Quale politica per le foreste?

Il nostro percorso di riflessione in preparazione alla COP30 (10/21 Novembre 2025 a Belem, in Brasile), prosegue oggi con un’intervista a Maurizio Martina, vicedirettore generale della FAO, la “Food and Agriculture Organization” delle Nazioni Unite, con il quale abbiamo avuto modo di parlare dello stato delle foreste, degli effetti del cambiamento climatico e dell’attività umana su di esse, degli impatti sociali dei danni forestali, ma anche di possibili soluzioni di policy e di piccole attività quotidiane, necessarie per preservare il patrimonio forestale.

Prima di tutto cos’è la FAO? Poiché molti dei nostri giovani non lo sanno.

La FAO, ovvero l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura è una delle agenzie specializzate dell’ONU con sede centrale a Roma e uffici dislocati in oltre 130 paesi del mondo. Ha preso vita in un contesto storico caotico, a seguito della fine della Seconda Guerra Mondiale, per ridare la giusta luce a temi cruciali che erano passati in secondo piano e facendosi portavoce di un ambizioso ma necessario obiettivo: eliminare la fame nel mondo costruendo sistemi alimentari sostenibili, equi e resilienti. È importante sottolineare che lo spettro su cui la FAO lavora attivamente ogni giorno è molto vasto, ed include cibo, terra, acqua, foreste e pesca. Per essere più concreti, la FAO si propone di migliorare notevolmente l’allarmante dato conoscitivo secondo il quale, ancora oggi, 733 milioni di persone soffrono la fame (rapporto SOFI 2024). Ma non si tratta meramente di una “lotta alla fame” in senso stretto, ma anche di declinare politiche mirate di sviluppo economico, sociale, culturale e protezione ambientale, attraverso un approccio sistemico ed integrato.
Per fare questo la FAO adotta una strategia a 360 gradi, che include ad esempio: il supporto degli agricoltori nella produzione, la promozione di un’alimentazione sana e sostenibile, la tutela della biodiversità, l’intervento in caso di emergenze naturali o innescate da conflitti a stretto contatto con i Governi e altri stakeholder. La nostra bussola ed il nostro motto sono chiari: “Una produzione migliore, un’alimentazione migliore, un ambiente migliore ed una vita migliore per tutti, senza lasciare nessuno indietro”.
La collaborazione con realtà come la vostra (Giovani Barnabiti, progetto “Esta è a Floresta”), per noi risulta vitale per raggiungere questi obbiettivi, in quanto siamo fermamente convinti che la trasformazione nasca dal territorio, attraverso il dialogo continuo e lo scambio di conoscenze ed esperienze.
Quale è l’attuale stato delle foreste a livello globale e quali sono le principali minacce che colpiscono le foreste?
Secondo il nostro più recente rapporto della FAO “The state of the World’s Forests” (SOFO) del 2024, le foreste ricoprono circa il 31% dell’intera superficie terrestre, estendendosi per 4,1 miliardi di ettari, ospitando più del 80% della biodiversità del nostro pianeta. Questi dati rendono quindi chiaro che le foreste siano uno dei pilastri vitali della Terra, in quanto svolgono funzioni cruciali per il suolo, per l’acqua, per il clima e conseguentemente per la sicurezza alimentare. Secondo il rapporto citato in precedenza lo stato attuale di questa risorsa è motivo di enorme preoccupazione per via della forte pressione a cui è sottoposta. Infatti, i dati segnalano che nel lasso temporale dal 1990 al 2020, abbiamo assistito ad una perdita complessiva di 420 milioni di ettari di foreste, rappresentando analogicamente un’estensione superiore a quella del territorio dell’India. Nonostante il dato sensibile, è però bene segnalare anche gli elementi che dimostrano un cambio positivo di rotta. Infatti, paragonando i dati dello stesso periodo, la deforestazione globale dimostra un calo di più di 5,6 milioni di ettari rispetto ai principi degli anni 90.
I dati postivi raccolti non sono però sufficienti per ribaltare il critico bilancio globale, che testimonia una perdita annua di milioni di ettari di foresta, dimostrando che il motore del miglioramento è ancora troppo lento.
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, le minacce concrete alle foreste risultano essere molteplici. Prima tra tutte il cambiamento climatico, che porta con sé svariati “effetti collaterali”, rendendo le foreste più inclini a stress ambientali, come parassiti e malattie, incendi e siccità, che risultano in una sostanziale perdita di biodiversità e frammentazione degli habitat, alterando l’equilibrio degli ecosistemi e la sopravvivenza di specie vegetali ed animali.
