Chiese vuote… di giovani?

Le chiese sono vuote, di giovani (ma non solo).
La colpa è della Chiesa che non parla più di Cristo bensì di sole cose mondane.
I giovani hanno bisogno di Cristo non di cose mondane.
Lasciamo le necessarie cose del mondo al mondo.
I giovani scansano le chiese perché la Chiesa vuole fare da maestra in tutto non sapendo più parlare di Cristo.
Queste sono alcune delle riflessioni che molti credenti fanno alla realtà ecclesiale attuale. In particolare provo a rispondere a Matteo Matzuzi che sabato 18 novembre scriveva su IlFoglio un testo dal titolo Ite Missa Est proprio su questo tema.
Certo, ognuno ha le sue competenze, i propri ambiti di azione, ma i vari ambiti oggi più di ieri sono così interconnessi tra loro e sollecitano delle risposte anche morali.
Già Paolo VI, che non è l’ultimo arrivato, diceva che il credente deve avere su una mano il Vangelo e sull’altra il giornale, perché il vangelo è fatto per il mondo e il cristiano deve conoscere il mondo. Il Vangelo è la lampada da porre in cima al monte perché illumini le città degli uomini. Per illuminare il mondo è necessario conoscerlo.
E poi Dio si è fatto uomo in Gesù non per hobby, bensì “per conoscere” la storia degli uomini, perché gli uomini conoscessero la sua storia.
Non si può dare una fede senza il mondo e viceversa. Forse per troppo tempo si è voluto lasciare il mondo fuori dalle porte delle chiese, come fosse qualcosa di solamente cattivo, maligno e si è persa la capacità di comunicare.
Il problema non è parlare di Cristo, bensì scalfire l’indifferenza all’incontro con la persona Cristo. Questo perché l’apatia, l’indifferenza e l’individualismo della nostra società ormai sono all’apice del ben vivere: se già chiedere di incontrare l’uomo è una sfida, chiedere di incontrare l’uomo Cristo lo è ancora di più.
Non si può non parlare del mondo, perché il mondo tutto è stato ricapitolato in Cristo, perché ogni più piccolo granellino di sabbia o filo d’erba trovano il loro senso in Cristo! Certo il rischio di confondere l’ecologia con l’escatologia è alto, ma sempre è stato così. La sfida è far capire che l’ecologia senza escatologia diventa ideologia.
Forse non tutti sanno che l’escatologia è la conoscenza e l’esperienza del Paradiso; è lasciarsi guidare dalla luce e della realtà del Paradiso per dare direzione, significato e sapore all’ecologia non solo dell’ambiente, ma di ognuno di noi. Si può vivere la storia con tutte le ottime intenzioni ma solo nel presente. Si può vivere la storia con la prospettiva futura che dona continuamente speranza e forza nel presente.
Le chiese sono vuote non perché la Chiesa parla troppo del mondo e poco Cristo, bensì perché non ha ancora ritrovato quella capacità di parlare del mondo come segno della rivelazione di Cristo aperto alla luce di Cristo.
D’altra parte non è proprio il Concilio Vaticano II a scrivere: le gioie e le speranze, i dolori e le angosce degli uomini di oggi sono anche le gioie, le speranze, i dolori e le angosce dei discepoli di Cristo?
«Non so, mi scrive F., se dire le cose del mondo porti a oscurare Gesù, anche perché la religione insegna valori umani assolutamente condivisibili: fratellanza, rispetto… Quindi per forza bisogna trattare le interazioni umane che, diciamo, sono una manifestazione più diretta e visibile della Rivelazione».

La luce del Vangelo illumina davvero?

Sebbene qui faccia buio tardi e potrei rispondere affermativamente, lo stile gotico della maggioranza delle chiese indurrebbe a una risposta negativa.

Poca luce quindi poco calore? Per quanto Stato e Chiesa si sforzino di riscaldare queste enormi cattedrali, farà sempre freddo in una chiesa francese.

Dove mi trovo? Nella regione Grand Est, dipartimento della Marna, città di Reims, valle circondata dai vigneti dello Champagne e annoverata nelle cronache d’Oltralpe per il battesimo di Clodoveo e le consacrazioni dei re di Francia, che avvenivano nella cattedrale locale. Perché proprio qui? Per studiare scienze politiche in un campus internazionale.

Com’è la vita di un cristiano in Francia? 

Anche se il rischio è di scrivere un diario di bordo, proverò a raccontare il tutto seguendo un po’ le emozioni e le suggestioni susseguitesi dal primo anno agli inizi di questo nuovo anno. Per cominciare, devo ammettere che tutti i miei incontri ed esperienze di Chiesa qui hanno avuto una connotazione piuttosto provvidenziale.

Mi spiego meglio. Ho iniziato ad andare a messa quasi per scommessa, in una stagione della mia carriera da studente che si sarebbe rivelata molto dura e in un periodo tutto nuovo della mia vita. Lontano da casa, in un luogo in cui persino la lingua parlata per strada o a scuola deve essere messa in discussione, ci si sente sempre messi alla prova. Pensavo di trovare una celebrazione normale, posata, che mi restituisse il sapore della tipica domenica in oratorio, poi tutti a casa, baci e abbracci.

