Ecologia e ambiente: intervista a Edo Ronchi

Edo RONCHI, già ministro dell’ambiente, presidente della Fondazione Sviluppo Sostenibile dialoga con noi sulla salvaguardia dell’ambiente.

Edo Ronchi classe 1950: com’è nata la passione per ambiente ed ecologia?

La nascita è caratterizzata da un momento preciso, una data e un luogo di nascita. La passione per l’ambiente per me è venuta da un processo di maturazione, è stata il risultato di impegno e anche di un po’ di studio. Quando ripenso alle mie esperienze che possono aver contribuito alla mia attenzione alle problematiche ambientali mi viene in mente la mia infanzia
Da piccolo in campagna quando aiutavo mio padre a coltivare la terra, e poi quando mio padre andò a lavorare in una fabbrica chimica e tornava a casa con i vestiti che puzzavano. Le mie prime esperienze di ambientalista, negli anni 70, con il movimento antinucleare, sia civile (contro le centrali nucleari), sia militare (contro le armi atomiche e i rischi di una guerra nucleare).
Di seguito l’impegno politico nella galassia dei Verdi: sono stato prima parlamentare e successivamente Ministro dell’Ambiente.
Mi ha sempre appassionato lo studio delle problematiche ambientali: ho scritto e pubblicato numerosi testi, ho avuto incarichi di insegnamento di Legislazione ambientale all’Università di Bologna e poi di Progettazione ambientale all’Università la Sapienza di Roma. Dal 2008 dirigo una Fondazione di ricerca sullo sviluppo sostenibile e la green economy che a sua volta è nata da un precedente Istituto di ricerca che avevo fondato nel 2000.

La preoccupazione ecologica è ancora un capriccio, una moda di alcuni o nota una maggiore attenzione a questo tema? Perché io – vivendo tra i giovani – verifico una certa disattenzione e / o disaffezione.

La crisi ecologica globale ha raggiunto livelli preoccupanti specie per il clima e la biodiversità, Questi due problemi sono stati studiati per anni. Le conseguenze drammatiche dell’aumento dell’inquinamento da gas serra in atmosfera e degli anomali cambiamenti climatici sono note, così come l’estinzione e lo stato critico di molte specie e la distruzione di importanti ecosistemi. La crisi ecologica già oggi costituisce causa rilevante di rischio e danno per la vita di milioni di persone, in particolare della parte più povera e più vulnerabile dell’umanità. È la minaccia più seria per il nostro futuro: per la produzione di cibo, la disponibilità di acqua potabile e di servizi eco-sistemici necessari al nostro sviluppo economico e sociale. In molte realtà locali, inoltre, la crisi ambientale – l’inquinamento diffuso, il degrado del territorio e delle città – costituiscono una seria minaccia alla salute e l’ostacolo principale allo sviluppo civile, prima ancora che economico.
La mancata consapevolezza ecologica dipende Come mai la gravità della crisi ecologica non è accompagnata da una corrispondente crescita della consapevolezza ambientale dei cittadini e dei decisori politici? Alla base di questo gap vi sono diverse ragioni, ne sottolineo tre. La prima: la nostra economia, sia a livello teorico che pratico, stenta a riconoscere il valore del capitale naturale perché lo ritiene abbondante, privo di titolo di proprietà, quindi di nessuno, e perché ritiene che, comunque, la scienza sia in grado di dominare a nostro piacimento la natura. Queste idee, e pratiche, dell’economia e della scienza hanno una grande forza perché hanno avuto un enorme successo: hanno causato anche guai e non hanno risolto tutti i problemi dell’umanità, ma hanno assicurato progresso e benessere per miliardi di persone. Ora non si tratta più solo di stare un po’ più attenti all’ambiente o di impegnare un po’ di più tecnologia per disinquinare, ma di prendere atto che questo tipo di economia e di scienza non possono continuare così, sono diventati insostenibili per le risorse limitate e la limitata capacità di resilienza del nostro pianeta.
Per acquisire una consapevolezza ambientale adeguata alla nostra epoca servono oggi idee, e buone pratiche, di sviluppo sostenibile e di green economy.

La seconda: i modelli culturali largamente prevalenti che identificano il benessere con la crescita dei consumi e con il possesso di cose, alimentano una percezione distorta della realtà e ostacolano la comprensione di quanto l’ambiente sia una reale priorità per noi e per l’umanità. Il nostro modo di vivere influenza il nostro modo di pensare. Per promuovere maggiore consapevolezza ambientale occorre praticare e promuovere stili di vita sobri, non consumisti, e eco-sostenibili.

La terza: nella storia dell’umanità l’ambiente è stato, per millenni, una risorsa abbondante; la sua scarsità è un fatto recente, di pochi decenni. Noi incontriamo difficoltà a percepire l’urgenza delle problematiche ambientali nei termini, inediti, che ci coinvolgono da poche generazioni. Un esempio forse rende meglio la situazione. La rana è abituata alle variazione di temperatura dell’acqua degli stagni e non percepisce queste variazioni come pericoli perché avvengono, da lungo tempo, in un intervallo che non rappresenta un pericolo per lei. Così, se mettete una rana in una pentola di acqua fredda e la fate scaldare, non salta fuori quando l’acqua si scalda e si fa bollire. Noi, tuttavia, a differenza della rana, possiamo imparare rapidamente, acquisire informazioni, conoscenze, formazione e educazione. Ben sapendo che colmare il diffuso gap di consapevolezza ambientale non è facile e naturale come respirare, ma richiede impegno.

Era necessario che un pontefice intervenisse sul tema dell’Ecologia?

Come è noto Papa Francesco non è il primo pontefice che interviene in materia. Un amico, di recente, mi ha regalato un testo che raccoglie numerosi scritti e interventi di Papa Giovanni XXIII in materia ambientale. In realtà molti mistici e religiosi, non solo cristiani, sono intervenuti sul tema dell’ecologia: amando il Creatore hanno espresso amore per il creato e saputo riconoscere nella natura non solo caos e caso, ma la bellezza e la superiore connessione dello spirito divino. L’Encilcica “Laudato sì” di Papa Francesco, oltre a seguire il solco già tracciato da suoi predecessori, introduce, a me pare, importanti novità che, in un testo ricco e complesso, vanno lette con attenzione, per coglierne la reale portata non solo per i credenti ma anche per tutti gli uomini di buona volontà. Ne cito solo una: il livello, inedito in passato, raggiunto oggi dalla crisi ecologica, e climatica in particolare, che richiede una sollecita svolta, in particolare perché ha costi altissimi per la parte più povera della popolazione mondiale. Era necessario che un Pontefice intervenisse in modo così forte su questi temi? Penso di Si, perché hanno assunto una gravità mondiale e perché la politica, in generale, sembra troppo presa da una visione di breve termine, da interessi particolari e non sembra affrontare questa grave crisi iscrivendola nella sua agenda come sarebbe necessario, cioè come effettiva priorità.