Risulta critico, nell’ottica di preservare gli ecosistemi forestali anche il tema dell’intensificazione della domanda di prodotti, sia di derivazione del legno che da piante e frutti, la cui produzione ha toccato il livello record di quattro miliardi di metri cubi all’anno, dato di cui si prevede un ulteriore incremento.
Ultimo elemento, ma non per importanza, concerne la minaccia sostanziale delle crescenti e continue disuguaglianze sociali, che marginalizzano le comunità che vivono nelle foreste, impedendo loro di essere partecipi nei processi decisionali ed escludendoli dalla suddivisione dei benefici della gestione delle risorse.
Queste minacce sono strettamente interconnesse l’una con l’altra, e la loro sovrapposizione risulta inevitabilmente deleteria e non mitigabile dai progressi raggiunti in questo campo fino a questo momento.
Qual è il legame tra il cambiamento climatico e la deforestazione?
Il cambiamento climatico e la deforestazione sono essenzialmente due facce della stessa crisi ambientale globale, che, alimentandosi vicendevolmente, creano un circolo vizioso pericolosamente nocivo. Infatti, la deforestazione contribuisce notevolmente ad incrementare gli effetti del cambiamento climatico. E, se consideriamo che le foreste sono dei veri e propri serbatoi naturali di carbonio, e quindi fondamentali per assorbire anidride carbonica (CO₂), la deforestazione danneggia questa funzione benefica cruciale. Secondo il SOFO 2024, le foreste hanno assorbito dal 2000 al 2018 circa 2 miliardi di tonnellate di CO₂ ogni anno, contribuendo dunque a raffreddare il clima. Questo dato è importante per comprendere che quando le foreste vengono distrutte, non solo si riduce la capacità di assorbimento di anidride carbonica, ma, vengono anche rilasciati gas serra nell’atmosfera, generando dunque un duplice rischio, accelerando di conseguenza il cambiamento climatico.
Dall’altra parte, è lo stesso cambiamento climatico a contribuire pericolosamente all’indebolimento delle foreste, favorendo la creazione di condizioni climatiche proficue per incendi e per la diffusione di parassiti e malattie.
Si tratta dunque di un instancabile effetto domino che va categoricamente arrestato.
In che modo le foreste sono importanti per contrastare il cambiamento climatico?
Le foreste sono lo strumento naturale più potente che abbiamo a disposizione nella lotta al cambiamento climatico, sono da intendere infatti come parte integrante della soluzione, e non come un dettaglio marginale.
Infatti, le foreste contribuiscono in modo efficace e diretto all’assorbimento di carbonio, che è uno dei principali motori del riscaldamento globale, contribuendo quindi a mitigare in modo sostanziale questa problematica rallentando l’accumulo di gas serra nell’atmosfera. Risulta quindi logico comprendere che, quando una foresta viene distrutta, l’equilibrio climatico vacilla, e proteggerle è una forma di giustizia sociale e climatica.
Inoltre, le foreste sono fondamentali strumenti per la regolazione dei microclimi, in grado di limitare l’impatto di eventi climatici estremi – come ondate di calore, siccità ed inondazioni – grazie alla loro intrinseca capacità di rinfrescare l’aria, di mantenere umidità, di contribuire alla generazione di piogge e di proteggere il suolo (altra risorsa naturale fondamentale per la vita) dall’erosione.
É evidente quindi che preservare le foreste sia imprescindibile per la salvaguardia climatica. La FAO lavora attivamente su questo fronte, comprendendo la centralità del ruolo delle foreste, ed elevandole quindi come uno dei pilastri della nostra strategia climatica 2022-2031, in linea con l’obbiettivo SDG13 (Climate Action).
Quali sono gli impatti sociali della deforestazione?
I dati del nostro rapporto SOFO 2024 dimostrano che al giorno d’oggi il sostentamento di oltre 1,6 miliardi di persone dipende direttamente alle foreste, tra cui 350 milioni che vivono all’interno di aree forestali.
Inoltre, se prendiamo in considerazione la quantità di persone che fa utilizzo di prodotti di derivazione forestale – legnosi e non – i dati salgono esponenzialmente, segnalando che oltre i 3/4 della popolazione mondiale sarebbe colpita dalla problematica in modo sia diretto che indiretto.
Chiaramente, gli effetti su quella fetta di popolazione per cui le foreste sono fonte primaria di sostentamento, sia in termini di cibo e acqua ma anche di reddito, sono pericolosamente più catastrofici. Basti considerare che, nella maggior parte dei casi, gli individui che hanno questo tipo di relazione diretta con le foreste vivono già in condizioni vulnerabili, soprattutto nelle aree del Sud Globale.
La deforestazione estremizza le marginalizzazioni sociali in quelle aree. In primo luogo, funge come amplificatore delle disuguaglianze sociali già esistenti, in particolare di genere e giovanili, in quanto sono queste categorie a pagarne per prime l’altissimo prezzo.
