Giovane cristiano e giovane non cristiano: differenze?

C’è una grande differenza tra queste due sfere dei giovani e può essere più grande di quanto pensiamo. Tuttavia, a causa della modernità attuale, la nostra generazione di giovani cristiani si è corrotta quotidianamente. Non è da oggi che le persone nascondano le loro credenze religiose e le loro posizioni per paura di essere perseguitati. Tuttavia, la ragione per cui questa omissione si verifica oggi è specialmente la vergogna, non la paura. In questo modo i giovani sono imbarazzati quando hanno bisogno di mostrare il Cristo nei luoghi in cui frequentano – come a scuola, nel tempo libero, al lavoro e anche in casa – perdendo così anche l’opportunità di annunciare la parola di Dio a coloro che ne hanno più bisogno. I pastori delle comunità cristiane, i responsabili dei gruppi devono aiutare, sostenere questi giovani che dicono di seguire Gesù, ma quando lasciano le porte della chiesa ritornano alla vita del mondo; riscattarli e aiutarli nella loro conversione può farli pescatori di anime per il regno di Dio. Questo perché non ci sono persone migliori per catturare i giovani che i giovani stessi.
Attento alla differenza, il giovane che vive la verità di Cristo vive più felice e impara a non lasciarsi influenzare dagli altri. Inoltre, cerca la sua felicità in ciò che viene dall’Alto, sapendo come prendere, da ciò che offre il mondo, le cose buone che aggiungono valore alla sua vita.
Avere discernimento e riconoscere i piani di Dio aiuta a capire che non tutto succede come previsto, evitando molte frustrazioni. Il giovane cristiano non dovrebbe permettere di essere influenzato dalle cose del mondo, ma di influenzare il mondo con le sue parole e atteggiamenti.
Essere giovani e essere cristiani non è sinonimo di mancanza di svago e non significa lasciare la giovinezza, ma cercare divertimento in luoghi e momenti che conducono alla santità. Essere un giovane cristiano non significa essere migliori di altri, perché, agli occhi di nostro Padre, siamo tutti uguali e tutti abbiamo l’opportunità di trasformarci per vivere la verità del Cristo vivo.

Daniel Vieira, Loreto, Rio de Janeiro

Diferença Entre um jovem cristão e um jovem não cristão: Existe ou não?

Sim, existe uma diferença entre o jovem cristão e o jovem não cristão, e a diferença é maior do que pensamos. Porém temos que nos atentar ao jovem cristão tanto quanto ao não cristão, pois a atual geração de jovens cristãos vem se “corrompendo” dia a dia.
Mas como assim se “corrompendo”? Os jovens cristãos dessa geração tem vergonha de anunciar que são cristãos nos lugares que passam, como escola e outros, e mais ainda tem vergonha de levar a palavra de Deus a quem precisa.
Por que nos devemos atentar mais aos jovens cristãos do que aos jovens não cristãos? Se tivermos nas nossas paróquias jovens que se dizem ser de cristo, dizem adorar a Deus, dizem que amam o Senhor, porém apenas dizem isso dentro da igreja, como podemos trazer quem não conhece Jesus para perto desses que tem sua fé fraca e que ficam negando cristo? Além do mais, os jovens que realmente conhecem e adoram Jesus, são as melhores pessoas para levarem o cristo aos jovens que não são da igreja.
Voltando para a diferença, o jovem que é realmente cristão vive mais feliz e não se deixa atingir pelas ofensas alheias, ele não desanima facilmente quando uma pedra aparece em seu caminho, ele não busca a felicidade em drogas, bebidas alcoólicas e outros, ele tem uma visão mais ampla da vida. Como assim mais ampla? Se ele tem dificuldades ele busca enfrentar com diversos caminhos, perseverando e não desanimando, confiando em Cristo, por isso vemos a importância de estar em comunhão com Deus, assim teremos muita fé e seguiremos nessa difícil batalha.
Você sente alguma diferença? E eles?
Para nós jovens cristãos, a maior diferença em relação aos não cristãos é que nós nos sentimos mais felizes e completos, vemos o lado positivo das coisas, e quando algo dá errado ou não sai como planejamos, procuramos enxergar que foi o melhor para nós e que esse era o plano de Deus, pois Deus sabe o que faz em cada minuto de nossas vidas.
Nós procuramos não nos envolver com o mundo, não nos deixamos ser influenciados pelo mundo, mas procuramos influenciar o mundo com nossas palavras e atitudes. Os não cristãos não devem saber que nós rimos e nos divertimos como eles, porém nós nunca esquecemos que temos que obedecer a Deus, e que não precisamos buscar essa diversão em drogas e outros.
Você se acha melhor que eles ou é o aposto?
Como estamos com Cristo não deixamos a cabeça subir, pois, aos olhos de nosso senhor Jesus Cristo, todos somos iguais, não importa altura, peso, etc. Em relação aos não cristãos não seria certo falar que eles se acham melhor em relação ao cristão, mas podemos dizer que a maioria deles quer ser maior que as pessoas, pois sentem necessidade de oprimir o próximo para terem mais atenção ou se sentirem menos mal.