Pas du tout! Per niente, direbbero loro. Entro in una chiesa gremita di giovani alle 19.00, ed esco da una chiesa gremita di giovani alle 20.45, sbalordito da quanto si potesse “allungare” facilmente una messa! Mi ero reso conto di essere finito nella chiesa accanto all’università dedicata ai giovani guidata da un parroco spaziale, che presto è diventato mio amico. Col tempo, ho notato che all’interno della comunità la curiosità verso il prossimo costituiva un carattere distintivo. Mi sono reso conto, soprattutto grazie al gruppo scout con cui svolgo attività quassù, che, in contrasto con quello che si dice su di loro, i francesi sono di natura curiosi, giocherelloni e grandi provocatori nei confronti del “diverso”, sempre pronti a mettersi in discussione, mai però tentennando su nessuno dei loro punti fermi. Conscio di ciò (avendolo imparato a mie spese!), posso dire che lo scambio con coetanei, adulti, cristiani, insomma “cugini di oltralpe” non può che essere fruttuoso.

Ma torniamo a noi. Messa lunga eppure densa di importanti spunti da portarsi a casa. Qui in Francia, infatti, cantano molto di più. Il canto, sia collettivo sia del celebrante, grazie alla singolare musicalità della lingua, aiuta a scandire le parole della liturgia nella testa e contribuisce a creare un’atmosfera intima, che senza dubbio favorisce la preghiera. Un tipo di preghiera che non avevo mai vissuto in maniera tanto forte quanto adesso: il pregare con il cuore, rivolto alla tua stessa dimensione interiore. È proprio vero, quando “leggi” le cose abituali con un altro tipo di occhiali, in questo caso un’altra lingua, esse diventano straordinarie e il loro significato si rinnova. In Italia non ho mai visto tanta gente inginocchiarsi a pregare, chiudere gli occhi così intensamente, comunicarsi [prendere l’Eucaristia] in ginocchio, ma allo stesso tempo condividere la fraternità, aprirsi alla novità, vivere con la Chiesa al centro. Famiglie intere di Francesi, infatti, sono molto legate alla loro fede e al loro intimo modo di esprimerla. Ormai, riconosco a prima vista una famiglia cattolica.

Esagerato! Potreste dire. Certo, la mia analisi è senz’altro superficiale e il fenomeno avrebbe bisogno di una trattazione più ampia e di più righe (soprattutto in uno Stato dove il principio della laicité è interpretato ben diversamente). Tuttavia, è indubbio che la Chiesa francese stia affrontando un periodo storico diverso da quello italiano, che noi non riusciamo nemmeno ad immaginare.

Se il problema della carenza di vocazioni, infatti, da noi è percepito ma non sentito, in Francia stanno già correndo ai ripari, incrementando ad esempio le responsabilità dei laici: sono numerose le reti, per esempio, di pastorali universitarie e giovanili, associazioni di volontariato, sportive, culturali, benefiche di ispirazione cristiana, tutte piccole ma incredibilmente feconde. Se in Italia il problema degli abusi ci fa male ma non ci ha toccati nel profondo, qui in Francia l’argomento è ancora scottante e le ferite non sono ancora state del tutto cicatrizzate. Il presidente della Conferenza Episcopale Francese, proprio l’arcivescovo di Reims, è tuttora impegnato nel risolvere i problemi sociali e le conseguenze generali del fenomeno sulle diocesi e sulle parrocchie, completamente allineato con il pensiero di Papa Francesco.

Su questi temi, per quanto vicina, la Francia è da considerare un universo a parte. Alla luce di quanto detto, una persona potrebbe domandarsi se le chiese si stiano svuotando, come sta succedendo da noi. Pas du tout! Di nuovo, risponderebbero loro. “Pochi ma buoni”, infatti, i cristiani francesi si rimboccano le maniche, urlano dai tetti la loro presenza, riempiono le chiese, gli eventi nazionali e internazionali. Ho avuto modo di notare che nei momenti di preghiera, nella vita di tutti i giorni, per queste poche persone, si tratta di una questione di identità, di radici e di tradizioni. Certo, la fede dei Padri è tale per tutti e ci riunisce, ma il loro modo di viverla consiste nel mettere genuinamente Dio al centro e nell’essere capaci di distinguere fra ciò che Lo riguarda e ciò che riguarda il nostro passaggio sulla Terra, servendosi spesso di momenti per “fare deserto”.

Numerose sono infatti le occasioni di formazione per gli adulti e per i giovani; questi ultimi, instancabilmente inseriti nelle loro parrocchie, gruppi e comunità, si pongono domande di senso legate all’età, lasciandosi pur sempre illuminare, nell’intimità, dalla Luce del mondo che irradia attraverso la preghiera.

Che sensazioni bizzarre, che esperienza diversa, straniante! Questa esperienza in Francia mi sta aiutando ad “aprire sempre di più le braccia” per andare incontro al Padre, ma anche a me stesso e agli altri.

Per quanto distanti, ma allo stesso tempo vicini, ritengo che i cristiani francesi siano un esempio a cui guardare, per apprezzare le tipicità e il carisma di una comunità che mette in primo piano il fare silenzio e il pregare il Padre nel segreto, senza però mai prendere la lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, affinché irradi la luce a tutti quelli che sono nella casa.