Da poco si è conclusa Cop21 a Parigi: ritiene che queste grandi assise possano effettivamente servire a qualche cosa? Perché sembra che non cambi mai nulla.

So, anche perché vi ho partecipato diverse volte, quanto siano complesse, faticose, spesso con scarsi risultati o addirittura inconcludenti, queste conferenze internazionali. Ma sono indispensabili: senza dialogo, confronto, ricerca di soluzioni internazionali condivise non vi è possibilità di affrontare la crisi climatica globale. Non bastano, ma sono necessarie. E la COP 21 di Parigi ha raggiunto un Accordo fra 195 Paesi che potrebbe segnare un punto di svolta nelle politiche e misure per far fronte alla crisi climatica. Questo Accordo prevede, infatti, che gli impegni di riduzione dei gas serra che i Paesi hanno presentato, siano verificati e aggiornati periodicamente e che debbano portare a riduzioni di emissioni tali da contenere l’aumento di temperatura molto al di sotto dei 2 °C e il più possibile verso 1, 5°C e che entro la metà del secolo non via sia più aggiunta di emissioni di gas serra in atmosfera perché le emissioni ammesse dovranno essere solo quelle compensate dagli assorbimenti. I grandi cambiamenti richiedono tempo. Quelli ambientali in atto sembrano poco efficaci perché sono ancora troppo lenti rispetto alla velocità delle crisi ecologiche.

Alcuni giovani che scrivono per il nostro blog Giovanibarnabiti.it le chiedono: cosa possono fare i giovani per la tutela dell’ambiente?

Il primo suggerimento che mi sento di dare è quello di cercare di formulare meglio la domanda, di renderla più concreta e precisa. Di smetterla di parlare genericamente di ambiente, ma di informarsi su precise e concrete problematiche, generali o anche del loro territorio. E di tornare con domande precise e anche con qualche risposta.

«Come mai l’inquinamento insieme ai problemi cardiovascolari è la prima causa di morte in Italia, ma non si riesce a far passare questa evidenza come il primo problema da combattere?

È vero che sono morti “silenziose” ma non si capisce come mai nessuno faccia almeno finta di provare a risolvere il problema. (Però un esempio c’è, la città di Pontevedra in Spagna, 80 mila abitanti senza auto frutto di una politica seria ventennale che ha portato questa città ad essere un eccellenza da questo punto di vista).

In parte credo di avere già risposto a questa domanda cercando di spiegare alcune ragioni del gap esistente di consapevolezza ambientale. Vorrei però aggiungere che, in un quadro generale che resta ancora preoccupante, molte cose sono tuttavia cambiate in meglio. Non siamo affatto al punto zero, anche per l’inquinamento, anche in Italia. I dati sulle emissioni degli impianti industriali indicano un netto miglioramento; non tutti e non sempre in modo adeguato, ma la gran parte degli scarichi idrici, civili e industriali, sono oggi depurati e sotto controllo; il traffico delle auto è diminuito solo in alcune città, in altre è aumentato, ma le emissioni specifiche dei singoli veicoli sono significativamente diminuite negli ultimi 10 anni; la gestione dei rifiuti, non ancora in tutto, ma nella gran parte del territorio nazionale, è ormai fatta correttamente e gli smaltimenti illeciti, in passato molto presenti, oggi in molte regioni sono rarità.

«Il decreto che porta il suo nome del 1996 ha introdotto la raccolta differenziata in Italia. Ritiene che sia stato applicato del tutto oppure sia stato sbagliato qualcosa? Eventualmente cosa?».

Allora, nel 1997, oltre l’80% dei rifiuti veniva smaltito in discarica, oggi siamo al 31% (dato del 2014) . La raccolta differenziata e il riciclo sono cresciuti molto (da pochi punti al 45%), anche se restano ancora ritardi in alcune zone del Sud, ma in alcune Regioni siamo fra i migliori a livello europeo. Molto si può ancora migliorare per recuperare anche le zone del Sud dove siamo rimasti in ritardo, per migliorare l’industrializzazione del sistema del riciclo e avviare un sistema di economia circolare: migliorare la normativa sulla cessazione del rifiuto, migliorare alcuni sistemi collettivi di riciclo, realizzare nuovi impianti di riciclo dove mancano e per le filiere dove non sono sufficienti, utilizzare meglio gli strumenti economici, migliorare i prodotti e loro riciclabilità, far decollare gli acquisti pubblici verdi.

La Natura si “vendicherà” di noi o avrà “misericordia”?

Se uno lancia la sua auto contromano in autostrada, se ha un’incidente non può certo dire che l’autostrada o il destino sia stato con cattivo con lui. Raccogliamo ciò che seminiamo, anche nel nostro rapporto con la natura. Se coltiviamo bene, con amore e cura, la terra ci darà buoni frutti a lungo, se lo facciamo male diventerà arida e non ci darà più nulla.

Un futuro migliore non si nega a nessuno

È dalla sua comparsa sulla Terra che l’uomo vive un perenne contrasto tra il bene e il male. A volte a vincere è stato il bene, a volte il male. In alcuni posti il male ha auto la meglio così tante volte da far quasi dimenticare alla gente che c’è anche un’altra scelta. Per molto tempo abbiamo considerato Casal Di Principe (periferia di Napoli, terra di fuochi e di camorra) uno di quei posti ma è cambiato qualcosa …

La spessa coltre di bruttezza è stata squarciata dalla luce più bella e splendente che si possa immaginare: l’arte. In quest’anno da poco passato è stata presentata a Casale un’esposizione di tele di scuola caravaggesca della galleria degli Uffizi di Firenze, “La luce vince l’ombra”.