Daniel Vieira, Loreto, Rio de Janeiro

È facile essere giovani a Merida?

È facile essere giovani?
Bella domanda. Dipende dai punti di vista, dalle statistiche, dall’ottimismo, pessimismo o realismo dell’interlocutore.
Più che da ottimismo sono guidato dalla Speranza, che mi permette di essere realista. Realista nel trovare e confermare il buono senza nascondere il cattivo.
Ieri sera mi sono ritrovato con un nutrito gruppo di giovani messicani, di Merida (Yucatan). Non è stato facile entrare in sintonia: il rumore della strada e dei ventilatori, la lingua, la preoccupazione di raccontare cose inutili, il loro numero!
Con tutto ciò sono emerse delle reazioni e riflessioni interessanti sul loro essere persone, giovani, cristiani.
Non sono pochi i problemi in Messico, magari a Merida di meno, ma non mancano le aggressioni contro i giovani, la droga, lo spaesamento, il lavoro. Quindi come essere giovani e cristiani di fronte a tutto ciò?
Si è cristiani perché ci è stato insegnato così e accolgo questo dono della mia famiglia racconta F. Ma si deve anche diventare cristiani, cioè usare la ragione per capire cosa dice il cuore; rielaborare cosa la famiglia ci ha insegnato è importante e necessario, se non si vuole mantenere una fede infantile.
A. è cristiano perché “Dio è tutto per la mia vita!”. Bella affermazione. Quello che penso, sono, faccio è condiviso con Dio e da lui illuminato. Sorprendente professione di fede. Ho chiesto ad A. di scrivermi il significato di queste parole, per crescere insieme, anche se spesso le parole non possono dire l’Amore.
Ragionare sulla fede è importante e necessario, ho insistito su questo aspetto culturale che è proprio di noi barnabiti e delle persone che crescono con noi. Sapere che J. non disdegna di leggere un libro, un romanzo, non solo apre la mente ma anche aiuta a capire che … si vuole capire il mondo in cui lo Spirito ci conduce a vivere non solo dal proprio punto di vista. Aprire la mente è il modo migliore per testimoniare la Carità!
Ma il mondo non è sempre facile da vivere. A. denuncia la fatica di essere cristiani, di essere una persona che sceglie di lavorare per studiare di più e trovare qualche “buco ufficiale” per Dio. Non è facile essere cristiani in un mondo che gira molto altrove. Non è facile essere rispettati nella propria fede. Ma è bello, perciò facile prendere delle buone strade per crescere la propria vita anche se altri ne prendono altre, o non ne prendono nessuna.
Per K. poi essere cristiano ha un senso e un valore in più che nasce dal ritrovarsi in un gruppo, dall’avere una guida. È importante avere una guida non perché ti traccia tutte le strade, ma prima di tutto perché sai che qualcuno ti ascolta.
Ascoltare, essere ascoltati, forse questa è l’esigenza più importante, più necessaria non solo per i giovani di Merida ma per tanti altri nel mondo.
L’impegno primario di un cristiano non è quello di convertire tutti al Vangelo, ma di far conoscere che c’è un Dio, attraverso i suoi testimoni, che ti ascolta, che ti tende la mano. Essere giovani cristiani significa perciò far comprendere che non si è soli, che c’è una sedia su cui sedersi, un bicchiere d’acqua con cui rinfrescarsi, uno sguardo che accoglie. Il resto è un “problema” di Dio!
Se questi sono i presupposti di un gruppo giovanile di una delle “periferie” del mondo… possiamo stare sicuri che il mondo avrà un futuro, perché nonostante tutto sono i piccoli che ribaltano le sorti della umanità.

Bravo ragazzo?

