Violenza di gruppo.

La violenza è il modo in cui molti uomini e molte meno donne cercano di dire quello che non sanno dire di se stessi o della vita.
La violenza in tutti i suoi livelli, non solo quelli materiali, è l’incapacità di sapere affermare se stessi di fronte agli altri. È l’incapacità di saper gestire la propria libertà perché incapace di incontrare la libertà altrui. È cosi già dai tempi di Caino e Abele.
La violenza contro il più debole, perché donna?, perché diverso da …, perché più fortunato di me o perché incontrare l’altro comunque inconsciamente spaventa? E non importa se più grande o piccolo di me.
Confesso che una sera, camminando in centro a Milano, con alcuni adolescenti l’incrociarsi con altri adolescenti visibilmente di origine non milanese provenienti dalle periferie mi ha fatto pensare, preoccupare un poco e allertare le “antenne”.
Forse solo perché caciarosi, perché in gruppo, perché “stranieri” pur parlanti italiano?
Intanto, senza la pretesa di una analisi professionale, la violenza non riguarda solo ragazzi di prima, seconda, terza generazione: la violenza è un fenomeno che coinvolge molti uomini e meno donne di ogni razza, censo, estrazione sociale e/o interessi. Certo poi è più facile stigmatizzare alcune realtà piuttosto che altre. Secondo alcuni, altri alcuni per forza sono violenti perché di seconda generazione, perché incapaci di accogliere le regole.
Come scriveva Giuliana Tondini, procuratrice tribunale dei minori di Brescia, quello che preoccupa è oggi l’accelerazione con cui oggi si radunano le bande violente, basta un TikTok. «Questa accelerazione non favorisce il pensiero riflessivo, ma privilegia risposte istintuali e spesso violente.» La fatica di riflettere.
Dei ragazzini, non pochi, di cosiddetta seconda generazione hanno fatto violenza su alcune loro coetanee agli inizi di giugno su un treno da Peschiera del Garda verso Milano. Ragazzi che poco prima si erano ritrovati per un raduno “etnico-tribale” come ce ne sono tanti altri in Italia e non solo e non solo di ragazzini.
Ragazzi che probabilmente hanno trovato ispirazione in tanta musica che permettiamo di ascoltare perché tanto è solo musica. (a questo proposito leggi https://www.marcobrusati.com/categorie/musica-video/490-idoli-del-trap-de-cantano-droga-violenza-e-ragazze-prede-sessuali).
Il fatto verrà giudicato e sanzionato dalle autorità competenti; il recupero delle loro vite e la rielaborazione del trauma delle vittime saranno la missione delle famiglie e degli specialisti competenti. Speriamo.
Non era e non è facile affrontare queste realtà che chiamiamo disagio. Sicuramente la politica ostacolando qualsiasi proposta di legge per un riconoscimento di cittadinanza non comprende che ciò significa ignorare che l’immigrazione è sempre una complicazione, da che mondo è mondo, e va affrontata.
«Non credo che tutti i giovani e turbolenti immigrati diventerebbero agnellini, ottenuta la cittadinanza, come la cittadinanza di per sé non aggiusta le teste matte dei giovani turbolenti di nostra produzione. Ma forse avrebbero una ragione in meno per sentirsi sradicati e stranieri nella terra dove sono cresciuti, e dove un aspirante leader li considera indegni di noi.» (M. Feltri, LaStampa, 1 luglio 2022).
Dobbiamo continuare a vigilare e creare spazi di incontro e di riflessione (non solo scuola che a molti adolescenti dà un senso di fastidio) per gli adolescenti; dobbiamo trovare il modo di far percepire che verso gli adolescenti c’è fiducia, non solo sopportazione. I tempi di “ri-costruzione” saranno lunghi ma porteranno frutti se sapremo dare loro tempo di ascolto e proposte di vita, se sapremo far riscoprire il valore dei “sì” e dei “no”! Non è un lavoro semplice, richiede molta rete, specialmente con quanti di cosiddetta seconda generazione – per restare nel campo – hanno raggiunto dei successi. Altrimenti si rischiano sempre livelli distinti e lontani che continueranno a distinguere e allontanare.

