Bravo ragazzo?

Esistono ancora i bravi ragazzi/e?
Viaggiando in treno o metropolitana è normale incrociare ragazzi e ragazze che chiacchierano tra loro o con se stessi o con i propri smartphone: cosa si diranno, penseranno e progetteranno?
Per certi versi i giovani di oggi rispetto a quelli dei miei tempi sembrano più ordinati e rispettosi delle cose, anche nei loro abbigliamenti stracciati a pagamento o mostranti questa o quella parte del corpo; per altri versi appaiono più capaci di profondità; da altri punti di vista però sono più individualizzati, chiusi e preoccupati della propria immagine.
Ogni tanto però mi sorge una domanda, una curiosità: sono bravi questi ragazzi? E, significa qualche cosa essere bravi ragazzi? Chissà quante volte anche loro si saranno sentito dire: “fai il bravo!”.
Normalmente sulle cronache si parla dei cattivi ragazzi, e i bravi ragazzi?
Una volta si diceva che i bravi ragazzi erano quelli tutto casa e chiesa/oratorio, non sempre era vero. Oggi, che i ragazzi frequentanti un oratorio non sono più tanti, chi sono i bravi ragazzi? Quelli di “Uomini e donne”?
Ognuno ha la propria esperienza di “fare il bravo”; un matematico direbbe che non è una corollario, ma una funzione variabile secondo l’ambiente in cui si è cresciuti.
Quindi chi è un “bravo ragazzo”? Ha senso parlare di bravi ragazzi? E chi ha il diritto di
giudicare un “bravo” ragazzo?
Ho provato a chiederlo a un po’ di giovani e meno giovani; non tutti hanno voluto rispondere e diversi si sono trovati in difficoltà nel trovare una risposta.
Sicuramente “non è una domanda facile”, “non ci ho mai pensato, certamente è qualche cosa che si percepisce” più che si definisce. Senz’altro è un’empatia con il mondo dentro di sé, accanto a sé, fuori e intorno di sé.
Un “bravo ragazzo” sa essere umile, attento, capace di creare relazione perché rispetta l’altro che gli sta accanto e cerca anche di aiutarlo anche quando fosse difficile. Un “bravo ragazzo” si ricorda di essere un ospite su questo pianeta e se ne prende cura, perché ha a cuore gli altri suoi simili.
Un “bravo ragazzo” oggi deve affrontare molte sfide, deve essere forte. Deve rispettare l’essere degli altri e aiutarli il più possibile. Deve saper ascoltare le persone che ha intorno e riuscire ad andare controcorrente in una società che è un mare burrascoso e non lascia mai pace.
In questo contesto un “bravo ragazzo” è chiamato a coltivare il proprio io, con le sue passioni, i suoi pregi e soprattutto i suoi difetti. È significativo poi che tre diciannovenni, di Roma, Bologna e Rio de Janeiro, ribadiscano con forza questo dovere e volere prima di tutto prendere coscienza di sé, con le proprie debolezze e qualità, imparando a conoscere meglio ciò che è. Deve fare questo e molto altro. Di certo non è poco.
Da questo punto in poi è chiamato a collocare nel centro della vita l’amore che più di tutti ha importante, per alcuni Dio, un Dio che chiede di donare ciò che si è ricevuto da Lui.
Una persona che procede in questo cammino di ricerca di sé e del mondo, combinando tutto ciò con il fare di tutti i suoi atti un gesto d’amore, conseguirà di essere non solo un buon ragazzo ma il miglior ragazzo possibile.
Forse più che osservare quel che appare di questo o quel ragazzo sulla metropolitana, bisogna imparare a entrare nelle loro profondità per scoprire non la voglia, che è sempre successiva, ma la consapevolezza di essere un “bravo ragazzo”, così da poterla sostenere e tentare a rendere un po’ più bello il mondo.
Ma di essere un “ragazzo bravo”, ne scriveremo un’altra volta.

pJgiannic
con Luigi, Andrea, Riccardo, Igor, Gregorio, Manuele.