Esistono ancora i bravi ragazzi/e?
Viaggiando in treno o metropolitana è normale incrociare ragazzi e ragazze che chiacchierano tra loro o con se stessi o con i propri smartphone: cosa si diranno, penseranno e progetteranno?
Per certi versi i giovani di oggi rispetto a quelli dei miei tempi sembrano più ordinati e rispettosi delle cose, anche nei loro abbigliamenti stracciati a pagamento o mostranti questa o quella parte del corpo; per altri versi appaiono più capaci di profondità; da altri punti di vista però sono più individualizzati, chiusi e preoccupati della propria immagine.
Ogni tanto però mi sorge una domanda, una curiosità: sono bravi questi ragazzi? E, significa qualche cosa essere bravi ragazzi? Chissà quante volte anche loro si saranno sentito dire: “fai il bravo!”.
Normalmente sulle cronache si parla dei cattivi ragazzi, e i bravi ragazzi?
Una volta si diceva che i bravi ragazzi erano quelli tutto casa e chiesa/oratorio, non sempre era vero. Oggi, che i ragazzi frequentanti un oratorio non sono più tanti, chi sono i bravi ragazzi? Quelli di “Uomini e donne”?
Ognuno ha la propria esperienza di “fare il bravo”; un matematico direbbe che non è una corollario, ma una funzione variabile secondo l’ambiente in cui si è cresciuti.
Quindi chi è un “bravo ragazzo”? Ha senso parlare di bravi ragazzi? E chi ha il diritto di
giudicare un “bravo” ragazzo?
Ho provato a chiederlo a un po’ di giovani e meno giovani; non tutti hanno voluto rispondere e diversi si sono trovati in difficoltà nel trovare una risposta.
Sicuramente “non è una domanda facile”, “non ci ho mai pensato, certamente è qualche cosa che si percepisce” più che si definisce. Senz’altro è un’empatia con il mondo dentro di sé, accanto a sé, fuori e intorno di sé.
Un “bravo ragazzo” sa essere umile, attento, capace di creare relazione perché rispetta l’altro che gli sta accanto e cerca anche di aiutarlo anche quando fosse difficile. Un “bravo ragazzo” si ricorda di essere un ospite su questo pianeta e se ne prende cura, perché ha a cuore gli altri suoi simili.
Un “bravo ragazzo” oggi deve affrontare molte sfide, deve essere forte. Deve rispettare l’essere degli altri e aiutarli il più possibile. Deve saper ascoltare le persone che ha intorno e riuscire ad andare controcorrente in una società che è un mare burrascoso e non lascia mai pace.
In questo contesto un “bravo ragazzo” è chiamato a coltivare il proprio io, con le sue passioni, i suoi pregi e soprattutto i suoi difetti. È significativo poi che tre diciannovenni, di Roma, Bologna e Rio de Janeiro, ribadiscano con forza questo dovere e volere prima di tutto prendere coscienza di sé, con le proprie debolezze e qualità, imparando a conoscere meglio ciò che è. Deve fare questo e molto altro. Di certo non è poco.
Da questo punto in poi è chiamato a collocare nel centro della vita l’amore che più di tutti ha importante, per alcuni Dio, un Dio che chiede di donare ciò che si è ricevuto da Lui.
Una persona che procede in questo cammino di ricerca di sé e del mondo, combinando tutto ciò con il fare di tutti i suoi atti un gesto d’amore, conseguirà di essere non solo un buon ragazzo ma il miglior ragazzo possibile.
Forse più che osservare quel che appare di questo o quel ragazzo sulla metropolitana, bisogna imparare a entrare nelle loro profondità per scoprire non la voglia, che è sempre successiva, ma la consapevolezza di essere un “bravo ragazzo”, così da poterla sostenere e tentare a rendere un po’ più bello il mondo.
Ma di essere un “ragazzo bravo”, ne scriveremo un’altra volta.

pJgiannic
con Luigi, Andrea, Riccardo, Igor, Gregorio, Manuele.