Inoltre, una tematica rilevante è quella delle popolazioni indigene, che più di tutte conoscono e custodiscono i saperi tradizionali della preservazione di quelle aree geografiche. Sembrerebbe quindi logica una loro inclusione nei processi decisionali inerenti alle loro terre, mentre invece, è comune assitere ad una esclusione delle popolazioni indigene da questi importanti processi.
Un ulteriore elemento da considerare è anche quello dei flussi migratori delle comunità che risiedono nelle foreste, spinte dalla deforestazione, ed un potenziale rischio per la materializzazione di un ciclo ulteriore di marginalizzazione.
Nel suo ultimo articolo pubblicato su Avvenire il 5 marzo, parla di “miglioramento di processi di gestione forestale, sociale, politica e istituzionale, come nuovi sforzi per coinvolgere meglio donne, giovani e popolazioni indigene nello sviluppo di soluzioni guidate a livello locale”: in che modo il coinvolgimento di questi gruppi sociali, spesso esclusi o marginalizzati nel dibattito pubblico, può migliorare e contrastare la deforestazione e salvaguardare l’ambiente?
Come spesso accade per quanto concerne le sfide ambientali attuali, le soluzioni più efficaci nascono anche dal territorio, perché è bene tenere a mente che, in questo caso la deforestazione non è esclusivamente una questione tecnica, ma una problematica di carattere profondamente sociale e politico. Non includere i gruppi sociali più esposti e più fragili nei processi decisionali della governance forestale non è solo ingiusto, ma anche controproducente, come dimostrato dai dati riportati dal nostro rapporto SOFO 2024.
Infatti, l’inclusione dei gruppi vulnerabili – come donne, giovani e comunità indigene – viene spesso considerata una componente residuale, mentre invece costituiscono sia un bagaglio nozionistico, culturale e sociale dal valore inestimabile.
Diversi studi indicano che una governance femminile in queste aree, ad esempio, consentirebbe una gestione più consapevole dei prodotti forestali, in quanto sono le donne a svolgere un ruolo cruciale nella loro raccolta e nella trasmissione del sapere. Il potenziale ruolo dei giovani invece, porterebbe idee ed energie nuove, e soprattutto innovazioni tecnologiche e scientifiche. I giovani, infatti, non vanno considerati esclusivamente dei futuri beneficiari, ma soprattutto una forza motrice di cambiamento duraturo ed immediato. Allo stesso modo, le conoscenze tradizionali detenute dalle comunità indigene sono da considerare una risorsa preziosa. Queste comunità, infatti, più di chiunque altro hanno piena consapevolezza di quale sia il migliore approccio per preservare gli ecosistemi forestali, avendo come strumento una tradizione secolare che ha già dimostrato in passato di essere vincente per un corretto mantenimento delle foreste.
La FAO propone come soluzione ottimale a questa problematica una forma di governance condivisa, che risulta essere senza alcun dubbio una sintesi efficacie tra sapere tradizionale ed innovazione scientifica, consentendo una gestione sostenibile dal punto di vista economico, sociale e culturale.
Cosa possiamo fare come singoli individui per contribuire alla protezione delle foreste?
Nonostante sia evidente che molte delle strategie mirate nella lotta alla deforestazione derivino da decisioni prese a livelli istituzionali ed aziendali, il ruolo diretto di cittadini e consumatori rimane comunque cruciale nell’ottica di un impatto reale globale.
Infatti, il nostro rapporto SOFO 2024 segnala come causa principale della deforestazione la conversione in uso agricolo delle foreste.
Tradotto in termini pratici e concreti, quello che possiamo fare noi in qualità di cittadini, è rimodellare il nostro consumo e il nostro stile alimentare ai fini di renderlo più sostenibile e consapevole. Possiamo contribuire nel nostro piccolo a ridurre sprechi selezionando prodotti locali e di stagione, evitare lo spreco di carta, legno e cibo, selezionare prodotti certificati sostenibili, e preferendo aziende che siano trasparenti in merito alle pratiche adottate e sull’origine delle materie prime, e che agiscano nel pieno rispetto della copertura forestale e del suolo in generale.
Il consiglio è, dunque, quello di non essere dei cittadini passivi, ma di dare il giusto peso all’educazione ambientale, approfondendo il tema della deforestazione e condividendone le buone pratiche, sostenendo iniziative e progetti concreti di riforestazione, e supportando leggi e politiche che diano il giusto peso alla sostenibilità ambientale.
Giulia C. – Bologna / Firenze

