Lasciarsi mettere in discussione

Lasciarsi mettere in discussione

Riprendiamo alcune idee che il segretario generale del Sinodo dei vescovi ha rilasciato a Piacenza in vista dell’incontro dei giovani in preparazione dell’assemblea che si terrà in ottobre.
Dall’Osservatore Romano 14 marzo 2018
Accompagnare i giovani nel percorso di vita è «un’esperienza affascinante», ma per farlo occorre lasciarsi mettere in discussione da loro e dalle varie sfide quotidiane che essi affrontano. Lo ha sottolineato il cardinale Lorenzo Baldisseri intervenendo alla giornata di incontro e ascolto per educatori e giovani sul tema «Il vento favorevole. Da un incontro simpatico con Cristo verso il Sinodo dei giovani 2018», promossa sabato 10 marzo a Piacenza dall’associazione comunità Papa Giovanni XXIII.
I giovani, ha spiegato il segretario generale del Sinodo dei vescovi, non «chiedono solo di avere qualcuno vicino che li aiuti a superare i loro momenti difficili o il loro senso di vuoto». In base all’esperienza comune, «molti di loro esprimono il bisogno e il desiderio di essere accompagnati in un processo di discernimento che li aiuti a trovare la loro “strada nella vita”». Il cardinale ha poi riproposto i tre verbi che nella Evangelii gaudium «caratterizzano il percorso di discernimento: riconoscere, interpretare e scegliere». Essi forniscono delle valide indicazioni per delineare un itinerario adatto di accompagnamento dei giovani.
Un itinerario che può essere sintetizzato in tre compiti fondamentali. In primo luogo, «illuminare il percorso personale di riconoscimento di ciò che avviene nel loro mondo interiore». Illuminare vuol dire «accendere la luce perché il giovane veda come il Signore opera nel profondo del suo cuore». Non significa, quindi, «pretendere di vedere al suo posto né di avere la soluzione pronta per ogni circostanza». Anzi, è addirittura controproducente pensare «di aver capito tutto e di doverlo solo spiegare chiaramente». È illusorio, infatti, pensare «di avere la risposta pronta per ogni cosa», quasi che si trattasse «di applicare alla vita concreta di un’altra persona una lezione imparata a memoria o uno spartito che si ripete sempre uguale nonostante la sonata sia diversa».
Il secondo compito è fornire gli elementi fondamentali affinché i giovani «sappiano interpretare in maniera esatta ciò che imparano a riconoscere dentro di sé». Il porpora- to ha fatto notare come all’interno dell’uomo sono presenti «desideri diversificati e prospettive affascinanti, ma spesso incompatibili tra loro». Occorre allora «interpretare bene ciò che si affaccia alla coscienza, in maniera da individuarne l’origine e comprenderne le conseguenze». Questo passo, ha aggiunto, prepara quello successivo, che è anche quello decisivo: lo scegliere.
Il terzo compito, quindi, è quello di «sostenere i giovani nella scelta che scoprono essere la volontà di Dio sulla loro vita», quella che «incarna la realizzazione autentica di se stessi». Con la consapevolezza che sostenere non vuole dire «decidere al loro posto». Tenendo presente questa prospettiva, diviene chiaro a tutti l’importanza che assume la persona dell’accompagnatore. «Il suo — ha sottolineato il cardinale — è un ruolo strategico, delicato e impegnativo», che richiede «un’attenzione e una preparazione particolari» basate «sulla necessità di seri percorsi di formazione». Questo perché è in gioco la «crescita dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani che ci vengono affidati e con i quali siamo in contatto». Perciò l’accompagnatore deve essere ben consapevole che «uno dei suoi obiettivi principali è quello di favorire una sana autonomia decisionale nel giovane che accompagna».