#JuZaccSinodo2018

#JuZacSinodo2018
con questo #hashtag creato dai nostri Giovani Zaccariani anche noi Barnabiti e giovani delle nostre comunità abbiamo cominciato a preparare il prossimo Sinodo dei vescovi: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale.
Voluto fortemente da papa Francesco, tutta la Chiesa è chiamata a riflettere sul modo in cui sta lavorando con il mondo dei giovani in tutte le sue latitudini umane e geografiche e a cercare delle risposte alle loro domande.
La lettera che papa Francesco ha scritto per presentare gli obiettivi del Sinodo indica chiaramente quale deve essere il metodo da seguire per ragionare e trovare delle risposte: pregare, convocare, ascoltare, ragionare, discernere, scegliere.
È molto chiaro anche nel documento di preparazione questa attenzione a curare l’ascolto e il coinvolgimento dei giovani vicini e lontani per verificare meglio se forse la nostra cura pastorale dei giovani non abbia bisogno di una riforma.
Come possono notare i più attenti conoscitori della nostra spiritualità zaccariana, questo metodo è molto vicino alla pedagogia barnabitica nei secoli che ha sempre voluto i i giovani non come oggetto passivo, bensì come soggetto attivo del proprio lavoro educativo ed evangelizzatore.
Sollecitati dall’invito del papa, volendo “scendere dal divano” sul quale spesso ci piace rintanarci, abbiamo cominciato a incontrare i giovani del Brasile, del Chile, dell’Argentina, quindi quelli italiani e messicani proprio per preparare una riflessione adeguata da inviare al Sinodo dei Vescovi. Non manca poi il coinvolgimento dei padri deputati alla pastorale giovanile convocati a Rio de Janeiro e a Brussel. La Chiesa non è solo i ministri ovvero i fedeli, la Chiesa è l’insieme del popolo di Dio che cerca di crescere per rendere presente il Regno di Dio.
La prima reazione dei giovani a questa convocazione è stata quella di apprezzare che si chiedesse il loro punto di vista, che si ascoltasse la loro esperienza cristiana con tutte le fatiche che essa comporta; la seconda reazione è stata quella di gradire il confronto con i loro pastori; la terza reazione quella di non voler perdere il treno della riforma, specialmente perché tanti loro coetanei necessitano di ascoltare la bella notizia, ma anche perché non facile essere cristiani senza rischiare di venire chiusi in un angolo.
Al momento non abbiamo ancora il dettaglio del cammino che vogliamo percorrere, lo troverete sul nostro blog, ma la voglia di fare con professionalità è sicuramente il primo e necessario buon auspicio per un buon lavoro.
Una cosa è certa, chiederemo a tutti voi, personalmente e in comunità, di pregare perché questo cammino di discernimento porti i frutti sperati.
Invochiamo insieme s. Alessandro M. Sauli perché accompagni i giovani e i loro pastori a riconoscere l’“odore delle pecore” che vogliamo condurre.

Ufficio di Pastorale Giovanile dei Padri Barnabiti

Spazi di vita o di morte?

L’uomo e la donna hanno bisogno di spazio per vivere; in uno spazio vero e proprio sono stati posti nella notte dei tempi; ma in quella notte gli è stato donato anche uno spazio particolare e originale: la coscienza.
Lo spazio non è solo un concetto fisico o geometrico, è prima di tutto lo spazio del proprio corpo con le sue ombre e le sue luci, con le sue scelte e non scelte.
Nel volgersi di questa estate 2017 come non evidenziare tanti spazi di opportunità ovvero di tragedie.
Tanti sono i giovani che hanno investito in spazio e tempo cattivi.
Forse ricorderemo quegli adolescenti o poco più che hanno seminato morte senza senso a Barcellona. Ma perché dimenticare quanti sono morti senza senso a causa di droghe o violenze gratuite?
Giovani che uccidono e giovani che sono uccisi nello spazio di poco tempo. Lo spazio della morte sembra l’unico spazio che si voglia veramente rivelare, mettere in luce. In un modo o nell’altro. Forse era già così anche ai tempi dei Montecchi e Capuleti?
È ardito pensare che comunque siamo sempre di fronte a forme di terrorismo che vuole guadagnare spazio a ogni costo.
Noi adulti vogliamo trovare lo spazio per ragionare su questi fallimenti educativi?
I giovani di Barcellona e non solo sono “s”cresciuti nelle periferie delle nostre città, con o senza ius soli! Ma anche tanti nostri giovani sono “s”cresciuti nelle periferie educative delle nostre modernità con ius soli e … ius sanguinis!
Quando dovevamo affrontare gli spazi delle banlieu dove eravamo?
E quando dovevamo affrontare gli spazi delle discoteche e delle droghe di vario genere?
I nostri giovani cercano spazi per vivere ma se non diamo loro spazio se lo cercano in altri modi.
Forse però possiamo dare loro lo spazio di piazza Indipendenza a Roma, magari una buona doccia finale potrebbe risolvere tanti problemi in modo più efficace di tante sfide educative.

