«Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la terra arida».
Con queste parole del profeta Isaia comincia la liturgia di questa 3 domenica di Avvento.
Si rallegrino perché imminente è la venuta del Signore Gesù!
Ma c’è da rallegrarsi oggi?
Le situazioni, le guerre, gli egoismi, l’indifferenza non permettono di rallegrarsi.
Eppure il credente è sempre nella gioia, anche quando affronta il dolore, il sorriso di Dio abita nella sua coscienza, tra i suoi pensieri.
Rallegrarsi è difficile.
È difficile rallegrarsi per Giovanni Battista (Mt 11,2-11) che aveva una idea di Messia imparata dalla propria fede ebraica, un messia che libera i prigionieri, che rialza gli umili, che combatte i potenti.
E invece Giovanni Battista si trova in carcere, soggiogato dai potenti, Erode, forse dimenticato da
Ma i suoi discepoli gli raccontano quello che opera Gesù con i suoi discepoli: la sua attenzione ai poveri, agli ultimi, quel suo farsi ultimo, piccolo tra i piccoli!
«Non ve n’è uno più grande di Giovanni Battista – dice Gesù – ma il più piccolo è più grande di lui!». Il più piccolo è questo Dio che si fatto uomo in Gesù, condividendo le nostre miserie e limiti.
Gesù condivide le nostre miserie, le nostre tragedie, i nostri limiti e noi – suoi discepoli – cosa condividiamo con questa umanità in cui siamo chiamati a vivere?
Più che condividere sembra siamo abili nel creare miseria, limiti e tragedie e quasi non ce ne preoccupiamo. Ci preoccupiamo di un cagnolino, di un animale che soffre, ma di un uomo?
Non si può attendere Gesù – dicevamo – come attendendo un tram. Bisogna attendere Gesù con costanza, pazienza, senza lamentarsi, impegnati in ogni momento a una piccola o grande azione per il bene degli uomini.
Non lasciamo che la sorte di tanti Giovanni Battista ci passi accanto come se nulla fosse, recuperiamo non delle emozioni generiche e temporali per quanto ci accade intorno; ricostruiamo una cultura dell’altro con la quale poter costruire il bene di tutti.
Così hanno fatto i profeti, così Giovanni Battista, così Gesù, così siamo chiamati a testimoniare noi cristiani.
avvento
Aspettare il tram con Gesù?
«I cristiani dicono di attendere il Signore, e lo aspettano come si aspetta il tram!» scriveva Ignazio Silone!.
C’è un modo distratto e un modo preoccupato per attendere il tram!.
È distratto quando si vive questo tempo come qualsiasi altro, come una delle tante pubblicità che colpiscono i nostri sensi; quante volte abbiamo una fede spot tra tanti spot?
È modo preoccupato, che si prende carico, quando vuole arrivare alla meta, considera i modi per raggiungerla, è già nella gioia per quanto accadrà.
+ Con quale atteggiamento vogliamo attendere il “Signore che viene”?
+ Ma vogliamo attenderlo o pensiamo che il tempo sia scaduto o questa storia riguardi il passato?
Essere consapevoli di ciò è già il primo passo per attendere “il Signore che viene”.
+ Ma il Signore viene?
Certo che viene, perché è venuto, perché verrà.
È venuto ogni volta che è accaduto il bene (non solo 2000 anni fa a Betlemme);
viene ogni volta che accade il bene;
verrà quando si rivelerà il bene nella sua totalità, nella pienezza della misericordia di Dio.
Qualcuno potrebbe voler sapere cos’è il bene, ma prima credo sia meglio chiedersi come attendiamo, vigiliamo “il Signore che viene”!.
+ Si attende “il Signore che viene” con la preghiera.
Pregare incessantemente dicendo : “Vieni Signore Gesù”, significa gridare al cielo invocando da lui ciò che non ci possiamo dare da noi quaggiù. Significa riconoscere che ogni essere umano è abitato da un desiderio così profondo che la terra non può saziare.
Pregare leggendo con sincerità di cuore il Vangelo, anche un versetto al giorno, che come la fiamma di una candela possa illuminare il nostro andare, cambiare i nostri modi di pensare per trovare le risposte giuste.
Pregare trovando spazio per il Silenzio: come un bimbo richiede 9 mesi di silenzio per nascere, così Gesù per nascere in noi ha bisogno di silenzio.
+ Una preghiera così vissuta e celebrata è un bene, è il bene!
