Hai mai costruito un ponte?
Io no, non sono un ingegnere. Non saprei da dove cominciare.
Eppure a Cracovia papa Francesco ha invitato i giovani a stringersi le mani verso il cielo, a costruire ponti.
Perché un ponte guarda il cielo! Oscilla nel cielo! Ma unisce la terra.
Vogliamo, possiamo costruire ponti?
Il dialogo è la possibilità per costruire un ponte.
Il dialogo non è un’astrazione o una utopia, bensì la possibilità di lanciare un ponte, anche quando l’altro non lo volesse.
Penso ad Adamo, nascosto dopo il male, a causa del male, o Caino: nessuna volontà di dialogo, nessuna, perché il male, il peccato portano a un linguaggio distorto o chiudono in sé.
Eppure Dio non cessa di gettare ponti sino a raggiungere l’altra sponda sulla quale appoggiare il pilastro.
Non è facile dialogare, gettare una pista di buone parole; talvolta, scriveva sant’Ambrogio, «Devi tacere quando non trovi un interlocutore disponibile» (Explanatio psalmi 43,72), ma la pazienza di Dio è la nostra forza.
Un ponte però chiede un fondamento buono, ben piantato nel terreno: il terreno della coscienza.
Tra l’altro la fede dice che proprio nella coscienza Dio dialoga con l’uomo come con un amico.
Coscienza non è solo un luogo per procedere, ma è il modo in cui essa è formata, modo che permette di essere una terra buona per sostenere il pilastro del dialogo.
Ancora sant’Ambrogio scriveva: «devi parlare quando il Signore ti concede una lingua sapiente, così da rendere efficace il tuo discorso nel cuore dei tuoi ascoltatori». Una coscienza formata, è una coscienza sapiente, che diventa coscienza buona per sconfiggere le durezze del terreno altrui così da poter piantare l’altro pilastro.
Una coscienza buona è mite e prudente, due virtù che determinano il raggiungimento dell’altro, anche quando questi mantiene i propri muri.
Una coscienza buona è silenziosa, perché il silenzio, in una realtà dialogica, dice l’esserci o non esserci che spinge ad agire o non agire. Se accetto il silenzio, l’altro non smette di esistere. Il silenzio autentico mi prepara ad accettare il suo punto di vista, ma anche la sua persona, e mi spinge a collaborare alla sua realizzazione.
Una coscienza buona è consapevole della propria identità, ma al tempo è disponibile a mettersi nei panni dell’altro per cogliere, al di sotto della superficie, ciò che agita il suo cuore, che cosa cerca veramente. In questo modo può iniziare quel dialogo che fa avanzare nel cammino verso nuove sintesi che arricchiscono l’uno e l’altro. Questa è la sfida davanti alla quale si trovano tutti gli uomini di buona volontà.
Questo significa costruire ponti.