Potrebbe quasi sembrare il titolo di un cine-comic ma non è così. Si parla lo stesso di supereroi, anche se i nostri protagonisti non “spruzzano” ragnatele dalle mani, né vengono da un altro pianeta. Sono molti più forti di Spiderman o Superman perché gli organizzatori hanno avuto il coraggio di credere in qualcosa che nessuno reputava possibile e di lottare per realizzarla… E tutto ciò vivendo nella realtà, senza neanche l’aiuto di una calzamaglia!

È questo che ci ha trasmesso il primo cittadino di Casal Di Principe, Renato Natale, quando ha parlato con i cittadini di San Felice a Cancello, nella parrocchia dei Padri Barnabiti.

Il sindaco ha saputo comunicare ai presenti l’amore per la sua terra, raccontando il sostegno ricevuto ma anche gli ostacoli affrontati, senza abbandonare mai le vesti di uomo semplice che non ha paura di parlare in dialetto perché orgoglioso delle sue origini.

Con il suo modo di parlare e i suoi aneddoti è riuscito a ridare a molte delle persone presenti la capacità di sperare in un futuro migliore anche in quei luoghi che apparentemente non hanno niente di buono da offrire.

In fondo a determinare la vittoria del ben o del male è sempre stato l’uomo con le sue azioni: un futuro migliore non si nega a nessuno, basta volerlo.

Carmen Guida

Hai un momento Dio?

(Le canzoni di Dio)

Quanti artisti, italiani e stranieri, hanno scritto almeno una canzone rivolgendosi direttamente o indirettamente a Dio? Quanti sono coloro che a Dio si sono affidati, hanno chiesto il perché di certe situazioni o addirittura hanno scaricato parte della loro rabbia e incomprensione? Probabilmente tanti da non riuscire neppure a contarli. Però qualche testo vogliamo spulciarlo!

Muoviamo dalla “christian song” che a livello di ascolti e vendite in questo mese, febbraio 2016, ha superato tutte le altre e confrontiamola non più con uno o due brani, ma con tanti, forse i più significativi che nel tempo, a livello nazionale ed internazionale, sono stati rivolti a Dio, così da analizzare in che modo una figura artistica e musicale, più o meno vicina alla fede, si può sentire legata a Dio e qual è la visione di Lui che ha ciascuno.

La canzone cristiana del momento, con ben più di due milioni di visualizzazioni in tutto il mondo su Youtube, è stata scritta da Chris Tomlin, cantante statunitense, nato a Grand Saline, Texas, nel 1972, in attività dal 1995. Dopo aver iniziato gli studi di fisioterapia, una volta ricevuta la “chiamata di Dio”, si è dedicato a tempo pieno alla sua vera passione: la musica, rivolgendo questa a Colui che aveva appena svoltato la vita del giovane Chris. Amante della chitarra e del pianoforte, strumenti che spesso lo accompagnano nei suoi concerti, propone al mercato musicale il suo ultimo singolo, dal nome “Good, good Father”. Questo brano è il più recente tra tutti quelli che finora abbiamo analizzato, poiché inciso solamente l’anno scorso e distribuito come singolo a partire dalla fine del 2015. Il titolo, così come l’intera canzone, è dedicato a Dio, rivolgendosi a Lui come Padre “buono e buono ancora”. In “Good, good Father”, Chris Tomlin descrive il rapporto che lo lega al suo Signore: un rapporto di amore, che gli permette di non sentirsi mai solo, perché Dio lo accompagna e gli è vicino ogni giorno, non smettendo mai di amarlo. Un giro di due accordi nell’introduzione e nella strofa, un crescendo di emozioni che il coro rende più intime, quasi a dire quanto sia bello e gratificante il rapporto di amore che lega Dio e l’artista, invitando l’ascoltatore a sentirsi parte di questo, e a vivere lui stesso personalmente, tale sensazione. Così Chris descrive la sua amicizia con Dio. Ma, dopo la seconda strofa, è soprattutto il successivo ritornello, all’interno del cosiddetto “bridge”, il quale porta alla fine della canzone, che si riesce ad apprezzare la canzone per la sua sincerità, grazie a questa totale trasmissione di emozioni, di euforia e gratitudine allo stesso tempo.

Siamo di fronte a un pezzo vicino alla musica commerciale di oggi, per orecchiabilità e semplicità di ascolto, ecco perché in questi tre mesi è il più ascoltato e venduto. Ascoltatelo: chissà che non susciti emozioni anche in voi.

E il resto delle canzoni cos’anno scritto? Atei, miscredenti, cristiani, dubbiosi, e non praticanti, praticamente tutti si sono rivolti a Dio.

In Italia, nel 1967 i Nomadi cantano Dio è morto scritta da Francesco Guccini. Considerata blasfema dalla Rai, e dunque censurata, viene ascoltata e riproposta al mercato musicale, da Radio Vaticana, convinta che l’importanza dei temi trattati dalla canzone, dovessero arrivare a tutti. Inizialmente, questa canzone venne presentata con il punto interrogativo: ciascuno risponderà personalmente, dopo aver considerato quanto Guccini scrisse sulle disgrazie di Auschwitz.

Fabrizio De André, dedica molte delle sue canzoni a Dio, la più conosciuta è forse “Il pescatore”, del 1968, che allude al gesto di dare da mangiare e da bere a chi è affamato e assetato. Quindici anni dopo anche il giovane Vasco Rossi si rivolge a Dio. Nell’anno di successi, come “Bollicine”, “Una canzone per te” e “Vita Spericolata”, viene presentata “Portatemi Dio”. Da sempre dichiarato ateo, ma comunque non contrario alla Chiesa, ma ai falsi predicatori della parola di Dio, tanto da essere stato molto amico di Don Andrea Gallo, con questo brano mostra il suo sgomento per quanto accade attorno e dentro di lui e Lo invita a rispondere a domande che affliggono la promettente rockstar. Nel 1996, dopo un processo di rinascita, in cui lo stesso Vasco Rossi fa intendere di aver riscoperto un nuovo senso della vita, canta, in “Un gran bel film”: “Quindi tu prega il tuo Dio, che io prego il mio”, evidenziando diverse esperienze del divino rivolgendosi anche a coloro che amano il denaro e altri beni materiali.