La Chiesa che vorrei

Talvolta quando mi capita di vivere in un ambiente di Chiesa mi rendo conto che ascoltare la Parola di Dio e viverla ogni giorno è difficile sia per le situazioni di vita nelle quali siamo coinvolti, sia per le reazioni che spesso abbiamo nei confronti di essa e degli altri.
Ognuno di noi, penso, dovrebbe vivere nella consapevolezza che abbiamo una vita troppo breve per pensare a dare problemi a quella degli altri. Bisognerebbe invece cercare di dare del valore aggiunto alla nostra vita regalando amore gratuito perché, seminando amore lentamente (non subito), l’amore crescerà. Nota bene che sto parlando appositamente in primo luogo di Chiesa dal punto di vista dei laici, perché i preti solamente non fanno la Chiesa.
Vorrei una Chiesa che vivesse di amore sincero e che in qualche modo fosse in grado di correggere coloro che le portano discordia e non la vivono in modo sereno. Vorrei che la fede diventasse qualcosa di concreto e modello di vita non solo per i laici, ma soprattutto per i sacerdoti, specialmente per quelli che approfittando del potere loro dato conducono una vita non del tutto consona alla loro vocazione.
I giovani, come gli adulti, hanno bisogno non di un predicatore che dà istruzioni di vita come fosse un manuale, ma un esempio da seguire esattamente come Gesù lo era per i suoi discepoli. Inoltre i giovani hanno bisogno di una Chiesa che accolga tutti senza giudicare perché il comandamento “Ama il tuo prossimo come te stesso” invita a non puntare il dito contro chi non condivide le tue idee. L’amore è anche e soprattutto rispetto: rispetto delle idee, del credo, delle situazioni, delle posizioni degli altri. Anche la più piccola delle comunità è l’esempio di ciò che dico. La Chiesa: giovani, adulti, sacerdoti, deve impegnarsi a mettere in pratica tutti i giorni ciò che il Vangelo ogni domenica ci dice.
Abbiamo la fortuna di poterci dissetare e nutrire con la Parola di Dio e quindi anche il dovere di testimoniarla con amore non solo con le parole ma con i fatti: l’amore è gratis: seminiamolo! Cosi anche gli altri ci seguiranno perché l’esempio è come l’amore: cresce lentamente dopo essere stato seminato.

Stefano Fr. – Torino

Giovani a Roma per i giovani

Sinodo dei Giovani in movimento.
In occasione del prossimo incontro dei delegati giovani dal mondo a Roma in preparazione al Sinodo sui Giovani nell’ottobre 2018, i nostri JuZacc Beatrice, Tommaso e Maura, hanno intervistato Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, membro del Consiglio del Sinodo dei Vescovi per l’Italia.

  1. La Chiesa sta preparando un Sinodo per i giovani: ci dice in poche parole quali le sue percezioni a proposito?

La scelta di Papa Francesco di dedicare un’assemblea sinodale di Vescovi rappresentanti di tutto il mondo al tema “i giovani, la fede e il discernimento vocazionale” da una parte è in continuità con le due assemblee sinodali dedicate alla famiglia, grembo vitale in cui i giovani crescono e maturano le scelte della loro vita, dall’altra mette in evidenza come i giovani debbano essere al centro della nostra attenzione e delle nostre cure perché sono il futuro del mondo. Anche per questo, il Papa desidera che i giovani siano protagonisti attivi del prossimo Sinodo, attraverso tappe e forme di partecipazione articolate, di cui una prima è stata il questionario on line rivolto ai giovani di tutto il mondo, anche non cristiani, e un’altra importante sarà l’incontro imminente a Roma di giovani provenienti da tutto il mondo, promosso dalla Segreteria Generale del Sinodo, per approfondire i temi dell’assemblea di ottobre.

  1. Forse la Chiesa potrebbe organizzare iniziative che siano più vicine ai giovani per conquistare, dapprima, la loro fiducia e simpatia e, solo poi, alzare l’asticella per penetrare maggiormente in loro e correggere i punti ritenuti critici. È d’accordo? Quali sono, secondo lei, le strade migliori per arrivare ai giovani più efficacemente?

La strada fondamentale è amare i giovani in maniera disinteressata per comunicare loro la bellezza di Dio e la gioia del Vangelo di Gesù. A tal fine è necessario che i giovani si sentano presi sul serio, ascoltati e resi protagonisti dei cammini di riflessione che li riguardano. Dalla mia esperienza di pastore risulta chiaro che i giovani sono portatori di domende vere e di ricchezze interiori molto più di quello che a volte si fa apparire nei “media” o si ritiene da parte di osservatori troppo poco vicini al loro desiderio di vita piena e vera.