Non so se i miei tempi giovanili fossero migliori, però so che possiamo avere tempi migliori se impariamo a dare più spazio alla creatività e alla voglia di essere di tanti giovani.
Basterebbe cambiare un poco il nostro sistema di vita, basterebbe chiedere un po’ di più purché sappiamo dare un po’ di più di vita
Se sono riuscito io a trovare spazi per tanti giovani con cui lavorare, sudare, pensare, pregare, giocare, investire del buon tempo in Italia, in Albania, in Brasile perché non potremmo riuscirci di più insieme?
Insieme, insieme, dobbiamo recuperare spazio per investire di più del tempo buono per i nostri giovani, se vogliamo che la morte non trovi più spazio nelle ramblas, nelle disco, nelle piazze. È una questione di coscienza!

Giannicola M. prete

L’arte della fragilità per Alessandro d’Avenia

Cari amici di GiovaniBarnabiti.it, eccomi con Alessandro D’Avenia, scrittore e uomo di teatro a parlare del suo spettacolo: L’arte d’essere fragili, tratto dall’omonimo libro.

Ciao Alessandro, tu sei uno scrittore e oggi si legge sempre di meno anche perché la pazienza è diminuita negli adulti e nei ragazzi, con quale coraggio e spirito scrive?

Io sono innanzitutto un insegnante, lo scrittore è forse una conseguenza o un completamento di questo mestiere perché mentre nel caso dei ragazzi ascolti persone, nel caso della scrittura ascolti personaggi. Sono due categorie molto delicate che chiedono di esistere un po’ di più.

Qual è il coraggio o la pazienza che ci vuole? Quella di avere un cuore a forma di grembo, in cui dare tempo, il proprio tempo, il proprio spazio, a questi personaggi e a queste persone. Chiaramente con una grossa diversità che nel caso dei personaggi la libertà è limitata, nelle persone ci vuole un rispetto sacrale di questa libertà, in cui mettersi al servizio ma quando appunto abbassi le difese e accogli come in un grembo queste vite, poi accade che queste vite possano, se voglioso, esistere un po’ di più.

Quale scintilla fa scattare la voglia di scrivere?

Mi piace la metafora del fuoco, proprio quando nella vita quotidiana si apre un varco, una ferita, qualcosa che obbliga, costringe a guardare dentro il mistero. Come se per un attimo il senso dell’esistenza che noi andiamo cercando in ogni nostra giornata si manifestasse in una maniera un po’ più piena. Allora si tratta di essere con le orecchie del cuore bene aperte e infilarsi in quella fessura, in quella crepa che si crea e guardarci dentro per sapere come va finire, non so come andranno a finire le storie che racconto, sono curioso di sapere come vanno a finire perché poi è quello che ho da scoprire attraverso quella stessa storia. Credo che ognuno di noi abbia in dono da Dio un alfabeto che è quello dei talenti che serve a dialogare con Lui. Quindi quando insegno o scrivo sostanzialmente entro dialogo con questo mistero.

Aprire il varco e far scattare crea una scintilla in te, ma farla scattare nei lettori non è forse il problema di oggi?

Se sei un cercatore onesto e autentico di verità non accade nulla nel lettore che non sia accaduto a te. Per cui se è il tuo mestiere è solo maniera, i lettori passeranno un buon momento nella lettura ma quella lettura non cambierà o non riconfigura il loro mondo interiore; se invece quello scrivere ha riconfigurato il mio mondo interiore altrettanto accade anche nel lettore. Diceva un poeta che a me piace molto, Giorgio Caproni, che lo scrittore non è diverso dagli altri, è colui che come tutti gli altri vuole scendere nell’abisso, è colui che si mette questa tuta da palombaro e affronta la paura dell’abisso e del buio e quando arriva in fondo trova tutti gli altri. E ha in più la capacità di raccontare l’immersione che ha fatto.

Incontrare gli altri! Nel tuo ultimo lavoro L’arte di essere fragili parli a Giacomo Leopardi adolescente, giovane per parlare ai giovani, partendo dal presupposto che i ragazzi di oggi hanno più bisogno di essere ascoltati, perché portatori di problematiche più gravi, più difficili rispetto al passato. Ma c’erano degli adolescenti nel passato?