A metà degli anni ’80, anche Luca Carboni permette a tutti i suoi fans e non solo, di conoscere il suo rapporto con la fede e con Dio. Nel suo terzo album, “Luca Carboni”, la seconda traccia è rivolta al Figlio di Dio. Si tratta di “Caro Gesù”. Più interessante e sicuramente più conosciuta, è però la traccia numero uno. Qui la figura di Dio, viene appena accennata, ma è interessante perché legata ad un argomento molto delicato e sentito in quegli anni: l’abuso di eroina presso i giovani. “Silvia lo sai” parla di Luca, amico di Carboni che già dall’infanzia mostrava evidenti segnali di debolezza relazionale. Queste difficoltà lo porteranno poi nel mondo della droga e a cantare di Dio come “cattivo e noioso, preso andando a dottrina, (che) come un arbitro severo fischiava tutti i perché”. È curioso notare una lettura polemica sulle istituzioni religiose e scolastiche dell’epoca e un’esperienza di Dio incapace di aiutarlo.

Anche Renato Zero ha parlato di Dio nelle sue canzoni e lo ha fatto soprattutto nel 1980, in “Potrebbe essere Dio” e l’anno dopo in “Più su”. La seconda, capolavoro di testo e significato, analizza, con quell’intimità e delicatezza che contraddistinguono il “cantattore”, l’ascesa al cielo a cui possono prendere parte tutti, rivolgendosi direttamente a lui quando canta “fino a sfiorare Dio, e gli domando io: ‘Signore, perché mi trovo qui, se non conosco amore?’”. Questa volta sembra dunque che la figura di Dio, sia quella di un Dio buono e misericordioso, in grado di accettare chiunque nel suo Regno, e di consolare gli afflitti e di rassicurare coloro che soffrono e hanno paura.

È di Luciano Ligabue probabilmente, la canzone rivolta a Dio, più interessante della musica italiana. Stiamo parlando di “Hai un momento, Dio?” (1995). Anche il rocker emiliano si trova in un momento di solitudine che lo affligge tanto da invitare Dio a bere qualcosa assieme a lui e rispondere ai suoi perché. Il tono scherzoso del testo sembra evidenziare una forte delusione da parte del Liga, ma allo stesso tempo un desiderio di appacificarsi con Dio e con la sua vita.

Il forse poco conosciuto Alessandro Bono (avrebbe dovuto cantare “Terra Promessa”) scrisse e cantò “Gesù Cristo”, Gesù Cristo ritorna, qui c’è ancora bisogno di te: una preghiera a una persona particolare in un momento particolare della vita. Come a dire, o meglio cantare, che anche la musica moderna nella sua ricerca di cantare il vero e il bello non può evitare questo buon, buon Padre il quale non disdegna di usare anche questo linguaggio per parlare con ognuno di noi.

Tacquero in quei giorni

2a Domenica di Quaresima

Essi tacquero in quei giorni! Così conclude san Luca questo brano del Vangelo di oggi, 2 domenica di quaresima.
Tacquero perché avevano ascoltato la parola di Dio, una parola che certificava la parola fatta carne: Gesù. Come nel Giordano anche oggi Dio dice ai discepoli: “Questi è il Figlio mio diletto: ascoltatelo!”.
Come Abramo, come Paolo e i Filippesi, come Giovanni, Giacomo e Pietro anche noi vogliamo ascoltare la parola di Dio: Gesù! E con Gesù dire anche noi: Amen! Sì! Sia fatta la tua volontà.

Forse non siamo abituati a ritagliarci qualche giorno di ritiro, o non possiamo, però possiamo ritagliarci qualche spazio e tempo di silenzio durante la giornata: mentre siamo a tavola, viaggiando verso il lavoro, spegnendo l’ipad… o il computer; crearsi tanti piccoli monti Tabor dove lasciarsi incontrare da Dio.
E Dio cosa vorrebbe dirci? Quello che dice ad Abramo, a Paolo, a Pietro, Giacomo e Giovanni: la mia alleanza con voi è per sempre!
“Guarda le stelle del cielo… Alla tua discendenza
io do questa terra” (Gen 15,5-12.17-18); “La nostra cittadinanza infatti è nei cieli” (Fil 3,17- 4,1); “è bello per noi essere qui” (Lc 9,28-36)!

La Quaresima è tempo di conversione, di cambiare vita, non solo dal punto di vista morale –non peccare più o comunque superare i nostri peccati – ma anche dal punto di vista spirituale, della nostra conoscenza di Dio.
Spesso noi ci diciamo cristiani, ma non sappiamo bene che significhi, non sappiamo bene cosa comporti perché fatichiamo a porci all’ascolto della parola di Dio e a lasciarci guidare da essa!
Le tre letture parlano dell’alleanza che Dio vuole vivere con gli uomini e le donne che Lui ama. Quest’alleanza è per sempre e trova in Cristo, nella sua croce, il suo sigillo, la sua sicurezza.
Pietro, Giacomo e Giovanni, ma anche Paolo, conoscevano Mosé e i profeti, le alleanze che proponevano in nome di Jahweh, sapevano che sarebbero state definitive nei tempi futuri, ma ora si ritrovano a fare i conti con Cristo!
Questo uomo che è disceso sulla terra dal cielo si preoccupa ora di condurre non solo i discepoli, ma tutti coloro che crederanno in Lui al cielo, di farli salire al Padre. E quale strumento usa Gesù per capire cosa vuole il Padre suo e Padre nostro? La preghiera.

Non una preghiera di domande o giaculatorie, ma una preghiera di ascolto. La preghiera di Gesù sta tutta qui, e tale è anche la preghiera del cristiano: non c’è molto da dire a un Padre che conosce ciò di cui abbiamo bisogno (cf. Mt 6,8) e ciò che abbiamo nel cuore, non ci sono lunghi discorsi da fare (cf. Mt 6,7), ma c’è solo da rispondere al Signore con l’obbedienza, con il “sì” assunto liberamente e con grande fede amorosa. Tante volte – ci testimoniano i vangeli, in particolare Luca (cf. Lc 5,16; Lc 6,12; Lc 9,18) – Gesù ha cercato la solitudine, la notte, la montagna, per vivere questa preghiera assidua al Padre; anche ora, dopo la confessione di Pietro, che ha segnato un balzo in avanti nella fede dei discepoli e gli ha permesso la rivelazione della sua morte e resurrezione, Gesù entra nella preghiera. Sappiamo bene che la preghiera non muta Dio ma trasforma noi, eppure ce ne dimentichiamo facilmente, perché la forma di preghiera pagana che vuole parlare a Dio, che vuole piegarlo ai nostri desideri, sta nelle nostre fibre di creature fragili e bisognose, pronte a fare di Dio colui che può sempre dirci “sì”. Gesù invece non prega così, perché sa che è lui a dover dire “sì” a Dio, non viceversa.

