Chiudere o aprire?

4^ domenica del tempo di Pasqua

Questa quarta domenica di Pasqua è dedicata alla preghiera per le vocazioni alla vita cristiana e alla vita sacerdotale e consacrata in modo particolare, cioè a chiedere a Dio Padre il dono di nuovi pastori per il suo gregge.
Forse siamo ancora poco consapevoli della crisi vocazionale che stiamo attraversando, ma forse un po’ di più della crisi cristiana che stiamo attraversando. Capite che se manca la terra buona di una vita cristiana diventa più difficile seminare nuovi pastori, nuovi pescatori di uomini.
Questa crisi nasce però da una crisi generalizzata della vocazione alla vita: la vita è dono, ma noi ne abbiamo fatto un consumo a nostro esclusivo favore.
Prima ci sono io, poi gli altri, forse!
Il “noi” non è più la prima persona plurale, prima persona, è ormai la centesima persona indefinita. L’“io” è sempre il problema eterno dell’uomo, ma oggi di più (il populismo ne è la conseguenza principale).
I termini che Gesù usa nella seconda parte del brano giovanneo riguardano il cattivo uso del tempio, dell’area del tempio; sono i termini usati per cacciare i mercanti, gli ipocriti preoccupati del proprio “io”, del borsellino, piuttosto che del “noi” del popolo di Dio.
Questo brano di oggi segue la guarigione del “cieco nato”; Gesù continua a parlare ai farisei ciechi, ai discepoli definendosi pastore e, specificamente la “porta” da cui passare per la salvezza.
Io sono la porta che non si è chiusa nella propria divinità, ma si è aperta all’umanità. Io sono la porta non per far passare meglio ladri e assassini, ma per farvi conoscere la mia voce, per chiamarvi per nome, chiamarvi amici.
Quale voce vogliamo ascoltare? Quale porta vogliamo aprire?
La porta ha un valore simbolico e antropologico forte, specialmente oggi per non fare entrare il virus! La normalità ripetitiva dell’uscire di casa e del rientrarvi a piacimento oggi è messa in discussione. La porta può chiudere, ma anche aprire, serve per entrare ma anche per uscire.
La porta deve essere un limite che non imprigiona ma che è a servizio della libertà sia quando protegge l’intimità della persona all’interno, sia quando apre all’esterno. Immagine di chiusura e apertura, di intimità e relazione, di protezione e di esposizione, di inspirazione ed espirazione, la potenza antropologica del simbolo della porta viene applicata dall’evangelista Giovanni a Cristo stesso. Infatti, attraverso la porta che è Cristo stesso, si entra e si esce. Tutta la vita umana si riassume nei due atti fondamentali dell’entrare e dell’uscire: dalla nascita, l’uscita dal seno materno, all’uscire ed entrare in casa e negli spazi della vita, fino all’uscita definitiva con la morte. Il simbolo della porta applicata a Cristo indica dunque il compito del cristiano di vivere ricominciando sempre la sequela del Cristo, ovvero passare attraverso la porta che è Cristo. (Manicardi)
Mi chiedo e vi chiedo:
io che sono giovane, io che sono famiglia, io che sono compagna o compagno di una storia d’amore; Cristo è la porta che preserva la mia intimità, ma anche mi apre a Lui e all’altro?
Recentemente un prete ha scritto che il cristianesimo è ai minimi termini, tanto che no ci lasciano nemmeno aprire le chiese (è bene che sia così!); forse non si rende conto che ormai da tempo i cristiani stessi preferiscono altre porte per riparare o preservare li proprio ego.
Cristo è diventato la porta di servizio!
Cristo non è la porta di servizio, ma “la Porta” attraverso cui passare per diventare suoi amici e con lui continuare a costruire il regno di Dio.
Non dobbiamo avere paura di aprire, anzi, spalancare le porte a Cristo; non dobbiamo avere paura di indossare il vestito della festa, non il pigiama (come dicevano domenica scorsa) per accoglierlo; Cristo non cerca l’immunità di gregge, ma uomini e donne portatori del buon profumo di Cristo nostro pastore.
Cristo non ha avuto di prendere il nostro profumo – anche le nostre spuzze – di uomini e donne, perché noi possiamo prendere il profumo della sua amicizia da portare a questa umanità sofferente.
Per questo io e padre Antonio, nonostante le nostre spuzze, abbiamo accolto il dono del sacerdozio, anche su questo noi tutti cristiani dobbiamo riflettere e pregare se vogliamo che ancora si possa annunciare al mondo: Cristo è risorto, è veramente risorto!