 

  1. Come mai la Chiesa non ha optato per l’utilizzo di canali comunicativi che siano il più possibile efficienti ai fini di una pubblicizzazione più incisiva riguardo al sinodo, a ciò che questo rappresenta e quali sono le ragioni che hanno fatto si che venga posto in essere?

Mi sembra che l’uso ampio della rete, col questionario on line, e il coinvolgimento delle comunità cristiane di tutto il mondo smentiscano quanto asserito nella domanda. Naturalmente, l’impegno e l’attenzione verso i giovani e l’ascolto delle loro proposte potrà variare da contesto e contesto, ma certamente non ci sarà senza una convinta adesione al progetto di attenzione e amore ai giovani che ha spinto Papa Francesco a volere il prossimo Sinodo.

  1. Lei identifica la “memoria” nelle radici della propria cultura, sostenendo che il principale fattore che affligge i giovani sia la perdita della “memoria”. Quali sono i possibili rimedi e quali le possibili soluzioni per ricucire tale “strappo”?

Togliere a una persona o a un popolo la sua memoria significa togliere ad essi le radici su cui solo l’albero della vita può crescere e dare frutto. Perciò è importante ascoltare, discernere, accompagnare e integrare i giovani senza mai sradicarli dal loro contesto vitale, ed anzi aiutandoli a scoprire tutta la bellezza della tradizione vivente in cui la loro avventura umana viene a inserirsi. Questo vale in particolare per la trasmissione della fede, che deve far tesoro della ricchezza della comunione dei credenti nel tempo e nello spazio, coniugando memoria storica e senso della mondialità, fedeltà al passato e audacia nell’aprirsi al futuro.

  1. Secondo lei gli adulti cosa stanno facendo per ricucire questo strappo?

Non è facile rispondere a questa domanda perché le situazioni sono tante e diverse e gli adulti si relazionano ai giovani secondo un campionario di modalità pressocché inesauribile. Quello che conta è che la Chiesa faccia presente il più possibile agli adulti l’importanza di ascoltare e amare le giovani generazioni, costruendo con esse un dialogo reciprocamente arricchente e una collaborazione il più possibile creativa e capace di coniugare fedeltà alla realtà e fedeltà al sogno di Dio su ognuna delle Sue creature.

  1. Oggi, soprattutto tra i giovani, spesso vengono a mancare la speranza e la fiducia nel futuro, cosa direbbe a tutti coloro che non credono si possa cambiare il mondo?

Che il mondo cambia lo stesso, anche se loro non credono nella possibilità di cambiarlo. E che un contributo a rendere migliore il futuro per tutti ognuno deve darlo secondo le sue capacità e possibilità. Chi crede non può non avere speranza, una speranza riposta nel Dio della vita e della storia, tale da saper tirare il futuro della Sua promessa nel presente degli uomini, per quanto complesso e ricco di sfide esso possa essere o apparire.

Ho sete di Provvidenza!

Celebriamo in questo sabato precedente la terza domenica di Novembre la solennità di Maria Madre della Divina Provvidenza, la Madonna – così diciamo affettuosamente – dei figli e delle figlie di sant’Antonio M. Zaccaria.
Attenzione: perché non sia solo una devozione vogliamo celebrare e ragionare quella dimensione femminile della vita di cui non si può fare a meno.

La messa di oggi prevede il vangelo delle nozze di Cana o di Maria ai piedi della Croce.
Certo il primo è più gioioso, più bello per una festa; ma preferisco il secondo anche se più drammatico anche perché credo che la storia di Dio la si capisca meglio quando ci si confronta con il dramma della vita.
E la donna non comprende forse di più la vita perché affronta le doglie del parto? Ovvero quando non riesce ad avere un figlio?

Questi due brani sono però collegati almeno da tre elementi:

  1. il dramma di una assenza: restare senza vino e restare senza il Figlio e… senza madre;
  2. la sete, all’inizio e alla fine della rivelazione di Gesù c’è una sete!;
  3. una donna, non Maria, ma una donna, la Donna.
  4. Quante volte siamo chiamati ad affrontare delle assenze: a chi ci rivogliamo? Noi cristiani a chi ci rivolgiamo?

