Milano, 25 gennaio, festa della Conversione di san Paolo; in questo giorno così importante per i Barnabiti, siamo a Milano comunità di san Barnaba per incontrare tre persone che il prossimo 18 febbraio diventeranno barnabiti per sempre. Sylvan, Luca, Isaac.
Sylvan (NKONGOLO Wa Mutombo di Kinshasa RDCongo), 33 anni.
La gioia è la parola che di più usa per parlarci di sé. La gioia invocata per lui dai suoi genitori prima di entrare in seminario a 2000km di distanza da loro!
La gioia di sentirsi per questo mondo, che spesso oggi sembra lontano dai valor cristiani, utile e significativo nonostante le proprie imperfezioni.
La gioia di conoscere sant’Antonio Maria Zaccaria che si fida molto di me, che mi incita a crescere continuamente nel fare il bene, nel superare la tiepidezza.
Per questo chiedo ai giovani di non avere paura di ma di rischiare la vita non solo con le parole, ma con azioni concrete. Mentre agli anziani chiedo di avere fiducia in noi e sostenerci.
Un po’ diversa la storia di Luca (Spreafico di Eupilio), età 37, laureato in scienze agrarie.
Infanzia e giovinezza in oratorio dove ha incontrato i Barnabiti, il loro impegno per i giovani e la fraternità e il costante buon umore di p. Albino Dutto.
Per questo anche in futuro vorrebbe trovare il medesimo clima sereno e fraterno, peraltro già vissuto durante l’anno di noviziato in Chile.
E se hai barnabiti anziani chiede di essere meno cocciuti ed egocentrici! ai giovani dice di prendere sul serio la vita di fede con la sua bellezza e provocazioni.
Infine, Don Isaac (Segovia, Choré/Paraguay), 40 anni, laureato in diritto canonico.
E una vocazione adulta, per questo ha avuto modo di girare diverse comunità barnabitiche del Brasile dal Sud al Nord, scoprendo i differenti modi di vivere la fede. «Prima della vocazione ho lavorato nel Congresso nazionale del Paraguay, quindi con i bambini di strada a Sao Paulo. In tutti questi giri, ma anche oggi, il ricordo che mi sostiene è la famiglia. Di questa nuova famiglia barnabitica invece voglio percepire continuamente il desiderio di una riforma continua: non siamo mai santi abbastanza. Per questo chiedo ai padri più anziani chiedo di stare insieme ai più giovani per illuminarli, per crescere con la loro storia viva da condividere. Infine, un desiderio: mi piacerebbe lavorare come barnabita nell’Università.»
Poche righe per tracciare il profilo di grandi storie di oggi per il futuro, radicato in una famiglia religiosa che proprio oggi (era il 18 febbraio 1533 a Bologna) festeggia il proprio compleanno. Quale regalo più bello che la professione solenne, cioè la scelta di seguire per sempre la strada del vangelo secondo la via tracciata da S. Antonio M. Zaccaria ?
barnabiti
Un avvocato a Kabul
Federico Romoli è un giurista e avvocato che lavora per l’Unione Europea, area cooperazione internazionale e in particolare nella delicata situazione dell’Afghanistan. Un’esperienza non ordinaria che ha condiviso con noi GiovaniBarnabiti.it perché possa spiegarci una realtà diversa e permetterci di imparare e crescere, grazie alla condivisione di un’esperienza non ordinaria, come può essere quella di vivere e lavorare in un paese del Medioriente.
Federico nasce e cresce a Firenze, classe 1980, maturità classica, laurea in giurisprudenza, dottore di ricerca in diritto e procedura penale, realizzando diverse pubblicazioni, oltreché l’abilitazione alla professione forense.
Trascorsi diversi anni nelle aule di giustizia italiane Federico inizia la sua avventura nella cooperazione internazionale italiana, divenendo subito operativo in Afghanistan, terra e cultura conosciute molto bene, sia per uno stage intrapreso post lauream, in un ufficio di giustizia dell’ambasciata Italiana, ma soprattutto, per via dei tanti e profondi insegnamenti trasmessigli dal padre, che tramite i suoi viaggi e le sue esperienze, aveva avuto modo di conoscere e approfondire molto bene la realtà afghana, incuriosendo e invogliando il figlio a seguire le proprie orme.