Io credo che ogni periodo storico abbia la sua complessità, le sue battaglie, le sue sfide, ma l’uomo nella sua ricerca della verità, del bene, della bellezza rimane sempre lo stesso. Chiunque di noi vada al ristorante pretende un piatto buono, chiunque di noi cerchi un amico pretende un amico sincero, chiunque di noi si innamori si innamora attraverso la bellezza, non credo che questo sia cambiato. Leopardi perché lo racconto e non solo nella sua parte adolescenziale ma come tutto percorso di vita? Perché è uno che nonostante la fragilità della sua vita, guardata dall’esterno è una vita in cui a poco a poco gli è stato tolto quasi tutto, non ha rinunciato alla ricerca di queste tre cose. In particolare la bellezza e la verità che per tutto il tempo lui ha cercato di tenere insieme. Quindi questo è un viaggio che ci riguarda tutti. I giovani sono nell’età dell’apertura massima alla verità e alla bellezza, anche se gli è stato rubato, molto, tutto.

E riusciranno questi giovani ad accorgersi che gli stiamo rubando tutto?

Questo è il gioco della libertà, noi come loro, dobbiamo cercare di fare onestamente questa ricerca, poi sta accadendo per questo racconto teatrale, per questo libro, un po’ sorprendente che vengano mille ragazzi di sera a sentire un professore che parla di Leopardi. La cosa va aldilà delle mie capacità, quindi evidentemente c’è una vita interiore. I ragazzi poi quando sentono che c’è qualcosa che li riguarda, di cui hanno bisogno, accorrono.

Quando termini un libro, o uno spettacolo, cosa succede?

Ringrazio Dio di averlo portato a termine perché tutto quello di bello che c’è nella mia vita non è mio, ma viene dal fatto di essere stato educato in una famiglia che mi ha abituato a questo, a pensare agli altri, a loro devo tutto questo e poi sono stato fortunato perché ho avuto come insegnante di religione nella mia scuola padre Pino Puglisi che quando stavo al quarto anno è stato ucciso dalla mafia, allora lì mi sono detto va be ma tu adesso che fai? Che ci fai di questa vita? Di questo sangue? E li è cambiata la mia prospettiva, dal ristretto giro di cose che pensavo fosse la vita a un aprirsi anche rischiando ai propri sparuti, piccoli talenti.

Ci auguriamo che non sia sempre necessario dover arrivare a un’esperienza forte e drammatica come questa ma che anche attraverso le nostre parole ed i tuoi particolari si possono aiutare altri giovani a scoprire che hanno delle potenzialità, dei talenti, hanno delle opportunità che siano Leopardi o che siano semplici Giovanni, Marco, Gennaro credo che questo sia l’importante.

Se Leopardi non fosse stato convinto, nell’età che hanno questi ragazzi, di avere ricevuto una vocazione come poeta, non avremmo neanche una riga di questo ragazzo confinato alla periferia dello Stato Pontificio all’inizio dell’800. Ciò dimostra che ciascuno di noi anche se sembra che la vita gli tolga molto è qui perché è necessario alla grande polifonia del mondo.

Grazie Alessandro per questi dieci minuti prima del tuo spettacolo.

Grazie perché, dopo lo spettacolo, costatare che per i 100 minuti del tuo monologo non un beh o una mosca siano volati, non uno smartphone abbia suonato è stato la conferma che se sappiamo parlare alle coscienze dei giovani, anche essi sanno vivere il silenzio dell’ascolto e, sicuramente, del lasciarsi mettere in gioco.

Alla prossima, pJgiannic.

Evangelizzare in Piraí (Brasile)

