Gioia e speranza della Quaresima 2024

Diciamo che la lettera di papa Francesco per la Quaresima 2024 affronta temi profondi e universali che vanno al di là delle divisioni religiose. Innanzitutto, il richiamo alla libertà come dono divino e la necessità di uscire dalle schiavitù interiori e esteriori risuona in modo potente. Anche se non si condivide la fede cattolica, il concetto di liberazione e di ricerca di una vita piena e autentica è qualcosa a cui molti possono aspirare.
Inoltre, il messaggio mette in luce la responsabilità individuale e collettiva nel riconoscere e rispondere alle sofferenze degli altri. L’invito a non essere indifferenti di fronte alle ingiustizie e alle oppressioni richiama alla nostra comune umanità e alla necessità di solidarietà e compassione. Questo è particolarmente rilevante in un’epoca segnata da conflitti, disuguaglianze e crisi umanitarie su scala globale (ahimè).
La lettera sottolinea anche l’importanza di agire concretamente per il bene degli altri e per la cura del creato. Questo richiamo all’impegno sociale e ambientale ci spinge a considerare le nostre azioni quotidiane e le loro implicazioni sul pianeta e sulla vita degli altri esseri umani. È un appello a una maggiore consapevolezza e responsabilità nell’utilizzo delle risorse e nella gestione dei rapporti interpersonali.
Anche se il mondo può sembrare segnato da divisioni e conflitti, il richiamo alla conversione personale e collettiva verso un modo più autentico e inclusivo di vivere offre una prospettiva luminosa per il futuro. In definitiva, la lettera invita tutti, indipendentemente dalle proprie credenze, a riflettere sulle proprie azioni e a impegnarsi per un mondo migliore fondato sull’amore e sulla giustizia.
Per realizzare questa novità è necessario però liberarci dalle nostre schiavitù, dai nostri idoli. A questo proposito mi pare interessante e utile sottolineare il parallelismo che il papa pone tra il percorso, la vita di Gesù e il percorso dell’Esodo, della liberazione degli ebrei dal Faraone d’Egitto. Gesù è colui che ci insegna a vivere nel deserto, a ri-conoscere noi stessi, a liberarci dal “faraone” che ci opprime.
Il deserto dei 40 giorni di quaresima è il luogo dove operare un maquillage del nostro volto, ma non solo una estetica di facciata, bensì del pensare, dell’amare, del decidere. Nel deserto il credente ri-trova il suo volto nel volto di Gesù, non un volto fotocopia, ma un volto, una storia che ritrova nella storia di Gesù la matrice sulla quale costruire la propria vicenda di uomo e di credente libero.
Non la malinconia. «Si veda piuttosto la gioia sui volti, si senta il profumo della libertà, si sprigioni quell’amore che fa nuove tutte le cose, cominciando dalle più piccole e vicine. In ogni comunità cristiana questo può avvenire.»
Papa Francesco ci racconta quella ventata di speranza che in questo periodo serve a tutti per sperare e per risollevarsi, una ventata che spesso ci dimentichiamo di avere per poter vivere una vita che possa rendere felici e speranzosi gli altri oltre che noi stessi.
Infine, «Nella misura in cui questa Quaresima sarà di conversione, allora, l’umanità smarrita avvertirà un sussulto di creatività.» La creatività è uno dei doni più belli che l’umanità possa avere. È bello capire che la Quaresima può essere il periodo in cui l’umanità smarrita può sempre trovare la strada per fare cose nuove.
Vincenzo, Gianluigi, Andrea