Penso all’assenza della politica in questi tempi: a chi ci rivolgiamo per colmarla? E come? Dove e come andiamo a cercare il vino non per ubriacarci ma per riempire di senso il nostro vivere insieme?
Ci sono delle assenze di valori, forse anche una assenza di fede: a chi ci rivolgiamo per trovare pienezza?
Siamo consapevoli di cosa manca o forse siamo troppo preoccupati di noi stessi da non accorgerci di ciò che manca.
Anche noi cristiani…

  1. A Cana, il primo segno di Gesù colma una sete! Sulla Croce le ultime parole di Gesù sono: Ho sete! Lui che ha donato da bere a tutti ora ha sete! E non riceve acqua fresca o vino nuovo, ma aceto e fiele.

C’è ancora tanta sete di Dio, tanta sete di bene e spesso siamo distratti, non ce ne accorgiamo come l’organizzatore della festa! Maria invece ci insegna ad avere uno sguardo a 360°. Domani è la giornata per/contro la povertà: penso a Sofia o quanti altri giovani si daranno da fare per non stare con le mani in mano, per riempire questa “sete”!

Quanti SAMZfollower non stanno con le mani in mano e chiedono di pregare per loro: vogliamo pregare insieme per questo #JuZacSinodo2018? Sì o no?

Sapremo rispondere alla sete di cambiamento, di riforma che tutti domandiamo oppure ognuno resterà fermo nel proprio orizzonte? Maria poteva fregarsene del vino, invece è andata oltre il proprio bene individuale, si è messa in gioco!

  1. Donna, ecco tuo Figlio! Giovanni nel vangelo non usa il nome Maria, ma Donna, termine insolito per chiamare la Madre; Donna, la nuova Eva, madre di una nuova umanità. Un’umanità che ascolta la parola di Gesù: dice ai servi, ascoltate quello che vi dirà! Un’umanità che accoglie i giovani, la vita: Donna ecco tuo figlio!

Ecco le due modalità per celebrare la Provvidenza: ascoltare la parola di Gesù, il Vangelo; accogliere chi è solo! Perché la Provvidenza è comunione di Dio con l’umanità attraverso l’intercessione di Maria.

«Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire» scriveva Alda Merini in una sua poesia. Nei Vangeli della Provvidenza, Maria sceglie con cura le parole da dire e non dire, ma ancora più sceglie con cura la storia da costruire insieme al suo Figlio, il nostro Dio e insieme ai suoi figli, la nostra umanità.

Giovane cristiano e giovane non cristiano: differenze?

C’è una grande differenza tra queste due sfere dei giovani e può essere più grande di quanto pensiamo. Tuttavia, a causa della modernità attuale, la nostra generazione di giovani cristiani si è corrotta quotidianamente. Non è da oggi che le persone nascondano le loro credenze religiose e le loro posizioni per paura di essere perseguitati. Tuttavia, la ragione per cui questa omissione si verifica oggi è specialmente la vergogna, non la paura. In questo modo i giovani sono imbarazzati quando hanno bisogno di mostrare il Cristo nei luoghi in cui frequentano – come a scuola, nel tempo libero, al lavoro e anche in casa – perdendo così anche l’opportunità di annunciare la parola di Dio a coloro che ne hanno più bisogno. I pastori delle comunità cristiane, i responsabili dei gruppi devono aiutare, sostenere questi giovani che dicono di seguire Gesù, ma quando lasciano le porte della chiesa ritornano alla vita del mondo; riscattarli e aiutarli nella loro conversione può farli pescatori di anime per il regno di Dio. Questo perché non ci sono persone migliori per catturare i giovani che i giovani stessi.
Attento alla differenza, il giovane che vive la verità di Cristo vive più felice e impara a non lasciarsi influenzare dagli altri. Inoltre, cerca la sua felicità in ciò che viene dall’Alto, sapendo come prendere, da ciò che offre il mondo, le cose buone che aggiungono valore alla sua vita.
Avere discernimento e riconoscere i piani di Dio aiuta a capire che non tutto succede come previsto, evitando molte frustrazioni. Il giovane cristiano non dovrebbe permettere di essere influenzato dalle cose del mondo, ma di influenzare il mondo con le sue parole e atteggiamenti.
Essere giovani e essere cristiani non è sinonimo di mancanza di svago e non significa lasciare la giovinezza, ma cercare divertimento in luoghi e momenti che conducono alla santità. Essere un giovane cristiano non significa essere migliori di altri, perché, agli occhi di nostro Padre, siamo tutti uguali e tutti abbiamo l’opportunità di trasformarci per vivere la verità del Cristo vivo.