ENVIRONMENTAL PRESERVATION IN RWANDA, A STORY

This is a short story, “Environmental preservation in Rwanda.” It was written by ABAYISENGA Destin from Rwanda. It talks about introduction to ecology, role of youth in preserving the environment and some organizations in charge of environment in Rwanda. This is Rwanda’s first contribution to our reflection on the environmental problem that our website GiovaniBarnabiti.it is preparing for COP30 / Belem 2025.

INTRODUCTION:
Ecology is the study of how living things interact with each other and with their environment. This story introduces fundamental concepts in ecology with a particular focus on organisms and their environment, role of youth in preserving our environment, different ways of taking care of our environment. Organisms depend on and are influenced by the environmental factors including abiotic (non-living factors such as water, temperature, humidity…) and biotic (living factors such as animals, plants…).

ROLE OF YOUTH IN ENVIRONMENTAL PRESERVATION IN RWANDA:
Environmental preservation is vital for sustainable development and the youth have crucial role in achieving it. As future generations, their participation in environmental conservation is essential to ensure a sustainable future. This study aims to investigate the role of youth in environmental preservation and the impact of their participation in society.
• The findings indicate that the youth have a high level of awareness of environmental preservation and strong desire to participate in conservation activities such as recycling, planting trees, cleanness drive and energy conservation using land fill for keeping wastes, upcycling, re-using and reduce the waste products.
• Young people play essential role in protecting the environment as they have positive impact on environment and contribute to a sustainable future by being involved in community-based activities, speaking out for sustainable practices like making terraces, avoiding over-grazing, planting anti-erosive plants to prevent soil erosion as the removal of top soil by water, wind, animals, etc.
• In Rwanda, the young people play vital role in preserving the environment through reduce, re-use and recycle, where they educate people for hygiene in the community, conserving water, planting trees and choosing sustainable places.
• Preserving the environment through environmental service project ideas like planting trees where you consult your local environment authorities to determine the type and number of trees needed as well as the location for planting.
• Meet on a monthly basis and clean community space or road side area as youth to maintain hygiene as a mean of preserving the environment where this inspire others by sharing ideas about re-usable water bottle, changing to energy saving light bulbs, etc.
Apart from the role of youth in environmental preservation in Rwanda, they are different organizations and projects that help in preservation and conservation of environment as highlighted below:
• Ministry of Environment (MoE)
• Rwanda Forestry Authority (RFA)
• Rwanda Land Management and Use Authority (RLMUA)
• Rwanda Mining, Petroleum and Gas Board (RMPGB)
• Rwanda Environment Management Authority (REMA)
Youth have crucial role in preserving our environment especially through avoiding pollution especially water pollution because this destroys our environment.
• In Rwanda young people have great influence on protection and preservation of the environment through maintaining the agricultural products and participating in harvesting food crops.

AS CONCLUSION:
• Ecology as the branch of Biology that studies organisms, environment and how it interacts with each other where preserving our environment means the way of taking care of our environment, youth have crucial role in preserving our environment especially through avoiding pollution especially water pollution because this destroys our environment.
• Different organizations and projects that help in preservation and conservation of environment in Rwanda are key aspects that helps in conservation and protection of environment in Rwanda.

BY DESTIN ABAYISENGA, (EASTERN PROVINCE / GATSIBO DISTRICT / MUHURA SECTOR)

Photo by Andrew Molo by Unspalsh

PREPARIAMOCI ALLA COP30

Una lettura critica dell’Enciclica “Laudato Sì”.

