Mancia, dono o dovere?

LA MANCIA AI GIORNI NOSTRI: DONO O DOVERE?

2013 – Accade negli USA. Un misterioso benefattore lascia una mancia da migliaia di dollari al cameriere di un ristorante di New York. La scena si ripete in numerosi ristoranti d’America, da Los Angeles a Chicago, da Phoenix a San Francisco. Sulla ricevuta una firma: “tipsforjesus”, ovvero “mance per Gesù”. Un profilo Instagram per documentare la sua magnanimità; “fare il lavoro del Signore, una mancia alla volta” il suo slogan.
Le gesta del donatore (un certo Jack Selby, ex-presidente Paypal) hanno raggiunto più di 60mila followers sui social, e fatto breccia nel cuore di migliaia di camerieri, che con ardore lo invitano nel locale in cui lavorano, fiduciosi che la voce “tip” possa riportare una somma insperata. Non del tutto chiari i motivi di tale generosità (sembrano seguire un filo conduttore – un “tornaconto con Gesù?”), certo è che si tratta di un evento più unico che raro (pur essendo gli USA la nazione con le mance più alte al mondo). È vero che i tempi sono cambiati, così come i rapporti tra cliente e cameriere, ma cifre così cospicue non si vedevano nemmeno alla corte del Re!
Un tempo infatti, la mancia era il compenso che gli aristocratici lasciavano alla servitù, non tanto per riconoscenza quanto per abitudine e dovere nei confronti del ceto inferiore, ma oggi è un concetto ben più elaborato.
«La mancia è qualcosa di ambiguo e paradossale. La lasciamo a chi ci offre un servizio, ma non a qualcun altro che magari fa un lavoro altrettanto faticoso e prende uno stipendio altrettanto basso. A Tokyo è un insulto dare la mancia, mentre a New York è offensivo non darne una abbondante. Si dice che lo scopo della mancia sia incoraggiare un buon servizio, ma in realtà la lasciamo solo dopo che il servizio ci viene offerto, e spesso a persone che non ci serviranno mai più. La mancia mette in crisi le grandi generalizzazioni degli economisti e degli antropologi. Capire come e perché lasciamo questo extra vuol dire indagare i complicati e affascinanti meandri della natura umana», così leggiamo sulla rivista Internazionale (n.1113, rubrica “Società”)
La complessa funzione della mancia riflette la sfaccettata funzione del ristorante. In parte è una forma di pagamento, una remunerazione per un lavoro ben fatto. Ma è anche una manifestazione di gratitudine, un modo per dare a chi ci ha servito l’occasione di godere almeno in parte del piacere di cui abbiamo goduto noi”, un modo per mostrare apprezzamento e riconoscenza nei confronti di chi ha seguito l’ospite con tanto di impegno e premura. La geografia ci mostra le varie forme che la mancia può assumere: a discrezione del cliente, inclusa nel conto, calcolata in percentuale, o non esistere affatto, tutto questo a seconda dei valori e dalle tradizioni di ciascun Paese. Sono tanti i modi in cui la mancia è gestita nel mondo, ma qual è quello giusto per considerare questo tipo di compenso? Oggi, nelle economie di scambio dei paesi occidentali, dove niente si fa per niente, dove tutto si mercifica, la mancia, come “gesto puramente volontario”, assume i connotati di un dono, fatto liberamente dal cliente al cameriere, e finisce per umanizzare anche quella che sarebbe una semplice uscita al ristorante. Non saremmo tutti dei Jack Selby, ma l’idea stessa della mancia vista come segno di ringraziamento, e non come dovere dettato dal costume o dal regime del locale stesso, la rende più piacevole.

Pasqua Peragine