Elia Q. – (Grosseto) attualmente a Reims

AZZARDO QUESTO CONOSCIUTO

Cosa ha spinto i calciatori a scommettere? Detta così sembra una domanda retorica ed inutile perché i calciatori hanno tutto: soldi, fama, donne… eppure come se non bastasse hanno voluto provare l’ebbrezza di scommettere. Penso però che il giocatore (in quanto giocatore d’azzardo) non vuole giocare d’azzardo per arricchirsi o perché ha bisogno di soldi facili, bensì perché vuole provare l’emozione di aver battuto il banco. Ovvero quella “persona” che non perde mai. O quasi. Si inizia a giocare da giovani, per noia, passatempo, capriccio e pian pianino, se non si è bravi a dosarsi, diventa una vera e propria ossessione. I ragazzini cominciano a giocare pochi spicci al videogame di un bar e le prime volte, magari, vincono. Successivamente, l’eccitazione della sfida e l’illusione di facili guadagni li spinge a continuare il gioco nelle ricevitorie o addirittura in siti online, rubando prima i dati sensibili ai genitori e poi iscrivendosi alle piattaforme. Una droga che ti prende il cervello e non ti lascia pensare ad altro. Ti rende ridicolo e cieco di vedere comportamenti bizzarri e alquanto superstiziosi. Non riesci a scindere i problemi della vita vera da quello che dovrebbe essere un gioco. È un problema che è in aumento e secondo me questo è dovuto al fatto che al giorno d’oggi i ragazzini vivendo nell’era digitale e avendo sempre in mano uno smartphone o un tablet crescono più in fretta, conoscono più cose e sono più sgamati.
In queste settimane si è parlato tanto, forse troppo, di Fagioli e Tonali che da calciatori hanno scommesso su partite di calcio. Ai professionisti non è negato il gioco d’azzardo purché sia legale, su piattaforme legali (per intenderci quelle che vediamo in tutte le pubblicità e/o sponsor di eventi) e non su eventi sportivi rientranti nelle federazioni quali FIGC, UEFA e FIFA. Inoltre, la grande differenza con il passato è che loro hanno scommesso, fino a quello che sappiamo oggi, solo per proprio interesse personale senza commettere eventuali illeciti sportivi e/o combinare partite. È una finezza particolare che però molti media non tengono a precisare tanto da far passare i due calciatori come coloro che si sono venduti le partite, come successo anni fa.
Detto ciò, cosa ha spinto due calciatori a scommettere ed essere definiti dai giornalisti ludopatici? Come riportato dalla Rai nell’intervista mandata in onda durante “Avanti Popolo” ai dirigenti del Piacenza calcio (squadra in cui sono cresciuti Fagioli e Tonali), gran parte del problema sta nei soldi. I calciatori guadagnano troppo fin da giovane. Infatti, se un calciatore guadagnasse 1.000 – 2.000 euro al mese, tolte le spese delle bollette e altro, non gli rimarrebbero molti soldi da investire in schedine e slot machines. Di certo, se anziché 1.000, la giovane promessa ha una busta paga 10 volte superiore la situazione si complica drasticamente e di conseguenza anche le eventuali, se non quasi certe, perdite che accumulandosi diventano debiti. Poi però c’è anche una sorta di abbandono. I giocatori nelle giovanili sono spesso soli, i loro compagni al di fuori del calcio hanno una vita normale e lo stesso vale per le ragazze che frequentano. Di conseguenza, non hanno modo di vivere una vita normale di un adolescente e questo può portare a stare in casa, su internet e scoprire siti illegali e non dove con poco ci si può registrare e scommettere. Bisognerebbe che questi ragazzi venissero educati dal principio, dai primi stipendi con l’aiuto di tecnici per capire come gestire i guadagni. Anche solo far capire loro che non tutti hanno quella possibilità economica, che, ad esempio, 10.000 euro è quasi metà stipendio annuale medio di una persona. In fin dei conti questi calciatori sono nel bene o nel male ignoranti del settore. Negli USA questa formazione c’è già da qualche anno. In NBA, infatti, girano cifre molto più grosse di quelle calcistiche italiane ed europee, tant’è vero che le squadre sono corse subito a investire nell’educazione finanziaria dei propri giocatori.
Forse, tra tutte le cose che prendiamo dall’America, questa potrebbe veramente salvare molte persone giovani e non solo.
Marco C. – Milano

BARBIE un film per adulti nonostante il nome

Qualche settimana fa, verso i primi giorni di agosto, sono andato al cinema per vedere Barbie; nuovo film di Gerwig che racconta l’epopea della bambola Mattel alle prese con pensieri di morte e femminismo. Nonostante il film fosse uscito da ormai diversi giorni, la sala, in un mercoledì sera, era lo stresso gremita di persone, fra cui moltissimi ragazzini e ragazzine, vestite per lo più di rosa. Il pubblico non era certo il solito depresso di una serata qualunque di agosto in Milano, le persone erano ben felici di essere presenti e trepidanti di iniziare la visione che vedeva come protagonista Margot Robbie e Ryan Gosling nei panni rispettivamente di Barbie e Ken.
La trama è molto semplice, siamo nel mondo Barbie e Margot Robbie che interpreta la bambola stereotipo (bionda e occhi azzurri) viene assalita da pensieri di morte e altre situazioni che la portano presto a confidarsi con Barbie Stramba la quale le consiglia di andare nel mondo reale. Barbie va quindi nel mondo reale accompagnata da Ken. Qui la sceneggiatura regge grazie a diverse trovate divertenti e gag di Gosling, su tutte quando chiede a Barbie di dormire insieme senza un apparente motivo. Poi ancora, il film presenta diversi balli, canti e altre battute giocate sui luoghi comuni e infine la scoperta di Barbie che il suo femminismo non ha influenzato il mondo degli umani, anzi! Nel mondo comandano solo gli uomini.
In questo film ci sono però diversi snodi importanti e svariate incoerenza di sceneggiatura che non tolgono il divertimento e le riflessioni sulla contemporaneità. Andiamo con ordine.
Il motivo con il quale Barbie viene richiamata nel mondo reale è molto macchinoso. Il film Barbie è costato meno di 150 milioni di dollari, ma le sceneggiature in quella parte lasciavano molto a desiderare. Secondo, c’è stata troppa pubblicità. Anzitutto con Mattel, che è legittima in quanto ha prodotto il film con Warner Bros, ma il culmine si è raggiunto con il noto brand tedesco che produce sandali unisex. Non è un caso che le azioni della Birkenstock siano schizzate alle stelle dopo il primo giorno del film. Infine, sempre a mio avviso, il film dal punto di vista della sceneggiatura aveva delle lacune anche in base al contesto nel quale i personaggi si trovavano. Nel mondo Barbie mi va bene che i personaggi fluttuino, ci siano passaggi segreti e altro, ma nel mondo reale non l’ho trovato molto carino. Come non ho trovato molto carino utilizzare lo stereotipo dell’uomo che ama soltanto il cavallo (forza), la palestra (bel fisico) e la carriera (soldi) per descrivere i Ken. Dal film quasi tutti i Ken sembravano avere un alto tasso di deficienza, nel senso che sembravano tutti dei bambini in corpi di adulti.
Tutte queste cose, in un film con un gran bel potenziale, non mi sono sembrate sposarsi bene con il bel messaggio che Greta Gerwig voleva lasciare. Ovvero quello che la multiculturalità diventi la normalità. Non mi sono sembrate sposarsi bene perché ha rischiato uno di non farsi capire da tutti, magari sopravvalutando il suo target (ricordiamo che in sala c’erano e ci saranno molti bambini) e due perché è andata un po’ a screditare i Ken facendoli passare per bamboccioni cadendo nello stereotipo dell’uomo medio. Infatti la prova del nove, l’ho avuta quando fuori dalla sala ho sentito bambini chiedere ai propri genitori di spiegare dei passaggi e soprattutto chiedere se gli uomini fossero sempre cattivi. Probabilmente il bambino aveva paura di crescere come i Ken.
Il successo del film mostra però che il cinema, nonostante quel che si diceva qualche anno fa durante il Covid, non è morto e le sale si riempiono anche nelle sere di mezza estate. Bisogna però produrre film che portano le persone al ragionamento e non solo film commerciali privi di messaggi.
Marco C. – Milano