Fermiamoci anche noi sul monte Tabor della nostra coscienza, invochiamo lo Spirito santo e chiediamogli di conoscere meglio Gesù e di aiutarci a dire con Lui al Padre: Sia fatta la tua volontà! Sì! Amen!

Onde gravitazionali

Onde gravitazionali ovvero, il senso della ricerca.

Questa settimana la fisica ha raggiunto un altro risultato fenomenale: sono state individuate le onde gravitazionali.

Esse sono un’increspatura dello spazio-tempo generate dalla fusione di due buchi neri. Nonostante la loro esistenza sia una diretta conseguenza della relatività generale, teorizzata 100 anni fa da Albert Einstein, fino ad oggi non si era riusciti a dimostrarne l’esistenza. Data la loro natura, abbiamo dovuto aspettare un secolo per avere la tecnologia sufficiente per poterle rivelare. Ma grazie ai progressi tecnologici e come sempre grazie ad un pizzico di fortuna abbiamo raggiunto questo importante obiettivo. Perché importante?

Perché innanzitutto è un’ulteriore conferma della teoria di Einstein e in secondo luogo apre la porta a nuove tecniche di indagine del cosmo, che fino ad ora è stato studiato utilizzando la luce.

Tuttavia ciò che mi ha lasciato perplesso in questi giorni è la reazione di molti italiani di fronte a questa eccezionale scoperta. Confrontandomi con i miei amici e leggendo i commenti delle notizie, ho riscontrato una certa indifferenza di fronte a questo avvenimento.

Il perché è semplice.

La scienza si è evoluta enormemente nell’ultimo secolo. Ora si parla di Big Science, poiché le nuove scoperte vengono effettuate dai grandi centri di ricerca e dai gruppi di ricercatori. La figura del singolo scienziato, capace di creare da solo una teoria, è quasi sparita.

Il motivo è che si è raggiunto un livello di complessità che necessita un approccio di massa, per risolvere i problemi. E sono necessari anche grossi investimenti per costruire macchine sempre più potenti.

Il nocciolo della questione è proprio questo: la complessità degli argomenti nasconde l’utilità pratica delle scoperte effettuate nell’ultimo quarto di secolo. Allora per i non addetti ai lavori è quasi giustificata la perplessità di fronte a queste notizie ed è quasi lecito che il popolo si chieda perché non investire quell’enorme quantità di soldi in progetti all’apparenza più utili.

Tutto ciò perché ciò che spesso si ignora sono le conseguenze pratiche della ricerca di base. Tutto ciò che ci circonda, le lampadine, la risonanza magnetica, internet e i computer, derivano proprio dalla ricerca di base, che come prodotto secondario fornisce la tecnologia che usiamo quotidianamente. Forse noi scienziati dovremmo essere più bravi nel comunicare questo fatto, in modo da poter far conoscere l’importanza della ricerca scientifica.

Inoltre è proprio la curiosità dell’uomo che ha permesso la sua evoluzione nella storia. Una curiosità fine a se stessa. Un po’ come la letteratura, la musica, la pittura e il teatro. Tutto ciò non risolve i grandi problemi del mondo, ma permette all’uomo di innalzarsi e di vivere, non solo di sopravvivere.

Roberto Nava

Il Figlio e il Diavolo

Gesù è il figlio di Dio e lo sa!
Il Diavolo, l’invidioso, colui che divide, sa che Gesù è il Figlio di Dio.

Gesù non è un figlio abbandonato, è condotto dallo Spirito santo, nel battesimo, nel deserto, nella vita, sulla Croce, nel Sepolcro.
Il diavolo è guidato dal suo ego, dalla sua brama di potere, da uno spirito di morte.

Gesù va nel deserto per riflettere, per comprendere a quale missione è chiamato, per stare con il Padre e lo Spirito santo.
Il Diavolo va nel deserto per disturbare, per imbrogliare, non per comprendere e aumentare la propria consapevolezza.

Gesù non abusa del suo potere di Figlio: si accontenta di quel poco che ha (non di solo pane), non abusa di potere (ti darò tutti questi regni…), non tenta, non mette alla prova il Padre, si fida di Lui.
Il Diavolo abusa della libertà che gli è concessa, stuzzica la fame, abbaglia di potere, insidia il timore di Dio.

Mangiare, potere, religione, ecco i tre punti vitali di ogni uomo, perché Gesù non approfitta del suo essere Dio, non vive sulla terra in modo distaccato, ma condivide la nostra umanità.
Pensando a Gesù, alla sua vita, alle sue scelte, alla sua passione, ci viene spontaneo da obbiettare: “Ma Gesù era il Figlio di Dio”. Tutto il Vangelo e in modo particolare questo racconto delle tentazioni ci mostra che proprio perché pienamente uomo egli permette al Padre di generarlo come Figlio suo.
Tutto questo significa che Gesù vive pienamente l’esperienza umana come relazione filiale con il Padre, ma questa non annulla la percezione della debolezza umana: la fede accompagna tutta la vita di Gesù, la fede fa percepire all’uomo la “sua fame”, la sua radicale non autosufficienza.

Il deserto è proprio il luogo dove ci si ferma per stare con se stessi e capire dove si è, da dove si viene, dove si va. Ed è proprio a questo punto che si inserisce la “tentazione”: quanto più l’uomo ha la chiara coscienza di sé, sente la fame di qualcosa che lo sazi. Ma può da solo rispondere a questo suo bisogno?
Il deserto è il luogo dove si mette ordine, non un ordine maniacale, ma l’armonia; il diavolo invece vuole il disordine, lo sporco perché così il male (in tutte le sue forme) può agire indisturbato.

“Se tu sei il figlio di Dio…”: il diavolo non mette in dubbio l’identità di Gesù, gli suggerisce di usarla come un potere. “Se tu sei potente, usa la tua potenza: trasforma tu queste pietre in pane che sazi la tua fame”.
“Il diavolo lo condusse in alto…”: che cos’è la grandezza che l’uomo percepisce dentro di sé, la enorme “potenza e gloria” di cui ogni uomo si sente partecipe? Gesù è “disceso” e lo Spirito di Dio è sceso su di lui. Il diavolo invece porta “in alto” Gesù e gli dà una visione falsificata di tutto.
“Se tu sei il figlio di Dio…”: “Se tu sei il figlio di Dio, perché il male, perché la morte: affidati a chi ti promette prodigi per sfuggire alla morte”.