La parola cadde su un uomo nel deserto

Tempo di Avvento, II domenica

L’Avvento è già cominciato e ci vuole vedere in azione; il giubileo troverà la sua ufficiale iniziazione martedì; la storia di Giovanni B. si staglia in questa liturgia; noi vogliamo entrare un poco di più ancora nel mistero di Cristo e farci penetrare di più dalla forza dello Spirito che ci vuole legare, abbracciare, … di più a Gesù.
Domenica scorsa papa Francesco ha aperto a Bangui in Centroafrica la porta santa dell’anno della Misericordia, forse nessuno se n’è accorto; nessuno sapeva dell’esistenza di questa città, di questo Stato; tutti pensano all’Africa come una immensa foresta ovvero un grande deserto, un luogo comunque indietro rispetto all’Occidente.
Un deserto, come quello di Giovanni Battista, non il luogo de potenti: Tiberio Prisco, Pilato, Erode, Anna e Caifa, un deserto è il luogo dove «la parola di Dio cadde su un uomo»!
Non è la città, l’Occidente – potremmo dire – il luogo scelto da Dio, ma la periferia. Quella periferia del mondo dal quale vediamo sorgere il male che stiamo cercando di combattere, che mette a repentaglio le nostre esistenze, questa periferia è il luogo scelto da Dio per rivelarsi per farsi conoscere, per costruire il nuovo.
IL Vangelo non ci chiede di rinnegare le nostre radici, la nostra storia, ma di riguardarla, di non pensare di essere sempre i migliori, ma di essere parte di un mondo più grande, di avere bisogno degli altri. Questa è conversione!
Giovanni non ha paura di stare nel deserto, di allontanarsi dai grandi poteri, di gridare nel deserto, di vivere secondo i criteri del deserto piuttosto che i criteri dell’opulenza della città. Giovanni Battista di fronte al rumore dell’impero romano, preferisce fare silenzio e stare nel silenzio – anche Gesù, nei primi trent’anni della propria esistenza preferisce stare nel silenzio, nel silenzio della periferia di Nazaret! «E la parola di Dio scese su Giovanni nel deserto». Dopo circa 5 secoli di silenzio la parola di Dio tornò a farsi sentire attraverso Giovanni, chiamato a annunciare non solo l’amore rinnovato di Dio; chiamato a preparare non solo le strade per la conversione dell’uomo; ma destinato a farci conoscere con mano il progetto di Dio: Gesù!
Ecco lo spiraglio della salvezza.
Tutti noi abbiamo bisogno di salvezza, tutti cerchiamo il bene, Giovanni ci fa conoscere il bene: Gesù. E ci dice che per conoscere Gesù dobbiamo lasciarci lavare dalle acque del battesimo così da poter cambiare vita, non da ricco a povero o viceversa. Cambiare vita dentro di sé
In linea con gli antichi profeti Giovanni Battista comincia a gridare al mondo che nulla è impossibile a Dio, che è Padre, grazia, amore: occorre alzare la testa, aprire gli occhi per vedere e il cuore per lasciarsi amare da lui. Questo è cambiare vita.
Giovanni battista non sa come Dio salverà l’uomo, ma sa che l’uomo deve cambiare, deve lasciare irrigare e lavare la propria coscienza dall’acqua viva che è Gesù!
Non voglio darvi ricette, voglio solo invitarvi a chiedere cosa macina il vostro cuore, la vostra coscienza: pensieri cristiani o pensieri umani?
Voglio solo invitarvi a fare un po’ di silenzio in questa settimana per entrare nel mistero di Dio che agisce in Cristo nello Spirito santo.
Per fare ciò la settimana scorsa vi invitavo a ricordare, nella vostra preghiera, il mistero della fede: annunciamo, proclamiamo, attendiamo; oggi, per questa nuova settimana, vi invito a ricordare il Segno della Croce.
La chiave per aprire la porta dell’incontro con Dio e con noi stessi è proprio il segno più elementare del cristiano, questo segno che molti non conoscono più; il segno della croce non è solo una scaramanzia prima di tirare un calcio di rigore; il segno della croce è il segno della presenza di Dio nella mia vita, nel mio modo di pensare, di amare, di agire. Il segno della croce è il segno di un Dio che delicatamente bussa alla porta della mia vita per darmi pace e forza. Il Segno della Croce è il segno che ci protegge dalla paura, dal peccato. Il Segno della Croce è il segno della misericordia di Dio che ci aiuta ad annunciare la sua misericordia!