“Itañolo” o “espaliano”

Hablar en “itañolo” o en “espaliano” no fue gran dificultad para entendernos y para llevar adelante un espacio de colaboración y de servicio; por ello habiendo transcurrido algún tiempo desde el campamento “Mérida Adelante 23” podemos poner en la balanza muchos momentos de alegría, de colaboración y de motivación para futuros encuentros.
Hace más de un año qué se pensó en esta aventura poniendo en la balanza tanto los pros y los contras que nos llevaron a realizarla, dejando en el corazón de organizadores y participantes un lindo recuerdo de una experiencia novedosa. Desde grandes urbes italianas hasta una ciudad enclavada en el profundo sur Mexicano, en los grandes territorios de tradiciones mayas: Desde ciudades arrasadas por la indiferencia y el agnosticismo hasta pueblos profundamente religiosos y espiritualizados, éstas y cada una de las diferencias no vinieron al caso en esta oportunidad, más bien se transformaron en complemento y en respuesta a las propias búsquedas, para darnos cuenta que más allá de dónde estemos y provengamos tenemos las mismas ansias e inquietudes.
Puertas y corazones abiertos fueron la tónica de esos días: la sencillez y trascendencia de la cultura mexicana ha sido una gran motivación para desplegar las propias fuerzas jóvenes. Cada uno ha vuelto a su realidad, pero con una carga anímica y espiritual que dará nueva luz a nuestras acciones y palabras.
Sonrisas, sudores y lágrimas forman parte de este tesoro que se llamó “Adelante Mérida 23”. Gracias al cielo y a cada uno de quienes lo hicieron posible. Por aquí en la Capilla del Carmen, cada gesto evoca los alegres momentos vividos. Pienso que son imágenes y flashes que vuelven cada tanto a nuestro ser. También el haber compartido experiencias, viajes y comidas con los padres Barnabitas ha sido un enriquecimiento mucho. Hubo programación previa, pero se debió hacer improvisaciones de ultimo minuto que no afectaron el esquema de trabajo.
Me quedo con el entenderse y complementarse de ambos grupos. De la vida compartida, por quince días, con la familia que albergó al grupo italiano. Las diferencias culturales no fueron obstáculo, mas bien primó el buen ambiente, amistoso y de respeto por lo que cada uno podía dar.
Imago Mundi

Parlare in “itañolo” o “espaliano” non è stata una grande difficoltà per capirsi e svolgere uno spazio di collaborazione e servizio; quindi, essendo trascorso qualche settimana dal campo “Mérida Adelante 23”, possiamo mettere in bilico molti momenti di gioia, collaborazione e motivazione per i futuri incontri.
Più di un anno fa si pensava a questa avventura guardando sia i pro che i contro che poi ci hanno portato a realizzarla, lasciando nel cuore degli organizzatori e dei partecipanti un bel ricordo di un’esperienza inedita. Dalle grandi città italiane a una città incastonata nel profondo sud messicano, nei grandi territori delle tradizioni Maya: dalle città devastate dall’indifferenza e dall’agnosticismo ai popoli profondamente religiosi e spiritualizzati, queste e ciascuna delle differenze non si sono verificate in questa occasione, anzi sono diventate un complemento e una risposta alle proprie ricerche. Rendersi conto che, indipendentemente da dove siamo e veniamo, abbiamo gli stessi aneliti e preoccupazioni.
Le porte e i cuori aperti sono stati il tonico di quei giorni: la semplicità e la trascendenza della cultura messicana sono state una grande motivazione per schierare le forze giovani. Oggi ognuno è tornato alla sua realtà, ma con una carica vitale e spirituale che darà nuova luce alle nostre azioni e parole.
Sorrisi, sudori e lacrime fanno parte di questo tesoro che è stato chiamato “Adelante Mérida 23”. Grazie al cielo e a tutti coloro che lo hanno reso possibile. Qui, nella Cappella del Carmen, ogni gesto evoca i momenti gioiosi vissuti. Penso che siano immagini e flash che ritornano al nostro essere di volta in volta. Anche aver condiviso esperienze, viaggi e pasti con i Padri Barnabiti è stato un grande arricchimento. C’era una programmazione precedente, ma sono state dovute fare improvvisazioni e aggiustamenti dell’ultimo minuto che non hanno infranto lo schema di lavoro.
Mi rimane la comprensione e l’integrazione di entrambi i gruppi. Della vita condivisa, per quindici giorni, con la famiglia che ospitava il gruppo italiano. Le differenze culturali non sono state un ostacolo, piuttosto prevalevano la buona atmosfera, l’amicizia e il rispetto per ciò che ognuno poteva dare.
Imago Mundi

¡Adelante 2023!