Cosa ci insegna Moreno!

Non ce l’ho con Moreno anche se non sono un suo fan; non voglio fargli la morale, anche se non condivido diverse sue scelte; neppure è mia intenzione dare un giudizio sulla persona, anche se parto dalla sua storia: lo faccio per arrivare a riflettere sui criteri che dovrebbero guidare le realtà ecclesiali che organizzano concerti ed eventi per i più giovani, a livello locale, nazionale o persino internazionale.

Anzitutto, ecco la storia. Prima tappa: il Giubileo dei Ragazzi. Lo scorso maggio, il nostro artista è tra i protagonisti dello spettacolo giubilare ufficiale, che si tiene allo stadio Olimpico di Roma; un evento che, nel programma, si trova dopo le confessioni in San Pietro e prima della Messa celebrata dal Papa. Seconda tappa: la Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia. Lo scorso luglio, il rapper è invitato ad un altro concerto, “Live da Cracovia”, ovvero la festa dei giovani italiani giunti in Polonia per incontrare il Papa. Terza tappa: Le Iene. Lo scorso ottobre, a Moreno organizzano uno scherzo televisivo: gli fanno credere che una ragazza con cui ha avuto una fugace relazione aspetta un bambino da lui; tra commenti divertiti di sottofondo, l’artista dice “Io non voglio tenere questo bambino”, mostrandosi particolarmente preoccupato per i soldi che gli può chiedere “la tipa” di cui fatica a ricordare il nome. Quarta tappa: L’Isola dei Famosi. Da pochi giorni si è conclusa l’edizione annuale del programma, durante la quale ha tenuto banco una relazione, vera o costruita ad arte, tra la pornostar Malena e, appunto, Moreno: una vicenda pruriginosa narrata anche in prima serata ed in fascia protetta, quella che dovrebbe tutelare i bambini.

Questa vicenda porta ad evidenziare la necessità di un primo criterio generale: la musica, lo spettacolo ed il divertimento non sono degli accessori, ma parte integrante dei percorsi educativi alla fede. La sfida educativa esige un solido, costante e competente impegno cristiano in questi ambiti, perché è qui che si definiscono sia l’immaginario, sia l’universo simbolico delle nuove generazioni. Da questo nasce un secondo criterio: la coerenza è una virtù, anche nei processi di comunicazione. Prendiamo, ad esempio, lo spot di un’autovettura: se l’obiettivo è esaltarne la forza o la resistenza non vedremo una ballerina di danza classica o una farfalla, semmai un lottatore di sumo o un leone; se invece l’obiettivo è valorizzarne la velocità, non vedremo un sollevatore di pesi o un bradipo, semmai un centometrista o un ghepardo. Invece, salvo rarissime eccezioni che di norma restano fuori dagli eventi ecclesiali, il mondo rap e hip-hop porta una visione dell’uomo e della donna non coerente con quella cristiana: basterebbe vedere qualche videoclip, per rendersi conto di come le ragazze vengano usate  per il divertimento altrui o di come l’alcol sia un compagno inseparabile del ballo oppure di come la droga non sia condannata. Arriviamo così al terzo criterio: l’artista è il messaggio. È bene non essere ingenui pensando che il messaggio sia solo quello che un artista dice o canta quando sale su un palco. Un esempio? A nessuno verrebbe in mente di invitare un dittatore sanguinario a parlare dell’amore verso i suoi figli e la sua famiglia, per non accreditare agli occhi dei presenti tutto quello che fa. Infine, un ultimo criterio ci viene suggerito da chi sostiene che queste riflessioni non abbiano più significato, perché la Chiesa deve dialogare con tutti, anche con chi ha istanze culturali diverse; se è auto-evidente che la missione della Chiesa è di-per-sé aperta al dialogo con chi è lontano, tuttavia un palco dove ci si esibisce senza contraddittorio non è il luogo del dialogo, ma della rappresentazione di progetti artistici portatori di modelli di vita, che devono essere minimamente coerenti con la finalità dell’evento. Altrimenti, nel tentativo di attirare i più giovani, si finisce ad investire denaro per accreditare chi li allontana. E di questo, prima o poi, bisognerà rispondere.

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