Gli ideali e i valori ricevuti in famiglia, la cultura, l’educazione al rispetto e la curiosità sollecitano una capacità di mettersi sempre in discussione e di impegnarsi per gli altri.
E qui centrano i Barnabiti da presenti nella vita di Federico, sia per la frequentazione della Chiesina e del suo oratorio a Firenze, sia per la storia e la tradizione della sua famiglia, dal nonno e dal padre, strettamente legata e connessa all’ordine fondato dallo Zaccaria.
Peraltro a Kabul Federico incontrerà nella cappella cattolica dell’ambasciata italiana proprio il barnabiti p. Giuseppe Moretti storico amico di famiglia e poi p. Gianni Scalese.
La fede è una costante di Federico, che colora di un senso nuovo e superiore, di un bene comune i suoi valori oltre a dare un sentimento di protezione, necessario per vivere e lavorare lontano da casa, in un paese segnato dalla guerra.
Inoltre, Federico ci sottolinea come sia importante conoscere, studiare, leggere, approfondire e viaggiare per poter essere degli uomini migliori e applicarci a nostra volta per migliorare, nel nostro piccolo, il mondo in cui viviamo.
Nel raccontarci l’Afghanistan, traspare un paese meraviglioso, scolpito da una storia millenaria, ricchissimo di cultura e di bellezza, purtroppo vittima di una situazione geopolitica complicata, poiché spesso conteso nella varie epoche, tra le potenze e gli imperi della storia.
Da un punto di vista costituzionale, l’Afghanistan è una repubblica islamica, in cui è presente una completa struttura democratica, dimostrata dalla classica tripartizione dei poteri, sul modello occidentale.
Il principale motore giuridico del paese è l’organo esecutivo, il governo, che promulga atti normativi, con possibilità di manovra anche dell’organo legislativo, il parlamento.
Il sistema della giustizia ha efficienza ed è conforme alla modernità giuridica.
La peculiarità dell’ordinamento sta nel rapporto che lo stato e i suoi apparati devono avere con la fede musulmana e la legge religiosa, la Sharia, poiché il sentimento religioso è ampiamente diffuso con una popolazione profondamente fedele all’Islam, portando a una necessaria considerazione della legge civile e dello stato al confessionalismo della società, creando un rapporto che può diventare molto complicato per la non unitarietà e la diversità intrinseca del sistema religioso islamico, variegato e suddiviso in tante interpretazioni.
L’altra questione che va necessariamente analizzata e che Federico ci spiega è quella dei diritti umani fondamentali all’interno del contesto afghano, questi ultimi sono dei principi di diritto naturale, portati avanti prevalentemente dalla cultura occidentale, totalmente intuibili e condivisibili indipendentemente dalla religione di appartenenza.
Si capisce subito che il lavoro di Federico non è semplice, non è stato solo un copia-incolla delle nostre leggi occidentali nel contesto afghano.
Inserirli, tuttavia, assieme a un sistema fondato sulla legalità, in una cultura diversa, non è semplice, ma è possibile trovando i giusti punti di contatto, senza prevaricazioni o imposizioni, né tantomeno indietreggiando.
La strada, dunque, è l’uguaglianza, il rispetto e il venirsi incontro, trovando i punti di contatto, pur arrivando da due punti di partenza diversi.
L’avvocato Romoli ci aiuta a capire anche che il recepimento di una struttura giuridica, basata sulla legalità e sulla massima tutela dei diritti fondamentali, non deve essere solo istituzionale, ma anche e soprattutto un’ esigenza sociale e del popolo.
In seguito è importante illustrare il ruolo e la forza del diritto in una situazione di guerra, il quale deve esplicarsi tramite l’effettività e la funzionalità, che la regola deve imporre, non ultimo dando un modello e cercando di limitare un conflitto potenzialmente illimitabile.
Per questo il suo è stato anche quello di migliorare il sistema di legalità, la cui forza vive in quella delle istituzioni, che devono saper produrre un diritto chiaro, semplice ed equo, supportandolo anche con l’apparato sanzionatorio e agendo sul piano sociale, soprattutto con un’educazione dei giovani.
A cura di Paolo Peviani, Pavia