Il 15 Maggio scorso padre Giannicola mi chiese di scrivere un pensiero sul viaggio che stavamo per intraprendere verso Mérida (Mexico); mancavano 3 mesi e non riuscivo nemmeno a immaginare ciò a cui sarei andato incontro. Nel testo scrissi che avrei sfruttato l’occasione per diventare una persona migliore e altre “frasi fatte” simili, non potendo veramente concepire quanto questa esperienza mi avrebbe cambiato.
“Il Messico non è un paese, ma uno stato mentale”, così uno dei confratelli Barnabiti, padre Miguel, ci ha descritto il paese in cui egli da qualche anno presta servizio. Noi abbiamo avuto la fortuna di poter verificare quanto realistica sia quella affermazione.
Durante l’esperienza, infatti, siamo riusciti ad abbattere ogni barriera culturale e linguistica che si è posta sul nostro cammino; abbiamo iniziato giocando con i bambini, che sono il futuro e il motore del mondo, e proprio per questo sono i primi a cui bisogna prestare attenzione. Poi il legame si è esteso anche alle famiglie che ci hanno invitato nelle loro case, raccontato le loro storie, fatto assaggiare i piatti tipici e aiutato a comprendere quella che a noi si è presentata come una realtà utopistica.
Difatti ogni persona che abbiamo incontrato a Merida, qualsiasi cosa succedesse, era sempre pronta ad aiutarti e a darti tutto ciò che poteva, anche se, di materiale, non possedeva niente. Questo è il motivo per cui ognuno di loro avrà sempre un posto nel mio cuore.
Prima di partire dissi che ero pronto a migliorare come persona, dando per scontato che il processo sarebbe avvenuto per merito mio. Ad oggi, rientrato a casa, con la volontà e l’intenzione di ritornare il prima possibile, sono invece convinto di essere riuscito a raggiungere questo “obiettivo” soltanto grazie all’amore e alla dedizione che tutte le persone che ho incontrato in questo viaggio hanno messo a mia disposizione. In primis padre Giannicola che si è fatto carico di organizzare e unire i ragazzi italiani con cui sono partito; poi padre Stefano che ci ha fatto conoscere la vita del carcere e padre Miguel tramite il quale abbiamo organizzato il “campamento” che ci ha permesso di conoscere dei bambini stupendi; quindi gli animatori messicani, che sempre hanno fatto di tutto per farci sentire a casa, riuscendo pienamente nel loro intento; infine “mamma” Yanely con marito e i loro 5 figli, che hanno accolto 8 persone in casa sua come se fosse la cosa più comune del mondo, mettendosi al nostro servizio per ogni necessità.
Non so se sarà mai possibile tornare e non so se altre esperienze del genere, una volta fatta la prima, mi cambieranno e colpiranno con lo stesso impatto però, quel che è certo, è che dopo queste due settimane sono pronto a rimettermi in gioco ogni qualvolta sarà possibile pur di aiutare chi vive in condizioni meno fortunate delle mie.
Grazie a tutti coloro che hanno reso possibile e mi hanno accompagnato in questa fantastica esperienza con l’augurio di rivederci ancora per non dimenticare mai quanto passato insieme.
¡Viva Mexico!
Michele L. – Bologna

¡Con todo l’amor del mundo!

È notte, a Mérida (Yucatán).
Alcuni, forse tutti i giovani sono in piscina di don Martin e dona Leila. Un piccolo lusso nella semplicità della periferia.
È l’ultima notte. Domani si riparte, nessuno vorrebbe ripartire. È normale.
Tutti partirono carichi, anche un poco forse molto preoccupati.
Il primo giorno, il caldo aggressivo e l’umidità opprimente, l’acqua che non arriva perché ignari del rubinetto chiuso e la prospettiva di una doccia ogni tre giorni non era peregrina. Ma non si voleva (e non si poteva) tornare indietro!
La Storia va avanti se la facciamo andare avanti. E ognuno di noi la Storia vuole continuarla.
Si è consapevoli di poter fare un pezzo di Storia, perché si è guardata in faccia la realtà, la realtà di se stessi, la realtà degli altri.
La realtà di se stessi, messi alla prova non solo dal caldo e dall’umidità improponibili ma da un mondo nuovo non fatto di 5 stelle o like di Trip Advisor bensì di uomini, donne, bambini, case, strade, fede con altri criteri di esistenza rispetto ai nostri.
Il dormire in otto in due stanze, senza cuscini, con le valigie unico armadio e appoggio. Anche il lavarsi ci mette in gioco, un solo bagno per tutti. L’altro è per la famiglia, papà mamma e 5 figli: tutti splendidi. Si sono ritirati nella loro unica stanza rimasta, sulle loro amache per fare spazio a tutti noi. E poi i criteri di pulizia ben diversi dalle nostre ossessioni igienistiche.
Eppure la vita procede, la voglia di scoprire e lasciarsi scoprire prende la meglio sulle nostre preoccupazioni.
Quale famiglia italiana avrebbe ospitato in casa sua 8 sconosciuti?
Quali persone, le altre famiglie, avrebbero mai fatto a gara per cucinare ogni sera piatti diversi per far conoscere la propria storia? Compresi i litri di Coca Cola?
I bambini, quelli in affido alla Mision de Amistad, quelli della Capilla del Carmén specialmente, che sono i veri protagonisti della storia: cosa avranno pensato dal basso della loro statura media di fronte a noi abbastanza alti per intimorirli?
Bambini tranquilli nell’attesa che ogni gioco venisse spiegato in italiano prima e in spagnolo poi, ma poi scatenati non tanto per vincere, ma per giocare! Un gioco per tutti, grandi e piccoli uniti. E le mamme in retroguardia a godere di questa anomala attività. I papà purtroppo i grandi assenti, chissà perché.
E i giovani? Che si sono prodigati nell’accogliere la nostra proposta, il nostro modo di lavorare e giocare? Anche prendendoci per la gola?
12 giorni fuori dalla nostra storia quotidiana per vivere altre storie, entrare in altre case; scoprire per quel che si può il carcere locale da una parte e bambini e bambine dimenticati dagli adulti, affidati all’associazione Amistad/Friendship.
12 giorni in cui la nostra storia non è più l’unica Storia, perché nel mondo ci sono altre Storie con la “S” maiuscola che ci insegnano le vere nozioni necessarie per vivere in un mondo occidentale che rischia di perdere la Storia, non solo perché ormai senza più figli.