Daniel Vieira, Loreto, Rio de Janeiro

Diferença Entre um jovem cristão e um jovem não cristão: Existe ou não?

Sim, existe uma diferença entre o jovem cristão e o jovem não cristão, e a diferença é maior do que pensamos. Porém temos que nos atentar ao jovem cristão tanto quanto ao não cristão, pois a atual geração de jovens cristãos vem se “corrompendo” dia a dia.
Mas como assim se “corrompendo”? Os jovens cristãos dessa geração tem vergonha de anunciar que são cristãos nos lugares que passam, como escola e outros, e mais ainda tem vergonha de levar a palavra de Deus a quem precisa.
Por que nos devemos atentar mais aos jovens cristãos do que aos jovens não cristãos? Se tivermos nas nossas paróquias jovens que se dizem ser de cristo, dizem adorar a Deus, dizem que amam o Senhor, porém apenas dizem isso dentro da igreja, como podemos trazer quem não conhece Jesus para perto desses que tem sua fé fraca e que ficam negando cristo? Além do mais, os jovens que realmente conhecem e adoram Jesus, são as melhores pessoas para levarem o cristo aos jovens que não são da igreja.
Voltando para a diferença, o jovem que é realmente cristão vive mais feliz e não se deixa atingir pelas ofensas alheias, ele não desanima facilmente quando uma pedra aparece em seu caminho, ele não busca a felicidade em drogas, bebidas alcoólicas e outros, ele tem uma visão mais ampla da vida. Como assim mais ampla? Se ele tem dificuldades ele busca enfrentar com diversos caminhos, perseverando e não desanimando, confiando em Cristo, por isso vemos a importância de estar em comunhão com Deus, assim teremos muita fé e seguiremos nessa difícil batalha.
Você sente alguma diferença? E eles?
Para nós jovens cristãos, a maior diferença em relação aos não cristãos é que nós nos sentimos mais felizes e completos, vemos o lado positivo das coisas, e quando algo dá errado ou não sai como planejamos, procuramos enxergar que foi o melhor para nós e que esse era o plano de Deus, pois Deus sabe o que faz em cada minuto de nossas vidas.
Nós procuramos não nos envolver com o mundo, não nos deixamos ser influenciados pelo mundo, mas procuramos influenciar o mundo com nossas palavras e atitudes. Os não cristãos não devem saber que nós rimos e nos divertimos como eles, porém nós nunca esquecemos que temos que obedecer a Deus, e que não precisamos buscar essa diversão em drogas e outros.
Você se acha melhor que eles ou é o aposto?
Como estamos com Cristo não deixamos a cabeça subir, pois, aos olhos de nosso senhor Jesus Cristo, todos somos iguais, não importa altura, peso, etc. Em relação aos não cristãos não seria certo falar que eles se acham melhor em relação ao cristão, mas podemos dizer que a maioria deles quer ser maior que as pessoas, pois sentem necessidade de oprimir o próximo para terem mais atenção ou se sentirem menos mal.

Daniel Vieira, Loreto, Rio de Janeiro

È facile essere giovani a Merida?