In vista della partenza dei nostri giovani volontari per la missione dei Barnabiti a Belem, in Brasile, e in preparazione alla COP 30, uno dei principali forum di incontro a livello internazionale per discutere di clima e cambiamento climatico, che si terrà nel 2025 proprio a Belem, come Blog dei Giovani Barnabiti abbiamo deciso di dare il nostro contributo scrivendo alcuni articoli su questo tema.
In particolare, mi occuperò di redigere una breve sintesi e analisi di uno dei testi di riferimento principali per noi cristiani riguardo l’ecologia e la questione ambientale: l’enciclica di Papa Francesco “Laudato Sì”, pubblicata nel 2015, che affronta il tema dei rapporti dei cristiani con il creato, con un particolare focus sul dramma del cambiamento climatico e della necessità di pendersi cura dell’ambiente e delle persone che lo abitano.
Il nome “Laudato Sì” deriva dal celebre Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi, datato attorno al 1224, opera di fondamentale importanza non solo per la sua valenza artistica e per il profondo contenuto religioso, ma anche perché considerato il testo poetico più antico della letteratura italiana di cui si conosca con certezza l’autore.
«(…) San Francesco d’Assisi (…) ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella con la quale condividiamo l’esistenza e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia», scrive Papa Francesco nelle righe introduttive dell’enciclica. Tuttavia, nonostante la Terra sia per tutti noi come una madre benevola e accogliente e una sorella premurosa, con la nostra noncuranza e cattiveria la stiamo rovinando, consumando, abusando dei beni che Dio ha posto in lei. La brutalità e la violenza del cuore umano trovano manifestazione nei sintomi di malattia che quotidianamente vediamo nella Terra che abitiamo.
L’obiettivo dell’enciclica di Papa Francesco, quindi, è porre l’attenzione su una tematica che, come esseri umani e come cristiani, dovrebbe essere di primaria importanza, unendoci con forza nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, che passi attraverso un nuovo modo di leggere il problema, una nuova consapevolezza diffusa nuove forme di educazione e presa di coscienza, ma anche forme di azione attiva da parte dei potenti della terra, nella ricerca non solo di nuovi soluzioni tecniche ma di una nuova solidarietà universale.
L’opera è divisa in diverse parti, in modo tale da fornire uno sguardo molteplice sulla questione: il primo capitolo offre un’analisi di “Quello che sta accadendo alla nostra casa”, descrivendo una serie di effetti, da un punto di vista scientifico seppur dal taglio estremamente divulgativo, grazie all’esposizione di risultati di studi e ricerche a testimonianza non solo dei danni materiali e ambientali che il comportamento umano sta causando alla Terra, ma anche sociali, con l’aumento di povertà e diseguaglianze a livello globale e la degradazione della qualità della vita di ampie fasce di popolazione. La seconda parte offre un’analisi dei testi biblici e religiosi, filosofici e letterari, nei quali sia affrontato il tema del rapporto con il creato. La terza parte dell’opera affronta il tema delle cause antropologiche della crisi climatica, identificando direttamente i colpevoli e le modalità di azione umana che portano al deterioramento dell’ambiente e degli ecosistemi. Nella quarta e quinta parte vengono proposte soluzioni per frenare il collasso ambientale a verso cui stiamo andando incontro, che partano da un radicale ripensamento della nostra condizione di abitanti della Terra, passando da forme di ecologia ambientale economica e sociale fino ad arrivare a quella che viene definita ecologia culturale. Viene sottolineata la necessità di portare avanti con forza il dialogo sull’ambiente nei forum e nei dibattiti internazionali, di cui la Cop 30 che si svolgerà a Belem rappresenta una delle tappe fondamentali, ma anche l’importanza di azioni locali e nazionali, ed infine riflettendo sull’importanza del dialogo fra religione e scienza. L’ultimo pensiero di Papa Francesco, infine, è rivolto all’importanza dell’educazione, spirituale e non solo, dei giovani e delle future generazioni, tesa al raggiungimento di una conversione ecologica come preludio di gioia e pace per l’umanità.