Come bravi barnabiti, abbiamo il carisma di “rinnovare il fervore Cristiano”. Proprio per questo, nel mese di Aprile, nella città di Piraí, non lontano da Rio de Janeiro, abbiamo realizzato una Missione dei Giovani barnabiti: l’opportunità di annunciare la Buona Notizia del Signore.
La missione è stata preparata e realizzata dai pp. Rafael Borges, Miguel Panes e Marco Aurelio, con i seminaristi André, Bruno Cruz, Danilo, Jonathan Yure, Willian Douglas, Isaac, colui che scrive, Robert Cardoso e la preziosa collaborazione di tre giovani delle nostre parrocchie: Bruna Miranda, Bruno Guerreiro, Sebastian.
Tutti noi abbiamo avuto la grazia di evangelizzare questi luoghi durante la settimana santa, partecipando alle celebrazioni liturgiche, processioni, preghiere oltre a visitare diverse famiglie delle comunità. In questi incontri abbiamo conversato, consigliato, ragionato, … con la condivisione di ogni persona preoccupandoci di aiutarle con parole e gesti concreti di amore, pace, fede e misericordia, sempre lasciando un messaggio di fede e forza per continuare nel cammino che non è, né sarà facile da seguire, ma se confidiamo nel Signore possiamo cominciare i primi passi.
S. Antonio Maria Zaccaria disse che dobbiamo “incarnare la realtà con umiltà e perseveranza, senza rilassarci”. Proprio questo abbiamo cercato di testimoniare in tutta la settimana per avvicinare e affascinare le persone. L’obiettivo era farli tornare al primo amore, l’amore che Cristo ci ha donato gratuitamente dalla Croce così da far comprendere con certezza ciò che Cristo dice: “io starò con voi tutti i giorni sino alla fine dei tempi” (Mt 28,20). Ancora oggi abbiamo una grande opportunità per la salvezza, ancora abbiamo Qualcuno che ci ama, ci guarda e ci aiuta.
Ricordiamo che la Croce, che anticamente era considerata quale strumento di tortura, per noi è diventata simbolo di salvezza. Abbiamo la certezza del trionfo di Cristo sulla morte; per seguire Cristo dobbiamo caricarci della Croce ogni giorno, proprio come Lui disse: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). Sant’Antonio poi ci ricorda che “Cristo non ci dà un carico maggiore delle nostre forze”, Lui sta accanto a noi, così che quando cadiamo nel peccato noi siamo certi che ci sostiene.
Siamo Barnabiti, figli della Consolazione, siamo chiamati a essere rinnovatori del fervore Cristiano, uomini per la riforma. Abbiamo una grande certezza: possiamo diventare grandi cristiani in quei pochi giorni della nostra esistenza. Con certezza il nostro padre Fondatore deve essere orgoglioso di ogni suo figlio, di ogni pianta e colonna di san Paolo purché siamo sempre in grado di focalizzare come “crescere sempre nelle cose perfette, passo dopo passo”. Abbiamo fatto un passo molto importante in questa missione ora aiutiamo gli altri a fare altrettanto.
Ci auguriamo che vengano ancora altre missioni.
Fuoco e luce a tutti!

Robert Cardoso, Seminarista Barnabita”.

Ricordiamo il futuro!

 

Con piacere pubblichiamo una riflessione di Angelo Bruscino, presidente dei Giovani Imprenditori Italiani, sul futuro da costruire.

Per molti anni abbiamo ascoltato le dichiarazioni di capi di stato, scienziati, economisti che raccontavano di quanto fosse importante investire ogni singola energia del presente per costruire il “Futuro”, abbiamo sognato con loro e con la stragrande maggioranza degli uomini e delle donne che abitano il nostro pianeta un domani dove si sarebbero fermate le guerre, dove la globalizzazione avrebbe costruito un pianeta senza confini commerciali ed umani, dove avrebbe vinto, il merito, la qualità, l’onestà nelle condotte personali ed aziendali, dove la giustizia si trasformasse da quella dei tribunali, a quella sociale, economica e soprattutto ambientale, dove al consumo sfrenato delle risorse si sarebbe posto rimedio con le rivoluzioni della tecnologia, delle rinnovabili, del design sui prodotti, dove la fame di cibo, di energia, di pace sarebbe stato il ricordo lontano di un’epoca meno civile, meno moderna, meno straordinaria di quella che avremmo vissuto, perché il mondo sarebbe sicuramente diventato per tutti, nessuno escluso, un luogo più sicuro, più verde, più libero …

Questo è il futuro che cerchiamo ancora oggi di ricordare, di fronte a questo presente che nonostante le tante promesse ed il vero impegno di pochi continuiamo a vivere cercando di sfuggire ai massacri di religione, alla fame di interi continenti, alle guerre più feroci, ai consumi più sfrenati, all’ignoranza sempre più dilagante nei giovani, ai populismi che urlano rabbia, al ripristino di frontiere tanto materiali quanto culturali, alla miopia dei politici che cancellano accordi ambientali per il proprio tornaconto elettorale, all’aggressività commerciale delle multinazionali che mettono il profitto dinnanzi a tutto, questo è il mondo che ogni giorno cerca di farci dimenticare cosa potremmo fare, cosa potrebbe diventare, che cerca disperatamente di cancellare le promesse di un’umanità più equa, più onestà e più felice.