A chi ci affidiamo noi?
A chi ci imbroglia con promesse vane, a chi vuole mantenere il disordine, dicendoci che nulla mai cambierà?
Affidati, ecco la parola “chiave” di questa I domenica di Quaresima per affrontare le fatiche di una vita vera, di una vita in Cristo. Affidarsi a Gesù e vivere di conseguenza.

MERCOLEDì DELLE CENERI 2016,

Inizio del cammino di Quaresima
Oggi comincia la Quaresima, i 40 gg verso la Pasqua, la festa più importante dei cristiani, alla quale seguiranno i 50 giorni di Pasqua sino alla Pentecoste.

Partiamo subito dalla parola di Dio perché ci faccia capire il motivo per cui siamo qui oggi.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (5,20-6,2)
Fratelli, noi, in nome di Cristo, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.
Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti:
«Al momento favorevole ti ho esaudito
e nel giorno della salvezza ti ho soccorso».
Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!
Parola di Dio

Dal Vangelo secondo Matteo (6,1-6.16-18)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. 
Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».
Parola del Signore

Riflessione

Noi cerchiamo di essere amici di Dio, ma non sempre ci riusciamo; anzi molti nostri amici che credono di meno o non credono ci osservano e subito ci fanno notare quando siamo nell’errore!
Tutti gli uomini fanno degli errori, ma i cristiani devono essere più attenti, anche perché per loro l’errore si chiama peccato. Un errore è un errore e basta, un peccato è un errore che fa male anche a Dio che cammina con noi, che è nostro amico, che ci ha creati per il bene! Un peccato rompe l’alleanza tra noi e Dio.
La quaresima è un tempo speciale per riflettere sui propri peccati e cercare di cambiare, di diventare più santi!
Lasciamoci riconciliare da Dio… ecco il momento favorevole, il momento della salvezza!

San Paolo ci ricorda che Dio ha mandato il suo Figlio per annientare il nostro peccato. Quindi il peccato c’è! Ma spesso noi ci dimentichiamo che siamo peccatori, che pecchiamo. La società di oggi allontana il peccato, perché dà fastidio. Ma il cristiano non si lascia imbrogliare e resta all’erta, in guardia. Resta un poco in pensiero, davanti alle tante porte del peccato e della salvezza, ma poi sceglie. Il vangelo di oggi ci aiuta a scegliere come superare il peccato, attraverso la porta dell’elemosina, la porta del digiuno, la porta della preghiera. Sono queste le porte che ci permettono di riconoscere e superare il peccato: il peccato dell’egoismo, dell’avarizia; il peccato dell’ingordigia, dell’avidità; il peccato dell’autosufficienza, del narcisismo. Ma il Signore è ricco di misericordia e ci invita a varcare la porta della sua misericordia per crescere, per diventare più santi.

Siamo nell’anno della misericordia, quello della porta che vogliamo attraversare per camminare verso la santità! Avete visto il nuovo poster che abbiamo affisso sulla scala, che abbiamo messo su questo foglio: un uomo davanti a tante porte. Possiamo decidere se sono le porte del peccato o della misericordia.

Per vivere bene la Quaresima, per entrare nella ruota della misericordia di Dio siamo chiamati a passare tre porte: preghiera, digiuno, carità/elemosina, come dice il vangelo. Oggi, in questo mercoledì delle Ceneri, vogliamo impegnarci a vivere bene la preghiera, il digiuno, la carità/elemosina.
La preghiera è lo strumento che ci mette in armonia con noi e con Dio, con i fratelli e con l’universo.
Il digiuno è lo strumento che ci fa capire quali sono le cose essenziali per una vita felice.
La carità è lo strumento che ci fa superare l’egoismo, l’individualismo, l’indefferenza.

Preghiera, digiuno, carità/elemosina sono gli strumenti che ci permettono di superare la globalizzazione dell’indifferenza per raggiungere la globalizzazione della responsabilità! L’indifferenza si annida nelle piccole cose e raggiunge le situazioni più grandi;
la responsabilità parte dai piccoli semi per diventare una grande pianta.

La preghiera, perché non sia solo una formula, deve partire dalla parola di Dio: avete un vangelo a casa? Perché tutti hanno sicuramente un cell sempre in mano ma non il vangelo? Perché quando entriamo nelle case dei nostri amici cristiani vediamo la tv, i telefoni, il superfrigor… e mai vediamo un vangelo: abbiamo paura di testimoniare che siamo cristiani?

Per favore tirate fuori il vostro vangelo/bibbia e ponetelo in un luogo visibile.

Il digiuno, non è solo una dieta, ma capire che non tutto è necessario, che si può vivere in modo più sobrio, ci ricorda che molti vivono nella povertà, nell’indigenza e noi non possiamo approfittare delle nostre ricchezze solo per noi stessi. Il digiuno ci ricorda che le ricchezze forse ci sono date per fare del bene agli altri. Il digiuno ci insegna a vedere i tanti poveri che spesso non vogliamo vedere. Il digiuno ci aiuta a vincere quella distrazione che non ci fa vedere le cose importanti per il nostro fratello, per l’ambiente, per Dio. quando uno è troppo sazio non può vedere, preoccuparsi dell’altro.

La carità / elemosina, non è solo una moneta che do a chi tende una mano e poi io resto la persona indifferente che sono: la carità è la condivisione del mio tempo, delle mie cose, delle mie responsabilità con l’altro, con l’ambiente, con Dio.

La carità significa che la mia coscienza si è lasciata toccare dall’esperienza di Dio (preghiera e digiuno) e diventa azione viva e vivificante.

Concretamente, alcune indicazioni:
Preghiera: il vangelo nella mia casa.
Digiuno: sigarette, telefono, alcol, sporcizia (non sporcare l’ambiente).
Carità: volontariato, bottiglie, cura dell’ambiente.

IMPOSIZIONE DELLE CENERI

A raiz humana da crise ecológica. I

Folha 4

A actual crise está enraizada no presente predomínio tecnocrático e na concepção do homem que dele deriva.