È il bene di cui abbiamo bisogno per crescere, è il bene di cui ha bisogno il mondo per crescere. Una preghiera così celebrata crea un’energia positiva non solo per me, ma per tutti. Certo è una preghiera invisibile, agli occhi degli uomini, ma non di Dio che provvede a spargerla nell’universo.
Vieni Signore Gesù è la preghiera di chi ha l’umiltà di ammettere che non solo non ci si può dare tutto, ma che l’essenziale che ci fa vivere lo riceviamo, certi che l’unica salvezza è la vita di un altro, di un Altro. Sappiamo che il passato non ce l’ha data, comprendiamo che il presente ne è del tutto incapace, allora la attendiamo nel futuro e, invocandolo, la attraiamo a noi. “Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi molto prima che accada” (R. M. Rilke, Lettere a un giovane poeta, 12 agosto 1904).
Dipende da noi attendere il Signore come alla fermata del tram o stare alla fermata insieme a Gesù perché il futuro possa farsi storia in noi per il bene degli uomini che Dio ama.
La corsa della gioia
La domenica del cristiano non è semplicemente un giorno di pausa necessaria per ricomporre la propria storia, la propria umanità.
La domenica del cristiano è il giorno in cui la parola di Dio, di quel Dio al quale egli dice di credere, bussa con maggiore forza alla porta della sua vita.
Il pane di vita al quale ci accostiamo ogni domenica, trova il suo senso, la sua forza, la terra in cui adagiarsi per porre radice e portare frutto, nella parola di Dio.
La parola di Dio oggi ci parla di gioia (oggi è la cosiddetta domenica gaudete) perché il Signore è ormai vicino a noi, con la nostra storia facile e difficile.
Il profeta Sofonia (1^ lettura) in un momento drammatico della vita del suo popolo, (quando la monarchia ormai è alla fine e) il dramma dell’esilio si profila all’orizzonte, dopo aver richiamato alla conversione e dopo aver proclamato minacce per le nazioni e per Israele, alla fine in nome di Dio pronuncia parole meravigliose di speranza: “Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio è in mezzo a te: è un salvatore potente. Gioirà per te. Ti rinnoverà con il suo amore. Esulterà per te con grida di gioia”.
La lettera di Paolo ai Filippesi (2^ lettura), pur non nascondendo le difficoltà che l’apostolo sperimenta nel suo cammino, è un continuo richiamo alla gioia, dall’inizio (Fil.1,18.25) alla fine, con il piccolo brano che oggi leggiamo: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù” (Fil.4,4-7).
Sono parole stupende quelle di Sofonia e di Paolo: è l’esperienza personale di Dio, una relazione d’amore che ringiovanisce la vita, l’esperienza di un Dio vicino, dello sposo che con la sposa esulta con grida di gioia. È l’esperienza della fede, che Sofonia preannuncia e che Paolo annuncia come realizzata in Gesù, il figlio che dona la vita per noi: la fede è l’esperienza dell’amore di Dio per noi. Se Dio ci ama, noi siamo liberi da tutte le paure, nei momenti difficili possiamo rivolgere a lui le nostre invocazioni, siamo nella pace, la nostra vita spoglia di ipocrisie, rivendicazioni, desiderio di potere, è bella, gioiosa, felice.
Queste parole sono già una risposta alle richieste etiche, di cambiamento, di azione concreta che Giovanni Battista (vangelo) chiede a quanti si rivolgono a lui, nel vangelo di oggi. Già meditare quanto il profeta Sofonia e san Paolo raccontano è una risposta concreta al bisogno di conversione che la fede, che l’incontro con Cristo chiedono: “Se Dio ci ama ci sentiamo veramente liberi?”; “liberi di essere sereni, cioè nella gioia sempre?”.
È cominciato l’anno di giubileo, cioè di gioia, della misericordia. Siamo capaci di credere e celebrare la misericordia di Dio? Di aprire le porte della nostra coscienza non solo alle parole di Dio, ma specialmente alle domande di senso degli uomini di oggi? Di testimoniare la gioia della misericordia?
“La misericordia esercitata non è buonismo, non è timidezza di fronte al male, ma è esercizio di responsabilità”. “La misericordia è necessaria, prima ancora dei trattati politici internazionali, per poter spianare i terreni di pace e le tante vie degli esodi forzati che stanno mutando il mondo”, perché anche a livello economico, politico e giuridico la misericordia e il perdono devono trovare realizzazioni che aprano a una convivenza buona tra i popoli e le genti. “Non si può capire un cristiano che non sia misericordioso, come non si può capire Dio senza misericordia”. È la misericordia di un Dio che ci “rincorre” sempre e proprio per questo sperimentiamo la gioia.