È facile essere giovani?
Bella domanda. Dipende dai punti di vista, dalle statistiche, dall’ottimismo, pessimismo o realismo dell’interlocutore.
Più che da ottimismo sono guidato dalla Speranza, che mi permette di essere realista. Realista nel trovare e confermare il buono senza nascondere il cattivo.
Ieri sera mi sono ritrovato con un nutrito gruppo di giovani messicani, di Merida (Yucatan). Non è stato facile entrare in sintonia: il rumore della strada e dei ventilatori, la lingua, la preoccupazione di raccontare cose inutili, il loro numero!
Con tutto ciò sono emerse delle reazioni e riflessioni interessanti sul loro essere persone, giovani, cristiani.
Non sono pochi i problemi in Messico, magari a Merida di meno, ma non mancano le aggressioni contro i giovani, la droga, lo spaesamento, il lavoro. Quindi come essere giovani e cristiani di fronte a tutto ciò?
Si è cristiani perché ci è stato insegnato così e accolgo questo dono della mia famiglia racconta F. Ma si deve anche diventare cristiani, cioè usare la ragione per capire cosa dice il cuore; rielaborare cosa la famiglia ci ha insegnato è importante e necessario, se non si vuole mantenere una fede infantile.
A. è cristiano perché “Dio è tutto per la mia vita!”. Bella affermazione. Quello che penso, sono, faccio è condiviso con Dio e da lui illuminato. Sorprendente professione di fede. Ho chiesto ad A. di scrivermi il significato di queste parole, per crescere insieme, anche se spesso le parole non possono dire l’Amore.
Ragionare sulla fede è importante e necessario, ho insistito su questo aspetto culturale che è proprio di noi barnabiti e delle persone che crescono con noi. Sapere che J. non disdegna di leggere un libro, un romanzo, non solo apre la mente ma anche aiuta a capire che … si vuole capire il mondo in cui lo Spirito ci conduce a vivere non solo dal proprio punto di vista. Aprire la mente è il modo migliore per testimoniare la Carità!
Ma il mondo non è sempre facile da vivere. A. denuncia la fatica di essere cristiani, di essere una persona che sceglie di lavorare per studiare di più e trovare qualche “buco ufficiale” per Dio. Non è facile essere cristiani in un mondo che gira molto altrove. Non è facile essere rispettati nella propria fede. Ma è bello, perciò facile prendere delle buone strade per crescere la propria vita anche se altri ne prendono altre, o non ne prendono nessuna.
Per K. poi essere cristiano ha un senso e un valore in più che nasce dal ritrovarsi in un gruppo, dall’avere una guida. È importante avere una guida non perché ti traccia tutte le strade, ma prima di tutto perché sai che qualcuno ti ascolta.
Ascoltare, essere ascoltati, forse questa è l’esigenza più importante, più necessaria non solo per i giovani di Merida ma per tanti altri nel mondo.
L’impegno primario di un cristiano non è quello di convertire tutti al Vangelo, ma di far conoscere che c’è un Dio, attraverso i suoi testimoni, che ti ascolta, che ti tende la mano. Essere giovani cristiani significa perciò far comprendere che non si è soli, che c’è una sedia su cui sedersi, un bicchiere d’acqua con cui rinfrescarsi, uno sguardo che accoglie. Il resto è un “problema” di Dio!
Se questi sono i presupposti di un gruppo giovanile di una delle “periferie” del mondo… possiamo stare sicuri che il mondo avrà un futuro, perché nonostante tutto sono i piccoli che ribaltano le sorti della umanità.

Bravo ragazzo?