Todo lo que hiciste para nosotros no es comun y por eso siempre sostendrè vuestre familias en el nostro corazon, esperando que para vosotros puede ser lo mismo.

¡Con todo l’amor del mundo!

Agosto 2023

Agosto, tempo di riposo o di ritmi più tranquilli.
Non proprio: tutte le energie recuperate in una settimana al mare a luglio, sono già esaurite alla vigilia di questo 15 agosto.
Avrei voluto leggere un libro in più, approfondire qualche tema lasciato in sospeso, ma il vortice delle questioni burocratiche o delle emergenze ha avuto il sopravvento.
Anche il pensare a tutti i fatti di cronaca di questo ultimo mese o poco più ha avuto la meglio.
Quante violenze su questa donna o quella ragazza, nelle carceri; quante violenze tra giovani; quanta droga ancora in circolazione di cui non si parla; poi le guerre, e poi … tanto altro.
Sembra un mondo che non vuole uscire dal vortice del male, un mondo sul quale non vogliamo ragionare per sconfiggere il male e tirar fuori il bello e il vero. Talvolta lo sconforto sembra prevalere; altre si sceglie l’indifferenza e si riesce anche a procedere senza grossi problemi.
Però non possiamo non vedere tanta violenza gratuita di tanti giovani, tanta violenza che ci infetta se non facciamo attenzione. Perché l’essere umano è violento, ma può domare la violenza e coltivare il bene.
Il Papa ha detto qualche cosa di interessante a proposito parlando ai giovani a Lisbona qualche giorno fa. Certo non erano tanti questi giovani di fronte ai milioni di giovani sparsi nel mondo. Probabile che molti di quei giovani abbiano già dimenticato le parole ascoltate e la mission sollecitata dal Papa: «Voi siete la generazione che potete vincere la sfida del clima… non abbiate paura, andate avanti!».
Ma il lievito è sempre poco rispetto alla farina da impastare e al pane da cuocere. E se anche pochi, quei giovani, di cui nessuno tra i giornali del mondo ha parlato tranne qualche pagina italiana, hanno ascoltato e vissuto la spiritualità della GMG e sicuramente ne sentono la responsabilità.
Commentava un mio giovane amico, Giorgio Brizio, su Instagram l’altro ieri: «Non sono credente, ma penso davvero che la Chiesa e le comunità religiose possano avere un ruolo decisivo tanto nella lotta climatica quanto nel supporto alle realtà che salvano vite nel Mediterraneo».
E non sono pochi i giovani che amano vivere la vita. Non sono pochi quelli che hanno rallegrato queste mie serate con lunghe chiacchierate non su come si veste Harry Styles ma come la fisica possa aiutare a migliorare la vita, come possa incontrarsi o ancora scontrarsi con la fede e cose del genere… Fortunatamente la birra ha mantenuto fresche e agili le corde vocali! Potrei sintetizzare le tante parole che ci siamo scambiati con quanto scritto l’8 agosto scorso da Michele Serra (Ok Boomer, Ilpost.it): «Siamo animali, la realtà fisica è ciò che ci dà vita e senso, ci rimette in quadro. La tecnologia, anche se silicio e terre rare ne garantiscono l’hardware, è metafisica, ci fa sembrare di essere ovunque ma, nel farlo, ci leva la terra sotto i piedi, espropria il nostro metro quadrato e ci fa galleggiare come anime nel paradiso – e siccome il paradiso non esiste, la sensazione di spaesamento, e di truffa, è anche peggiore».
Certo, per me il Paradiso esiste e proprio perché esiste so che la speranza non è una chimera ma ciò che rende bello e vero il presente, anche con le sue fatiche. Il Paradiso sono quei due giovani che hanno dato del tempo a dei ragazzetti albanesi nella missione che purtroppo il 15 agosto chiuderemo per mancanza di pastori/sacerdoti che possano guidarla. Il Paradiso sono quei 9 giovani con cui, senza troppe pretese ma voglia di esserci, condivideremo dal 15 agosto del tempo con bambini e bambine della periferia di Mérida (Messico) per imparare un po’ di senso e magari darne un poco anche noi.
Siamo ad agosto e il silenzio e le città deserte ti fanno meglio ragionare su quanta buona speranza si riesca comunque a coltivare. E il tempo un po’ più rallentato ti fa capire la pazienza che si deve avere con le nuove generazioni, i loro ritmi, i loro aneliti, i loro dilemmi, anche quando l’età che avanza rischia l’impazienza.
Il 15 agosto è anche la festa dell’Assunzione di Maria alla casa del Padre e del Figlio (l’abitudine della Chiesa di immettere in feste “pagane” il proprio zampino!) che ci insegna come la paziente perseveranza di questa giovane donna le abbia donato il Cielo sulla Terra, perché non si può andare in Cielo se prima non si vive sulla Terra.
Non abbiate paura, andate avanti! Questo è il mio 15 agosto 2023.

