Aiutare a diventare uomini
Ci vuole anche un po’ di buona sorte per essere genitori in questa stagione complessa e veloce. È stato un bene veder cadere molti dei dogmi del passato, ma la nostra società non ha ancora appreso a gestire la propria libertà. Il compito di aiutare i ragazzi a diventare uomini s’è fatto ancora più difficile. Nella confusione di principi e di valori – intesi qui nel senso laico – il rapporto con i figli trova nuove ragioni di difficoltà che i padri e le madri faticano ad affrontare.
Noi siamo stati una famiglia fortunata, almeno sinora. Abbiamo scampato anche la crisi adolescenziale, quella in cui i “Vaffa” volano gratis. È stato merito del destino benigno, delle circostanze ambientali, dell’indole di nostro figlio e del modo in cui abbiamo trasformato il nostro amore in attenzione, cura e indirizzo. Il ruolo dei genitori è centrale. Quando vedo affermarsi l’incomprensione, mi rendo conto che è quasi sempre il frutto di padri e madri inadeguati, egoisti e disattenti.
Mia moglie ha dato tutta sé stessa per nostro figlio. Ha rinunciato a una parte della sua vita per coltivare quella che aveva generato. È stata una madre fantastica, che ha colmato con il suo affetto le mie assenze. Da parte mia, ho tentato sin dall’inizio di stabilire un rapporto in cui non fossi solo quello che spuntava la sera tardi o il fine settimana, e neanche tutti. Da che ha avuto quattro anni, mio figlio ed io abbiamo fatto una vacanza a due (oltre a quelle a tre) per conoscerci a fondo e affrontare insieme le cose. Abbiamo scoperti terreni comuni e li abbiamo coltivati. Un esempio? Suonare insieme la domenica mattina o andare a visitare luoghi storici ricostruendo eventi lontani e raccontandoceli a nostro modo. È un dono che si ripete ancora adesso che il ragazzo è diventato uomo.
Siamo stati severi, a tratti. Gli altri dicevano “troppo”. A tratti. Ma ci siamo impegnati a spiegargli cosa ritenevamo fosse giusto e sbagliato – sono scelte difficili, ma inevitabili -, fargli entrare bene in testa che si poteva vedere ogni spettacolo, a patto di pagare il biglietto. Andare bene a scuola voleva dire fare belle cose nel tempo libero. Dire la verità era meglio che mentire su un errore di quelli che se ne fanno tanti. Era importante che capisse come, nella vita, andare avanti richiede fatica e impegno. E che se ci si vota a fare le cose bene e seriamente, presto o tardi, riesce a realizzare il sogno che ha in testa. Basta crederci.
Credo che questo sia il messaggio chiave per tutti i giovani di buona volontà (e non solo). Là fuori la vita è sempre stata dura e, oggi, non lo è meno. Bisogna imparare a conoscere i propri limiti, ad accettare sé e gli altri. È necessario ricordare che non esistono scorciatoie, che nessun chitarrista suonerà bene senza aver studiato a lungo e nessuna ballerina danzerà alla Scala senza sacrifici. La nostra società in preda all’edonismo, al commercio fine a sé stesso, al tradimento delle nostre coscienze sempre più frequente, alla corruzione degli spiriti (detto in senso laico), ci chiede di essere forti e determinati nei confronti delle nostre giuste ambizioni, ma anche pienamente solidali con chi non ha avuto la stessa fortuna. A nostro figlio abbiamo cercato di spiegare che la gioia, la consapevolezza e la realizzazione personale nel rispetto degli altri richiedono fatica. Lo abbiamo fatto sentire autonomo e sicuro. Quando lo guardo negli occhi, sento che l’impegno e l’amore non sono stati seminati invano.
Marco Zatterin, Torino (papà e vice direttore La Stampa)