Giulia C. – Firenze – Bologna – AMS

In viaggio verso Belém do Parà

Belem non è solo la meta di questo mio viaggio, Belem, la porta dell’Amazzonia, è la città scelta per ospitare nel novembre 2025 la COP30 (conferenza delle parti organizzata dall’ONU riguardo i problemi del clima).
Che c’entro io con la COP30?
Che c’entrano i Barnabiti?
Non sono forse io un cittadino di questo mondo?
Non sono forse i Barnabiti chiamati a servire questo mondo, a riconoscerne i gemiti e i dolori, a portare speranza e giustizia?
La questione climatica non è solo ideologia o moda del momento: per un credente è prendersi cura del creato in cui Dio ci ha posti. L’ecologia riguarda il clima e l’ambiente ma prima di tutto l’uomo in sé, il modo in cui l’uomo e la donna si ri-conoscono oltre o prima di ri-conoscere l’ambiente.
A Belem i Barnabiti sono presenti da 110 anni, chi più di loro sperimenta i cambiamenti climatici e le conseguenze sulla natura e sugli uomini e le donne?
Chi più di loro può aiutarci a costruire dei percorsi di verità e giustizia?
A senso che un semplice e sconosciuto uomo vada a disturbarli dall’Italia?
Siamo cittadini di questo mondo, responsabili dei danni operati e delle soluzioni da offrire e costruire.
Lo dobbiamo prima di tutto ai giovani e bambini con cui lavoriamo, se non vogliamo essere ipocriti.
Lo dobbiamo alla Verità. Lo dobbiamo a Dio!
Forse i nostri giovani potranno intervenire direttamente alla COP30, ma non è questa la meta finale.
Belem non è solo la meta del mio viaggio, Belem è l’occasione per sollecitare noi Barnabiti a una rinnovata pastorale per una ecologia integrale.

Giannicola M. prete
29 gennaio 2024