Giannicola M. Simone

SAMZDAY 2023

Oggi è la festa del nostro amato e simpatico e ganzo e innovativo e instancabile e… SAMZ!
Non scrivo cose su di Lui, già lo ha fatto Paolo recentemente e non solo lui. Piuttosto credo che il modo migliore sia quello di ragionare su come mettere in pratica i suoi insegnamenti e renderlo presente oggi.
Recentemente don Alberto R. a scritto che il rischio dei preti e della Chiesa è di dire: “abbiamo sempre fatto così”, un rischio pernicioso e mortale. Una Chiesa che dovrebbe essere il normale alveo della fantasia rinnovatrice dello Spirito santo rischia in effetti di arenarsi nel “abbiamo sempre fatto così”.
Non è facile uscire da questo ritornello, non credo sempre e solo per accidia pastorale, bensì perché è complesso trovare strade nuove. Meglio, è facile tentare nuove strade e o strategie ma non altrettanto mantenerle perché l’oggetto dei tentativi si stanca facilmente ovvero ha gusti difficili o non si interessa a nulla.
Sicuramente il problema della Chiesa oggi, anche in Italia, è quello di non riuscire ad arrivare ai giovani a tanti più giovani anche se diverse immagini di questi giorni sui nostri Campi Estivi sembrano dimostrare il contrario.
I giovani che collaborano con me hanno letto e commentato l’articolo di don Alberto, lo hanno apprezzato ma ritengono sia una questione non così reale e importante perché la maggior parte dei loro coetanei non è interessata a nulla se non a ciondolare di qua o di là perché è estate, perché devono essere liberi, perché non amano puzza di incenso o di impegno qualsiasi.
Uno dei motivi per cui 40 anni fa decisi di intraprendere la strada della vita consacrata, del sacerdozio, fu proprio quella di far conoscere a tanti miei coetanei la bellezza dell’amicizia con Gesù. Ho cercato strade e strategie anche nuove, ho notato delle costanti e dei cambiamenti tra le generazioni incontrate. Ho cercato di trasmettere ai miei confratelli più giovani il gusto della cura dei giovani e adolescenti più che dei pizzi e merletti. Non devo certo fare una statistica dei risultati ottenuti (è necessaria?). Mi accorgo che non è facile appassionare a Cristo, al vivere in Cristo; non è facile formare a una “evangelizzazione per attrazione” o far “scendere dal divano” i giovani.
Eppure tre settimane fa ho incominciato – dopo anni di sosta – l’oratorio estivo forte della mia formazione milanese ma anche preoccupato per la mancanza di animatori e altri collaboratori: non volevo comunque si perdesse l’occasione di una cura dei bambini e dell’attenzione alle loro famiglie, in vista di una “capitalizzazione” per il futuro. Le cose sono andate bene, anche con un po’ di “copia e incolla”, tranne per i ragazzi 11/13 (ma questo è un altro discorso).
Specialmente con gli animatori ho notato una fedeltà che non mi sarei aspettato (compresa la pausa Coldplay a Milano!!!) e una capacità di coinvolgere loro coetanei a dare un contributo (ciò che non ero riuscito a fare io).
Gli “altri” giovani, anche quelli che al termine delle attività arrivavano a frotte per giocare a basket o… non è stato possibile coinvolgerli, nemmeno in attività alternative come scrivi don Alberto.
È giusto dire che sono contento di poter dare loro almeno un sorriso, un chiamarli per nome, uno spazio accogliente?
È giusto “accontentarsi” degli animatori vecchi e nuovi, come di quelli impegnati nella maturità o i nostalgici ora all’università che percorrono nuove strade? Lavorare con loro richiede molto tempo e pazienza e molta preparazione e non è facile trovarne per altro: è una considerazione comoda?
È corretto che l’età di don Alberto, più giovane della mia, si ponga la preoccupazione che è anche la mia: “abbiamo sempre fatto così”. Non è facile trovare una alternativa, ma con pazienza, comunione tra noi, i giovani e lo Spirito santo, credo che la troveremo.
Antonio Maria Zaccaria è sempre stato preoccupato di riformare se stesso prima degli altri, per riformare gli altri e la Chiesa; Antonio Maria ha sempre considerato l’errore dell’altro come un fatto necessario per crescere e costruire, perché, Antonio Maria prima di tutto ha sempre creduto nella libertà dell’altro per crescere nella libertà di Cristo.
Con questi pensieri grazie a tutti voi celebriamo oggi la festa del nostro Padre e Fondatore.
Giannicola M. Simone prete