  1. “A técnica exprime a tensão do ânimo humano para uma gradual superação das limitações materiais” ( B XVI, CV, 69). A tecnociência, se devidamente orientada, também é capaz de produzir o bonito. Assim, no desejo de beleza do artesão e em quem contempla aquela beleza se realiza o salto para uma certa plenitude própria do homem (cf. 102ss).

No entanto, não podemos ignorar os perigos no guiar o poder do progresso (nas suas dimensões económica, técnica, científica e social), normalmente nas mãos de poucos oligarcas.

Tende-se a crer que “cada poder aquisitivo é simplesmente progresso, aumento de segurança, utilidade, bem-estar, força vital, de plenitude de valores” (R. Guardini), como se a realidade e o bem surgissem espontaneamente do mesmo poder e da tecnologia e da economia. A verdade é que «o homem moderno não foi educado para o reto uso do poder» (ib.)… cada época tende a desenvolver uma baixa auto-consciência de seus próprios limites … liberdade do homem adoece, quando se entrega às forças cegas do inconsciente, das necessidades imediatas, do egoísmo, da violência brutal; mas podemos afirmar que carece de uma ética sólida, uma cultura e uma espiritualidade que lhe ponham realmente um limite e o contenham dentro dum lucido domínio de si (105).

 

  1. Mas o problema fundamental é a globalização do paradigma tecnocrático. Se até ontem o progresso acompanhou a natureza, a humanidade hoje tomou a tecnologia e seu desenvolvimento, juntamente com um paradigma homogêneo e unidimensional. O problema não é a tecnologia em si, mas sim as consequências socio-antropologicas dos mesmos. Algumas decisões que parecem puramente instrumentais, na verdade, são escolhas relevantes para o tipo de vida social a ser desenvolvido. Desta forma, a capacidade de tomada de decisão, a liberdade autêntica e mais o espaço para a criatividade alternativa dos indivíduos são reduzidas. Estamos diante ”a um domínio, no sentido verdadeiro da palavra “(R. Guardini) (cr. 106ss).

Não se aprendeu a lição da crise financeira mundial (A finança sufoca a economia real) e, muito lentamente, se aprende a lição do deterioração ambiental” (109). A maximização do lucro não é suficiente. O mercado por si só não garante o desenvolvimento humano integral e inclusão social (B XVI , CV 35).

A especialização própria da tecnologia comporta grande dificuldade para se conseguir um olhar de conjunto, sobretudo os do meio ambiente e dos pobres, que não se podem enfrentar a partir duma única perspetiva nem de um único tipo de interesses. Uma ciência, que pretenda oferecer soluções para os grandes problemas, deveria necessariamente ter em conta tudo o que o conhecimento gerou nas outras áreas do saber, incluindo a filosofia e a ética social… Na realidade concreta que nos interpela, aparecem vários sintomas que mostram o erro, tais como a degradação ambiental, a ansiedade, a perda do sentido da vida e da convivência social. Assim se demonstra uma vez mais que «a realidade é superior à ideia” (EG 231)» (110).

O problema ecológico não é simplesmente uma questão de recursos técnicos, mas de uma nova cultura ecológica: um pensamento, um programa educacional, um estilo de vida e uma espiritualidade … A humanidade hoje mudou profundamente e a acumulação de novidades consagra uma transitoriedade que nos atrai para a superfície em uma única direção. Torna-se difícil de parar para recuperar a profundidade da vida … Ninguém quer voltar para as cavernas, mas precisa diminuir a marcha, à procura de sinais de liberação deste paradigma tecnocrático e ao mesmo tempo, recuperar os valores e grandes propósitos destruídos por um esagerado megalomaníaco (cf. 111 -114).

Perguntas:

O que è a tecnologia?

Que idéia você tem do “belo”, porque o Papa Francisco fala do belo?

O problema da gestão do poder não é um problema apenas de filme, é um problema que toca a todos nós: o que você acha?

O problema ecológico não é apenas um problema da poluição, é um problema da espiritualidade formada por uma ética sólida e uma cultura que realmente nos ensinar o senso do limite, do auto-controle para o bem comum.

Que estilo de vida você poderia começar a viver?

Quais pontos de referência para construir um estilo de vida renovado?

La radice umana della crisi ecologica. I

Scheda 4

L’attuale crisi trova le sue radici nel predominio tecnocratico attuale e nella concezione dell’uomo che da esso è derivato.

  1. «La tecnica esprime la tensione dell’animo umano verso il graduale superamento di certi condizionamenti materiali» (B XVI, CV, 69). La tecnoscienza, se bene orientata, è anche capace di produrre il bello. In tal modo, nel desiderio di bellezza dell’artefice e in chi quella bellezza contempla si compie il salto verso una certa pienezza propriamente umana (cf. 102ss).

Tuttavia non possiamo ignorare i pericoli nel gestire il potere del progresso (nelle sue dimensioni economica, tecnica, scientifica e sociale), normalmente in mano a poche oligarchie.

Si tende a cedere che «ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso, accrescimento di sicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale, di pienezza di valori» (R. Guardini), come se la realtà e il bene sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia. Il fatto è che «l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza» (Ib.) … ogni epoca tende a sviluppare una scarsa autocoscienza dei propri limiti… la libertà dell’uomo si ammala quando si consegna alle forze cieche dell’inconscio, dei bisogni immediati, dell’egoismo, della violenza brutale; … quando gli mancano un’etica solida, una cultura e una spiritualità che realmente gli diano un limite e lo contengano entro un lucido dominio di sé (105).

  1. Ma il problema fondamentale è la globalizzazione del paradigma tecnocratico. Se fino a ieri il progresso ha accompagnato la natura, oggi l’umanità ha assunto la tecnologia e il suo sviluppo insieme a un paradigma omogeneo e unidimensionale. Il problema non è la tecnologia in sé, bensì le conseguenze socioantropologiche che ne derivano. Certe scelte che sembrano puramente strumentali, in realtà sono scelte attinenti al tipo di vita sociale che si intende sviluppare. In questo modo la capacità di decisione, la libertà più autentica e lo spazio per la creatività alternativa degli individui sono ridotte. Siamo di fronte «a un dominio nel senso stretto della parola» (R. Guardini) (cr. 106ss).

«Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale (la finanza soffoca l’economia reale) e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale» (109). La massimizzazione del profitto non è sufficiente. Il mercato da solo non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale (B XVI, CV 35).

