rainfall which are Nyungwe in south-west of Rwanda, Gishwati and Mukura in west part of Rwanda as well as Virunga forest in north part.
Functions of forest
✓ Forests are habitat of various organisms
✓ Global recycling of water and oxygen and carbon (chemical part) & absorbs carbon which depletes ozone layer
✓ Plants releases oxygen for animal survival
✓ Holds soil particles together (roots) reducing erosion
✓ Provide wood/ timber for construction
✓ Source of income
✓ Forest provide raw materials (industrial development) (crudo)
✓ Medicinal purposes
✓ Water catchment area (water shed conservation) (raccolta acqua)
✓ Ecotourism (tourist attraction)
✓ Source of fuel
Threats faced forest in Rwanda and impacts
Rwandans are carrying different activities that lead to elimination of trees cover the place such as deforestation, road construction, construction of their houses and cattle keeping.
Removal of trees from a place can cause swift erosion, a shift in a surviving land species, a different pattern of terrestrial wild life and changes in the life of a stream through silt deposition. They can lead to climate change.
Forest management strategies
• Rwandans are encouraged to increase the place covered by forest through ‘ITORERO RY’IGIHUGU PROGRAM’ aimed to teach youth from secondary schools Rwandan values include preservation of forest.
• Sustained yield- this means that the number of trees harvested should not exceed the number replaced by new growth. It also emphasis harvesting in a manner that will minimize soil erosion and therefore enhances the ability of the forest to regenerate
• Fire suppression or use of controlled burns
• Selective harvesting or clear cutting
• Encouraging zero grazing
B. Water management
In Rwanda water supply plays crucial role for the economic and social purpose. The government have been established measures to deal with water issues.
Threats faced by water in Rwanda:
• Industrial and domestic waste
• There is a growing demand for water as population increase. Consequently, there has been much exploitation of underground water.
• Modernization in agriculture, use of fertilizer affect aquatic animal’s life.
Opportunities to reduce wastage of water
• Improve irrigation and domestic distribution system to reduce linkage and evaporative processes.
• ‘Supply on demand” strategy e.g., by use of metering and realistic pricing
• Reduce demand for instance, the use of smaller toilet cisterns, more efficient irrigation, etc.
• Repairing linkage water pipes.
• Cautious water transfer from surplus areas to shortage areas.
• Cautious storage in dams, reservoirs and tanks to keep rain water.
C. Soil resource
Soil is a natural body of animal, mineral and organic constituents differentiated into horizon of variable depth which differ from material below in morphology, physical make up, chemical properties of composition and biological characteristics.
How soil loss fertility?
✓ Leaching and Erosion (wind erosion water erosion)
✓ Human activities e.g. mono-cropping, deforestation, overgrazing, burning of land, poor farming
✓ Poor drainage poor
✓ High population
✓ Natural occurrence or hazard e.g. flooding
Conservation of soil resource.
Youth people are encouraged to have great attention on natural resources through especially schooling with their participation in
• Participation of youth from rural places in making terraces
• Zero-grazing business adopted by cattle keepers
• Modern methods of practicing agriculture among young people who involve in agro-business
• Youth are getting different ways of controlling population growth which increase overuse of land and land conflict.
D. Wild life resources
Examples of protected areas in Rwanda
Volcanoes National Park is a national park in northwestern Rwanda. It covers 160 km² of rainforest and encompasses five of the eight volcanoes in the Virunga Mountains, namely Karisimbi, Bisoke, Muhabura, Gahinga and Sabyinyo. Mountains are favorable for different kind of animals such as mountain gorillas in Rwanda volcanic chains.
Nyungwe National Park lies in southwest Rwanda, partly abutting the Burundi border. It’s a vast area of mountain rainforest, home to many species of chimpanzees, plus owl-faced and colobus monkeys. The Canopy Walkway, part of the Igishigishigi Trail, is a high suspension bridge with views over the valley and surrounding forests. A trail runs to the Kamiranzovu Marsh, with its birdlife, orchids and waterfall.
Akagera National Park lies in eastern Rwanda, hugging the border with Tanzania. It’s characterized by woodland, swamps, low mountains and savannah. The varied terrain shelters wildlife including zebras, giraffes, elephants, lions and hundreds of bird species, such as the rare shoebill stork. In the southern part of the park, vast Lake Ihema is home to hippos and crocodiles.
Gishwati Forest is a forest in the north-western part of Rwanda, not far from Lake Kivu. It is a forest surrounded by suitable pasture that support dairy farming and well-being people. Gishwati also is near to IBERE RYA BIGOGWE region where young cattle keepers develop their business as well preserving domestic animals.
Mukura National Park is a protected reserve in the northwest part of Rwanda, covering about 1,200 km.
Threats that harm forest as well as game reserve and wildlife preserved there are deforestation, bad weather condition and wildfire.
E. Wetlands: natural and irrigated
Wetlands are part of the green infrastructure of healthy catchments. They protect water quality, maintain water supplies, and reduce flooding risks necessary to sustain socio-economic development. Wetlands provide a critical habitat for wildlife and play pivotal roles in ecosystems.
Most of Rwandan youth involves in the activities aimed to preserve wetland and use them for leisure purpose. The biggest wetlands are floodplain wetlands of low altitude associated with major lakes such as Lake Cyohoha, Rweru, Mugesera, Nasho, and rivers, such as Nyabarongo, Akanyaru, Mukungwa, Base, Nyabugogo, among others.
Rwanda has shown commendable political will and taken tangible actions to address wetlands degradation and unsustainable use of water resources. To ensure sustainable utilization of wetlands.
Role of youth to the conservation of wetland:
• Participating in the community work (UMUGANDA PROGRAM)
• In the short term, all illegal activities in wetland must be avoided through the involvement of youth in environment protection measures.
• Over the long term, we need to work together so that other unsustainable activities operating within wetlands come to an end.
Here there are Responsibilities of REMA (Rwanda Environment Management Authority)
- To implement government environmental policy
- To advice the government on policies, strategies and legislations to the management of the environment as well as the implementation of environment related international conventions, whenever deemed necessary
- To conduct thorough inspection of environment management in order to prepare report on the status of environment in Rwanda that shall be published in every 2 years
- To put in place measures designed to prevent climate change and cope with its impact
- To conduct study, research and investigations and other relevant activities in the field of environment and publish the finding.
To conclude, the environment determines the life on the earth, when environment is cared make life easier and stable but also when is destroyed leads to harmful (dannoso) effects to people, we need to work together as youth with all stakeholders to maintain ecology as most important factor that support life on the earth.
The story of environment of Rwanda was written by Olivier NIYOMUBYEYI who is Rwandan. This story related to the environment of Rwanda and influence of youth in conservation and protection of environment as well as the government support.