32 anni da prete

32 anni fa sono diventato prete.
Oggi a 61 anni ancora a giocare con i bambini in calzoncini corti! Era questa la mia idea di sacerdozio?
La testimonianza dell’amicizia con Cristo passa attraverso molte strade.
Ho chiesto a qualche amico o conoscente cosa ne pensi dei preti. Due risposte mi hanno fatto pensare di più.
Una, inaspettata, che nonostante la differenza di età, di valori, di fede richiama l’amicizia creatasi e rimasta anche a distanza di tempo e di spazi; la percezione di ricevere sensazioni positive; la consapevolezza, pur essendo ateo il mio amico, di essere di fronte a un pusher dello Spirito santo, come mi chiamava da studente; poter parlare di tutto con un prete lo rende sicuramente necessario per questa società tecnologica.
L’altra, altrettanto inaspettata, di chi distante dalla religione ritiene la figura del prete neutra per la società di oggi, tranne che per il piccolo gruppo di credenti.
È quell’aggettivo “neutra” che mi ha fatto pensare, forse perché ha toccato quel bisogno di protagonismo che tutti perseguiamo o forse perché potrebbe significare anche la mia insignificanza.
Eppure credo sia importante essere “neutri”, cioè sapere che si vive e lavora per non lasciare spazio se non a Dio. Il protagonismo che spesso, troppo, ha caratterizzato la figura del prete non è evangelico, l’unico protagonismo è quello dello Spirito santo.
Solo quando sarò in grado di rendere visibile lo Spirito santo piuttosto che me allora sarò veramente sacerdote di Gesù.
Neutro può essere un aggettivo negativo: insignificante, inutile, pressoché sconosciuto. Ma forse è proprio qui che nasce la verità della fede. Si è sacerdoti di Cristo non per fare le crociate, bensì per tessere quella rete di comunione tra gli uomini e le donne che Dio ama, una comunione che perlopiù chiede poca visibilità ma c’è! Una comunione che va oltre le immagini delle varie reti o di chissà quali politiche.
Una comunione che nasce dall’invisibile di Dio.
Neutro, mi scrive con rispetto Mttplz; a prima lettura ci sono rimasto male, non tanto per me ma per Dio! Ma rileggendo ne ho tratto grande insegnamento e preghiera per comprendere che il metro di Dio non è il metro degli uomini; per riconoscere che se anche gli uomini e le donne di oggi possono vivere senza Dio, un credente, un sacerdote, continua a stare con Dio con quella “neutra” semplicità della brezza del mattino che più di ogni terremoto o incendio o straripare di acque rivela la Sua presenza.
Dimenticavo, inaspettatamente il quasi unico augurio per oggi è di un mio altro amico, anche egli ateo. Quasi a dire: tu sarai “neutro”, ma noi no!
Grazie a voi che tenete viva la mia vocazione e il mio servire Dio nel sacerdozio.
Giannicola M. prete.

Firenze, 29 giugno 2029, solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo

Questi gli scritti inviatimi.

Essendo quasi completamente estraneo al mondo della chiesa, non ho mai avuto modo di avere un’opinione riguardo i preti (inteso come figura lavorativa). Mi è
capitato però, attraverso un amico, di poterne conoscere qualcuno e di scambiarci qualche parola. Tra le cose che ho notato è che emanavano una sensazione di
‘leggerezza’, riuscendo a creare un ambiente amichevole, e talvolta erano anche simpatici. So anche che buona parte dei preti fanno attività di volontariato,
cercando di coinvolgere studenti ma anche adulti.
Essendo così lontano dal mondo religioso, non saprei dire se c’è ancora bisogno dei preti o meno. Visto l’aura positiva che emanano, e le buone azioni che
fanno, posso dire che non ho motivo di pensare che questi non servano più o che abbiano fatto il loro corso.
Non sapevo che il numero di preti stesse diminuendo, suppongo però che questo sia dovuto all’era tecnologica in cui viviamo. E’ possibile che le persone
cerchino conforto su internet, soprattutto con le nuove intelligenze artificiali che possono sostituirsi alle figure religiose, invece di andare in chiesa.
Consigli non ne ho purtroppo. Al massimo posso consigliarvi di modernizzarvi, oltre ad emanare sensazioni positive emanate (molti di voi, non tutti) anche
la sensazione di star parlando con persone ‘intrappolate’ in un’epoca passata e che abbiano deciso di rimanere li, invece di modernizzarsi.
Ho avuto la fortuna di poter conoscere un prete quando stavo alle scuole superiori, padre Giannicola (detto anche PJannic o Pusher dello Spirito Santo),
che mi ha fatto entrare nel mondo del volontariato. In lui oltre ho trovato un amico che mai avrei pensato di trovare (vista la differenza di età e visto che
l’unico prete con cui avevo parlato prima di allora era durante il periodo della comunione), in grado di poter parlare di qualsiasi cosa (spesso con una birra
vicino), con una bontà unica, che alternava però anche a momenti di estrema serietà. Dopo la scuola siamo rimasti in contatto, e anche se ora viviamo in due
città diverse e siamo meno in contatto, riusciamo sempre a chiamarci e aggiornarci, spesso per farmi partecipare ad iniziative di volontariato all’estero o
anche solo per sapere come stiamo.
Padre Giannicola è stato un prete, ma soprattutto un amico, molto significativo, riuscendo a rendere la scuola meno pesante di quello che era.
AleBevi, Napoli

Quanti anni di sacerdozio fai di bello ? 😀, Julien, Milano

Ciao, certo volentieri rispondo (e auguri per i 32 anni!)

Premesso che rispondo da non credente, quindi personalmente non vedo l’utilità della figura ma sicuramente per chi crede è importante, non credo che ci sia una differenza nell’importanza della figura ma semplicemente oggi si rivolge a un pubblico piú piccolo credo. Come esempio significativo me ne viene in mente solo uno piuttosto negativo in realtà che era il mio prete del catechismo, evidentemente frustrato e continuamente nervoso quindi quella non è stata una grande esperienza devo dire. Per il resto direi tutti neutri senza infamia e senza lode.
Matteo, Berlino