Esistono ancora i bravi ragazzi/e?
Viaggiando in treno o metropolitana è normale incrociare ragazzi e ragazze che chiacchierano tra loro o con se stessi o con i propri smartphone: cosa si diranno, penseranno e progetteranno?
Per certi versi i giovani di oggi rispetto a quelli dei miei tempi sembrano più ordinati e rispettosi delle cose, anche nei loro abbigliamenti stracciati a pagamento o mostranti questa o quella parte del corpo; per altri versi appaiono più capaci di profondità; da altri punti di vista però sono più individualizzati, chiusi e preoccupati della propria immagine.
Ogni tanto però mi sorge una domanda, una curiosità: sono bravi questi ragazzi? E, significa qualche cosa essere bravi ragazzi? Chissà quante volte anche loro si saranno sentito dire: “fai il bravo!”.
Normalmente sulle cronache si parla dei cattivi ragazzi, e i bravi ragazzi?
Una volta si diceva che i bravi ragazzi erano quelli tutto casa e chiesa/oratorio, non sempre era vero. Oggi, che i ragazzi frequentanti un oratorio non sono più tanti, chi sono i bravi ragazzi? Quelli di “Uomini e donne”?
Ognuno ha la propria esperienza di “fare il bravo”; un matematico direbbe che non è una corollario, ma una funzione variabile secondo l’ambiente in cui si è cresciuti.
Quindi chi è un “bravo ragazzo”? Ha senso parlare di bravi ragazzi? E chi ha il diritto di
giudicare un “bravo” ragazzo?
Ho provato a chiederlo a un po’ di giovani e meno giovani; non tutti hanno voluto rispondere e diversi si sono trovati in difficoltà nel trovare una risposta.
Sicuramente “non è una domanda facile”, “non ci ho mai pensato, certamente è qualche cosa che si percepisce” più che si definisce. Senz’altro è un’empatia con il mondo dentro di sé, accanto a sé, fuori e intorno di sé.
Un “bravo ragazzo” sa essere umile, attento, capace di creare relazione perché rispetta l’altro che gli sta accanto e cerca anche di aiutarlo anche quando fosse difficile. Un “bravo ragazzo” si ricorda di essere un ospite su questo pianeta e se ne prende cura, perché ha a cuore gli altri suoi simili.
Un “bravo ragazzo” oggi deve affrontare molte sfide, deve essere forte. Deve rispettare l’essere degli altri e aiutarli il più possibile. Deve saper ascoltare le persone che ha intorno e riuscire ad andare controcorrente in una società che è un mare burrascoso e non lascia mai pace.
In questo contesto un “bravo ragazzo” è chiamato a coltivare il proprio io, con le sue passioni, i suoi pregi e soprattutto i suoi difetti. È significativo poi che tre diciannovenni, di Roma, Bologna e Rio de Janeiro, ribadiscano con forza questo dovere e volere prima di tutto prendere coscienza di sé, con le proprie debolezze e qualità, imparando a conoscere meglio ciò che è. Deve fare questo e molto altro. Di certo non è poco.
Da questo punto in poi è chiamato a collocare nel centro della vita l’amore che più di tutti ha importante, per alcuni Dio, un Dio che chiede di donare ciò che si è ricevuto da Lui.
Una persona che procede in questo cammino di ricerca di sé e del mondo, combinando tutto ciò con il fare di tutti i suoi atti un gesto d’amore, conseguirà di essere non solo un buon ragazzo ma il miglior ragazzo possibile.
Forse più che osservare quel che appare di questo o quel ragazzo sulla metropolitana, bisogna imparare a entrare nelle loro profondità per scoprire non la voglia, che è sempre successiva, ma la consapevolezza di essere un “bravo ragazzo”, così da poterla sostenere e tentare a rendere un po’ più bello il mondo.
Ma di essere un “ragazzo bravo”, ne scriveremo un’altra volta.

pJgiannic
con Luigi, Andrea, Riccardo, Igor, Gregorio, Manuele.

#JuZaccSinodo2018

#JuZacSinodo2018
con questo #hashtag creato dai nostri Giovani Zaccariani anche noi Barnabiti e giovani delle nostre comunità abbiamo cominciato a preparare il prossimo Sinodo dei vescovi: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale.
Voluto fortemente da papa Francesco, tutta la Chiesa è chiamata a riflettere sul modo in cui sta lavorando con il mondo dei giovani in tutte le sue latitudini umane e geografiche e a cercare delle risposte alle loro domande.
La lettera che papa Francesco ha scritto per presentare gli obiettivi del Sinodo indica chiaramente quale deve essere il metodo da seguire per ragionare e trovare delle risposte: pregare, convocare, ascoltare, ragionare, discernere, scegliere.
È molto chiaro anche nel documento di preparazione questa attenzione a curare l’ascolto e il coinvolgimento dei giovani vicini e lontani per verificare meglio se forse la nostra cura pastorale dei giovani non abbia bisogno di una riforma.
Come possono notare i più attenti conoscitori della nostra spiritualità zaccariana, questo metodo è molto vicino alla pedagogia barnabitica nei secoli che ha sempre voluto i i giovani non come oggetto passivo, bensì come soggetto attivo del proprio lavoro educativo ed evangelizzatore.
Sollecitati dall’invito del papa, volendo “scendere dal divano” sul quale spesso ci piace rintanarci, abbiamo cominciato a incontrare i giovani del Brasile, del Chile, dell’Argentina, quindi quelli italiani e messicani proprio per preparare una riflessione adeguata da inviare al Sinodo dei Vescovi. Non manca poi il coinvolgimento dei padri deputati alla pastorale giovanile convocati a Rio de Janeiro e a Brussel. La Chiesa non è solo i ministri ovvero i fedeli, la Chiesa è l’insieme del popolo di Dio che cerca di crescere per rendere presente il Regno di Dio.
La prima reazione dei giovani a questa convocazione è stata quella di apprezzare che si chiedesse il loro punto di vista, che si ascoltasse la loro esperienza cristiana con tutte le fatiche che essa comporta; la seconda reazione è stata quella di gradire il confronto con i loro pastori; la terza reazione quella di non voler perdere il treno della riforma, specialmente perché tanti loro coetanei necessitano di ascoltare la bella notizia, ma anche perché non facile essere cristiani senza rischiare di venire chiusi in un angolo.
Al momento non abbiamo ancora il dettaglio del cammino che vogliamo percorrere, lo troverete sul nostro blog, ma la voglia di fare con professionalità è sicuramente il primo e necessario buon auspicio per un buon lavoro.
Una cosa è certa, chiederemo a tutti voi, personalmente e in comunità, di pregare perché questo cammino di discernimento porti i frutti sperati.
Invochiamo insieme s. Alessandro M. Sauli perché accompagni i giovani e i loro pastori a riconoscere l’“odore delle pecore” che vogliamo condurre.