Il cielo nella coscienza

Viviamo oggi una delle feste cristiane più particolari e delicate da comprendere perché riassume tutto il movimento della proposta di Dio per la nostra salvezza: la festa dell’Ascensione di Gesù.

Infatti, la crocefissione ha ancora un che di umano e comprensibile; la resurrezione ci costa un po’ più di fatica, ma in un certo senso ci fa anche “piacere” credere in un Dio che fa qualche cosa di differente. Ma l’Ascensione va completamente al di là del bisogno di concretezza che sempre abbiamo, che contrasta con la nostra idea dell’al di là, del dopo la morte. Dobbiamo invece convincerci che questo è il mistero riassuntivo di tutta la vita di Gesù.

Volere capire tutto è una pretesa di onnipotenza che toglie a Dio la possibilità di essere Dio: sapere che non possiamo comprendere tutto ci aiuta a voler camminare ancora, ci aiuta a voler cercare ancora, ci aiuta a scoprire che Dio ci vuole bene proprio è più grande di noi.

Ma come riconosciamo e verifichiamo questa grandezza?

Forse perché egli sale al cielo? Perché si allontana da noi in un luogo irraggiungibile? Perché state a guardare il cielo? Questo Gesù ritornerà come vi ha promesso (leggiamo nel Vangelo). Il cielo.

Il cielo non è tanto ciò che c’è sopra di noi; il cielo è il segno della grandezza di Dio, del suo amore. E dove è il luogo, lo spazio dell’amore di Dio se non la coscienza dell’uomo?

Contemplare che Gesù sale al cielo significa riconoscere che egli ama abitare nel vero tempio di Dio che è la coscienza di ogni uomo; il cristiano è colui che per rivelazione dello Spirito santo riconosce e comprende che Gesù abita in Dio nella sua coscienza e nella coscienza parla all’uomo come a un amico!

Perché Gesù ascende al Padre, nella coscienza dell’uomo? Per insegnarci ad andare verso il Padre, per portarci verso il Padre suo e Padre nostro.

Quel Dio che Mosè non poteva vedere nel volto, questo Dio ora si è fatto amico dell’uomo nel volto di Gesù che chiede di abitare in noi e così ci prepara al suo ritorno. Il mistero dell’Ascensione infatti non è il mistero di Gesù che scappa, ma l’opportunità per imparare a vivere con fervore nell’attesa del suo ritorno definitivo.

La domanda che emerge è perciò: come attendo questo ritorno di Gesù, della gloria di Dio?

Non guardando il cielo, ma vivendo una vita “affocata” dell’amicizia con Gesù, nella testimonianza tra gli uomini. Stavano nel tempio lodando Dio. Nell’attesa della potenza di Dio, lo Spirito santo.

Qui è un’attesa di preghiera, ma non una preghiera passiva, bensì una preghiera che introduce alla conoscenza e alla testimonianza.

La conoscenza.

Nell’Ascensione noi entriamo in contatto con tutti i misteri della vita di Gesù, riconosciamo la sua preesistenza. Dobbiamo ricordarci della sua eternità se vogliamo entrare nell’eternità. L’Ascensione è la porta da aprire per fare entrare Dio in noi: quanto apriamo questa porta?

La testimonianza.

Si è amici di Dio perché fissiamo Gesù nel volto di tutte le povertà del mondo, povertà che chiedono di essere redente, superate, eliminate.

Il mistero dell’Ascensione è necessario non solo per poter ricevere il dono dello Spirito santo, ma perché impariamo a essere portatori dello Spirito santo nel mondo.

Il mistero dell’Ascensione non è il mistero dei tiepidi, ma dei credenti infuocati dallo Spirito santo per annunciare a tutti che Gesù è vivo per noi, che Gesù agisce in noi, che Gesù tornerà per raccoglierci in un’unica famiglia.

Si crea una catena di comunione e di amore tra Dio e noi, tra noi e l’umanità.

Dobbiamo rinnovare la celebrazione di questa festa, è una festa per tutta la Chiesa, per tutti gli uomini; è la festa della consolazione per la Chiesa, per noi, per gli uomini tutti; è una festa non solo per oggi, ma per tutto l’anno.