A questo mondo che combatte contro il suo domani, vogliamo solo dire una cosa, noi “Ricordiamo ancora il Futuro” e continueremo a farlo fino a quando non si sarà realizzato.

La scelta di Sofia?

Spulciando il web trovo un’intervista del giornalista Aldo Cazzullo a una sconosciuta (almeno a me) Sofia Viscardi. Lei non ha ancora 19 anni e ha un milione e mezzo di follower su Instagram, 500 mila su Twitter, 200 mila amici su Facebook. (http://www.corriere.it/italiani//notizie/sofia-viscardi-vi-spiego-chi-sono-vostri-figli-a8845916-eb26-11e6-ad6d-d4b358125f7a.shtml#commentFormAnchor).

Conoscendo Cazzullo, interessato a tutto ciò che riguarda i giovani mi sono precipitato nella lettura e ne sono uscito … un poco tiepido!

Perché investe in questo modo il suo tempo? Veramente i nostri giovani vivono sulla scia di tale Sofia?

Perciò ho sollecitato amici giovani, meno giovani e genitori sull’articolo.

L’intervista piace e non piace anche se ci si chiede chi sia poi questa così famosa Sofia: basta essere una youtuber per diventare famosa, interessante?

Sofia sembrerebbe interessare come amica almeno per la carica positiva che sprigiona, ma non è il tipo di amica che si vorrebbe avere per forza.

Sicuramente chi è famoso potrebbe diventare un idolo, ma nessuno dei nostri intervistati si scambierebbe con lei. In particolar modo A. afferma che vivere la vita di altri è un po’ un rifiuto della propria, un’esigenza di scappare dai problemi personali, andando poi a rifugiarsi nella vita di chi questi problemi non li ha.

Sofia appare una ragazza grintosa ma ognuno è contento della propria grinta, anzi C. non trova Sofia particolarmente grintosa; il suo essere frizzante appare vagamente superficiale e troppo pieno di sé!

C’è poi il rapporto con i genitori nel quale tutti concordano di avere genitori capaci di sollecitare obiettivi adeguati al proprio figlio, spronati a raggiungerli.

E se Sofia fosse nostra figlia? Gli intervistati su questo sono abbastanza unanimi, non vorrebbero una figlia così, tantomeno così social sin dalla tenera età; se poi dovessero emergere delle inclinazioni particolari allora si bisogno appoggiarle. M. in special modo aggiunge: francamente non le avrei lasciato in partenza la libertà di utilizzare cellulari e web in tenera età, quindi probabilmente non avrei favorito questa inclinazione… se si fosse presentata dopo questa sua capacità o interesse avrei cercato di capirla.

Più approfondito e comprensibile la riflessione sulla scuola che seppure ha delle regole che vanno seguite dovrebbe essere più elastica nel comprendere i valori degli alunni, ma come potrebbe seguire tutti? Possibile che nessuna scuola comprenda il talento di Sofia?

Se invece gradite una risposta secca e unanime allora è quella sul sesso: richiede dei sentimenti, dei legami, non delle occasionalità, in questo Sofia ha ragione!

I social, i social, i social… strumenti così imposti, così diventati necessari, così incapaci ma anche unici a volte nel raccontare chi sei. Veramente i social raccontano la verità di te? A. attraverso i sociali noi possiamo quasi ‘trasformarci’. Ad esempio un ragazzino timido non lo fa vedere sui social. Tu diventi tutto nel social, incalza M., ma la realtà è virtuale quindi nei fatti nella vista reale sei niente. Questo è quello che penso. Sofia sta facendo molte cose ma chi è veramente? Mentre per L. i social mostrano un’idealizzazione di noi stessi. Infine, R. si chiede se siamo realmente siamo capaci di mantenere una nostra autonomia, di saper gestire noi questi strumenti o ci facciamo gestire?

Forse il sottile confine di questa intervista è sollecitarci a capire come e cosa comunichiamo o, per restare nel tema di questo numero: quale e quanto tempo dedichiamo a raccontarci e raccontare chi siamo e come siamo?

Vi farò sapere le reazioni di Cazzullo.

pJgiannic