«La specializzazione della tecnologia non permette uno sguardo d’insieme e i problemi, specialmente dei più poveri, non si possono risolvere senza tenere conto delle diverse aree del sapere, comprese la filosofia e l’etica sociale… nella realtà concreta che ci interpella, appaiono diversi sintomi che mostrano l’errore, come il degrado ambientale, l’ansia, la perdita del senso della vita e del vivere insieme. Si dimostra così ancora una volta che la “realtà è superiore all’idea” (EG 231)» (110).

Il problema ecologico non è semplicemente una questione di rimedi tecnici, bensì di una nuova cultura ecologica: un pensiero, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità… L’umanità oggi si è modificata profondamente e l’accumularsi di continue novità consacra una fugacità che ci trascina in superficie verso un’unica direzione. Diventa difficile fermarci per recuperare le profondità della vita… Nessuno vuole tornare alle caverne, ma bisogna rallentare la marcia, guardare ai segni di liberazione di questo paradigma tecnocratico e la tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane (cf. 111-114).

Domande:

Cos’è per te la tecnologia?

Quale idea hai di “bello”, perché papa Francesco parla di bello?

Il problema della gestione del potere non è un problema solo da film, è un problema che tocca tutti noi: cosa ne pensi?

Il problema ecologico non è solo un problema di inquinamento, è un problema di spiritualità formata da un’etica solida e una cultura che realmente ci educhi al senso del limite, del dominio di sé per il bene comune.

Quale stile di vita potresti cominciare a vivere?

Quali punti di riferimento per costruire un rinnovato stile di vita?

Famiglie in piazza

Protestare, far sentire la propria voce su un tema o sull’altro è un diritto di tutti, così come è un dovere farlo in modo pacifico e rispettoso.
Mi sembra che così sia successo, anche se le reazioni – e ora non posso usare un termine diverso – “contro” i cattolici siano state più virulente e in certe situazioni non rispettose che nella situazione precedente, forse perché il cattolico comunque dà fastidio.
Come spesso accade il senso critico che ognuno chiede all’altro, sovente in questi frangenti non viene usato. Mi spiace quando questo senso critico non è usato da tanti studenti con i quali ho avuto il piacere e l’onore di condividere ore di lavoro e di crescita.
Non sono andato al Circo Massimo sabato perché non amo molto queste manifestazioni, perché ho altri spazi sui quali far sentire la mia voce, perché non volevo incrociarmi con politici che hanno in mente il valore della vita solo in certe occasioni! Però quando in una classe c’è uno studente “balordo”, non significa che tutta la classe sia “balorda”!
Il valore della vita.
La maggior parte delle persone che hanno manifestato al Circo Massimo hanno una idea precisa del valore della vita; sono peccatori come tanti altri, sicuramente, ma hanno non solo in mente, anche in pratica una coscienza della vita che per molti versi la nostra società – specialmente occidentale – sta perdendo. Una coscienza della vita come dono che non ti appartiene, proprio perché dono, dono che va rispettato e non commercializzato.
L’idea di fondo del cristiano è che la vita vada sempre rispettata dal suo “prima” di nascere al suo dopo morire, quindi anche durante il suo vivere.
Mi pare che il problema non verta sul rispetto dei diritti altrui, ma sul modo in cui far valere questi diritti. L’equiparazione dei termini per definire delle situazioni reali non è mai un’azione corretta, per nessuno. E nonostante i propri peccati, i cristiani sanno che proprio perché si rispettano gli altri, tutti, non si può omologare il tutto. Purtroppo questo non è molto chiaro a tutti; una certa mentalità liquida e commerciale in cui tutti noi viviamo ci porta a non porre più confini (tranne che per i migranti!) creando così una situazione di confusione di cui forse oggi non ci rendiamo conto.
Le convivenze eterosessuali hanno già il rito civile del matrimonio; le relazioni omosessuali hanno diritto ad avere una regolamentazione giuridica per tutti i motivi che sappiamo, queste relazioni però non si possono chiamare matrimoni per i motivi che ho già scritto precedentemente; poi ci sono alcuni che non desiderano riconoscimento alcuno, ma questa è un altro argomento.
Diversa è la questione delle adozioni, ma qui entrano in gioco – a detta di alcuni – le paure, l’ignoranza, l’antimodernismo dei cattolici. Forse.
O forse qui entra in gioco la riflessione sulla libertà e sulla verità.
La libertà non è il potere fare quello che si vuole, anche con tutte le buone intenzioni, ma la possibilità di agire per il massimo bene per tutti. La libertà è la capacità di sapersi incontrare con libertà dell’altro, specialmente quando l’altro è un nascituro o un bambino.
Un nascituro o un bambino non sono degli oggetti commerciabili! Certo molti hanno in mente il bene dei nascituri o dei bambini, ma la ricerca del bene non può misurarsi solo con il bisogno di un piacere del momento; essa deve misurarsi anche con la possibilità del limite. Il limite di non poter avere un figlio proprio, quando la biologia non lo rende possibile (e la scienza per tutti noi è un dogma!).
C’è un diritto naturale – anche di questo ho già scritto – che non si può invocare solo per se stessi o quando fa comodo, ma anche per un bambino, per le nuove generazioni. C’è un diritto naturale che implica la capacità di saper vedere oltre il proprio naso; una lungimiranza che chiediamo alla programmazione economica, ma non vogliamo utilizzare nella riflessione antropologica.
Mi auguro che il governo possa trovare una accettabile soluzione per il bene del paese e concludo citando quando il vescovo di Chieti, Bruno Forte scrive su Il Sole 24 ore di oggi:
«Qual è la posta in gioco nell’attuale dibattito parlamentare sulle unioni civili riguardo al bene comune? La risposta a questa domanda richiede che si rifletta sui valori di fondo implicati nelle decisioni da prendere. Mi sembra che essi siano fondamentalmente tre: i diritti del cittadino, i suoi doveri verso la “res publica” e i doveri della stessa nel promuovere il bene di tutti, per tutti…
Scommettere sulla famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna non è contro nessuno, ma a favore di tutti perché l’unione matrimoniale di un uomo e di una donna, vissuta nella fedeltà e aperta alla procreazione, è garanzia della crescita autentica dell’umanità e della socialità di ciascuno. Nel sostenere la famiglia «società naturale fondata sul matrimonio» sarà, insomma, la “res publica” tutta intera a trarne vantaggio per il suo presente e il suo futuro».

Giannicola M. Simone