Ufficio di Pastorale Giovanile dei Padri Barnabiti

Spazi di vita o di morte?

L’uomo e la donna hanno bisogno di spazio per vivere; in uno spazio vero e proprio sono stati posti nella notte dei tempi; ma in quella notte gli è stato donato anche uno spazio particolare e originale: la coscienza.
Lo spazio non è solo un concetto fisico o geometrico, è prima di tutto lo spazio del proprio corpo con le sue ombre e le sue luci, con le sue scelte e non scelte.
Nel volgersi di questa estate 2017 come non evidenziare tanti spazi di opportunità ovvero di tragedie.
Tanti sono i giovani che hanno investito in spazio e tempo cattivi.
Forse ricorderemo quegli adolescenti o poco più che hanno seminato morte senza senso a Barcellona. Ma perché dimenticare quanti sono morti senza senso a causa di droghe o violenze gratuite?
Giovani che uccidono e giovani che sono uccisi nello spazio di poco tempo. Lo spazio della morte sembra l’unico spazio che si voglia veramente rivelare, mettere in luce. In un modo o nell’altro. Forse era già così anche ai tempi dei Montecchi e Capuleti?
È ardito pensare che comunque siamo sempre di fronte a forme di terrorismo che vuole guadagnare spazio a ogni costo.
Noi adulti vogliamo trovare lo spazio per ragionare su questi fallimenti educativi?
I giovani di Barcellona e non solo sono “s”cresciuti nelle periferie delle nostre città, con o senza ius soli! Ma anche tanti nostri giovani sono “s”cresciuti nelle periferie educative delle nostre modernità con ius soli e … ius sanguinis!
Quando dovevamo affrontare gli spazi delle banlieu dove eravamo?
E quando dovevamo affrontare gli spazi delle discoteche e delle droghe di vario genere?
I nostri giovani cercano spazi per vivere ma se non diamo loro spazio se lo cercano in altri modi.
Forse però possiamo dare loro lo spazio di piazza Indipendenza a Roma, magari una buona doccia finale potrebbe risolvere tanti problemi in modo più efficace di tante sfide educative.

Non so se i miei tempi giovanili fossero migliori, però so che possiamo avere tempi migliori se impariamo a dare più spazio alla creatività e alla voglia di essere di tanti giovani.
Basterebbe cambiare un poco il nostro sistema di vita, basterebbe chiedere un po’ di più purché sappiamo dare un po’ di più di vita
Se sono riuscito io a trovare spazi per tanti giovani con cui lavorare, sudare, pensare, pregare, giocare, investire del buon tempo in Italia, in Albania, in Brasile perché non potremmo riuscirci di più insieme?
Insieme, insieme, dobbiamo recuperare spazio per investire di più del tempo buono per i nostri giovani, se vogliamo che la morte non trovi più spazio nelle ramblas, nelle disco, nelle piazze. È una questione di coscienza!

Giannicola M. prete